Cons.Stato Sez. VI n. 3893 del 3 luglio 2012
Beni Culturali.Dichiarazione di interesse culturale

Benché sia usuale che per gli ambiti territoriali si pratichi la tutela paesaggistica (Parte III del D.Lgs 42/2004, Codice dei Beni culturali e del paesaggio) quando è la visuale che si intende conservare, occorre però considerare che quando si intende conservare, piuttosto che la visuale, la consistenza materiale, legittimamente si può praticare la tutela di bene culturale (Parte II del Codice) apponendo il relativo vincolo. Sicché non è l’ampiezza della porzione di territorio qualificare il tipo di vincolo applicato, ma le ragioni e le finalità che si intendono perseguire in concreto, oltre ovviamente all’autoqualificazione stessa dell’atto. Se infatti ricorrono in concreto gli specifici presupposti dell’art. 10 del Codice, un ambito territoriale delimitato può essere oggetto di tutela (anche) come bene culturale in sé e comunque, indirettamente, come zona di rispetto di un bene culturale. (segalazione e massima di F. Albanese)

N. 03893/2012REG.PROV.COLL.

N. 08919/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8919 del 2011, proposto da:

Lagocastello s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Tedeschini, Paola Conticiani, Fabio Massimo Ventura, presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, largo Messico, 7;

Conti Immobiliare s.a.s., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Tedeschini, Fabio Massimo Ventura, Paola Conticiani, presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, largo Messico, 7;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro in carica, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantova in persona del Soprintendente in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Provincia di Mantova, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Eloisa Persegati Ruggerini, con domicilio eletto presso Francesco Storace in Roma, via Crescenzio, 20;

Comune di Mantova, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Ciociola e Chiara Bergamaschi, elettivamente domiciliato in Roma, via Bertoloni, 37;

Ente Parco del Mincio, Regione Lombardia, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 506/2011, resa tra le parti, concernente DICHIARAZIONE DI INTERESSE CULTURALE STORICO-ARTISTICO DEI SISTEMI DEI LAGHI DI MANTOVA, DEL CANALE RIO, DEI PONTI MULINI E DI SAN GIORGIO - RIS. DANNI



Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate, sopra indicate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2012 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini, Contaciani, l'avvocato Ciociola in proprio ed in sostituzione dell'avvocato Persegati e l’avvocato dello Stato Soldani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

La s.r.l. Immobiliare Lagocastello e, nelle forme dell’appello incidentale ex art. 96 comma 3 cod. proc. amm. (ma con analoghi argomenti), la s.a.s. Conti Immobiliare chiedono la riforma della sentenza n. 506/2011 con la quale il Tribunale amministrativo della Lombardia (Brescia) ha respinto i ricorsi proposti avverso il decreto della Soprintendenza per i beni architettonici e paesistici delle province di Brescia, Cremona e Mantova in data 15 maggio 2009, recante dichiarazione di interesse storico-artistico e prescrizione di tutela ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. d), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio, d’ora innanzi: Codice) del sistema dei laghi di Mantova, del canale Rio, dei ponti Mulini e di San Giorgio, e avverso gli atti prodromici e connessi, per effetto dei quali sono sottoposti a tutela diretta, di carattere storico-archiettonico e culturale parte del complesso dei laghi che circondano la città ducale e gli annessi sistemi di irrigazione idraulica e/o naturale di rivi e altre opere complementari di interesse particolarmente rilevante. I medesimi atti sottopongono inoltre a vincolo indiretto ai sensi dell’art. 45 dello stesso Codice, a salvaguardia dell’insieme direttamente tutelato, un confinante ambito non lacustre, situato in sponda sinistra dei laghi di Mezzo e Inferiore, indicato come zona di rispetto nella quale è interdetta la realizzazione di qualsiasi tipo di costruzione.

La medesima sentenza ha estromesso dal processo il Comune di Mantova e la Provincia di Mantova. Tale statuizione è passata in giudicato, in difetto di impugnazione sul punto.

I) Le società appellanti, che, al momento in cui sono intervenuti gli atti impugnati in primo grado, avevano in corso di esecuzione un piano di lottizzazione per la realizzazione di immobili residenziali e alberghieri in detta zona di rispetto (già interessata da analogo precedente vincolo posto dalla Soprintendenza a tutela dello storico profilo della città di Mantova, come raffigurato in antichi dipinti, vincolo a suo tempo annullato dal Tribunale amministrativo della Lombardia) hanno proposto distinti ricorsi chiedendo l’annullamento sia del vincolo diretto, sia del vincolo indiretto imposto sulla zona per effetto del decreto della competente Soprintendenza del 15 maggio 2009.

II) Con la sentenza impugnata i ricorsi, riuniti, sono stati respinti, avendo il primo giudice rilevato, quanto al vincolo diretto:

-la legittimità della attrazione, nel regime di tutela dell’importanza naturalistica dell’area, degli elementi culturali impressi nell’ambiente e la conseguente legittima coesistenza dei rispettivi vincoli, paesistico e culturale;

- la congruità e logicità (e la conseguente non censurabilità in giudizio della valutazione di merito dell’Amministrazione), dell’estensione dell’area sottoposta a tutela, in ragione della sostanziale invarianza attraverso i secoli dello stato dei luoghi, che configurano un sistema integrato nel quale l’acqua e le opere ingegneristiche fungono da collegamento;

- l’inesistenza e, comunque, l’irrilevanza del degrado dell’area ai fini della imposizione del vincolo.

Quanto al vincolo indiretto, la sentenza impugnata ne ha considerato la non incongruità e sproporzione, dal momento che:

-sussiste continuità spaziale tra l’area che ne è gravata e quella interessata dal vincolo diretto, tale da costituire la prima quale idonea cornice territoriale per il decoro di quest’ultima ai sensi e per gli effetti dell’art. 45 d.lgs. n. 42 del 2004;

- non sussiste la pretesa sproporzione della superficie sottoposta a vincolo, dato che l’area interessata è priva di costruzioni significative ed è tuttora morfologicamente contraddistinta dal carattere agricolo o naturale che è rimasto pressoché immutato nel tempo;

- non risulta violato il principio di proporzionalità tra gli interessi coinvolti che, in ogni caso, le esigenze di conservazione storico-culturale dell’esistente hanno la netta prevalenza sui contrapposti interessi privati;

- nella valutazione di questi ultimi, assume rilevanza la considerazione che l’insediamento previsto dalla lottizzazione disterebbe non molto dalle sponde lacuali e che il relativo procedimento autorizzativo non è ancora concluso, residuando la valutazione di impatto ambientale e il rilascio dei permessi edilizi;

- pertanto, non sussiste l’affidamento preteso dalle ricorrenti, che comunque non potrebbe essere vantato nei confronti della Soprintendenza, estranea ai poteri edilizio-urbanistici e il cui consolidamento è escluso dalla tempestività dell’intervento oggetto di controversia;

- non sussiste il lamentato difetto istruttorio e di travisamento dei fatti, alla luce della documentazione versata in atti.

III) Tutte le argomentazioni sopra riassunte sono censurate delle società appellanti, ma la sentenza impugnata resiste ai gravami.

Gli appelli in esame sono infondati alla luce delle considerazioni che seguono:

L’oggetto degli atti impugnati è un’ampia porzione di territorio circostante il centro storico della città di Mantova e i laghi ivi formati dal fiume Mincio e artificialmente creati e regolati. Questo elemento di fatto è stato, sia nell’iter procedimentale che in alcuni motivi della domanda giudiziale, evocato per affermare in sostanza che l’azione amministrativa avrebbe dovuto essere parametrata sugli schemi propri della tutela del paesaggio anziché su quella dei beni culturali, e che comunque a quei parametri va in realtà ricondotta anziché a quella propria dei beni culturali.

Rientrano in tale argomentazione le censure di cui al primo mezzo degli appelli (sostanzialmente ripetitive di quelle sollevate in primo grado), che si appuntano specificamente avverso l’imposizione del vincolo diretto.

L’assunto su cui si basano è erroneo perché confonde il dato oggettuale dell’ampiezza spaziale del vincolo con le ragioni e la finalità per cui è stato introdotto. Benché sia usuale che per gli ambiti territoriali si pratichi la tutela paesaggistica quando è la visuale che si intende conservare, occorre però considerare che quando si intende conservare, piuttosto che la visuale, la consistenza materiale, legittimamente si può praticare la tutela di bene culturale apponendo il relativo vincolo. Sicché non è l’ampiezza della porzione di territorio a qualificare il tipo di vincolo applicato, ma le ragioni e le finalità che si intendono perseguire in concreto, oltre ovviamente all’autoqualificazione stessa dell’atto.

Si tratta dunque di interpretare l’atto per identificare il potere qui in concreto esercitato, e qualificare in termini sostanziali l’atto stesso e il suo regime, ricordando che nell’interpretazione di un provvedimento amministrativo la lettera e l’autoqualificazione precedono ogni altro criterio (Cons. Stato, IV, 30 maggio 2001, n. 2953; VI, 8 aprile 2003, n. 1877; IV, 22 settembre 2005, n. 4982; V, 16 giugno 2009, n. 3880; V, 5 settembre 2011, n. 4980) e che è essenziale la considerazione del contenuto complessivo dell’atto (Cons. Stato, IV, 23 luglio 2009, n. 4623).

Viene allora in evidenza che, nel caso in esame, i due tipi di vincolo, diretto e indiretto imposti con il provvedimento impugnato in primo grado, introducono una tutela che per come si nomina, si basa e si esplica è, senza dubbi o equivoci, e per le norme espressamente invocate (artt. 10 e 45), quella propria dei beni culturali, di cui alla Parte II del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 non già una tutela corrispondente a quella propria dei beni paesaggistici, vale a dire della Parte III. Le caratterizzazioni che emergono dalle motivazioni e dal contenuto di questo praticato vincolo e dalle sue finalità come definite dall’atto non consentono una diversa qualificazione, né una commistione in concreto della tutela del paesaggio con la tutela dei beni culturali.

Si tratta di strumentazioni tra loro parallele e differenziate, e non deve indurre in errore il dato che le specie dei beni culturali e dei beni paesaggistici, che sintetizzano i rispettivi tipi amministrativi di tutela, compongano unitariamente – per comune fondamento storico, concettuale e giuridico - il genere del patrimonio culturale ed abbiano principi comuni perché collegati dall’analoga matrice culturale e dal valore identitario (artt. 1 e 2 del Codice) e dal riferimento contestuale nel medesimo principio fondamentale dell’art. 9 della Costituzione.

Con riguardo a questo esercizio concreto del potere di vincolo, diretto e indiretto, che è qui quello proprio dei beni culturali, va dunque sgombrato anzitutto il campo dall’equivoco di fondo – su cui in pratica, sebbene implicitamente, si basa l’assunto da cui qui si è partiti - circa l’elemento per così dire strutturale, che una porzione di territorio possa essere oggetto della sola tutela di cui alla Parte III del Codice, che è modellata sulla conservazione del valore paesaggistico inteso come insieme visuale e che fa riferimento alle tre tipologie di cui all’art. 134. Se infatti ricorrono in concreto gli specifici presupposti dell’art. 10 – il che può bene avvenire, quand’anche in circostanze particolari, e in ipotesi in aggiunta a quella tutela: ed è questo il caso presente – un ambito territoriale delimitato può essere oggetto di tutela (anche) come bene culturale in sé e comunque, indirettamente, come zona di rispetto di un bene culturale.

Del resto, alcune delle tipologie dell’art. 10, comma 4 – alle quali si riconosce unanimemente valore esemplificativo – e segnatamente quelle di cui alle lettere f), g), h) e in parte l) si riferiscono in fatto a specifiche porzioni di territorio, la cui particolare caratterizzazione è considerata già dalla legge indice presuntivo di valore culturale. Altrettanto dicasi per l’ipotesi speciale dell’art. 11, comma 1, lett. c) e del richiamato art. 52.

Il che conferma che, sulla base degli accertamenti tecnico-discrezionali necessari, anche altre specifiche porzioni di territorio possono essere in via amministrativa – e sui presupposti propri dell’accertamento della qualità di bene culturale, qui particolarmente significativi vista la corrispondente conformazione di vasti diritti immobiliari che implica - assoggettate al medesimo tipo di tutela.

Ma anche dal punto di vista funzionale, diversi sono i presupposti materiali e le finalità conservative delle due specie del patrimonio culturale.

La tutela dei beni paesaggistici riguarda o il risultato storico dell’interazione tra intervento umano e dato di natura, o lo stretto dato di natura: così è oltre che per gli art. 1, comma 2, del Codice, per l’art. 2, comma 3 che lega la tutela paesaggistica all’ “espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio”, e per l’art. 131, comma 2, che la riferisce “a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”.

La tutela dei beni culturali immobili riguarda invece non visuali ma cose, in genere manufatti (cioè realizzazioni dell’uomo), che a seconda dei casi sono o inserti totalmente innovativi (es. edifici), ovvero dati di natura oggetto di cure e adattamenti umani, anch’essi caratterizzazioni particolari dello spirito e dell’ingegno (es. parchi e giardini), per i quali il fatto che la componente naturalistica rimanga quantitativamente dominante non rileva ad escludere i relativi vincoli, perché ciò che conta per questa qualificazione è l’intervento creativo umano che li origina, li modella, li condiziona e li guida.

Essi, a seconda dei casi, manifestano l’ “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” dell’art. 10, comma 1 e comma 3, lett. a), dove è la combinazione con quello ad esprimere il complessivo valore culturale; ovvero - come è testualmente qui – si tratta di (art. 10, comma 3, lett. d)) beni immobili “che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose” – dove oggetto di tutela non è come per gli altri beni culturali la cosa per le sue caratteristiche intrinseche, ma la cosa in quanto è stata sede o reca la testimonianza di fatti o situazioni storici - e dove comunque la combinazione con il dato di natura, ove di questa relazione partecipi, contribuisce ad esprimere il valore culturale come valore storico.

In questo ambito del comma 3, lett. d), il Codice, nell’opera di riassetto e codificazione di disposizioni legislative demandato dall’art. 10 l. 6 luglio 2002, n. 137, non si limita a indicare le cose di cui già all’art. 2 l. 1 giugno 1939, n. 1089 e all’art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, ma manifestamente vi affianca (abrogando poi espressamente quella normativa all’art. 184) la finalità del d.P.R. 7 settembre 2000, n. 283 (Regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico), il quale dichiarava l’assoluta inalienabilità, tra l’altro, dei“beni che documentano l'identità e la storia delle istituzioni pubbliche, collettive, ecclesiastiche”, vale a dire di cose divenute via via esse stesse testimoni e simboli di una storia di civiltà.

È da rilevare che la dottrina, seguendo i lavori preparatori del Codice, ravvisa in quest’ultima componente un’integrazione delle cose aventi caratterizzazione storico-relazionale, cioè connesse a fatti della storia, con quelle aventi caratterizzazione storico-identitaria: cioè cose che – indipendentemente da singoli fatti o avvenimenti storici di cui siano state teatro e con riguardo piuttosto alla loro condizione prolungata nel corso del tempo – sono collegate con la storia delle città e del loro reggimento e per questo esprimono la radice identitaria dei luoghi e delle opere di rilievo pubblico, quand’anche non in riferimento a specifici episodi.

La rilevazione va condivisa, anche considerando che le due sottocategorie si integrano reciprocamente, come mostra la contestualizzazione nella medesima lett. d) del comma 3 dell’art. 10, e che non sempre è dato distinguere eventi da situazioni. Entrambe le sottocategorie sono da riferire alla caratterizzazione espressa da attività di rilievo generale e sedimentata in quelle cose. La dimensione identitaria è del resto connaturata alla tutela del patrimonio culturale, sia per il principio fondamentale costituzionale dell’art. 9 Cost., che si fonda sul patrimonio come elemento costitutivo della Nazione e perciò della sua identità, sia per il principio generale del Codice espresso all’art. 1, comma 2, per il quale “la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”, che evidenzia a sua volta la corrispondente ragione della tutela.

Perciò, per ciascuna delle due ipotesi di bene culturale (storico-artistica e storica), diversamente da quanto argomentato in senso contrario negli appelli, il dato di natura, integrato e corretto nei secoli dall’opera umana, ben può costituire sostrato materiale di un bene culturale anche se quantitativamente ne risulta dominante.

Inoltre, in entrambi i profili della seconda ipotesi (storico-relazionale e storico-identitario), non meno che per la prima, il rilievo del contesto circostante è considerato potenzialmente interagente con il valore culturale, tanto da poter necessitare di una conservazione particolare: a questo servono le eventuali “prescrizioni di tutela indiretta”, cioè il c.d. vincolo indiretto dell’art. 45.

Tale è il caso dell’atto contestuale di cui qui si verte, come è manifesto dalla lineare e sufficiente motivazione e dalla relazione che lo accompagna e integra.

Più specificamente, quanto alla tutela diretta di bene culturale, essa è introdotta dal provvedimento ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. d), vale a dire in rapporto all’intera caratterizzazione che si è detta. L’intera motivazione dell’atto, sia diretta che mediante la collegata relazione storico-artistica, dando pienamente conto dell’iter logico seguito, riferisce analiticamente questa storicità all’opera sistematica di controllo e governo cittadino delle acque locali del bacino del Mincio lungo un amplissimo arco di secoli, con particolare riferimento al tempo dei Gonzaga ma non solo, e ne evidenzia l’essenzialità alla esistenza e alla conformazione della città, e così mette in evidenza la complementarità di questo governo idrico del fiume, che forma il sistema dei laghi e dintorni, con la città di Mantova. Conformemente al paradigma normativo che evoca, l’atto collega questo spazio plasmato dal reggimento cittadino alla conformazione eccezionale di Mantova, che circonda e protegge; lo pone in rapporto alle funzioni essenziali per la città e adeguatamente motiva facendo riferimento, per la conferma del suo speciale valore, alla vicenda ingegneristica e alla celebrazione dei suoi autori, come ad alcune delle sue rappresentazioni artistiche, in particolare il trecentesco affresco della Masseria e il rinascimentale dipinto del Mantegna “La morte della Vergine”, da apprezzare ovviamente non circa la consistenza attuale del dettaglio rappresentato, ma per la capacità identitaria del fatto stesso della rappresentazione iconografica (pare qui il caso di ricordare – per la congruenza alle nominate basi normative del provvedimento - che il vincolo si riferisce alla conformazione di una componente essenziale di una delle principali città del Rinascimento italiano, cui corrisponde l’ideale della città e del suo reggimento quale effetto della trasformazione razionale e della sistemazione ordinatrice degli elementi ad opera dell'uomo).

Coerentemente a questa qualificazione, la motivazione dell’atto, nel percorrere la vicenda nel tempo, parla di“carattere di manufatto storico dei laghi”, e poi ripetutamente di “contesto storicizzato”, “testimonianza storica”, “sistema dei laghi come risultante di una trasformazione operata da interventi umani”, luogo “testimone di eventi storici”, ecc..

Quanto alla collegata “relazione storico-artistica”, che si riferisce al vincolo diretto dell’art. 10, comma 3, lett. d), con ampiezza di particolari vi viene esposta la caratterizzazione del “sistema dei Laghi di Mantova, del Canale Rio, dei ponti dei Mulini e di San Giorgio” come storica, complessa e sedimentata sistemazione del corso del Mincio in corrispondenza della città, di controllo del fiume, di sistema essenziale alla consistenza, all’economia, alla difesa militare di Mantova. La regimazione e il sistema idraulico connesso viene indicato “nella sua evoluzione e stratificazione storica” come “una testimonianza esemplare della tradizione di gestione e controllo dell’acqua come risorsa naturale che ha contraddistinto la storia dei territori della Pianura Padana”. La ricordata rappresentazione iconografica viene collegata alla“importanza fondamentale attribuita dalla tradizione culturale mantovana all’assetto idrogeologico che ha connotato il territorio in maniera così unica e straordinaria”. E si conclude che l’insieme “si ritiene meritevole di tutela e salvaguardia in quanto testimonianza della storia della tecnologia idraulica, delle tecniche agrarie e della storia politica e militare della Città di Mantova, oltre della importanza della sua ‘cifra identitaria’ alla luce dell’iconografia, consegnata […] alla storia dell’arte italiana”.

La “relazione tecnico scientifica”, che si riferisce essenzialmente al circostante vincolo indiretto dell’art. 45, descrive poi catastalmente, perimetra e distingue in quattro ambiti, differenziati per prescrizioni, la cornice di contesto ai laghi, la qualifica come “complemento inscindibile ed imprescindibile dei luoghi” e detta analitiche misure tecniche e precetti coerenti con tale funzione di rispetto, che riguardano sia l’attività edilizia che le altre attività a effetti materiali.

Queste coerenti rilevazioni, che sono di stretta natura tecnica e in principio non consentono un loro intrinseco sindacato da parte del giudice amministrativo, rendono evidente l’infondatezza della pretesa dei ricorrenti sviluppata nel primo motivo dell’appello, di inferire dalla considerazione dei valori naturalistici dell’area quali beni culturali l’illegittimità dell’imposizione del relativo vincolo. Non è infatti al valore naturalistico che la motivazione dell’atto, e le relazioni che la integrano, fanno riferimento: bensì al monumentale “sistema dei laghi” in quanto espressione e testimonianza materiale di civiltà, rappresentativa della dimensione identitaria di una città d’arte dell’importanza eccezionale e del rilievo anche internazionale di Mantova, in ragione sia della storia generale della città, che della storia dell’arte, che della scienza e della tecnica idraulica, agraria e militare, tutte applicate in modo sistemico (e perciò riconducibile ad unità) alle acque circostanti del Mincio e derivazioni, il cui governo è a salvaguardia delle funzioni esistenziali cittadine. Che questo artificiale e vasto sistema ingegneristico, che realizza uno spazio prodotto dall’uomo in ragione dell’ordinamento civico, oggi contribuisca a comporre anche un paesaggio meritevole di una propria tutela paesaggistica quale visuale panoramica (come del resto la relazione medesima menziona a pag. 6, richiamando il d.m. 26 maggio 1970 di dichiarazione di notevole interesse pubblico degli spondali del lago di mezzo e inferiore; l’art. 142, lett. b) del Codice; il Parco regionale del Mincio) non significa, per le ragioni già esposte, che la conformazione territoriale che ne è risultata non costituisca l’eccezionale elemento di inscindibile combinazione del dato di natura con la sedimentazione storica, così esprimendo il valore storico-culturale, il quale non può essere scisso nelle varie componenti che ne hanno determinato l’importanza.

Sarebbe artificioso e contro la legge sottrarre a questa combinazione lo stretto dato di natura per asserire che un insieme che oggi a prima vista potrebbe apparire prevalentemente di natura (ma non lo è, perché è effetto diretto dell’essenziale opera umana di condizionamento degli elementi naturali) possa essere assoggettate alla sola tutela paesaggistica. In realtà, l’una tutela non esclude l’altra.

2) La concreta valutazione dell’Amministrazione, espressiva di un’istruttoria piena e adeguata (contrariamente a quanto vorrebbero le impugnazioni), diffusamente e congruamente esternata nell’atto, è dunque lineare e coerente con le finalità per cui la legge, in attuazione dell’art. 9 Cost., prevede il potere dell’art. dell’art. 10, comma 3, lett. d)del Codice, che qui è stato esercitato.

In ogni caso, è da ribadire che per consolidata e condivisa giurisprudenza non è sindacabile - se non risulti palesemente erronea ed illogica - la valutazione dell’Amministrazione di sottoporre a tutela un bene. La determinazione qui al vaglio, per le ragioni esposte, non si appalesa né illogica, né altrimenti estrinsecamente viziata, sotto alcuno dei profili evidenziati dalle appellanti, aventi attinenza alla pretesa irrilevanza storica di taluno dei manufatti considerati dalla Soprintendenza. Oggetto della tutela è tutto il “sistema dei laghi”, che ha dato luogo ad un insieme unitario, dove il connubio tra cultura e natura, rimasto essenzialmente immutato nei secoli, è legittimamente ritenuto di per sé irrinunciabile.

Del pari, costituisce principio di valenza generale in materia di tutela del patrimonio culturale quello per cui lo stato, anche di degrado o di cattiva conservazione, del bene non è di ostacolo per l'imposizione del vincolo, e anzi ne costituisce particolare giustificazione nella prospettiva di agevolare misure cautelari e conservative dei valori messi in pericolo (da ultimo cfr. Cons. Stato, VI, 4 giugno 2010, n. 3556; 12 luglio 2011, n. 4196). Perciò la circostanza di fatto che nell’ambito in questione e poi in quello interessato dal vincolo indiretto siano nel tempo avvenute marginali trasformazioni o siano sopravvenute alcune distruzioni belliche e siano stati realizzati insediamenti, abitativi e anche industriali – che risultano qui comunque tali, per le concrete dimensioni, da non alterare il valore culturale unitario dell’insieme ingegneristico - non osta all’apposizione del vincolo: e anzi ne rinforza l’esigenza ad evitare un’ulteriore compromissione del valore medesimo. La finalità della tutela è infatti, come la parola evoca, anzitutto conservativa e difensiva: perciò vi è pienamente funzionale che una compromissione avviata sia, per quanto possibile, poi contrastata con l’introduzione e l’applicazione dei tipici mezzi giuridici protettivi.

Non conclude in senso inverso, perciò, nemmeno la documentazione versata in atti dagli appellanti, tesa a dimostrare una già avvenuta realizzazione di opere di urbanizzazione dell’aera, poiché tale caratterizzazione non osta, ma semmai essa stessa impone richiede, l’adozione di misure atte a contrastare ulteriormente il degrado dei valori originari riconosciuti connaturati al bene, e perciò stimati meritevoli di tutela.

Sono quindi del tutto infondate le doglianze, contenute nel primo e nel secondo motivo d’appello (quest’ultimo dedicato alla contestazione del vincolo indiretto), volte a censurare la sentenza impugnata sotto l’aspetto considerato.

3) Sempre nell’articolato primo motivo, le appellanti deducono la violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità, con riferimento all’affidamento ingenerato nell’esecuzione del piano di lottizzazione e della mancata comparazione con l’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione.

Le censure, riprese nel secondo e nel terzo motivo, dedicato alla contestazione del vincolo indiretto, sono anch’esse infondate.

Va premesso che, come osserva il primo giudice, l’edificazione iniziata nel giugno 2005 dalle ricorrenti previa denuncia di inizio attività, pur oggetto della lottizzazione autorizzata il 10 febbraio 2005 dal Comune di Mantova (che in data 2 aprile 2005 aveva anche approvato l’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria), non aveva superato tutte le tappe del complesso iter autorizzatorio. In particolare non era intervenuta la prescritta valutazione di impatto ambientale per tutte le opere di realizzazione della lottizzazione, e per questo motivo i lavori erano stati sospesi dal Comune con ordinanza del 4 novembre 2005.

Ne deriva che alla data in cui è intervenuto il provvedimento di vincolo, 15 maggio 2009, non poteva dirsi radicato un qualsivoglia affidamento delle società ricorrenti in merito alla completa conformità dell’edificazione a tutte le norme, e quindi alla piena realizzabilità dell’intervento.

Non solo, va considerato che l’affidamento concerne, a tutto in ipotesi concedere, i profili urbanistici ma non quelli del patrimonio culturale, che sono quelli di cui qui si verte, e che da quello sono distinti e rispetto a cui sono superiori. E va anche considerato che l’affidamento ben difficilmente rileva in senso oppositivo in una materia come quella della tutela del patrimonio culturale, dove il giudizio è essenzialmente di discrezionalità tecnica e non amministrativa (es. Cons. Stato, VI, 24 agosto 1992, n. 615; VI, 10 novembre 1993, n. 817; VI, 21 settembre 1999, n. 1243; VI, 4settembre 2002, n. 4429; VI, 6 settembre 2002, n. 4566), sicché non compara e pondera interessi (presupposto dell’affidamento) ma piuttosto conosce e valuta tecnicamente fatti che mette in relazione al valore generale da proteggere, e dove si fa applicazione di un principio fondamentale della Costituzione come quello dell’art. 9.

Nemmeno un tale asserito radicamento può essere ricondotto alla precedente sentenza del medesimo Tribunale amministrativo, n. 860 del 14 agosto 2008, con la quale è stato annullato un precedente vincolo per suoi vizi della motivazione e del procedimento, rispetto al quale quello oggetto dell’odierno giudizio si presenta come nuovo e comunque immune da quei medesimi vizi.

Ciò conferma che l’interesse all’edificazione in questo ambito a ridosso della storica città di Mantova e dei suoi “laghi” fluviali, di cui erano portatrici le società appellanti, e appuntato su valutazioni essenzialmente urbanistiche (e per di più ancora in itinere, come bene rilevato dal primo giudice), ma non di tutela del patrimonio culturale, e in particolare di beni culturali, non poteva assumere posizione limitativa dell’apprezzamento tecnico di questa tutela che – per costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale - è prevalente già per i beni paesaggistici e dunque lo è a fortiori per i beni culturali, come qui; ed è tale da precedere e comunque porre limite alla tutela di altri interessi pubblici in materia di governo del territorio.

La pretesa contraddizione di questa tutela di bene culturale con la pregressa pianificazione urbanistica comunale non costituisce, quindi, un vizio della tutela assicurata dal vincolo, sia per le ragioni appena dette, sia perché la posizione acquisita si è semmai costituita nei confronti dell’ente locale e della sua attività, nel cui ambito non rientra in via primaria ed istituzionale la tutela dei beni culturali. La Soprintendenza del resto ha svolto, nella vicenda che aveva condotto all’approvazione della lottizzazione, un ruolo secondario e non determinante.

E’ vero, a proposito della tutela paesaggistica, che la Soprintendenza non aveva attivato i propri poteri di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica a suo tempo rilasciata dall’ente Parco del Mincio e dal Comune di Mantova. Ma da un tale silenzio in quel vicino settore non si può, peraltro, inferire l’assenso ai lavori da parte della Soprintendenza sotto il diverso profilo della tutela dei beni culturali; e anche quanto alla tutela dei beni paesaggistici, non va dimenticato che – nel regime transitorio dell’art. 159 del Codice allora vigente - alla Soprintendenza l’ordinamento assegna, nella cogestione del vincolo, solo poteri di vaglio di legittimità sui provvedimenti autorizzatori assunti dalle amministrazioni competenti, non di valutazione di merito.

Invece, in tema di beni culturali, l’apprezzamento tecnico della Soprintendenza è esclusivo e completo: non si tratta qui di un vincolo da solo cogestire, né geneticamente, né funzionalmente; e la valutazione che presiede alla dichiarazione di bene culturale (come alla tutela di rispetto dell’art. 45) è una valutazione tecnica piena e non di mera legittimità.

Pertanto, i limiti propri del regime transitorio di vaglio statale dell’autorizzazione paesaggistica non consentono alcuna comparazione con la ben diversa funzione di tutela dei beni culturali, appartenente in via esclusiva allo Stato secondo il dettato dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. e della Parte II del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

Si aggiunga comunque a tutto ciò quanto correttamente rilevato in fatto e vagliato dal primo giudice: che cioè, come si è già evidenziato, gli stessi procedimenti urbanistici intesi all’urbanizzazione territoriale per un vasto insediamento edilizio, non distante dalle sponde lacuali, era ancora in itinere e che comunque difettavano affatto i susseguenti procedimenti edilizi. Il che manifesta in concreto da un lato l’effettiva esigenza di tutela, da un altro lato tutto quanto si è ricordato in tema di rapporto tra gli interessi.

4) L’imposizione del vincolo indiretto, già contestata sotto alcuni dei profili sopra esaminati, è oggetto specifico del secondo e del terzo motivo degli appelli.

Anche tali motivi, articolati in più punti, sono infondati e la sentenza di primo grado è esente da errori di giudizio.

Non sussiste, innanzitutto, il dedotto vizio di difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento.

Valgono al proposito le considerazioni di ordine già esposte, anche con riguardo alle dettagliate acquisizioni istruttorie in punto di fatto di primo grado (compendiate da una dettagliata ed esaustiva relazione tecnica di verificazione) e correttamente considerate e valutate da quel giudice, specialmente circa la dominante caratteristica morfologica originaria propria di questa stessa area, e circa le congrue distanze dal bene tutelato in via diretta. Vanno condivise, in particolare, le valutazioni in diritto circa la dominanza dei rapporti quantitativi negli ambiti nn. 3 e 4 in favore assoluto dell’originario dato naturalistico e agricolo rispetto a quello risultante da recente trasformazione (che non è comunque alterato, nella sua valutazione conclusiva in diritto, dai diversi rapporti numerici pur addotti in fatto da parte interessata) ai fini del giudizio di ragionevolezza nei limiti consentiti al giudice amministrativo.

A queste considerazioni si aggiunge che la questione di fondo pare tornare ad essere quella, già esaminata circa il vincolo diretto, dell’estensione spaziale del vincolo indiretto, che in effetti, gradato per ambiti, copre un’area quantitativamente rilevante.

L’assunto che una tale estensione sia di suo, in quanto tale, illegittima è anche qui erroneo in diritto, seppure per ragioni intrinsecamente diverse da quelle del vincolo diretto e da riferire piuttosto alla natura di quest’altro tipo di vincolo.

Va anzitutto rilevato che l’art. 45 (Prescrizioni di tutela indiretta) del Codice dei beni culturali e del paesaggio (che ripete la fattispecie sostanziale dell’art. 21 l. 1 giugno 1939, n. 1089 e poi dell’art. 49 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) non stabilisce altra delimitazione spaziale che quella intrinsecamente funzionale alla sua causa tipica, che è di “prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.

Vero è che questo vincolo di tutela della cornice ambientale dei beni culturali evidenzia limitazioni delle facoltà proprietarie e che, per quanto queste siano intrinseche alla relazione spaziale, occorre considerare l’esigenza del loro contenimento in sacrificio del proprietario, secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. Va però considerato che, una volta stimato che il vincolo indiretto risulta una misura necessaria ed inevitabile, malgrado i sacrifici che la scelta di un tale strumento può comportare, per proteggere il contesto complementare del bene direttamente tutelato – il che costituisce l’obiettivo prefissato in via primaria -, senza di che la stessa tutela diretta sarebbe amputata dell’insieme spaziale che conferisce valore al bene principale, alla sua valutazione tecnica e realizzazione pratica diviene estranea un’attenuazione dell’interesse pubblico causata da quello all’edificazione: la quale attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe illegittimamente, e paradossalmente, a dare minor tutela, malgrado l’intensità del valore culturale del bene principale, quanto più intenso e forte sia o possa essere l’interesse alla trasformazione delle cose.

La proporzionalità qui rappresenta la congruenza della misura adottata in rapporto all’oggetto principale da proteggere: per cui l’azione di tutela indiretta va contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta. Va cioè posta in rapporto all’esigenza conservativa che ha causato il vincolo diretto e dunque alle caratteristiche dell’oggetto materiale di quello. È connessa alla ragionevolezza, e questa si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell’esercizio del potere di vincolo. Ne consegue che il potere va esercitato in modo che – come qui è avvenuto traducendo questi principi con la gradazione del vincolo per ambiti differenziati e relative prescrizioni - sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto e non ad esso eccessivo.

Tutto questo significa che, una volta che è accertata questa corrispondenza in punto di fatto (la quale conduce all’evidente conseguenza della congruenza, in principio, dell’ampia estensione del vincolo indiretto una volta posta l’ampia estensione di quello diretto), la latitudine spaziale non si pone più come un fattore estrinseco limitativo del vincolo, ma ne costituisce anzi il sostrato di fatto scaturente dalla necessaria e presupposta valutazione tecnica.

L’ampiezza della zona da preservare in via indiretta, del resto, non può essere determinata aprioristicamente, ma dipende in concreto dalla natura e dalla conformazione del bene direttamente tutelato e dallo stato dei luoghi che lo circondano. L’estensione eccede in concreto dalla corretta cura dell’interesse quando viene dimostrato – il che qui non è avvenuto - che riguarda terreni non necessari a contrastare il rischio per l’integrità di beni culturali (cioè a garantirne la conservazione materiale), ovvero il danneggiamento della loro prospettiva o luce (cioè a garantirne la visibilità complessiva), ovvero l’alterazione delle loro condizioni di ambiente e di decoro (cioè a preservarli da contrasti con lo stile e il significato storico-artistico e a garantire la continuità storica e stilistica tra il monumento e la situazione ambientale in con è contestualizzato) (ad es., Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006, n. 3078, ha respinto l’impugnazione di un’imposizione di vincolo indiretto per un raggio di tre chilometri intorno ad un castello; cfr. anche Cons. Stato, VI, 9 marzo 2011, n. 1474.). Della rappresentazione iconografica e del suo valore, qui rilevante in senso complementare, si è già detto a proposito del vincolo diretto.

Tutte le garanzie del bene protetto in via primaria al cui presidio è funzionale il vincolo indiretto (conservazione materiale, visibilità complessiva, lettura stilistica e storico-artistica contestualizzata) formano un sistema integrato idoneo a sorreggerne l’imposizione. Ne deriva che la contestazione di un singolo elemento non vale a sminuirne la validità complessiva.

Pertanto, le considerazioni degli appellanti circa l’inesistenza di esigenze di tutela della visione delle sponde lacustri, in ragione di ostacoli quale un pioppeto (che, oltretutto, costituisce un elemento del tutto caduco e transitorio) che si frappongono tra il lago e gli ambiti oggetto di lottizzazione, ovvero relative alla discontinuità tra il complesso oggetto della tutela diretta e gli insediamenti circostanti, ovvero ancora, e in generale, sulla pretesa erroneità della rappresentazione e della definizione dello stato dei luoghi da parte della Soprintendenza prima, e del Tribunale amministrativo poi, non hanno effetto sulla legittimità dell’imposizione del vincolo indiretto, che procede da – e si fonda su- un sistema integrato di motivazioni, del quale la visione complessiva e lo stato dei luoghi sono componenti non unici e comunque recessivi rispetto alle dominanti esigenze di conservazione materiale delle cose e di testimonianza.

In questi lineari termini rilevano e vanno valutati l’adeguatezza, la congruenza, la ragionevolezza e la proporzionalità del vincolo indiretto (cfr. Cons. Stato, VI, 6 ottobre 1986, n. 758), non già – come vorrebbe l’appello - in attenuazione causata dal diritto di proprietà, che a questi riguardi è intrinsecamente limitato e dunque esterno all’esercizio del potere tanto da non essere indennizzabile (Corte cost., 4 luglio1974, n. 202, che precisa che l’art. 21 l. n. 1089 del 1939 concerne “il potere di imporre dei limiti all'esercizio dei diritti privati in relazione ad un preciso interesse pubblico in base ad apprezzamento tecnico sufficientemente definito e controllabile, la cui discrezionalità é chiaramente determinata”;v. anche ord. 28 dicembre 1984, n. 309). In questo consiste, con chiara evidenza, un limite fondamentale imposto nell’interesse generale dalla legge all’uso dei beni oggetto del vincolo (art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; art. 1 dell’invocato Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali). Limiti questi che, per le ragioni ampiamente dette, non risultano qui superati.

È pienamente coerente con quanto esposto che una particolare ampiezza può essere giustificata quando siffatta tutela è applicata non in relazione ad un singolo immobile, ma in relazione ad un complesso il cui eccezionale valore culturale si presenta in modo unitario, che acquista o accresce interesse in relazione alla sua visione organica.

Non è fondata, quindi, la censura, anch’essa sollevata nell’articolato secondo motivo degli appelli, che lamenta la violazione del principio di proporzionalità e di ragionevolezza.

Anche qui poi, come sopra per il vincolo diretto, per consolidata e risalente giurisprudenza l’estensione dell’area da assoggettare a vincolo indiretto attiene alla stretta valutazione dell’amministrazione (cfr. Cons. Stato, VI, 4 maggio 1955, n. 304; IV, 25 luglio 1970, n. 585; VI, 29 novembre 1977, n. 894; VI, 6 giugno 2011, n. 3354), e può riguardare anche un immobile non prossimo al monumento da tutelare, purché faccia parte dell’”ambiente” del monumento (Cons. Stato, IV, 9 dicembre 1969, n. 772; IV, 6 marzo 1970, n. 153; IV, 29 settembre 1970, n. 616; VI, 6 settembre 2002, n. 4566; VI, 17 ottobre 2003, n. 6344.; VI, 19 gennaio 2007, n. 111). Solo si richiede che vada valutata in rapporto a natura, caratteristiche e ubicazione dei beni da preservare (Cons. Stato, IV, 9 dicembre 1969, n. 772; VI, 3 novembre 1970, n. 707; VI, 31 ottobre 1992, n. 823), il che qui, con la motivazione dell’atto e l’allegata relazione, risulta essere avvenuto.

Il vincolo indiretto concerne invero la c.d. cornice ambientale di un bene culturale (Cons. Stato, IV, 9 dicembre 1969, n. 722; VI, 18 aprile 2011, n. 2354). Esso è legittimamente imposto quando è riferito non solo alla tutela diretta non di un singolo bene culturale, ma anche di un intero insieme, come un comprensorio archeologico (Cons. Stato, IV, 25 luglio 1970, n. 585): a fortiori questo vale quando si tratti di un complesso non ipogeo o di superficie, ma di un sistema unitario, come ora si è detto tale essere quello in esame in relazione all’essenziale ingegnerizzazione fluviale, complementare ad una città storica dell’importanza e del significato di Mantova (cfr. anche Cons. Stato, VI, 8 giugno 1971, n. 417).

Posto che l’estensione dell’ambito di tutela è dunque diretta espressione delle valutazioni proprie dell’Amministrazione, ne viene che queste stesse valutazioni non sono soggette al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, se non nei ristretti limiti che si sono ricordati.

Sotto il profilo della sussistenza dei presupposti di fatto del vincolo indiretto, nella fattispecie in esame, gli obiettivi della tutela appaiono correttamente identificati nella relazione tecnico-scientifica allegata al provvedimento stesso, e si riassumono nella necessità di salvaguardare l’integrità del bene sottoposto a vincolo diretto, denominato “sistema dei laghi di Mantova, del canale Rio, dei ponti dei Mulini e di San Giorgio”, necessità che non appare né illogica, né contraddittoria, né altrimenti censurabile da parte del giudice.

Si tratta infatti di un territorio, sito in sponda sinistra del lago di Mezzo tra la Cittadella e ponte San Giorgio e in sponda sinistra del lago Inferiore tra ponte San Giorgio e il polo petrolchimico che, con le aree retrostanti,“rappresentano parte peculiare e eccezionale della cornice di contesto ai laghi, in quanto testimonianza del paesaggio agrario mantovano come definitivamente consolidatosi dopo gli interventi di regimazione del corso del Mincio, dovuti all’attività del Pitentino” e che necessitano di adeguata tutela al fine di preservarne i caratteri di contesto al bene storico. Di conseguenza, non sussiste il difetto di motivazione in ordine alla imposizione della inedificabilità assoluta per effetto dell’imposizione del vincolo, poiché tale misura appare del tutto adeguata alla esigenze delle quali il vincolo è presidio.

5) Quanto alla censura che si appunta sulla mancata considerazione delle osservazioni presentate dagli interessati nel procedimento di imposizione del vincolo (terzo motivo), ne è evidente l’infondatezza con riguardo alla Conti Immobiliare s.a.s., le cui osservazioni sono state specificamente valutate nella parte motivazionale del provvedimento oggetto del giudizio. Per quanto concerne la Lagoscuro s.r.l., che non ha provato il deposito di osservazioni, la sentenza impugnata merita conferma laddove, nel respingere la censura, osserva che la pubblica amministrazione, nell'adottare un provvedimento, non è tenuta a riportare nelle premesse e nella motivazione il testo integrale delle controdeduzioni del destinatario del provvedimento stesso, essendo al contrario sufficiente che le valuti nel loro complesso o per questioni omogenee (cfr. per tutte Cons. Stato, III, 23 maggio 2011, n. 3106; VI, 12 dicembre 2011, n. 5519).

III) In conclusione, tutti i motivi degli appelli, che svolgono identiche censure e che sono comunque da ricondursi agli aspetti sopra esaminati, sono infondati.

Di conseguenza, la sentenza impugnata merita conferma.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello e sull’appello incidentale in epigrafe indicati, li respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna le ricorrenti a rifondere all’Amministrazione per i beni e le attività culturali le spese di lite, nella misura di 5.000 (cinquemila/00) euro per ognuna di esse.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/07/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)