Cass. Sez. III n. 46082 del 15 dicembre 2008 (Ud. 8 ott. 2008)
Pres. De Maio Est. Onorato Ric. Fiorentino ed altri
Beni Culturali. Natura del reato di abusivo intervento su beni culturali

Il reato di abusivo intervento su beni culturali, previsto e punito dall\'art. 118 D.Lgs. 490/1999 (ora art. 169 D.Lgs. 42/2004) non ha un carattere plurioffensivo. Dal momento che la individuazione del bene penalmente tutelato deve desumersi dalla struttura tipica del reato e dalla disciplina che ne regola le cause di non punibilità e di estinzione, è giocoforza concludere che: a) per il reato in esame il bene tutelato è esclusivamente l\'interesse strumentale al preventivo controllo da parte dell\'autorità preposta alla tutela dei beni culturali; b) la condotta di chiunque realizzi interventi sui beni anzidetti senza la prescritta autorizzazione o comunicazione preventiva configura una concreta offesa dell\'interesse amministrativo tutelato, senza che l\'accertamento postumo di compatibilità col vincolo culturale o l\'autorizzazione in sanatoria rilasciata dalla autorità preposta possa valere a estinguere il reato o a escluderne la punibilità, Per conseguenza, nel caso concreto l\'accertamento postumo di compatibilità rilasciato dalla Soprintendenza competente non vale a estinguere il reato contestato agli imputati o a escluderne la punibilità.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 08/10/2008
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 1992
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 16617/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) FIORENTINO Michele, nato a Napoli il 30.9.1950;
2) LATINI Mauro, nato a Fiesole l\'1.8.1956;
avverso la sentenza resa in data 8.10.2007 dalla Corte d\'appello di Firenze.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere Dr. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Izzo Gioacchino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza dell\'8.10.2007 la Corte d\'appello di Firenze ha integralmente confermato quella resa il 12.5.2006 dal locale Tribunale, che aveva condannato a pena di giustizia, col doppio beneficio di legge, Michele Fiorentino e Mauro Latini, avendoli ritenuti colpevoli del reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118 (così rettificata l\'originaria imputazione per il reato di cui al citato decreto, art. 163), perché - il primo quale proprietario e il secondo quale direttore dei lavori - senza le prescritte autorizzazioni, avevano eseguito sul complesso immobiliare "San Quirico alla Felice" sottoposto a vincolo storico artistico (e costituito da una ex-chiesa, una ex-canonica e un annesso) lavori difformi da quelli autorizzati: in Rignano sull\'Arno, in corso d\'opera nell\'ottobre 2002.
In particolare la Corte territoriale ha ritenuto e osservato che:
- i due imputati, nelle rispettive qualità, avevano ottenuto in data 30.5.2002 una autorizzazione edilizia per eseguire alcuni lavori all\'interno del complesso "San Quirico alla Felice", previo nulla osta della competente Soprintendenza;
- avendo però eseguito lavori in difformità dalla autorizzazione, dopo la relativa contestazione da parte degli organi competenti, Fiorentino aveva presentato domanda di accertamento di conformità ai sensi della L.R. Toscana n. 52 del 1999, art. 37;
- l\'accertamento di conformità era stato rilasciato dall\'autorità comunale competente in data 8.6.2005, dopo che la Soprintendenza aveva attestato che le opere difformi risultavano compatibili con le esigenze di tutela del vincolo storico-artistico, ad esclusione della costruzione di un bagno nella ex-sacrestia;
- detto accertamento poteva estinguere il reato urbanistico, ma non quello di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118, che è reato formale di pericolo presunto;
- era infondata la tesi difensiva secondo cui per integrare tale reato mancava il minimo necessario di idoneità offensiva, atteso che nel caso concreto la stessa Soprintendenza aveva accertato che il bagno costruito nella sacrestia era incompatibile con il vincolo storico-artistico, e quindi, almeno per questo intervento, ricorreva una concreta offensività;
- come risultava dalla domanda di definizione degli illeciti edilizi presentata dal Fiorentino in data 5.11.2004 ai sensi del D.L. 30 settembre 2004, n. 269, art. 32, i lavori in questione non erano ancora ultimati alla data del 30.9.2004, sicché non era ancora maturato il termine di prescrizione del reato.
2 - Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo:
2.1 - violazione e/o falsa applicazione dell\'art. 49 c.p. e del D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118. Insiste nel sostenere che il reato de quo, pur essendo di pericolo astratto, richiede pur sempre un minimo di offensività concreta, come è imposta dall\'art. 49 c.p., comma 2, che la Soprintendenza competente aveva invece escluso quando aveva dichiarato le opere non autorizzate compatibili con il vincolo storico-artistico. Aggiunge al riguardo che non poteva ritenersi concretamente offensiva l\'unica opera ritenuta incompatibile dalla Soprintendenza, cioè l\'adeguamento igienico sanitario realizzato nella ex-sacrestia, giacché questo non era stato contestato nel capo di imputazione, che si riferiva soltanto ai lavori eseguiti in una porzione della canonica;
2.2 - violazione o falsa applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, giacché la presentazione della domanda di definizione degli illeciti edilizi (c.d. condono edilizio) doveva comportare la sospensione del processo penale;
2.3 - violazione dell\'art. 157 c.p. giacché doveva essere dichiarata la prescrizione del reato. Sostiene al riguardo che il termine di decorrenza della prescrizione doveva coincidere con la data dell\'accertamento indicata nel capo di imputazione, cioè quella dell\'ottobre 2002, non avendo il pubblico ministero provveduto a modificare la imputazione sotto il profilo del tempus commissi delicti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3 - Il primo motivo di ricorso (n. 2,1) non può essere accolto. Nel capo di imputazione era contestata l\'abusiva esecuzione di lavori edili di ristrutturazione nel complesso immobiliare "San Quirico alla Felice", costituito da una chiesa, una canonica e un annesso, lavori eseguiti "in particolare" in una porzione della canonica e dettagliatamente descritti nel verbale di accertamento stilato dalla polizia municipale. Orbene, nel suddetto verbale di accertamento erano descritti come abusivi, tra gli altri, la realizzazione di un bagno in un locale facente parte della sacrestia, nonché numerosi interventi nel piano terreno e nel primo piano della canonica. Poiché la locuzione avverbiale "in particolare" non ha valore di esclusione, ma di specificazione, si deve concludere che nei lavori abusivi contestati rientravano sia quelli eseguiti nella canonica sia quelli eseguiti nella chiesa, e quindi nella sacrestia. Tanto chiarito e premesso, si deve disattendere la tesi difensiva secondo cui i lavori de quibus non potevano configurare il reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 118 (ora D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 169), perché non erano concretamente idonei a offendere il bene penalmente tutelato.
Al riguardo, occorre svolgere alcune brevi considerazioni in ordine alla offensività del reato, la cui sinteticità è imposta dalla sede, ma non intende sottovalutare la complessità di un tema che ha travagliato a lungo dottrina e giurisprudenza.
Il principio di offensività nel diritto penale, secondo cui non sussiste reato senza una effettiva offesa (sotto forma di lesione o di messa in pericolo) del bene protetto, è fondato su una precisa interpretazione dell\'art. 49 c.p., comma 2, e confermato dai principi consacrati nell\'art. 25 Cost., comma 2, e art. 27 Cost., commi 1 e 3. Come tale, esso è ormai espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale ed è applicato - anche se non sempre tematizzato - dalla giurisprudenza di legittimità. L\'applicazione del principio in questione, tuttavia, presuppone l\'esatta individuazione del bene tutelato dalla norma incriminatrice. Nei reati formali, come quello urbanistico di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, o quello paesaggistico di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, il bene tutelato è l\'interesse della pubblica amministrazione competente a controllare preventivamente che la trasformazione dell\'assetto territoriale sia conforme - rispettivamente - agli strumenti urbanistici di governo del territorio o alla conservazione della integrità ambientale. La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha ormai riconosciuto il carattere plurioffensivo del reato urbanistico e di quello paesaggistico, laddove ha precisato che, oltre al predetto interesse formale e strumentale della pubblica amministrazione, la norma penale tende a proteggere anche l\'interesse sostanziale e finale del governo urbanistico del territorio o della integrità ambientale. Questo approdo ermeneutico può dirsi giustificato solo in base alle norme che prevedono:
a) tra le fattispecie di reato urbanistico anche l\'ipotesi di inosservanza degli strumenti urbanistici (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a);
b) la estinzione del reato urbanistico quando l\'intervento edilizio abusivo sia riconosciuto sostanzialmente conforme agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento in cui l\'intervento è eseguito sia al momento in cui è richiesto l\'accertamento amministrativo di conformità (D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45);
c) la non punibilità del reato contravvenzionale paesaggistico quando l\'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica dell\'intervento, sempre che questo sia di carattere minore (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter);
d) la estinzione del reato contravvenzionale paesaggistico quando il trasgressore rimetta in pristino lo stato dei luoghi prima che sia intervenuta condanna (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies).
Le norme testè citate, infatti, dimostrano che il legislatore penale, oltre a tutelare l\'interesse strumentale della pubblica amministrazione al controllo preventivo, ha voluto positivamente considerare, in un modo o nell\'altro, l\'interesse sostanziale al rispetto finale dei valori del territorio e dell\'ambiente, tanto da rinunciare alla pena nei casi in cui, pur violando l\'interesse strumentale della pubblica amministrazione, il contravventore ha sostanzialmente rispettato l\'interesse finale della conformità urbanistica e ambientale.
Norme siffatte non sono però rinvenibili per il reato di abusivo intervento su beni culturali, previsto e punito dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169). Di questo reato, quindi, non può predicarsi un carattere plurioffensivo. Dal momento che la individuazione del bene penalmente tutelato deve desumersi dalla struttura tipica del reato e dalla disciplina che ne regola le cause di non punibilità e di estinzione, è giocoforza concludere che: a) per il reato in esame il bene tutelato è esclusivamente l\'interesse strumentale al preventivo controllo da parte dell\'autorità preposta alla tutela dei beni culturali; b) la condotta di chiunque realizzi interventi sui beni anzidetti senza la prescritta autorizzazione o comunicazione preventiva configura una concreta offesa dell\'interesse amministrativo tutelato, senza che l\'accertamento postumo di compatibilità col vincolo culturale o l\'autorizzazione in sanatoria rilasciata dalla autorità preposta possa valere a estinguere il reato o a escluderne la punibilità. Per conseguenza, contrariamente a quanto ritiene il difensore ricorrente, e anche in certa misura la sentenza impugnata, nel caso concreto l\'accertamento postumo di compatibilità rilasciato dalla Soprintendenza competente non vale a estinguere il reato contestato agli imputati o a escluderne la punibilità.
A questo punto diventa marginale il fatto che la Soprintendenza, nella sua valutazione ex post, abbia ritenuto incompatibili col vincolo storico-artistico esistente sul complesso di "San Quirico alla Felice" solo i lavori eseguiti per la realizzazione di un bagno nei locali della ex-sacrestia. Sia per questi lavori incompatibili (comunque contestati agli imputati, come si è sopra precisato), sia per gli altri numerosi lavori giudicati in fine compatibili col vincolo storico-artistico, sussiste il reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169). Come già correttamente osservato dalla Corte fiorentina, e non contestato dal difensore ricorrente, anche l\'accertamento di conformità urbanistica rilasciato dall\'autorità comunale ex art. 37 della L.R. Toscana 14 ottobre 1999, n. 52, poteva estinguere il reato urbanistico, ma non altri reati contravvenzionali previsti da norme diverse da quelle urbanistiche - com\'è appunto il reato di abusivo intervento su beni culturali di cui al presente processo. Infatti, l\'accertamento di conformità di cui al predetto L.R., art. 37 non fa che riprodurre esattamente il procedimento amministrativo di cui alla L. n. 47 del 1985, artt. 13 e 22 della (ora D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45), in relazione al quale la legge statale prevede che il rilascio in sanatoria del titolo urbanistico estingue soltanto i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti. 4 - Destituito di giuridico fondamento è anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla denegata sospensione del processo penale in seguito alla presentazione della domanda c.d. di condono edilizio ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32.
Invero, il predetto art. 32 richiama l\'applicazione di tutte le disposizioni di cui al capo 4 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, tra le quali quella di cui alla citata legge, art. 38, comma 1, secondo cui la tempestiva presentazione della domanda per la sanatoria edilizia sospende il procedimento penale per il reato urbanistico. Ma il presente processo non ha mai avuto per oggetto reati urbanistici, sicché nessuna sospensione era possibile. Il che ha anche una sua logica spiegazione, atteso che il perfezionamento positivo del procedimento amministrativo di sanatoria straordinaria (c.d. condono edilizio), per effetto del predetto art. 38, comma 2, estingue solo il reato urbanistico e i reati c.d. satelliti, ma non mai il reato di abusivo intervento sui beni culturali, di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118, contestato nel presente processo.
5 - Infine, va respinto anche il terzo motivo di ricorso relativo alla prescrizione del reato (n. 2.3).
Secondo il capo di imputazione, i lavori de quibus erano in corso d\'opera nell\'ottobre 2002. Tuttavia, come ha precisato la sentenza impugnata, con accertamento di fatto non sindacabile (e non sindacato) in questa sede, i lavori sono proseguiti sino alla data del 30.9.2004. Contrariamente alla tesi sostenuta dal difensore ricorrente, deve condividersi sul punto la giurisprudenza prevalente di questa Corte, secondo cui "nell\'ipotesi in cui il capo di imputazione contenuto nel decreto di rinvio a giudizio indichi esclusivamente la data di accertamento di un reato permanente, senza nessun riferimento a quella di cessazione della permanenza, il giudice del dibattimento deve appurare, attraverso l\'interpretazione di detto capo, considerato nel suo complesso, se esso riguardi una fattispecie concreta la quale, così come descritta, sia già esaurita prima o contestualmente all\'accertamento medesimo, ovvero una condotta ancora in atto; in tal caso, poiché il capo di imputazione ascrive all\'imputato una condotta che, lungi dall\'essersi già esaurita, è ancora perdurante alla data in esso indicata, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l\'eventuale protrazione della permanenza, di cui pertanto può tenere conto il giudice del dibattimento ad ogni effetto penale, senza che sia richiesta a tal fine una ulteriore contestazione da parte del pubblico ministero" (Sez. Un. n. 11930 dell\'11.11.1994, P.M. in proc. Polizzi, mass. 199170). Nello stesso senso si è autorevolmente precisato che "poiché la contestazione del reato permanente, per l\'intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l\'elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell\'accertamento) e non quella finale, la permanenza - intesa come dato di realtà - deve ritenersi compresa nella imputazione (...) senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell\'azione penale" (Sez. Un. n. 11021 del 13.7.1998, Montanari, mass. 211385).
A maggior ragione, il giudice del dibattimento può valutare anche i fatti successivi al decreto dispositivo del giudizio quando la contestazione del reato sia effettuata con la formula "sino alla data odierna", senza necessità di contestazioni suppletive (Sez. 6, n. 37539 del 27.9.2007, Carcione, mass. 237424).
Nel caso di specie - come già detto - il reato contravvenzionale è stato contestato dal pubblico ministero come in corso nell\'ottobre 2002, ed è stato legittimamente accertato dal giudice come proseguito sino al 30.9.2004. Per conseguenza, essendo punito con pena congiunta, la sua prescrizione maturerà soltanto alla data del 30.3.2009 ai sensi dei previgenti artt. 157 e 169 c.p. (la disciplina modificativa introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 non è applicabile alla fattispecie perché prevede termini prescrizionali più lunghi).
6 - In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Ai sensi dell\'art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2008