Relazioni Penali della Corte di Cassazione n.1021-2007
BENI CULTURALI
Patrimonio archeologico o artistico nazionale - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato - Reato di cui all\'art. 176 del d.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno - Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da parte di privato - Contrasto di giurisprudenza.
BENI CULTURALI
Patrimonio archeologico o artistico nazionale - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato - Reato di cui all\'art. 176 del d.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno - Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da parte di privato - Contrasto di giurisprudenza.
Testo del Documento
Rel. n. 21/2007
Roma 19 marzo 2007
Oggetto: 515000 Patrimonio archeologico o artistico nazionale -
Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato -
Reato di cui all\'art. 176 del d.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene
culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno
- Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da
parte di privato - Contrasto di giurisprudenza.
RIF. NORM.: d.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, artt. 10, 91, 176; d.Lgs.
29 ottobre 1999 n. 490, art. 125
Con decisione assunta nella pubblica udienza del 24 ottobre 2006 e
depositata il 28 novembre 2006, n. 39109, Palombo, rv. 235410, la
Sez. III penale di questa Corte, ha affermato il principio di
diritto cosi\' massimato da questo Ufficio "Ai fini della
configurabilita\' del reato di impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato, di cui all\'art. 176 del d.Lgs 22
gennaio 2004 n. 42, non e\' necessario la preesistenza di un
provvedimento che dichiari l\'interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico delle cose delle quali il privato
sia trovato in possesso, atteso che i beni di cui all\'art. 10 del
citato d.lgs n. 42 appartengono allo Stato sulla base del semplice
accertamento del loro interesse culturale, salvo che il possessore
non fornisca la prova della legittima proprieta\' degli stessi.".
Tale principio si pone in contrasto con quanto affermato in
precedenza da Sez. III, 27 maggio 2004, dep. 2 luglio 2004, n.
28929, Mugnaini, rv. 229491, secondo la quale: "Ai fini della
configurabilita\' del reato di impossessamento di beni culturali,
attualmente previsto dall\'art. 176 del d.Lgs. n. 42 del 2004 (codice
dei beni culturali e del paesaggio), a differenza delle disposizioni
previgenti di cui all\'art. 67 della legge n. 1089 del 1939 e
all\'art. 125 del d.Lgs. n. 490 del 1999, e\' necessario che i beni
oggetto materiale del reato siano qualificati come tali in un
formale provvedimento dell\'autorita\' amministrativa, in quanto
rivestano un oggettivo interesse, che risulti eccezionale o
particolarmente importante; pertanto, quando si tratta di un bene
mai denunziato all\'autorita\' competente, deve avere inizio il
procedimento per la dichiarazione di interesse culturale, prevista
dall\'art. 13 del citato d.Lgs. n. 42 del 2004, e a tal fine esso
puo\' essere legittimamente sottoposto a sequestro probatorio qualora
sia presente il "fumus" del c.d. "furto d\'arte", desunto dalle
caratteristiche della "res" in riferimento al valore comunicativo
spirituale ed ai requisiti peculiari attinenti alla sua
tipologia, localizzazione, rarita\' o analoghi criteri".
La decisione Palombo riprende un precedente, e maggioritario
orientamento, che aveva piu\' volte affermato che "Ai fini della
configurabilita\' del reato di cui all\'art. 125 del d.Lgs. 29 ottobre
1999 n. 490 (impossessamento illecito di beni culturali appartenenti
allo Stato) non e\' necessario che i beni siano qualificati come tali
da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo
sufficiente la desumibilita\' della sua natura culturale dalle stesse
caratteristiche dell\'oggetto, non essendo richiesto un particolare
pregio per i beni culturali di cui all\'art. 1, comma primo, del
citato decreto n. 490 (in tal senso Sez. III, 25 novembre 2003, dep.
16 dicembre 2003, n. 47922, Petroni, rv. 226870).
Un interesse culturale oggettivo che, secondo Sez. III, 14 novembre
2001, dep. 24 dicembre 2001, n. 45814, Cricelli, rv. 220742, "puo\'
essere desunto dalle caratteristiche della "res" non solo per il
valore comunicativo spirituale, ma anche per requisiti
peculiari attinenti alla tipologia, alla localizzazione,
alla rarita\' e ad altri analoghi criteri". (In applicazione di tale
principio, la Corte ha nell\'occasione ritenuta la sussistenza del
reato con riferimento a giare create tra la fine dell\'Ottocento e i
primi del Novecento e ritenute di interesse storico-etnologico sulla
base di valutazione di merito congrua e come tale, insindacabile in
sede di legittimita\').
Un accertamento dell\'interesse culturale del bene che, secondo Sez.
III, 6 novembre 2001, dep. 26 novembre 2001, n. 42291, Licciardello,
rv. 220626, non necessita di una indagine tecnico-peritale, potendo
risultare anche sulla base di quanto accertato e dichiarato dai
competenti organi della pubblica amministrazione.
In qualche modo l\'opzione sulla culturalita\' del bene presenta delle
ricadute sulle riflessioni in tema di regime della prova, come si
ricava nella stessa decisione Mugnaini, per la quale, "la prova
della illegittima provenienza dei beni di interesse archeologico, al
fine della configurabilita\' del reato di impossessamento illecito di
beni culturali appartenenti allo Stato, anche nella formulazione
dell\'art. 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004, non e\' a carico
dell\'imputato, ma della pubblica accusa". (rv. 229492).
Sul punto, secondo Sez. III, 16 marzo 2000, dep. 18 maggio 2000, n.
5714, Dulcimascolo, rv. 216567, dal fatto che la legge 1089 del 1939
configurasse un dominio eminente dello Stato sul sottosuolo
archeologico, non poteva desumersi che i privati proprietari
dovessero fornire la prova della legittimita\' della loro proprieta\'
o del possesso; e cio\' in quanto anche in materia di possesso di
beni archeologici vigono le normali regole processuali secondo le
quali l\'onere della prova incombe sulla pubblica accusa ed il
detentore non e\' tenuto a dare la prova contraria della legittimita\'
della provenienza degli oggetti detenuti. (Nella specie la Corte ha
affermato che la illegittimita\' del possesso puo\' essere desunta da
altri elementi, quali la tipologia, la correlazione con riferimenti
noti, la condizione delle cose che denunci il loro recente
rinvenimento, il loro accumulo, il loro occultamento e altre
particolarita\' del caso, ritenendo nel caso specifico la
responsabilita\' dell\'imputato per il numero degli oggetti, risalenti
a prima di Cristo, e per il loro pregio).
In tali situazioni concrete, gia\' fortemente indizianti, Sez. III,
4 maggio 1999, dep. 7 giugno 1999, n. 7131, Cilia, rv. 213740 ha
ulteriormente precisato che "la omissione di indicazioni sulla
legittimita\' della provenienza puo\' avere rilievo nel
convincimento del giudice per la chiusura del costrutto
probatorio". (Cio\' in una fattispecie relativa a furto archeologico
in cui il ricorrente era stato trovato in possesso di monete
e di oggetti metallici, in numero rilevante ed indifferenziato
e con esclusione di oggetti fittili, gia\' indizianti del
rinvenimento mediante metal-detector, e la cui responsabilita\' e\'
stata ritenuta legittimamente fondata sul comportamento tenuto
nel corso della perquisizione e nella omissione di qualsiasi
allegazione circa la legittimita\' del possesso, alla presenza dei
detti elementi indizianti).
La stessa sentenza ha avuto modo di affermare ulteriormente che se
dalle disposizioni in materia che, accanto alla appartenenza allo
Stato delle cose d\'antichita\' e d\'arte ritrovate, prevedono un
possesso privato di tali cose, si dovesse ricavare la clausola
implicita che per i beni archeologici la proprieta\' privata e\'
riconosciuta come tale solo se provata (e nella generalita\' dei
casi di proprieta\' diffusa occorrerebbe provare che essa
risale ad epoca anteriore al 1909), il sistema violerebbe
l\'art. 42 Cost., in quanto ablativo delle cose mobili di proprieta\'
privata per la cui legittimazione richiederebbe una prova
impossibile, e, altresi\', l\'art. 24 Cost. perche\', quando il
possesso costituisce un addebito, la gravita\' dell\'onere
probatorio imposto renderebbe impossibile il diritto di difesa.
Il sistema, concludeva la Corte, non consente, se letto in aderenza
ai precetti costituzionali, che venga posta a carico del
cittadino la prova della legittimita\' del possesso di oggetti
archeologici, ma e\' l\'accusa che deve dare la prova della
illegittimita\' del possesso (rv. 213741).
Il redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Domenico Carcano)
Rel. n. 21/2007
Roma 19 marzo 2007
Oggetto: 515000 Patrimonio archeologico o artistico nazionale -
Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato -
Reato di cui all\'art. 176 del d.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene
culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno
- Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da
parte di privato - Contrasto di giurisprudenza.
RIF. NORM.: d.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, artt. 10, 91, 176; d.Lgs.
29 ottobre 1999 n. 490, art. 125
Con decisione assunta nella pubblica udienza del 24 ottobre 2006 e
depositata il 28 novembre 2006, n. 39109, Palombo, rv. 235410, la
Sez. III penale di questa Corte, ha affermato il principio di
diritto cosi\' massimato da questo Ufficio "Ai fini della
configurabilita\' del reato di impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato, di cui all\'art. 176 del d.Lgs 22
gennaio 2004 n. 42, non e\' necessario la preesistenza di un
provvedimento che dichiari l\'interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico delle cose delle quali il privato
sia trovato in possesso, atteso che i beni di cui all\'art. 10 del
citato d.lgs n. 42 appartengono allo Stato sulla base del semplice
accertamento del loro interesse culturale, salvo che il possessore
non fornisca la prova della legittima proprieta\' degli stessi.".
Tale principio si pone in contrasto con quanto affermato in
precedenza da Sez. III, 27 maggio 2004, dep. 2 luglio 2004, n.
28929, Mugnaini, rv. 229491, secondo la quale: "Ai fini della
configurabilita\' del reato di impossessamento di beni culturali,
attualmente previsto dall\'art. 176 del d.Lgs. n. 42 del 2004 (codice
dei beni culturali e del paesaggio), a differenza delle disposizioni
previgenti di cui all\'art. 67 della legge n. 1089 del 1939 e
all\'art. 125 del d.Lgs. n. 490 del 1999, e\' necessario che i beni
oggetto materiale del reato siano qualificati come tali in un
formale provvedimento dell\'autorita\' amministrativa, in quanto
rivestano un oggettivo interesse, che risulti eccezionale o
particolarmente importante; pertanto, quando si tratta di un bene
mai denunziato all\'autorita\' competente, deve avere inizio il
procedimento per la dichiarazione di interesse culturale, prevista
dall\'art. 13 del citato d.Lgs. n. 42 del 2004, e a tal fine esso
puo\' essere legittimamente sottoposto a sequestro probatorio qualora
sia presente il "fumus" del c.d. "furto d\'arte", desunto dalle
caratteristiche della "res" in riferimento al valore comunicativo
spirituale ed ai requisiti peculiari attinenti alla sua
tipologia, localizzazione, rarita\' o analoghi criteri".
La decisione Palombo riprende un precedente, e maggioritario
orientamento, che aveva piu\' volte affermato che "Ai fini della
configurabilita\' del reato di cui all\'art. 125 del d.Lgs. 29 ottobre
1999 n. 490 (impossessamento illecito di beni culturali appartenenti
allo Stato) non e\' necessario che i beni siano qualificati come tali
da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo
sufficiente la desumibilita\' della sua natura culturale dalle stesse
caratteristiche dell\'oggetto, non essendo richiesto un particolare
pregio per i beni culturali di cui all\'art. 1, comma primo, del
citato decreto n. 490 (in tal senso Sez. III, 25 novembre 2003, dep.
16 dicembre 2003, n. 47922, Petroni, rv. 226870).
Un interesse culturale oggettivo che, secondo Sez. III, 14 novembre
2001, dep. 24 dicembre 2001, n. 45814, Cricelli, rv. 220742, "puo\'
essere desunto dalle caratteristiche della "res" non solo per il
valore comunicativo spirituale, ma anche per requisiti
peculiari attinenti alla tipologia, alla localizzazione,
alla rarita\' e ad altri analoghi criteri". (In applicazione di tale
principio, la Corte ha nell\'occasione ritenuta la sussistenza del
reato con riferimento a giare create tra la fine dell\'Ottocento e i
primi del Novecento e ritenute di interesse storico-etnologico sulla
base di valutazione di merito congrua e come tale, insindacabile in
sede di legittimita\').
Un accertamento dell\'interesse culturale del bene che, secondo Sez.
III, 6 novembre 2001, dep. 26 novembre 2001, n. 42291, Licciardello,
rv. 220626, non necessita di una indagine tecnico-peritale, potendo
risultare anche sulla base di quanto accertato e dichiarato dai
competenti organi della pubblica amministrazione.
In qualche modo l\'opzione sulla culturalita\' del bene presenta delle
ricadute sulle riflessioni in tema di regime della prova, come si
ricava nella stessa decisione Mugnaini, per la quale, "la prova
della illegittima provenienza dei beni di interesse archeologico, al
fine della configurabilita\' del reato di impossessamento illecito di
beni culturali appartenenti allo Stato, anche nella formulazione
dell\'art. 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004, non e\' a carico
dell\'imputato, ma della pubblica accusa". (rv. 229492).
Sul punto, secondo Sez. III, 16 marzo 2000, dep. 18 maggio 2000, n.
5714, Dulcimascolo, rv. 216567, dal fatto che la legge 1089 del 1939
configurasse un dominio eminente dello Stato sul sottosuolo
archeologico, non poteva desumersi che i privati proprietari
dovessero fornire la prova della legittimita\' della loro proprieta\'
o del possesso; e cio\' in quanto anche in materia di possesso di
beni archeologici vigono le normali regole processuali secondo le
quali l\'onere della prova incombe sulla pubblica accusa ed il
detentore non e\' tenuto a dare la prova contraria della legittimita\'
della provenienza degli oggetti detenuti. (Nella specie la Corte ha
affermato che la illegittimita\' del possesso puo\' essere desunta da
altri elementi, quali la tipologia, la correlazione con riferimenti
noti, la condizione delle cose che denunci il loro recente
rinvenimento, il loro accumulo, il loro occultamento e altre
particolarita\' del caso, ritenendo nel caso specifico la
responsabilita\' dell\'imputato per il numero degli oggetti, risalenti
a prima di Cristo, e per il loro pregio).
In tali situazioni concrete, gia\' fortemente indizianti, Sez. III,
4 maggio 1999, dep. 7 giugno 1999, n. 7131, Cilia, rv. 213740 ha
ulteriormente precisato che "la omissione di indicazioni sulla
legittimita\' della provenienza puo\' avere rilievo nel
convincimento del giudice per la chiusura del costrutto
probatorio". (Cio\' in una fattispecie relativa a furto archeologico
in cui il ricorrente era stato trovato in possesso di monete
e di oggetti metallici, in numero rilevante ed indifferenziato
e con esclusione di oggetti fittili, gia\' indizianti del
rinvenimento mediante metal-detector, e la cui responsabilita\' e\'
stata ritenuta legittimamente fondata sul comportamento tenuto
nel corso della perquisizione e nella omissione di qualsiasi
allegazione circa la legittimita\' del possesso, alla presenza dei
detti elementi indizianti).
La stessa sentenza ha avuto modo di affermare ulteriormente che se
dalle disposizioni in materia che, accanto alla appartenenza allo
Stato delle cose d\'antichita\' e d\'arte ritrovate, prevedono un
possesso privato di tali cose, si dovesse ricavare la clausola
implicita che per i beni archeologici la proprieta\' privata e\'
riconosciuta come tale solo se provata (e nella generalita\' dei
casi di proprieta\' diffusa occorrerebbe provare che essa
risale ad epoca anteriore al 1909), il sistema violerebbe
l\'art. 42 Cost., in quanto ablativo delle cose mobili di proprieta\'
privata per la cui legittimazione richiederebbe una prova
impossibile, e, altresi\', l\'art. 24 Cost. perche\', quando il
possesso costituisce un addebito, la gravita\' dell\'onere
probatorio imposto renderebbe impossibile il diritto di difesa.
Il sistema, concludeva la Corte, non consente, se letto in aderenza
ai precetti costituzionali, che venga posta a carico del
cittadino la prova della legittimita\' del possesso di oggetti
archeologici, ma e\' l\'accusa che deve dare la prova della
illegittimita\' del possesso (rv. 213741).
Il redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Domenico Carcano)