Cass. Sez. III n. 2284 del 19 gennaio 2018 (Ud 28 nov  2017)
Presidente: Ramacci Estensore: Reynaud Imputato: Benedetti
Ecodelitti.Confisca e  delitto di cui all’art. 260 dlv 152\06 dopo le modifiche apportate dalla legge 68\2015

L’introduzione nel testo dell’art. 260 d.lgs. 152/2006, ad opera del’art. 1, comma 3, legge n. 68/2015, del comma 4-bis non vale a sconfessare il diritto vivente in allora formatosi. Va quindi escluso che dalla “novella” dovrebbe trarsi la conclusione che in precedenza non vi era alcuna previsione che consentisse in via generale la confisca dei mezzi utilizzati per la commissione del reato di cui all’art. 260 d.lgs. 152/2006, anche perché, diversamente, la nuova disposizione non avrebbe alcuna effettiva portata normativa. Essa, di fatti, non menziona in alcun modo i mezzi di trasporto (che pure possono rientrare, senza esaurirla, nella generica previsione delle “cose che servirono a commettere il reato”) e dispone la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, introducendo altresì, in via subordinata, l’obbligo della c.d. confisca per equivalente. E’ agevole rilevare, dunque, come, con riguardo al delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152/2006, la nuova disposizione abbia trasformato in obbligatoria l’ipotesi generale di confisca facoltativa prevista dall’art. 240, primo comma, cod. pen., nel contempo prevedendo la c.d. confisca per equivalente, seguendo in ciò una linea che la recente legislazione ha perseguito in diversi ambiti di tutela penale.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 marzo 2017, la Corte d’appello di Milano, giudicando sull’appello proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 15 marzo 2016, che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato Rossano Benedetti alla pena, sospesa, di mesi otto di reclusione – oltre pene accessorie di legge - per il reato di cui all’art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per aver abusivamente gestito, al fine di conseguire un ingiusto profitto ed unitamente ad altri coimputati separatamente giudicati, un illecito traffico di rifiuti speciali non pericolosi (rotaie ferroviarie fuori uso provenienti dai lavori di rinnovamento della linea ferroviaria Mortara-Novara realizzati da Rete Ferroviaria Italiana Spa). In particolare, si era accertato in sede di merito, in accordo con l’appaltatore ed il destinatario, detti rifiuti – per oltre 525 tonnellate nel solo mese di marzo 2011 – formalmente destinati al recupero presso l’impianto di trattamento della ditta individuale Campisi Metalli di Ceresole D’Alba (appaltatrice del servizio di smaltimento) venivano prelevati dallo scalo ferroviario di Mortara da automezzi della ditta individuale del Benedetti (e di altre ditte) e, senza che avessero subito alcuna attività di trattamento, venivano trasportati quali Materie Prime Secondaria (M.P.S.) presso lo stabilimento della L.M. Trading Srl di Segrate e da questa in tale qualità venduti ad imprese siderurgiche. All’inizio del trasporto, gli originari Formulari di Identificazione del Rifiuto (F.I.R.), nei quali era indicata la destinazione dei rifiuti speciali alla Campisi Metalli di Ceresole d’Alba, venivano sostituiti con falsi documenti di trasporto in cui si dava atto che il carico era invece costituito da M.P.S. provenienti dal suddetto stabilimento e destinati alla L.M. Trading Srl di Segrate. In sostanza – avevano accertato i giudici di merito – mediante un’operazione meramente cartolare (denominata “giro bolla”) si facevano apparire come adempiuti gli obblighi di recupero del rifiuto e la conseguente declassificazione in materia prima secondaria pur in assenza di trattamento e lo stesso modus operandi era stato seguito – a partire dal settembre 2010 - per altre consistenti quantità di rifiuti del medesimo tipo (2246 tonnellate in tutto), provenienti anche da altri scali ferroviari e trasportati (parte dalla ditta del Benedetto e parte da altre ditte di trasporti) alla L.M. Trading come M.P.S. anziché allo stabilimento della Campisi Metalli. La L.M. Trading ne effettuava poi la vendita ad imprese siderurgiche, tra cui la Dalmine Spa di Bergamo. Alla condanna era inoltre seguita la confisca, ai sensi dell’art. 259 d.lgs. 152/2006, di n. 15 automezzi e rimorchi della ditta dell’imputato che erano stati utilizzati per gli illeciti trasporti.

2. Avverso la sentenza di appello, nell’interesse dell’imputato ha proposto ricorso il suo difensore, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. Con un primo motivo si deduce violazione dell’art. 260 d.lgs. 152/2006 per essere stata ritenuta la abusiva gestione dei rifiuti benché il Benedetti fosse titolare delle autorizzazioni al trasporto dei rifiuti speciali, essendo iscritto dal 2009 all’Albo dei Gestori Ambientali. Secondo il ricorrente, il reato in esame potrebbe dirsi integrato soltanto laddove le autorizzazioni manchino del tutto, ovvero quando l’attività di fatto posta in essere non corrisponda all’autorizzazione posseduta dall’agente. Allorquando – come nel caso di specie – esista invece un’autorizzazione al trasporto dei rifiuti speciali e la condotta consista effettivamente in un trasporto di quel tipo da un soggetto autorizzato allo smaltimento ad altro comunque autorizzato al recupero (qual era la L.M. Trading), l’eventuale violazione della normativa che disciplina le modalità di svolgimento dell’attività, nella specie quanto alla tenuta dei formulari ed alla tracciabilità dei rifiuti, non sarebbe qualificabile come gestione abusiva ai sensi dell’art. 260 d.lgs. 152/2006, ma rientrerebbe nell’illecito amministrativo di cui all’art. 258 del medesimo codice dell’ambiente.
 
4. Con un secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 259 e 260 d.lgs. 152/2006 per essere stata disposta la confisca dei mezzi di trasporto benché la disposizione oggi contenuta nell’art. 260, comma 4-bis, d.lgs. 152/2006 – la quale prevede che sia «sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato», salvo che appartengano a persone al medesimo estranee – sia stata introdotta solo successivamente alla commissione dei fatti in esame, ad opera dell’art. 1, comma 3, legge 22 maggio 2015, n. 68. Prima dell’approvazione di tale norma – osserva il ricorrente – non poteva dirsi consentita la confisca dei mezzi di trasporto utilizzati per la condotta di abusiva gestione di rifiuti, non essendo neppure applicabile il disposto di cui all’art. 259, comma 2, d.lgs. 152/2006, come erroneamente ritenuto dalla corte territoriale, non rientrando la condotta in esame in quelle punite ai sensi degli artt. 256, 258 e 259, comma 1, del codice dell’ambiente, alle quali soltanto la norma erroneamente applicata si riferisce. Si osserva, da ultimo, che la confisca non potrebbe neppure fondarsi sulla generale previsione di cui all’art. 240 c.p., non trattandosi di mezzi aventi natura o funzione intrinsecamente illeciti.
 

CONSIDERATO IN DIRITTO
    
1. Il ricorso  è infondato e dev’essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Quanto al primo motivo, osserva la Corte come il ricorrente focalizzi erroneamente l’attenzione sulla frazione di condotta illecita commessa dal Benedetto – vale a dire quella, descritta, di trasporto - piuttosto che sulla complessa attività illecita accertata in sede di merito, nella quale le operazioni di trasporto costituivano soltanto una fase della più ampia attività di gestione abusiva in concreto realizzata. Secondo l’imputazione e l’accertamento effettuato dai giudici di merito sia in primo, sia in secondo grado – accertamento non contestato nel presente giudizio - nel caso di specie l’autotrasportatore Rossano Benedetti si era accordato con Antonino Campisi (titolare dell’appaltatrice Campisi Metalli) e con Mario Lamacchia (titolare della L.M. Trading Slr) non solo (e non tanto) per effettuare reiterati e continuativi trasporti dei rifiuti speciali indicati, per ingenti quantità, dal sito di produzione a quello di smaltimento, ma, piuttosto, per far falsamente apparire detti rifiuti come trattati e declassificati in materie prime secondarie senza che alcuna operazione di recupero fosse stata in realtà effettuata, ciò che gli autisti dipendenti dell’impresa del Benedetto avevano avuto il compito di fare mediante la sostituzione dei F.I.R. relativi ai rifiuti prelevati con normali D.D.T. in cui si dava atto trattarsi invece di M.P.S.  Ciò che stato contestato ed addebitato all’imputato, dunque, non è (soltanto) di aver effettuato operazioni di trasporto di rifiuti speciali (per le quali il medesimo era certamente autorizzato) o di aver indicato nel formulario di cui all’art. 193 d.lgs. 152/2006 dati inesatti (ciò che, secondo il ricorrente, integrerebbe l’illecito amministrativo di cui all’art. 258, comma 4, d.lgs. 152/2006), bensì di aver concorso (con l’appaltatore del servizio di smaltimento ed il destinatario degli apparenti rifiuti declassificati) in un’attività organizzata allestita per porre in essere un traffico illecito di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali che venivano rimessi nel mercato come materie prime secondarie senza aver in realtà subito alcun processo di recupero, così lucrando un considerevole ingiusto profitto dato dal risparmio dei costi di trattamento. E che tale complessa attività – da valutarsi non tanto e non solo con riguardo alla frazione di condotta materialmente realizzata dal Benedetti mediante l’attività di trasporto, quanto piuttosto dal punto di vista complessivo e con riguardo all’obiettivo perseguito (e di fatto realizzato) -  rientri nell’ambito di applicazione del delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152/2006 è di palmare evidenza.
Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – e val la pena qui richiamare la motivazione della sentenza Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, confermata dalla successiva giurisprudenza, come Sez. 3, n. 21030 del 10/03/2015, Furfaro, richiamata dallo stesso ricorrente  – l’art. 260, comma 1, d.lgs. 152/2006 contempla un reato abituale (già previsto, del resto, dall’art. 53-bis,  d.lgs. n. 22 del 1997, come introdotto dalla legge 23 marzo 2001, n. 93) che punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348) e tale attività deve essere "abusiva", ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa) (cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350). Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermata anche da Sez. 3, n. 29619 dell'8/7/2010, Leorati, Rv. 248145).
Trattandosi di caratteristiche che ricorrono tutte nel caso di specie, è dunque infondato il richiamo che il ricorrente fa al fatto che il sig. Benedetti possedesse le autorizzazioni per effettuare il trasporto di rifiuti: come ha affermato la decisione la cui motivazione è stata sopra richiamata, la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito determinante per la configurazione del delitto che, da un lato, può sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall'attività autorizzata; dall'altro, può risultare insussistente, quando la carenza dell'autorizzazione assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi del traffico. Per contro, il requisito dell'abusività della gestione deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie più sopra indicati (Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326).
 
   2. Quanto al secondo motivo, giova osservare come, secondo un orientamento interpretativo ripetutamente affermato questa Corte e mai contraddetto, in tema di gestione dei rifiuti, la confisca dei mezzi di trasporto è obbligatoria, sia nelle ipotesi di trasporto illecito di rifiuti, di trasporto di rifiuti senza formulario o con formulario con dati incompleti od inesatti ovvero con uso di certificato falso durante il trasporto, sia per il reato d'attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, d.lgs. n. 152/2006) ove sia stato commesso mediante l'impiego di mezzi di trasporto (Sez. 3, n. 35879 del 25/06/2008, Fossati, Rv. 241030; Sez. 3, n. 4746/2008 del 12/12/2007, Rocco, Rv. 238784). Nella motivazione della sentenza Fossati – che a sua volta riprende la sentenza Rocco e che il Collegio condivide – si legge che «la confisca del mezzo di trasporto non viene espressamente prevista nell'art. 260, così come non era espressamente prevista dall'art. 53 bis del decreto Ronchi, perché il delitto di cui alla norma dianzi citata non presuppone necessariamente l'uso di un mezzo di trasporto, in quanto può essere compiuto anche mediante attività diverse dal trasporto di rifiuti, come ad esempio per mezzo di un'attività di intermediazione o commercio. Tuttavia, quando esso viene commesso anche mediante il trasporto, la confisca del mezzo di trasporto diventa obbligatoria, perché tale misura di sicurezza è espressamente prevista dal citato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 259. Tale norma contiene infatti un riferimento esplicito a tutte le ipotesi di cui all'art. 256, compresa quella del trasporto, senza operare alcuna distinzione in merito all'attività di gestione illecita per la quale i rifiuti sono trasportati. Pertanto la confisca del mezzo va disposta, non solo nella ipotesi di trasporto illecito di rifiuti di cui all'art. 256, di trasporto di rifiuti senza formulario o con formulario con dati incompleti o inesatti, ovvero con uso di certificato falso durante il trasporto, ma anche per le attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti allorché tali attività siano compiute utilizzando mezzi di trasporto. Infatti, come ha precisato questa Corte nella citata sentenza n. 4746 del 2008 "sarebbe stato invero irrazionale prevedere la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto nelle ipotesi contravvenzionali di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 259, 256 e 258 ed escluderla nell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 260 che assorbe la contravvenzione di trasporto illecito e si riferisce al traffico di ingenti quantitativi" […] i mezzi di trasporto impiegati per il traffico illecito di rifiuti costituiscono non già lo strumento contingentemente utilizzato per la commissione del reato, ma lo strumento essenziale che integra gli estremi della fattispecie astratta di reato, atteso che il D.Lgs. n.22 del 1997, art. 53 bis punisce una serie di condotte che devono essere realizzate attraverso la predisposizione di mezzi e attività continuative organizzate, quali sono gli autocarri in sequestro».
A fronte di tale consolidato orientamento interpretativo, l’introduzione nel testo dell’art. 260 d.lgs. 152/2006, ad opera del’art. 1, comma 3, legge n. 68/2015, del comma 4-bis – secondo cui «è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca» - non vale a sconfessare il diritto vivente in allora formatosi. Ed invero, non coglie nel segno il ricorrente quando osserva che dalla “novella” dovrebbe trarsi la conclusione che «in precedenza non vi era alcuna previsione che consentisse in via generale la confisca dei mezzi utilizzati per la commissione del reato di cui all’art. 260 d.lgs. 152/2006, anche perché, diversamente, la nuova disposizione non avrebbe alcuna effettiva portata normativa». Essa, di fatti, non menziona in alcun modo i mezzi di trasporto (che pure possono rientrare, senza esaurirla, nella generica previsione delle “cose che servirono a commettere il reato”) e dispone la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, introducendo altresì, in via subordinata, l’obbligo della c.d. confisca per equivalente. E’ agevole rilevare, dunque, come, con riguardo al delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152/2006, la nuova disposizione abbia trasformato in obbligatoria l’ipotesi generale di confisca facoltativa prevista dall’art. 240, primo comma, cod. pen., nel contempo prevedendo la c.d. confisca per equivalente, seguendo in ciò una linea che la recente legislazione ha perseguito in diversi ambiti di tutela penale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/11/2017.