New Page 2

UN FONDAMENTALE RICHIAMO ALLA PROCEDURA DI INDIVIDUAZIONE DI UN BENE PAESAGGISTICO O CULTURALE
- Nota a commento della sentenza della Corte di Cassazione n. 44275 del 5 dicembre 2005 -
A cura del Dott. Massimo Latini

New Page 1



La sentenza può essere letta qui

Con la sentenza in commento, la III Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione ha recentemente espresso una netta posizione sulla insorgenza della disciplina vincolistica di cui al Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (il cosiddetto “Codice Urbani”).

In particolare, si chiarisce, relativamente alla procedura di individuazione di un bene paesaggistico (o, per estensione, di un bene culturale), che l’unica via possibile per porlo in essere è quella prevista dall’anzidetto codice.

Ne deriva che l’insorgenza del regime vincolistico dovrà essere notificata al proprietario del suolo e non potrà essere, in via autonoma, imposta direttamente dall’autorità comunale competente per mezzo dei piani regolatori o per mezzo di altri strumenti urbanistici che stabiliscono le destinazioni d’uso del territorio comunale.


*****


Il fatto ha avuto origine da un accertamento avvenuto in Castrignano del Capo (LE) il 27 maggio del 2000, nel quale fu rilevata la modifica del preesistente natural declivio di un terreno sottoposto a vincolo paesaggistico senza il necessario nulla-osta. Più precisamente, fu contestata la trasformazione di una zona di circa 5000 mq. avvenuta attraverso il riporto di materiale di risulta, portando di fatto al conseguente livellamento del fondo.

La proprietà del terreno fu pertanto individuata quale responsabile della contravvenzione di cui all’articolo 1 sexies della legge 5 agosto 1985, n. 431 (la cosiddetta “legge Galasso”), riprodotto nell’articolo 163 del d.lgs. 29 ottobre, n. 490, ora articolo 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (articolo che rimanda all’articolo 20 della legge n. 47 del 1985, ora sostituito dall’articolo 44.1 del DPR n. 380 del 2001). Il Tribunale di Lecce condannava l’imputato alla pena di mesi uno di arresto ed Euro 8000.00 di ammenda, quale responsabile della suddetta contravvenzione.

Successivamente, in sede di ricorso d’appello, la pena fu confermata anche dalla Corte di Appello della medesima città. A fondamento della decisione la corte adita confermava, oltre che la legittimità della sussistenza del vincolo paesaggistico, anche che il comportamento ascritto all’imputato aveva indubbiamente configurato il reato contestato.

Ciò evidenziando, in particolare, come la “compatibilità ambientale” espressa dall’autorità amministrativa locale con l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal competente comune non poteva estinguere il reato menzionato.

In materia paesaggistica, infatti, l’autorizzazione in sanatoria di un intervento realizzato abusivamente prevede come unica conseguenza favorevole l’esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in deroga anche al comma 2 dell’articolo 181 del citato Codice dei beni culturali e del paesaggio d.lgs. n. 42/04 (d’ora in avanti abbreviato in “codice”).

Il ricorso alla Suprema Corte di Cassazione dell’imputato si è fondato su tre motivi.

Il primo lamentava l’erronea applicazione dell’articolo 1 sexies della legge 431/1985 in quanto la condotta ravvisata non integrava il reato contestato, poiché non sarebbe avvenuta alcuna modifica rilevante dello stato dei luoghi. Infatti, il materiale di risulta riportato sul terreno, in quanto costituito solamente da terra e pietrisco, sarebbe stato omogeneo alla natura del fondo agricolo interessato. Il successivo spianamento dell’area, inoltre, non avrebbe alterato le caratteristiche del suolo.

A tal proposito la Corte di Cassazione ha dichiarato infondato tale primo motivo, in quanto nelle zone poste a vincolo paesaggistico è inibita ogni modificazione dell’assetto del territorio senza la preventiva autorizzazione, ad esclusione di alcuni particolari e limitati interventi (come, ad esempio, quelli di manutenzione ordinaria o straordinaria, quelli relativi all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, oppure quelli consistenti nel taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, ecc., ancorché nei limiti previsti dall’articolo 149 del codice), che non riguardano comunque il fatto in esame.

Trattandosi di reato di pericolo astratto, non potrebbe neanche ravvisarsi la possibilità secondo la quale la condotta dell’imputato possa essere esclusa in quanto non abbia, di fatto, prodotto un effettivo pregiudizio per l’ambiente. L’illecito si configura in ogni caso, dovendo la legge garantire, attraverso l’autorizzazione, una preventiva valutazione dell’impatto delle opere sul paesaggio.

Osservazioni, queste ultime, sicuramente in linea con l’intenzione del legislatore, che rientrano, tra l’altro, all’interno di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale il reato sussiste sempre e comunque, anche se la condotta posta in essere non compromette il valore paesaggistico o l’aspetto esteriore degli edifici (cfr., ad esempio, Cass. Sez. III n. 33297 del 2005).

Nella fattispecie, oltre tutto, il materiale riportato consisteva in larga misura da residui di ristrutturazioni edili e solo in minima parte da terra, raggiungendo un’altezza di quattro metri per una superficie di circa 5000 mq., compromettendo concretamente i valori paesaggistici oggetto della tutela.

Diversamente, la seconda motivazione è stata giudicata fondata dalla Corte di Cassazione, portando a conclusioni e considerazioni rilevanti e determinanti ai fini dell’individuazione della sussistenza di un vincolo, tanto da creare, in senso generale, un precedente di rilievo in materia.

Il ricorrente lamentava un difetto di motivazione, in quanto il vincolo paesaggistico insistente sul fondo in parola poteva essere imposto solamente da una legge statale o regionale e non attraverso un provvedimento amministrativo comunale. Già il primo giudice sul punto si era limitato a richiamare la deposizione del tecnico comunale, il quale aveva genericamente affermato la sussistenza di un vincolo di natura paesaggistica e idrogeologica senza alcuna ulteriore esplicitazione, lasciando intendere che il vincolo sarebbe stato imposto dal comune interessato.

La Corte d’Appello, sul punto, si era limitata a respingere il ricorso osservando che il vincolo di che trattasi era un “atto effettivamente rilevante”, senza però indicare né l’autorità che l’avrebbe imposto, né l’atto impositivo di individuazione, senza di fatto espletare adeguatamente, a detta della Suprema Corte, l’accertamento della reale sussistenza del vincolo. Era chiaro solamente che l’autorizzazione postuma (di cui all’articolo 146 del codice) è stata rilasciata dal comune competente, ma non era chiaro se quale delegato dell’autorità regionale o quale autorità amministrativa che avrebbe imposto il vincolo.

La procedura di individuazione di un bene paesaggistico (o culturale) prevede una procedura piuttosto complessa (ad esclusione di quelli imposti per legge, di cui all’articolo 142 del codice), che esclude in ogni caso la possibilità che l’autorità comunale possa imporli autonomamente per mezzo dei piani regolatori o per mezzo di altri strumenti urbanistici che stabiliscono la destinazione d’uso del territorio comunale.

Nel caso in esame non risultava chiara né la natura del vincolo né l’autorità che lo avrebbe imposto.

Per questi motivi la Corte di Cassazione ha deciso di annullare la decisione della Corte d’Appello rinviandola ad altra sezione per un nuovo esame, al fine di accertare la legittima imposizione del vincolo prescritto per legge e, nell’eventualità che detto vincolo fosse stato imposto dal comune, dovrà accertare se questo fosse munito di apposita delega.

L’esame della terza motivazione, relativa alla mancanza di motivazione in ordine alla valenza della declaratoria di compatibilità ambientale contenuta nell’autorizzazione, si è resa superflua essendo logicamente prioritaria la definizione della legittima sussistenza del vincolo.


*****


Esposta brevemente la sentenza in commento, è bene meglio specificare l’importanza della sentenza stessa alla luce di una prassi ormai consolidata di applicazione della norma che vede da tempo uno svuotamento sostanziale del dettato e dei principi del tutto innovativi, ancora a distanza di più di vent’anni, della cosiddetta “legge Galasso” (ora di fatto assorbita, senza modifiche sostanziali, nel cosiddetto “Codice Urbani”).

Principi che hanno innovato la concezione della legge n. 1497 del 1939 sulle bellezze naturali, secondo la quale l’insorgenza di un vincolo era subordinata all’aspetto puramente estetico e visivo del paesaggio da tutelare, con tutti i limiti che ne conseguivano. E’ partendo da questi limiti che col passare del tempo, presto si sentì la necessità di considerare, per così dire, l’ambiente naturale nella sua concezione più moderna e onnicomprensiva di tutti gli aspetti biologici e naturalistici.

Da questa evoluzione si passò dal concetto di vincolo puramente paesaggistico a quello di vincolo paesaggistico-ambientale, integrando il concetto di paesaggio con quello di ambiente e habitat naturale. Terminologia quest’ultima che, pur mantenendo l’immanenza semantica nel dettato normativo vigente, è comunque venuta meno nel codice, rispetto al d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, preferendo il termine paesaggio al termine ambiente, per evitare confusioni terminologiche o interferenze con altre norme riguardanti lo stesso ambito normativo.

Come è noto, l’attuale disciplina di individuazione di un bene paesaggistico prevede due ambiti di protezione paralleli ma distinti in relazione alle procedure di individuazione.

In particolare, ci sono beni paesaggistici tutelati individualmente costituiti attraverso un iter specifico che prevede la compilazione da parte della regione di appositi elenchi su base provinciale finalizzati alla dichiarazione preventiva e preliminare di notevole interesse pubblico (di cui alla citata “legge Bottai” n. 1497 del 1939, ora articoli 136 e 138-141 del codice: cose immobili con caratteri di bellezza naturale o singolarità geologica; ville, parchi e giardini; complessi di cose immobili di valore estetico o tradizionale; bellezze panoramiche considerate come quadri, punti di vista, belvedere) e beni paesaggistici tutelati per legge - ope legis - (di cui alla “legge Galasso”, ora articolo 142 del codice), ambedue comunque sottoposti allo stesso regime di protezione.

Questi ultimi sussistono in modo automatico senza la necessità, in via generale, di un provvedimento di individuazione specifico e selettivo, il quale invece è previsto per il primo caso.

Tuttavia, anche per i beni tutelati per legge bisogna fare un ulteriore distinguo, in quanto alcuni sono vincolati direttamente, in quanto aventi requisiti naturalistici di comune e universale accertabilità (i territori costieri e contermini ai laghi entro 300 metri dalla riva; le montagne per la parte eccedente una determinata altitudine; i ghiacciai e i circhi glaciali; i territori coperti da foreste e boschi; i vulcani), mentre altri sono comunque individuati indirettamente dalla legge, dovendo di fatto prevedere un atto formale della competente autorità, presupposto necessario alla instaurazione del vincolo paesaggistico.

In tal senso, infatti, per i fiumi, i torrenti e i corsi d’acqua si prevede che siano vincolati solo quelli iscritti negli appositi elenchi di cui al R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775 (T.U. sulle acque); i parchi e le riserve nazionali o regionali sono istituiti con appositi decreti presidenziali o ministeriali o regionali; le aree assegnate alle università agrarie presuppongono un atto amministrativo di assegnazione; le zone gravate dagli usi civici presuppongono l’esistenza di uno dei modi di costituzione degli usi civici stessi, come l’uso collettivo immemorabile, la concessione sovrana e i contratti fra universitates; le zone umide sono quelle incluse nell’elenco di cui al DPR 13 marzo 1976, n. 448; le zone di interesse archeologico non possono essere che quelle individuate dalle autorità amministrative competenti in materia.

In ogni caso, tutti i beni menzionati dall’articolo 142 del codice appena citati secondo le due possibilità di individuazione, sono sottoposti per il loro interesse paesaggistico alle disposizioni del codice, ma solo fino all’approvazione del piano paesaggistico di cui all’articolo 156 del codice, creando una dipendenza da un atto amministrativo di destinazione del territorio.

A dimostrazione del fatto che in materia ci sono ancora dei nodi irrisolti di rilevante importanza, cito due esempi che indicano una direzione inequivocabile, anche se per certi aspetti contraddittoria con la norma, relativamente alla automatica sussistenza, in determinate fattispecie, del vincolo paesaggistico.

Il primo è una circolare del Ministero per i beni culturali ed ambientali del 31 agosto 1985, sul tema dei vincoli sorti secondo la “legge Galasso”, la quale precisa che “tali vincoli agiscono ope legis e, pertanto, non richiedono nessun provvedimento amministrativo di notifica dell’interesse ipso iure tutelato”.

Il secondo esempio, in linea con il primo, seppure di tutt’altra natura, si riferisce alla sentenza 657/02 del Consiglio di Stato del 4 febbraio 2002 con la quale si è stabilito che i fiumi ed i torrenti sono soggetti a tutela paesaggistica di per sé stessi, a prescindere dall’iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche, determinando conseguentemente sicuri problemi interpretativi.

Questo complesso e articolato meccanismo di individuazione di un bene paesaggistico, dettato da una continua stratificazione legislativa peraltro giustificata da una evoluzione del concetto di tutela del paesaggio, ha spesso generato attriti, sovrapposizioni e confusioni tra le diverse autorità statali e locali chiamate in causa. Situazione che ha inevitabilmente portato a un generale svuotamento dell’intenzione del legislatore che voleva una gestione del vincolo stesso attraverso una prassi autorizzativa precisa e circostanziata, trasformata di fatto in un mero passaggio burocratico e formale.

Emblematico è il caso di specie analizzato attraverso la sentenza in commento nella prima parte di questo contributo, la quale cerca di riportare l’iter di individuazione di un bene paesaggistico nell’alveo normativo previsto dalla norma, escludendo possibili meccanismi non previsti che, se nella pratica potrebbero semplificare il complesso circuito di relazioni che devono sussistere, di fatto vanno a incidere negativamente sulla primaria funzione che la Repubblica Italiana ha l’obbligo di svolgere, ovvero quella di tutelare il patrimonio culturale della nazione (costituito dall’insieme dei beni culturali e dei beni paesaggistici - articolo 2 del codice -), secondo il principio fondamentale esposto nell’articolo 9 della Costituzione Italiana.