Reati contro l’ambiente: le novità in atto ed eventuali. chi inquina non paga ?

di Gianfranco AMENDOLA

 

Premessa

 

Tra pochi giorni, con il voto finale della Camera, potrebbe diventare legge il DDL sui delitti contro l'ambiente. Da pochi giorni è entrato in vigore il D. Lgs n. 28/2015 in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto che certamente riguarda anche i reati ambientali. Da pochi mesi sono entrati in vigore provvedimenti governativi con vari titoli ad effetto ("fare", "sbloccaItalia", "crescita" ecc.) che, tra l'altro, hanno apportato notevoli modifiche di rilevanza penale al testo base del D.Lgs 152/06. In più, pochi giorni fa, un interessante convegno promosso dalla Cassazione ha fatto il punto sulla applicazione di sanzioni alle persone giuridiche a seguito di commissione di reati ambientali.

Di fronte a tante novità, sembra interessante dare un primo sguardo complessivo al quadro della normativa penale in materia ambientale così come potrebbe presentarsi nel prossimo mese di maggio (se il DDL diventerà legge), soprattutto al fine di valutarne l’efficacia ai fini della tutela dell’ambiente.

 

I reati previsti dal D. Lgs. 152/06

 

Iniziamo, come è ovvio, dai reati previsti nel D. Lgs. 152/06 (cd. TUA, testo unico ambientale): come è noto, con la sola eccezione del "traffico illecito di rifiuti" (art. 260)1, sono tutte contravvenzioni, in gran parte di natura eminentemente formale e di pericolo astratto, che tendono, soprattutto, a presidiare la regolamentazione amministrativa di settore. Le sanzioni sono, ovviamente, quelle contravvenzionali, quasi sempre oblabili, a prescrizione breve, e di scarsissima deterrenza; per di più, spesso non applicabili per carenze e contraddizioni della regolamentazione amministrativa che dovrebbero presidiare. Emblematico, in proposito, è il settore, delicatissimo per la salute pubblica e per l'ambiente, attinente alle bonifiche: l'art. 242 è il trionfo del formalismo e di certa burocrazia, e costituisce il migliore esempio di come si deve legiferare per riuscire a non attuare mai alcuna bonifica; sotto il profilo penale, l'apoteosi si raggiunge con l'art. 257, il quale non solo lascia senza sanzioni buona parte degli obblighi previsti dall'art. 242 e segg., ma conclude trionfalmente che, nell'improbabile caso che l'iter per la bonifica giunga al termine, l'osservanza dei progetti approvati per la bonifica "costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento" che ha portato all'obbligo di bonifica. Di modo che l’inquinatore non si sporca neppure la fedina penale.

In questo quadro desolante, una menzione a parte meritano i reati connessi alla regolamentazione AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) e cioè i reati collegati all’esercizio degli impianti industriali più pericolosi per la salute e l’ambiente, quali Ilva, Enel ecc. Sarebbe logico pensare, infatti, che in questi casi le sanzioni siano più severe; ed invece è vero il contrario. Un anno fa, peraltro, il governo Renzi, con il D. Lgs 4 marzo 2014 n. 46 sull'inquinamento da industrie è intervenuto pesantemente proprio sulle sanzioni per violazioni dell'AIA differenziandole nettamente da quelle relative a violazioni per le altre attività industriali, attraverso la creazione di un nuovo articolo (art. 29-quattordecies) del D. Lgs 152/06, in virtù del quale molte delle (già miti) sanzioni penali sono state depenalizzate ovvero ridotte, tanto da arrivare al paradosso che oggi le violazioni ambientali di un autolavaggio vengono punite molto più pesantemente di quelle relative ad una centrale elettrica2.

In questo quadro già largamente insoddisfacente oggi compaiono due novità che potremmo definire volgarmente “depenalizzanti”, una certa e l'altra eventuale.

La prima -quella certa- è costituita dal D. Lgs. 28/2015 che prevede, con intento chiaramente deflattivo, una causa speciale di non punibilità quando la pena edittale detentiva non sia superiore a 5 anni, nonchè, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità ed il comportamento risulta non abituale: quando, cioè, il fatto, per dirla, in breve, con la Cassazione (con riferimento all’analogo art. 34 D. Lgs 274/2000), si presenti “oggettivamente e soggettivamente assai modesto”.

In proposito, in attesa delle prime applicazioni giurisprudenziali, si sono già registrati alcuni encomiabili e condivisibili sforzi tesi a valorizzare tutti gli elementi atti ad impedire una applicazione generalizzata e a tappeto del nuovo istituto alle contravvenzioni del D. Lgs 152/063.

Non è questa la sede per approfondire tale problematica, ma ho, purtroppo, la sensazione che questi sforzi non avranno gran successo, innanzi tutto per la semplice ragione che, in sostanza, è lo stesso legislatore che, configurando i reati del D. Lgs. 152/06, li ha delineati come un appendice della regolamentazione amministrativa, e cioè, in sostanza, fatti di per sé non gravi.

Tanto è vero che non è certo un caso se oggi, con il D. Lgs. 152/06, raramente si procede per fatti comunemente percepiti come gravi; ma, quasi sempre, per autolavaggi, lavanderie o sfasciacarrozze senza autorizzazione, per trasporto di rifiuti senza iscrizione, per inosservanza di prescrizioni regolamentari e, ben più raramente (anche per carenze degli organi di controllo), per superamento di limiti (valutato solo in astratto), abbandono di rifiuti ed esercizio di discarica abusiva. E, peraltro, le relative indagini non sono quasi mai finalizzate ad accertare anche la gravità del danno o del pericolo realmente cagionato, caso per caso.

In più, si consideri che gli elementi previsti dalla legge per valutare la tenuità del danno sono largamente discrezionali ed attengono, in definitiva, alla maggiore o minore sensibilità del singolo magistrato verso i valori ambientali, avendo come contrappeso l'allettante miraggio di ridurre la pendenza di un ruolo carico di tanti altri reati "gravi", senza arrivare, come spesso capita per le contravvenzioni, a dover dichiarare la prescrizione.

E’, quindi, probabile, che, in un prossimo futuro, gran parte delle denunzie per i reati ambientali previsti dal D. Lgs. 152/06 saranno archiviate non perchè vi siano dubbi sulla sussistenza del fatto ma, al contrario, perchè il reato risulta certo ma chi deve giudicare reputa il fatto di particolare tenuità. Vi è, quindi, oggettivamente, il rischio concreto di una strisciante depenalizzazione a macchia di leopardo, con disparità evidenti di trattamento e ripercussioni notevoli anche per quanto concerne la concorrenza tra imprese4.

La seconda novità -quella eventuale- è costituita dalla parte settima (“Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”), che dovrebbe essere aggiunta al D. Lgs 152/06 dal DDL sui delitti ambientali se e quando diverrà legge. Dispone, infatti, il nuovo art. 318-bis che per le “ipotesi contravvenzionali in materia ambientale che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette” è prevista una particolare procedura, ricalcata su quella per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base alla quale, quando riscontra una contravvenzione in materia ambientale, la polizia giudiziaria impartisce al contravventore apposita prescrizione per regolarizzare la situazione; ed ammette il contravventore, qualora ottemperi nel termine fissato, a “pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa”; avvenuto il pagamento nel termine, il P.M. richiede l’archiviazione in quanto la contravvenzione è “estinta”.

Rinviamo, anche in questo caso, l’approfondimento, anche critico, di tale novità che, certamente, se il DDL diverrà legge senza modifiche, essendo basata sulla assenza di danno o pericolo per l'ambiente, si sovrapporrà ed aggiungerà a quella sulla particolare tenuità che abbiamo appena esaminato. Peraltro, con notevoli ed evidenti problemi di coordinamento tra le due normative.

Quello, comunque, che vogliamo mettere in evidenza è la ulteriore, possibile valenza "depenalizzante" di queste novità per gran parte dei già poco efficaci reati ambientali oggi esistenti, con la sola eccezione del delitto di traffico illecito di rifiuti.

 

I reati del codice penale applicabili per la tutela dell'ambiente

 

E' noto che, di fronte all'insoddisfacente quadro dei reati ambientali previsti dal D. Lgs. 152/06, gran parte della magistratura ha tentato di tutelare l'ambiente, specie nei casi più gravi, ricorrendo a reati "comuni" previsti dal codice penale, utilizzati prima del D. Lgs. 152/06, quali, in particolare, il disastro cd. innominato, il danneggiamento aggravato, l'avvelenamento di acque destinate all'alimentazione, il getto pericoloso di cose e la distruzione di bellezze naturali.

Non a caso, è con la contestazione di questi reati previsti dal codice penale (e non dal D. Lgs 152/065) che si è spesso riusciti ad intervenire contro realtà altamente tossiche ed inquinanti, come dimostra la cronaca di questi ultimi anni.

Ma era inevitabile che, trattandosi di reati "adattati" alla tutela ambientale, alcuni nodi venissero al pettine al momento della applicazione giurisprudenziale. Basta pensare ai recenti interventi della Cassazione a proposito del momento di prescrizione per il disastro innominato6 ovvero della valenza limitativa ritenuta dalla suprema Corte a proposito dell'inciso "nei casi non consentiti dalla legge" nella interpretazione dell'art. 674 c.p.

Ma, pur con questi limiti, appare innegabile la maggiore operatività a tutela dell'ambiente di questi reati che, oltre tutto, dovrebbero risentire molto poco della novità della "particolare tenuità" e per niente di quella, eventuale, contenuta nel DDL sui delitti ambientali che abbiamo sopra esaminato.

 

La responsabilità dell'ente per reati ambientali

 

Se, come abbiamo visto, il quadro delle sanzioni penali a tutela dell'ambiente è totalmente inadeguato, c'è un altro tipo di sanzioni che poteva (e potrebbe) rimediare con efficacia, anche come deterrente. Ci riferiamo, ovviamente, alla responsabilità degli enti di cui al D. Lgs 231/2001, estesa dal D. Lgs 121/2011 a taluni reati ambientali commessi a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Trattasi di sanzioni pecuniarie elevate che possono arrivare fino ad oltre un milione di euro ed addirittura alla interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività. Sarebbe stato logico, quindi, abbinarle non solo al solito delitto di traffico illecito di rifiuti ma anche ai reati del codice penale utilizzati per la tutela ambientale ed alle contravvenzioni non esclusivamente formali e potenzialmente pericolose per l'ambiente contenute nel D. Lgs. 152/06.

Ma il nostro legislatore evidentemente la pensa diversamente.

Quanto al D. Lgs. 152/06, infatti, appaiono del tutto condivisibili le osservazioni di chi ritiene “incomprensibile la scelta di configurare la responsabilità degli enti solo per lo scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose, escludendo dal catalogo la contravvenzione di cui al primo comma dell’art. 137 dello stesso codice, atteso che lo scarico di sostanze anche non intrinsicamente pericolose ma in quantitativi rilevanti è condotta idonea a determinare un grave danno all’ambiente. Infine contraddittoria risulta la mancata inclusione nel catalogo della contravvenzione di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti di cui al successivo art. 256, comma 2, atteso che tale disposizione espressamente contempla tra gli autori propri del reato addirittura «i rappresentanti di enti». Ed in tal senso non è nemmeno chiaro il criterio seguito nella selezione operata in sede di stesura del testo definitivo della novella, atteso che, ad esempio, è stata mantenuta la responsabilità delle persone giuridiche per violazioni eminentemente formali come quella, ad esempio, dell’ottavo comma dell’art. 260-bis del d. lgs. n. 152/2006 avente ad oggetto le violazioni del sistema di tracciabilità dei rifiuti.”7

Ma è ancora più incomprensibile che, ancora una volta, siano stati "dimenticati" tutti i reati collegati all’AIA (autorizzazione integrata ambientale), dato che riguarda imprese che sono per definizione assai pericolose per l’ambiente. Così come grida vendetta la "dimenticanza" relativa ai delitti di danno o di pericolo del codice penale (disastro innominato, avvelenamento di acque, danneggiamento aggravato ecc.) applicabili anche in caso di inquinamenti, che già abbiamo sopra elencato.

Di modo che si è ottenuto l'effetto opposto. Al recente convegno promosso sul tema dalla Corte di Cassazione, infatti, è stato efficacemente evidenziato che, nella realtà, la responsabilità degli enti per reati ambientali risulta applicata molto di rado. E- diciamo la verità- è stata una fortuna perchè altrimenti, visti i reati presupposto e considerata la crisi economica in atto, avremmo visto fallire migliaia di autolavaggi, lavanderie e carrozzerie mentre i complessi industriali più inquinanti, soggetti ad AIA, potevano (e possono) dormire sonni tranquilli.

 

I delitti contro l'ambiente previsti nel DDL in votazione alla Camera

 

A questo punto, appare evidente che occorre una svolta. Da un lato, riscrivere l’attuale testo unico ambientale con poche norme chiare e facilmente applicabili, riportando gran parte delle attuali contravvenzioni nell’ambito degli illeciti amministrativi.

Dall'altro dare al più presto attuazione vera a quanto ci chiede la U.E. introducendo i delitti contro l’ambiente "con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive" (cui collegare le sanzioni per le persone giuridiche) per condotte che provocano o possono provocare pericoli e danni per la salute ovvero un deterioramento rilevante della qualità dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie.

E giungiamo così al DDL sui delitti ambientali (cd. "ecoreati") in votazione alla Camera.

Come è noto, esso inserisce nel codice penale un nuovo titolo, dedicato ai delitti contro l'ambiente, all'interno del quale introduce i delitti di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale di alta radioattività, impedimento al controllo, divieto di airgun (prospezioni marine con esplosivi); cui collega la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Quanto alle contravvenzioni esistenti, come già abbiamo visto, il DDL le mantiene prevedendo tuttavia un meccanismo che, per molte di esse, può portare alla loro estinzione per adempimento.

Già in altri scritti abbiamo espresso le nostre perplessità circa la struttura e la formulazione di questo DDL. nella penultima versione (prima delle ultime modifiche del Senato)8.

Oggi, a fronte del testo ultimo, dobbiamo ribadirle e rafforzarle. I due delitti principali, infatti (inquinamento ambientale e disastro ambientale, art. 452-bis e art. 452-quater), appaiono frutto di troppi compromessi che hanno portato ad un testo equivoco, di difficile comprensione e pieno di smagliature. Punire chiunque "abusivamente cagiona un disastro ambientale" non è solo inaccettabile da un punto di vista letterale ma apre la strada a profili di antigiuridicità speciale non compatibili con la struttura di un delitto di disastro, tanto più se colposo 9. Ed è la stessa logica che porta a dire, ad esempio, che, per il delitto di inquinamento ambientale, occorre un deterioramento "misurabile" di acque aria ecc. Senza dire, però che cosa significa e come si misura. E quali sono le "porzioni significative" del suolo e del sottosuolo?

E’ la stessa logica di compromesso, peraltro, che, sotto il profilo sanzionatorio, in caso di ipotesi colposa di disastro ambientale (praticamente, quella prevalente, visto che, per fortuna, salvo la problematica sul dolo eventuale, è difficile si verifichi un disastro ambientale doloso), fa sì che la pena venga diminuita da un terzo a due terzi (art. 452-quinquies): così, nel massimo, da 15 anni di reclusione si arriva a 5 anni e nel minimo da 5 a poco più di 1 anno. Praticamente, meno di uno scippo o di un borseggio, la cui pena massima arriva a 6 anni! E, come se non fosse sufficiente, prevede un "ravvedimento operoso" talmente benevolo (la solita diminuzione di pena dalla metà a due terzi, che comprende anche l'associazione a delinquere) da costituire, oggettivamente, un incentivo a distruggere l'ambiente (art. 452-decies). Tanto, il responsabile è sempre in tempo a pentirsi e ad uscirne praticamente senza danni.

Con buona pace delle "sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive" richieste dalla UE.

Forse è per questo che, in un sussulto di dignità, il DDL (nell’ultima versione) fa espressamente salvo il "vecchio" delitto di disastro innominato (art. 434 c.p.) che punisce chi cagiona un disastro (senza "abusivamente"). Ma in tal modo, invece di semplificare, si complica. Se l'attività è abusiva applichiamo il nuovo art. 452-quater e se, invece, è autorizzata applichiamo il vecchio art. 434, dando, peraltro, ottimi argomenti di discussione ai difensori degli inquinatori?

 

Conclusioni

 

Potremmo continuare ma ci sembra di avere già detto abbastanza.

In un prossimo futuro, visto il D. Lgs. 28/2015 sulla tenuità del fatto e se il DDL passerà senza modifiche, rischia di essere fortemente depotenziato, sotto il profilo penale, molto di quel poco di operativo a tutela dell’ambiente che oggi c’è nel D. Lgs. 152/06.

Contemporaneamente, se il DDL passerà senza modifiche, avremo nuove norme penali scritte male, confuse e non chiare oltre che esageratamente “buoniste” verso gli inquinatori.

Sotto questo profilo, di certo il DDL sui delitti ambientali all'esame della Camera non è certamente quello che il nostro paese si aspettava e si meritava dopo 20 anni di promesse.

Se diverrà legge, pertanto, sarà necessario iniziare immediatamente un lavoro di approfondimento alla luce dei principi costituzionali e comunitari onde pervenire ad una interpretazione costruttiva che apra al massimo gli spazi di intervento, fugando i dubbi connessi alla pessima formulazione delle norme penali. E di certo, in questo compito, sarà fondamentale l’apporto della Cassazione, come è già avvenuto, ad esempio, nella costruzione della definizione del “disastro ambientale”, partendo dal nulla del disastro innominato; e, soprattutto della terza sezione penale cui si deve, tra l’altro, la rilettura “in costruttivo” di numerose norme mal formulate del D. Lgs 152/0610.

Se i tempi cambieranno, si potrà pensare a qualche miglioramento normativo; in primo luogo per eliminare il disastro ambientale "abusivo"e, magari, tornare alla (molto più chiara) definizione delineata dalla Cassazione.

Purtroppo gli auspici oggi non sono dei migliori se il Presidente del Consiglio ed il Ministro dell'Ambiente hanno già dichiarato che intendono cancellare al più presto la norma penale più importante ed incisiva introdotta dal Senato nel DDL; e cioè il divieto sacrosanto di prospezioni petrolifere marine con spari di aria compressa (air gun) nel fondale. Si persevera, quindi, nel solco di quanto già disposto recentemente dal decreto SbloccaItalia il quale, all'art. 38, tra le "misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali", sancisce che " le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili. I relativi titoli abilitativi comprendono pertanto la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell'opera e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi...." (comma 1), aggiungendo al comma 2, che "qualora le opere di cui al comma 1 comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell'autorizzazione ha effetto di variante urbanistica".

Insomma, per cercare minime risorse di materiali fossili destinate inevitabilmente all'esaurimento, si consente la distruzione della nostra vera e principale risorsa: la natura, il paesaggio e le bellezze naturali.

Ed è appena il caso di evidenziare in proposito che, in definitiva, non si tratta di un problema tecnico né strettamente giuridico; ma di cultura e di valori. L’immigrato che tenta di entrare in Italia con un passaporto contraffatto viene oggi assoggettato, con decreto legge, ad arresto obbligatorio anche se ha diritto d’asilo; chi provoca un disastro ambientale, dopo che ne discutiamo da 20 anni, non rischia quasi niente; specie se non lo cagiona “abusivamente”.

 

 

 

1 Prescindiamo, per carità di patria, dal delitto di combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis) che a tutto è servito salvo che evitare i roghi tossici della “terra dei fuochi”. In proposito, si rinvia al nostro Abbruciamento di scarti vegetali, inquinamento da leggi e Cassazione, in www.lexambiente.it, ottobre 2014

2 Tre mesi dopo, il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, recante "Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea", ha stabilito, tra l'altro, che "....le Autorizzazioni Integrate Ambientali rilasciate per l'esercizio di dette installazioni possono prevedere valori limite di emissione anche piu' elevati e proporzionati ai livelli di produzione...." (art. 13, comma 7). Quindi, a parte la quasi assenza di sanzioni, le attività industriali soggette ad AIA più producono e più possono inquinare. Per la responsabilità dell’ente, cfr. appresso.

3 RAMACCI, Note in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto e reati ambientali in www.lexambiente.it;

LEGHISSA, Il fatto di particolare tenuità e i reati ambientali, relazione convegno formazione decentrata del 13 aprile

2015 a Caltanissetta

4 SANTOLOCI, Il decreto sulla "tenuità del fatto": un passo indietro nella tutela penale dell'ambiente, in www.dirittoambiente.com

5 Fa eccezione il delitto di traffico illecito di rifiuti

6 Per approfondimenti cfr. da ultimo ROSI, Brevi note in tema di “dis-astro” ambientale in www. penalecontemporaneo.it

7 relazione dell’ufficio Massimario Corte di Cassazione del 3 agosto 2011, cui si rinvia per approfondimenti,

8 In proposito, per alcune prime osservazioni, citazioni e richiami, si rinvia alla nostra Relazione tenuta al gruppo misto del Senato e pubblicata, tra l'altro, in Lexambiente.it

9 per approfondimenti, si rinvia ai nostri Delitti contro l'ambiente: arriva il disastro ambientale "abusivo"; Viva viva il disastro ambientale abusivo ; Ma che significa veramente disastro ambientale abusivo ? tutti in Lexambiente.it; nonchè L'ultima invenzione del legislatore italiano: il disastro ambientale abusivo in www.questionegiustizia.it

10 Ad esempio, nella interpretazione del (solito) delitto di traffico illecito di rifiuti, in relazione, tra l’altro, al significato di “ingenti” quantità di rifiuti ed ai rapporti con le ipotesi contravvenzionali del D. Lgs 152/06