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T.A.R. LAZIO (Roma) Sez. III quater sent.8614 del 15 Settembre 2006
Illegittimità ordinanza ministeriale 5 luglio 2005, recante "divieto dell’uso del collare elettrico e di altro analogo strumento sui cani"

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sede di Roma -Sezione III quater

composto dai seguenti magistrati:

Dr. Mario Di Giuseppe - Presidente

Dr. Linda Sandulli - Consigliere relatore

Dr. Umberto Realfonzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 9985 del 2005 proposto dalla CANICOM srl e INNOTEK srl, rappresentate e difese dall’ avvocato Roberto Righi ed elettivamente domiciliate presso il suo studio in Roma, Via Carducci 4 ;

CONTRO

Il Ministero della Salute, in persona del rappresentante legale in carica, rappresentato e difeso dall’ Avvocatura dello Stato domiciliataria per legge in Roma, Via dei Portoghesi 12 ;

REGIONE LAZIO,

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO,

ENTE NAZIONALE CINOFILIA ITALIANA,

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO,

ENTE PROTEZIONE ANIMALI,

per l’annullamento

dell’ordinanza del Ministero della Salute del 5 luglio 2005, pubblicata sulla G.U. R.I. n. 158 del 9 luglio 2005;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti della causa;

Nominato relatore all’Udienza Pubblica del 12 aprile 2006 il consigliere dr. Linda Sandulli e sentito l’avvocato Righi per la parte ricorrente ;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato e depositato nei termini, le società Canicom e Innotek, impugnano, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza contingibile ed urgente con la quale il Ministero della Salute vieta l’uso del collare elettrico per l’addestramento dei cani.

Deducono i seguenti motivi:

1) Violazione del principio di legalità articoli 23, 25 e 41 della Costituzione e dell’articolo 3 delle disposizioni sulla legge in generale. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 della legge 20 luglio 2004 n. 189 (artt. 544 ter e 727c.p.); violazione e falsa applicazione degli articoli 51, 52, 53 e 54 del codice penale. Difetto assoluto di attribuzione, straripamento, eccesso di potere per illogicità manifesta.

2) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 117 del D.Lgs.- 31 marzo 1998 n. 112. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti, carenza assoluta di istruttoria e difetto di motivazione.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che ha controdedotto nel merito delle argomentazioni svolte dalle ricorrenti e chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza del 12 aprile 2006 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda un’ordinanza contingibile ed urgente, di proibizione dell’uso del collare elettrico nell’addestramento dei cani, che le società indicate in epigrafe, svolgenti attività di impresa connessa alla commercializzazione di articoli ed accessori per l’educazione animale, contestano, ritenendola illegittima e lesiva dei loro interessi.

Prima di procedere alla trattazione delle censure sollevate dalle predette società il Collegio deve prendere in esame le eccezioni pregiudiziali mosse dall’Amministrazione resistente, a partire da quella di difetto della giurisdizione amministrativa.

Secondo la prospettazione delle medesime ricorrenti, avendo provveduto il Ministero della Salute, al di fuori dei presupposti ai quali la legge ricollega il legittimo esercizio del potere di adottare atti contingibili ed urgenti, anzi, in un ambito in cui lo stesso Ministero sarebbe privo di ogni potere, la posizione giuridica di cui viene chiesta la tutela risulterebbe essere di diritto soggettivo e non di interesse legittimo sicchè la questione all’esame avrebbe dovuto essere proposta avanti al giudice ordinario e non avanti a quello amministrativo.

L’eccezione è infondata.

Ai sensi dell'art. 368 c.p.c., la giurisdizione si determina sulla base dell'oggetto della domanda, secondo il criterio del "petitum" sostanziale, ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia da identificarsi anche attraverso la "causa petendi", costituita dal contenuto della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuabile in relazione alla sostanziale protezione ad essa accordata in astratto dall'ordinamento senza che a tal fine possa assumere rilievo la prospettazione della parte. (T.A.R. Lazio, sez. III, 26 ottobre 2005, n. 9853, Cassazione Civile, sezioni unite n. 2507 del 7 febbraio 2006).

Nel caso in esame l’atto di cui viene chiesto l’annullamento, e del quale è stata chiesta in precedenza la sospensione, è un atto autoritativo esecutivo eliminabile soltanto attraverso un’azione impugnatoria di annullamento quale è quella proposta.

Ne consegue che il giudice competente a conoscere i vizi da cui si pretende affetto il provvedimento gravato è quello amministrativo.

Con la seconda eccezione il Ministero resistente deduce l’inammissibilità del ricorso in quanto la determinazione oggetto del provvedimento - la preclusione di utilizzazione del collare elettrico per i cani - sarebbe immediatamente riferibile ai proprietari o agli istruttori dei cani e riguarderebbe le ricorrenti soltanto in via indiretta incidendo sulla loro attività di impresa.

Anche tale eccezione è infondata.

Nel processo amministrativo, l' interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l' interesse ad agire previsto dall'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare al ricorrente dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato, con la conseguenza che il ricorso è inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 5 agosto 2005, n. 10641).

L’impugnativa di un atto amministrativo, tesa alla sua eliminazione dal mondo del diritto, è riservata, infatti, a tutti coloro che da ciò possono trarre un vantaggio.

Per meglio precisare, deve ritenersi che gli interessati a ricorrere, -così come i controinteressati, i quali sono interessati a resistere- siano individuabili oltre che sul piano oggettivo, attraverso un loro espresso riferimento contenuto nell'atto impugnato, anche sul piano soggettivo, attraverso la considerazione dello svantaggio che gli stessi subiscono per effetto diretto ed immediato dell'atto.

Nel caso in esame, essendo le imprese ricorrenti, produttrici del bene di cui viene inibita l’utilizzazione da parte di alcuni soggetti, le stesse possono essere ritenute lese dall’atto impugnato ed interessate alla sua eliminazione.

Non può, invero, condividersi l’assunto dell’Amministrazione resistente secondo la quale, colpendo, il divieto impugnato, l’uso del collare elettrico per cani e non la sua produzione, le imprese de quo sarebbero toccate soltanto da conseguenze indirette.

Nel caso di un’impresa che costruisce automobili e motocicli, vietare l’uso dell’ automobile senza vietare la sua produzione non significa lasciare intatta la posizione dell’impresa produttrice e nemmeno toccarla indirettamente atteso che quel divieto incide immediatamente sul mercato servito da quell’impresa (e sul quale, verosimilmente, la stessa ha impostato la sua produzione) e quindi sulla sua capacità economica con inevitabili e immediate ripercussioni di portata tale da arrivare anche ad insidiarne la sopravvivenza.

Anche nel caso in esame, vietare l’uso di un collare destinato ai cani in ragione di un superiore interesse significa incidere direttamente sui soggetti economici che quel collare producono, con conseguenze dirette su di loro.

D’altro canto non può non considerarsi che la possibilità di tutela giurisdizionale amministrativa costituisce, nei casi come quello in esame, l’unica possibilità di tutela giurisdizionale sicchè escluderla significa lasciare senza alcuna possibilità di tutela il portatore di quell’interesse.

Passando all’esame del merito del gravame il Collegio si sofferma sul primo motivo di censura che riguarda la pretesa violazione degli articoli 23, 25 e 41 della Costituzione e dell’articolo 3 delle disposizioni sulla legge in generale nonchè dell’articolo 1 della legge 189 del 2004 nonchè degli articoli 51, 52, 53 e 54 del codice penale. Riguarda, altresì, l’eccesso di potere sotto diversi profili.

Secondo la difesa di parte ricorrente, il richiamo all’articolo 727, comma 2, del codice penale come introdotto dall’articolo 1, comma 3, della legge 189 del 2004, a fondamento del provvedimento gravato, sarebbe illegittimo.

Infatti, la norma richiamata, secondo la quale “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze” è punito con l’arresto fino ad 1 anno o con una ammenda, in quanto norma priva di indicazione sui mezzi che danno luogo alla condotta penalmente rilevante, sarebbe una norma penale in bianco il cui contenuto può essere costruito, sul piano concreto, attraverso il rinvio a dati prescrittivi, tecnici e provvedimentali di fonte extrapenale che, nel caso di specie, però, non risultano rimessi anche alla competenza di autorità amministrative.

Mancando ogni fondamento al potere amministrativo esercitato, vale a dire ogni potere di integrazione della norma, risulterebbe violato l’articolo 25 della Costituzione ed il principio di legalità e di riserva assoluta di legge lì sancito.

Ne risulterebbe intaccato anche il principio di riserva relativa di legge contenuto negli articoli 23 e 41 della Costituzione che può ritenersi rispettato in presenza di un limite negativo all’azione dell’Amministrazione inteso come delimitazione della sua discrezionalità.

In ogni caso, l’articolo 727 c.p. risulterebbe erroneamente richiamato atteso che la disposizione applicabile, nel caso, sarebbe l’articolo 544 ter c.p. concernente, appunto, il maltrattamento di animali per crudeltà o senza necessità.

Nel prevedere che le lesioni cagionate ad animali siano punibili nel caso in cui siano compiute per crudeltà o senza necessità, la disposizione citata ammette – a contrario – le condotte come quelle previste per l’addestramento dei cani anche se lievemente lesive della salute degli animali.

L’addestramento mediante rimedi coercitivi servirebbe ad escludere comportamenti aggressivi nei confronti dell’uomo.

Ad avviso del Collegio, la censura è in parte inammissibile ed in parte infondata.

E’, infatti, inammissibile nella parte che si riferisce ai contenuti della norma penale atteso che essendo la norma penale destinata a colpire i comportamenti individuali sono i soggetti eventualmente perseguiti in forza di tale norma a doversi dolere nel caso in cui ciò dovesse verificarsi, ma non le ricorrenti.

La stessa censura è infondata per la parte che fa riferimento alla norma penale da irrogarsi, quale presupposto del provvedimento gravato.

L’atto impugnato si sorregge, infatti, su accordi e normative espressamente menzionate ma non si sorregge sulla norma penale evocata che viene richiamata come conseguenza della sua inosservanza e non come giustificazione della determinazione assunta.

Con il secondo ordine di doglianza le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 117 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e l’eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti, carenza assoluta di istruttoria e difetto di motivazione

Assumono, in particolare, che nel caso in esame non sussisterebbero quei presupposti di necessità ed urgenza richiesti dall’articolo 117 del D.Lgs. 112 del 1998 per l’esercizio del relativo potere.

Mancherebbe, in particolare la natura eccezionale ed imprevedibile dell’evento, costituito dalla novità dell’uso del collare elettrico per l’addestramento dei cani, oltre ad un’adeguata istruttoria e motivazione.

Inoltre, non sarebbe stato dimostrato che l’impiego del collare elettrico è dannoso per la salute dei cani.

Ad avviso del Collegio, la censura è fondata nei sensi che di seguito si indicano.

Va, preliminarmente, precisato che, secondo consolidata giurisprudenza, l'esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti è condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti: 1) necessità di intervenire nella materia interessata dal provvedimento; 2) attualità o imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; 3) preventivo accertamento da parte di organi competenti della situazione di pericolo e di danno; 4) mancanza di strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, stante il carattere "extra ordinem" del potere esercitato (T.A.R. Lazio, sez. II, 8 settembre 2005, n. 6664; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 14 ottobre 2005, n. 16477; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 21 ottobre 2003, n. 4851; T.A.R. Marche, 7 maggio 2003, n. 307; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 10 gennaio 2003, n. 1; T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 8 ottobre 2001, n. 4188).

Al riguardo, ha precisato, inoltre, la giurisprudenza che le ordinanze di cui si discute, ancorchè utilizzabili anche nei riguardi di diritti costituzionalmente garantiti e sempre che sussista una riserva relativa di legge, sono emanabili anche in materia di libera iniziativa economica e di diritto di proprietà, salvo il riscontro in concreto del rispetto dei limiti posti all'esercizio del relativo potere, fra i quali quello dell'adeguatezza del provvedimento ed i presupposti dell' urgenza e della grave necessità ed urgenza ( T.A.R. Liguria, sez. II, 26 aprile 2003, n. 524) e che, requisito di validità delle ordinanze contingibili ed urgenti, è la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento.

A tale ultimo proposito è stato osservato che tali ordinanze, oltre al carattere della contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente, presentano il carattere della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata. Sicché oltre a non ammettersi che le ordinanze in questione vengano emanate per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti non è ammesso che le stesse vengano adottate per regolare stabilmente una situazione od assetto di interessi (Consiglio Stato, sez. VI, 9 febbraio 2001, n. 580).

E’ stato precisato, ancora, dal giudice amministrativo che le ordinanze in discussione, a causa delle loro caratteristiche di atipicità, necessità, urgenza e straordinarietà, devono essere adeguatamente motivate, per la loro natura particolare che consiste nella massimizzazione dell'interesse pubblico, a mezzo della accurata comparazione della situazione urgente con il sacrificio individuale (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2001).

E’ stato osservato, infine, che il principio di proporzionalità, di cui si fa applicazione, maggiormente, in materia di limitazione al diritto di proprietà, di attività di autotutela, di ordinanze di necessità ed urgenza, di irrogazione di sanzioni e di tutela ambientale, è principio generale dell'ordinamento ed implica che la p.a. debba adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti.

Si tratta di un principio in base al quale le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile (Consiglio Stato, sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087).

Alla luce dei principi appena enunciati, che assistono l’esercizio di un potere extra ordinem quale è quello dell’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti, va ora letto il provvedimento gravato, al fine di stabilire se lo stesso è stato adottato sulla base della loro osservanza.

Nelle premesse di tale decreto si rintraccia il fondamento normativo del potere esercitato rinvenuto nella legge n. 281 del 14 agosto 1991, e segnatamente nell’articolo 1. Si menzionano, poi, nell’ordine e con un riferimento del tutto generico, un accordo del 6 febbraio 2003 in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy; l’ordinanza del 27 agosto 2004 relativa, però, alla tutela della salute pubblica dall’aggressività dei cani (quindi tutela degli umani nel rapporto con i cani); la legge 20 luglio 2004 n. 189 concernente disposizioni sul divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti; l’articolo 117 del D.Lgs 112 del 1998 ritenuto, unitamente alla legge 281 del 1991, il fondamento normativo del potere esercitato e si richiama, in modo apodittico e senza dar conto dell’eccezionalità ed imprevedibilità della situazione che si intende fronteggiare, “la necessità e l’urgenza di vietare l’uso dei collari elettrici per cani, usati in particolare per l’addestramento, mentre tali strumenti sono considerati coercitivi in quanto provocano dolore e paura nei cani e quindi sono vietati anche dalla FCI e dall’ENCI” e si assume la determinazione impugnata con validità per un anno.

La lettura del testo del provvedimento gravato chiarisce che, effettivamente, al di là dei limiti temporali di efficacia previsti che lasciano immune da censure per tale profilo l’ordinanza impugnata, la stessa risulta adottata senza alcuna istruttoria precisa e senza l’indicazione delle ragioni di necessità ed urgenza che – sole - giustificano il ricorso al potere esercitato.

Il prodotto di cui si inibisce l’uso, infatti, sulla base di quanto affermato dalla Canicom e dalla Innotek, senza contestazioni ex adverso, risulta in commercio da anni sicchè non è dato comprendere quali siano state (e se vi sono state) le valutazioni sopravvenute a distanza di tanto tempo e quali le circostanze di fatto prese a riferimento, capaci di giustificare la determinazione assunta.

Non può, infatti, ritenersi tale la prevedibile reazione alla scossa elettrica da parte dell’animale atteso che si tratta di reazione sempre presente in una pratica non nuova, anzi seguita da anni, e nemmeno può ritenersi una valida giustificazione l’interrogazione parlamentare presentata, utile per segnalare un problema (come di fatto avvenuto) ma non per indicare la corretta soluzione da dare ad esso alla luce delle norme dell’ordinamento, profilo che è di competenza dell’Amministrazione agente.

Le argomentazioni svolte danno conto della fondatezza del ricorso senza entrare in alcuna valutazione sul merito della pratica usata e sui suoi contenuti tecnici che restano nella disponibilità dell’Amministrazione resistente.

Le spese di lite, stante la particolarità della questione esaminata, possono essere compensate tra le parti.

PQM

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sede di Roma - Sezione III quater

Accoglie il ricorso proposto dalle società Canicom e Innotek, meglio specificato in epigrafe e per l’effetto annulla l’atto impugnato.

Compensa le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 12 aprile 2006

Dr. Mario Di Giuseppe - Presidente

Dr. Linda Sandulli - Consigliere estensore