Cass. Sez. III n. 15043 del 2 aprile 2013 (CC 22 gen 2013)
Pres.Lombardi Est. Orilia Ric.Goracci
Rifiuti.Deiezioni animali e fertirrigazione

La pratica della "fertirrigazione", la cui disciplina si pone in deroga alla normativa sui rifiuti, presuppone l'effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze e la compatibilità di condizioni e modalità di utilizzazione delle stesse con tale pratica.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Presidente - del 22/01/2013
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 120
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - N. 30209/1012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GORACCI FAUSTO N. IL 10/05/1962;
avverso l'ordinanza n. 585/2012 TRIB. LIBERTÀ di ROMA, del 25/06/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. SPINACI Sante (annullamento senza rinvio dell'ordinanza e del decreto di sequestro);
Udito il difensore Avv. Svariati Elvira.
RITENUTO IN FATTO
1- Il Tribunale di Roma con ordinanza 25.6.2012 ha rigettato il riesame proposto da Goracci Fausto, titolare dell'omonima azienda agricola, contro il decreto di sequestro preventivo di un sistema di canalizzazione e vasche emesso il 4.6.2012 dal Giudice per le Indagini Preliminari in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a (abbandono di rifiuti liquidi prodotti nell'ambito della propria attività di allevamento di suini:
nella fattispecie, i rifiuti (liquami) stoccati in una vasca in cemento venivano successivamente abbandonati mediante condotte su nudo terreno nell'area circostante, che tramite ruscellamento, si riversavano nel corso d'acqua sottostante rispetto alla vasca). Il Tribunale del riesame, dopo avere delineato i limiti del proprio controllo, ha ravvisato il fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2 (così ritenendo di inquadrare l'originaria imputazione di violazione del comma 1, lett. a), osservando che il reato di deposito o abbandono incontrollato di rifiuti ricorre allorché il fatto sia commesso da titolari di imprese o da responsabili di enti, come nel caso di specie, essendo incontestabile la qualità di imprenditore dell'indagato. Ha altresì ravvisato il periculum in mora rilevando che consentire il permanere di tale illecita situazione non può non determinare la protrazione del rischio di compromissione della salute pubblica e dell'integrità ambientale.
2. Per l'annullamento del provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il Goracci, deducendo con unico articolato motivo la violazione degli artt. 321, 322 e 324 c.p.p. e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 e comma 2, art. 183, comma 1, lett. a), e), g), art. 185, art. 112, comma 2, art. 101, comma 7 ,lett. b, art. 74, lett. ff; D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 2 comma 8.
In estrema sintesi, rileva il ricorrente che il Tribunale ha errato nel considerare la condotta accertata penalmente rilevante, trattandosi di scarico di acque reflue di allevamento e quindi, al più, di illecito amministrativo, peraltro neppure sussistente, risultando l'utilizzazione per la fertilizzazione, in presenza di tutte le autorizzazioni amministrative. Rimprovera la mancata esecuzione delle analisi per verificare la natura del liquame. Insiste poi sulla natura di azienda agricola per escludere l'applicabilità in ogni caso del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2.
Contesta infine la sussistenza del periculum in mora. CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
In materia di applicazione di misure cautelari reali, nella verifica dei presupposti per la emanazione del sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1, il giudice del riesame deve valutare il fumus commissi delicti tenendo conto delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, non occorrendo la sussistenza degli indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato (Cass. 15/7/08, n. 37695). Il provvedimento di sequestro preventivo, anche se adottato ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, deve essere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del presupposto del "fumus commissi delicti", consistente nell'astratta configurabilità, nel fatto attribuito all'indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal P.M., dell'ipotesi criminosa cui è correlata la confisca, senza che rilevi la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, richiesta invece per le misure cautelari personali (cfr. cass. Sez. 6, Sentenza n. 36710 del 26/06/2008 Cc. dep. 24/09/2008).
2. Risulta accertato, nel caso in esame, che il fatto addebitato all'indagato consiste nell'avere abbandonato, quale titolare di azienda agricola, i liquami prodotti dall'allevamento di suini che, dalla vasca di stoccaggio in c.a., mediante condotte, venivano successivamente abbandonati attraverso condotte sul nudo terreno nell'area circostante, e poi si riversavano tramite ruscellamento nel corso d'acqua sottostante alla vasca.
La modalità di trattamento del liquame non rientra dunque nel concetto di scarico, perché - come chiaramente dispone il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74 ff) per scarico si intende "qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore, acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art. 114". Di conseguenza, nel caso di specie, mancando, come si è visto, un sistema stabile di collegamento senza soluzione di continuità tra ciclo di produzione del refluo e corpo ricettore, non si è in presenza di uno scarico, e quindi non trova applicazione la disciplina dello scarico senza autorizzazione di reflui provenienti da attività d'allevamento del bestiame di cui al citato D.Lgs., art. 133 (che prevede solo una sanzione amministrativa), ma quella sui rifiuti atteso che in tale accezione l'all. D alla Parte Quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, (così come, in precedenza, l'all. A al previgente D.Lgs. n. 22 del 1997) include, con il codice CER 02 01 06, "reo animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito". Il ricorrente afferma che i reflui vengono utilizzati per fertirrigazione legittimamente praticata (v. ricorso a pagg. 7 e 11), ma non vi è prova di una tale attività.
Come affermato di recente da questa Corte (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 5039 del 17/01/2012 Ud. dep. 09/02/2012 Rv. 251973), presupposto imprescindibile per l'effettuazione della pratica della fertirrigazione è l'effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che l'attività sia di una qualche utilità per l'attività agronomica e lo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica. In altre parole, deve trattarsi di un'attività la cui finalità sia effettivamente il recupero dette sostanze nutritive ed ammendanti contenute negli effluenti e non può risolversi nel mero smaltimento delle deiezioni animali.
Da ciò consegue la necessità che, in primo luogo, vi sia l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, la quantità e qualità degli effluenti sia adeguata al tipo di coltivazione, i tempi e le modalità di distribuzione siano compatibili ai fabbisogni delle colture e, in secondo luogo, che siano assenti dati fattuali sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta, effettuato a fine ciclo vegetativo, oppure senza tener conto delle capacità di assorbimento del terreno con conseguente ristagno (cfr. sentenza cit.).
Alla luce delle considerazioni dianzi esposte va pertanto riaffermato il principio secondo il quale la pratica della "fertirrigazione", la cui disciplina si pone in deroga alla normativa sui rifiuti, rispetto alla quale è autonoma ed indipendente e non richiede che gli effluenti provengano da attività agricola e siano riutilizzati nella stessa attività agricola, presuppone l'effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che essa sia di una qualche utilità per l'attività agronomica e lo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica, con la conseguenza che, in difetto, essa resta sottoposta alla disciplina generale sui rifiuti.
In considerazione dei dati fattuali esaminati dal Tribunale di Roma e delle disposizioni in precedenza richiamate, l'ordinanza impugnata appare corretta in ordine all'accertamento del fumus del reato contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), poiché risulta del tutto mancante la prova dell'applicabilità, nella fattispecie, tanto della deroga prevista per le materie fecali dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, quanto di quella prevista dalla disciplina della pratica della fertirrigazione.
Nè può parlarsi di inversione dell'onere della prova, poiché tanto l'art. 185, quanto le disposizioni in tema di fertirrigazione, presuppongono l'applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali in tema di rifiuti e, come tali, impongono a chi le invoca l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per la loro applicazione (cfr. cass. Sez. 3, Sentenza n. 5039/2012 cit. che richiama, con riferimento a disposizioni diverse, Sez. 3 n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3 n. 35138, 10 settembre 2009; Sez. 3 n. 37280, 1 ottobre 2008; Sez. 3 n. 9794, 8 marzo 2007; Sez. 3 n. 21587, 17 marzo 2004;. Sez. 3 n. 30647, 15 giugno 2004).
Quanto alla questione riguardante la natura dell'impresa e la soggezione delle imprese agricole alla normativa di cui all'art. 256, comma 2 (ipotizzato dal Tribunale), è il caso di osservare che la norma è chiara nel prevedere genericamente la agricole. Quanto al periculum in mora, il giudice di merito ha rilevato il rischio di compromissione per la salute pubblica e l'incolumità ambientale determinato dal permanere della illecita situazione (scarico di liquami animali) e quindi la decisione sotto tale profilo non è sindacabile.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2013