Cass. Sez. III n. 24257 del 19 giugno 2024 (UP 15 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Bruschelli 
Caccia e animali.Somministrazione di farmaci senza specifiche necessità terapeutiche

Il benessere animale, tutelato attraverso la fattispecie ex art. 544 ter cod. pen., evoca il concetto di qualità della vita del singolo animale come da esso percepita e presuppone che l'animale goda di buona salute. In altri termini, il benessere animale nel suo complesso, oltre a ricomprendere la salute e il benessere fisico, esige che l'animale, in quanto essere senziente, goda di un benessere psicologico e sia in grado di poter esprimere i suoi comportamenti naturali. Ne consegue che la somministrazione, ad opera dell'uomo, di farmaci senza specifiche necessità terapeutiche non può rientrare nel concetto di garanzia del benessere animale, anche perché, in realtà, tale azione intende perseguire ben altra finalità. La somministrazione di farmaci antidolorifici al cavallo espone l’animale, perché in buona salute ab origine, a situazioni di stress (assolutamente comuni nelle competizioni) e rischi ulteriori che possono pregiudicarne il suo stato psico-fisico. Ben si spiega allora, come questa Corte abbia stabilito, sull’ulteriore presupposto in ragione del quale per “doping equino, al pari del doping umano, si intende l'utilizzazione di qualsiasi agente esogeno (farmacologico, endocrinologico, ematologico, etc.) ovvero di manipolazione clinica che, in assenza di idonee e necessarie indicazioni terapeutiche, sia finalizzata al miglioramento delle prestazioni”, che la sottoposizione di un animale a doping, così ampiamente inteso, costituisce di per sé danno per l'animale alla sua salute e quindi maltrattamento

RITENUTO IN FATTO 

    1. Con sentenza del 10 marzo 2023, la Corte di appello di Firenze, riformando parzialmente la sentenza del tribunale di Siena del 18 giugno 2019 assolveva Bruschelli Luigi dai reati di cui ai capi h, l, m, n, o, di cui agli artt. 48 483  cod. pen., nonché, assieme a Benedetti Mauro, dai reati di cui ai capi b e c, quindi, dichiarava non doversi procedere nei confronti dei due predetti imputati in ordine a reati di cui ai capi a, h, i, l, m, n, o, p, come riqualificati ai sensi degli artt. 48, 482 e 477 c.p., e dichiarava altresì Bruschelli Luigi responsabile del reato ex art. 544 ter c.p. comma 2 di cui al capo d), revocando inoltre l’interdizione dai pubblici uffici disposta nei confronti del Bruschelli, condannandolo al risarcimento dei danni a favore delle costituite parti civili oltre che, insieme al Benedetti, al pagamento delle spese sostenute dalle costituite parti civili, e confermava nel resto la sentenza impugnata. 

    2. Avverso la predetta ordinanza Bruschelli Luigi, tramite i difensori di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo tre motivi con un primo ricorso e un unico motivo con il secondo. 


    3. Con il primo motivo del primo ricorso, deduce il vizio di violazione di legge processuale con riguardo agli artt. 521 e / o 522 cod. proc. pen., rilevando la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza come anche imposto nel quadro del principio di garanzia di un equo processo di cui all’art. 6 della Convenzione Edu. Si osserva che la Corte di appello avrebbe riqualificato nella violazione dell’art. 544 ter c.p. comma 2 prima parte – riferito alla somministrazione di farmaci vietati, diretta ad aumentare le performance sportive di animali -  il fatto contestato, con cui invece si faceva riferimento alla condotta di cui alla seconda parte del secondo comma del predetto articolo, riferita a trattamenti che procurano danno alla salute degli animali, come del resto rilevato dal primo giudice che aveva assolto il ricorrente e come ritenuto nel corso dell’istruttoria, tutta incentrata su questa ipotesi. Si sarebbe in altri termini modificato radicalmente il fatto, attribuendo alla condotta da giudicare la veste di somministrazione ad animali di sostanze vietate, così facendosi riferimento ad un fatto diverso da quello contestato.  Peraltro, la Corte così operando avrebbe anche confuso i principi dettati in materia di somministrazione di sostanze vietate (che di per sé integrano un reato di pericolo) con la sottoposizione ad attività faticose che integra un reato con evento di danno.
In subordine, si deduce la violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. per l’insussistenza dei fatti e condotte ritenuti in sentenza. 

    4. Con il secondo motivo, deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione agli artt. 544 ter c.p. e 192 cod. proc. pen.  La corte avrebbe erroneamente oltre che contraddittoriamente sovrapposto la condotta di cui alla prima parte dell’art. 544 ter comma 2  cod. pen. inerente la somministrazione di sostanze vietate con la seconda parte del medesimo comma, avrebbe altresì acriticamente applicato un precedente giurisprudenziale non pertinente, perché presuppone la contemporaneità tra la somministrazione di un farmaco antinfiammatorio e la sottoposizione a gara agonistica, e ritenuto, nel quadro dei predetti vizi, sufficiente, per il giudizio di responsabilità, la mera somministrazione di farmaci in assenza di prova di danno per i cavalli interessati.  

    5. Con il terzo motivo, deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti generiche e alla errata individuazione e determinazione della pena. Sarebbe stato violato l’art. 133 c.p., non essendosi valutata la gravità del fatto e la capacità a delinquere dell’imputato. Incorrendo in vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà, si sarebbe spiegata la gravità del fatto, da una parte, richiamando la circostanza della inerenza delle vicende a competizioni in cui i cavalli sono messi a dura prova e, dall’altra, escludendo che i cavalli stessi abbiano partecipato a vere e proprie competizioni. Si osserva poi che sarebbe stata esclusa l’applicazione delle attenuanti generiche senza alcuna motivazione al riguardo. 

    6. Con l’unico motivo di cui al secondo ricorso, si deduce la violazione dell’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen., per mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello, non avendo la corte promosso, a fronte dell’appello del P.M., in relazione alla intervenuta assoluzione del ricorrente rispetto al reato ex art. 544 ter cod. pen., la necessaria attività di rinnovazione dibattimentale e pur avendo i giudici di appello proceduto ad una diversa interpretazione di prove dichiarative, per giungere alla contestata decisione di ribaltamento della prima. 

    7. Veniva presentato un motivo aggiunto dalla difesa dell’imputato in relazione al tema della mancata rinnovazione dell’istruttoria con riguardo alla audizione dei consulenti tecnici ascoltati in primo grado.  

    8. La parte civile Lav Lega Antivivisezione Onlus presentava memoria per la conferma della sentenza impugnata. 
                        
CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Presenta carattere preliminare sul piano logico – giuridico il motivo proposto con il secondo ricorso, che risulta manifestamente infondato, atteso che il ribaltamento della prima sentenza è intervenuto solo attraverso una diversa valutazione giuridica di medesimi fatti, rimasti incontroversi nella loro realtà storica. In proposito, va ribadito che il giudice d'appello che procede alla "reformatio in peius" della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione, in termini giuridici, di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata. (Sez. 4 - n. 31541 del 22/06/2023 Rv. 284860 – 01). Né osta alle suddette considerazioni il contenuto del motivo in esame, che sul punto specifico dei soggetti che avrebbero dovuto essere riesaminati e delle ragioni di ciò è del tutto generico, nella misura in cui senza altre puntuali indicazioni si limita a richiamare l’atto di appello del P.M. e nominativi di testimoni che sarebbero stati citati dal P.M. impugnante per supportare una interpretazione dei fatti diversa da quella operata dal primo giudice. Peraltro, la sentenza impugnata valorizza ai fini decisionali essenzialmente il dato, per così dire minimo nell’ambito delle più ampie ipotesi sviluppate, della avvenuta somministrazione di farmaci senza alcuna prescrizione medica e senza alcuna giustificazione, ancorchè apparente. Dato che invero risulta incontestato anche nella prima sentenza di merito. 

    2. L’inammissibilità del predetto motivo determina anche l’inammissibilità del motivo aggiunto ad esso correlato, stante il principio per cui l'inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, e, piuttosto, si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (sez. 5 - n. 48044 del 02/07/2019) Rv. 277850 - 01). 


    3. Il primo motivo del primo ricorso è manifestamente infondato. La Corte di appello ha fatto espresso riferimento alla condotta – riportata espressamente nel capo di imputazione - consistita nella somministrazione di farmaci antinfiammatori idonei, per la relativa combinazione, ad aumentare le performance sportive dei cavalli, con correlata partecipazione degli stessi ad attività di addestramento, ed ha inquadrato tali condotte nell’ambito della previsione di cui all’art. 544 ter comma 2  cod. pen. seconda parte. La valutazione dei giudici è consistita, in altri termini, nella riconduzione dei fatti specificamente contestati nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 544 ter comma 2 seconda parte  cod. pen., piuttosto che nella fattispecie di cui alla prima parte, come invece ritenuto dal primo giudice. Non si tratta di un’operazione logico-giuridica in contrasto con il principio di correlazione tra contestazione e condanna. Ciò in quanto in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, come sostenuto dal ricorrente ma smentito dalla formale redazione della contestazione e dalla perfetta riconducibilità di essa all’art. 544 ter comma 2 ultima parte  cod. pen., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (cfr. Sez. U,  n. 36551 del 15/07/2010  Rv. 248051 – 01 Carelli). 
Nel solco di tale linea interpretativa si è anche precisato che l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza è violato, in ogni caso, non da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria – di fatto inesistente - , ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato, per cui la nozione strutturale di "fatto" va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 1,  n. 35574 del 18/06/2013  Rv. 257015 – 01 Crescioli); né rileva, al riguardo, la mera deduzione, riportata in ricorso, per cui l’attività difensiva nel caso in esame si sarebbe concentrata sulla confutazione dell’uso di sostanze vietate, trattandosi di una mera scelta difensiva non addebitabile alle scelte giuridiche dei giudici, atteso che i fatti di cui al capo di imputazione sono sempre rimasti gli stessi rispetto alle pur differenti valutazioni giuridiche dei due giudici di merito, ed il predetto capo, come detto, consentiva una completa difesa anche in relazione alla seconda ipotesi di cui all’art. 544 comma 2  cod. pen., considerata dalla corte di appello. Tanto più che rispetto a tale prospettazione ricostruttiva la stessa difesa ha avuto modo di difendersi anche in appello, a fronte dello specifico atto di gravame sollevato al riguardo dal pubblico ministero. 
Da quanto sinora osservato, è altresì illuminante la ulteriore notazione giurisprudenziale per cui la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 4,  n. 4497 del 16/12/2015  (dep. 03/02/2016 ) Rv. 265946 – 01 Addio; Sez. 5,  n. 33878 del 03/05/2017  Rv. 271607 – 01 Vadacca), cosicchè non sussiste violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza quando non muta il fatto storico - come, va ribadito, nel caso in esame - sussunto nell'ambito della contestazione (cfr. sez. 3,  n. 5463 del 05/12/2013  (dep. 04/02/2014 ) Rv. 258975 – 01 Diou). 

    4. Anche il secondo motivo è inammissibile. La Corte di appello ha con coerenza valorizzato, in rapporto all’art. 544 comma 2 ultima parte  cod. pen. ( che riconduce ai maltrattamenti di animali la sottoposizione “ a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi”, quale ipotesi distinta rispetto alla altra, pure integrante maltrattamenti, di cui al medesimo comma 2, ma prima parte, afferente invece alla somministrazione di “sostanze stupefacenti o vietate”), la circostanza della avvenuta somministrazione di farmaci antinfiammatori in modalità estranea alla sussistenza di patologie e, piuttosto, in funzione di un aumento delle prestazioni sportive dei cavalli, con correlata partecipazione degli stessi ad attività di addestramento, ancorchè non riconducibili a gare ufficiali e di rilievo internazionale. E tale valutazione, comunque estranea ad ogni discorso sull’uso di sostanze vietate, risulta perfettamente in linea con le precisazioni della Corte di legittimità (cfr. da ultimo, anche in motivazione, sez. 3, n. 5235 del 24/05/2016 (dep. 03/02/2017) Rv. 269216 – 01), che ha espressamente stabilito, in relazione al caso di somministrazione di antinfiammatori, che è “configurabile il reato di maltrattamento di animali nel caso di somministrazione ai cavalli di sostanze dopanti o comunque tali da alterarne la performance”. Caso, quest’ultimo, perfettamente coincidente con quello qui in esame. 
In particolare, la Suprema Corte ha precisato che il benessere animale, tutelato attraverso la fattispecie ex art. 544 ter cod. pen., evoca il concetto di qualità della vita del singolo animale come da esso percepita e presuppone che l'animale goda di buona salute. In altri termini, il benessere animale nel suo complesso, oltre a ricomprendere la salute e il benessere fisico, esige che l'animale, in quanto essere senziente, goda di un benessere psicologico e sia in grado di poter esprimere i suoi comportamenti naturali. Ne consegue che la somministrazione, ad opera dell'uomo, di farmaci senza specifiche necessità terapeutiche non può rientrare nel concetto di garanzia del benessere animale, anche perché, in realtà, tale azione intende perseguire ben altra finalità. La somministrazione di farmaci antidolorifici al cavallo espone l’animale, perché in buona salute ab origine, a situazioni di stress (assolutamente comuni nelle competizioni) e rischi ulteriori che possono pregiudicarne il suo stato psico-fisico. Ben si spiega allora, come questa Corte abbia stabilito, sull’ulteriore presupposto in ragione del quale per “doping equino, al pari del doping umano, si intende l'utilizzazione di qualsiasi agente esogeno (farmacologico, endocrinologico, ematologico, etc.) ovvero di manipolazione clinica che, in assenza di idonee e necessarie indicazioni terapeutiche, sia finalizzata al miglioramento delle prestazioni”, che la sottoposizione di un animale a doping, così ampiamente inteso, costituisce di per sé danno per l'animale alla sua salute e quindi maltrattamento (Sez. 3^ 3.2.2011 n. 23449 D.M.G., non massimata); per giungere, lungo tale linea di pensiero, a ribadire che il testo dell'art. 544 ter comma 2° cod. pen., nella sua formulazione successiva alla introduzione della nuova fattispecie delittuosa per effetto della L. 20.7.2004 n. 189, prevede una specifica ipotesi di reato di maltrattamenti, - e qui rilevata dalla corte di appello per la sua decisione -, quale diretta conseguenza della somministrazione di sostanze dopanti ad animali, da intendersi comprensiva, per quanto immediatamente sopra precisato, non solo della somministrazione di sostanze vietate, ma, va ribadito, di qualsiasi manipolazione clinica che, in assenza di idonee e necessarie indicazioni terapeutiche, sia finalizzata al miglioramento delle prestazioni.
In questo quadro, i rilievi formulati dalla Corte, per cui la somministrazione ingiustificata di antinfiammatori, in misura tale da incidere sulle prestazioni dei cavalli, pregiudica il benessere psico- fisico degli stessi, ed egualmente incide negativamente la loro sottoposizione ad attività fisiche faticose dopo tali somministrazioni, appaiono coerenti e corretti giuridicamente. Né osta a tale giudizio, in termini di contraddittorietà come sostenuto dal ricorrente, l’ulteriore precisazione, semanticamente parziale rispetto ai concetti prima coerentemente esposti, per cui ciò che rileverebbe sarebbe la sottoposizione a trattamenti dannosi per la salute quali le corse di addestramento, in quanto si tratta solo di una imprecisa e soprattutto incompleta sintesi del pensiero logico e giuridico prima correttamente ed inequivocabilmente esposto dai giudici e immediatamente sopra riportato. 

    5. Quanto al terzo motivo, deve preliminarmente osservarsi che il motivo in esame appare fondato con riferimento alle circostanze generiche: richieste con atto di appello, rispetto ad esse la Corte di appello non ha fornito alcuna risposta a giustificazione dell’intervenuta esclusione, con assorbimento dell’ulteriore motivo relativo alla prospettata eccessività della pena. 

    6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Va rigettato nel resto il ricorso. Visto l'art. 624 c.p.p. si dichiara la irrevocabilita' della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. Deve altresì essere condannato, l'imputato,alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili E.N.P.A., L.a.v., Le.i.d.a.a., L.i.d.a. che liquida in complessivi euro 3.686 ciascuno, oltre accessori di legge. Si condanna, altresì, l'imputato, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello stato Horse Angels Onlus, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendosi il pagamento in favore dello Stato. Quanto a Costa Osvaldo Maria Antonio nulla si dispone trattandosi di parte civile esclusa rispetto all’attuale residuo capo di cui alla lettera d). 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso. Visto l'art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilita' della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili E.N.P.A. L.a.v., Le.i.d.a.a., L.i.d.a. che liquida in complessivi euro 3.686 ciascuno, oltre accessori di legge. Condanna, altresì, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello stato Horse Angels Onlus, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. 
Così deciso, il 15.02.2024.