Cass. Sez. III n. 45306 del 11 novembre 2013 (Ud. 17 ott. 2013)
Pres. Teresi Est. Andreazza Ric. Carlino
Rifiuti. Il reato di gestione non autorizzata non necessita di continuità o stabilità della condotta

Il reato di cui all'art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, riguardante, in via ordinaria e sull'intero territorio nazionale, l'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, contempla segnatamente la condotta di chiunque effettui, tra le altre, una "attività di trasporto" : ebbene, con riguardo a tale fattispecie, plasmata, nelle sue componenti, in maniera, assolutamente uguale a quella impiegata dalla norma "speciale" ex lege n. 210 del 2008, la giurisprudenza non ha mai dubitato del fatto che per la integrazione della stessa, avente natura di reato istantaneo e solo eventualmente abituale, in quanto perfezionantesi nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, sia sufficiente un unico trasporto, da ciò discendendo, evidentemente, la non necessità di requisiti di continuatività e stabilità di sorta.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 08/03/2012 la Corte d'Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di condanna di C.P. alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 7.500,00 di multa per il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti di cui alla L. n. 210 del 2008, art. 6, comma 1, lett. d), punto 2.

2. Ha proposto ricorso l'imputato lamentando, con un primo motivo, l'erronea applicazione di legge nonchè il difetto di motivazione in relazione all'art. 6, comma 1, cit.. In particolare lamenta che la Corte (confermando l'integrazione del reato anche in presenza di condotta "occasionale") abbia male interpretato il motivo d'appello con cui si censurava la non corretta interpretazione della norma, incentrata comunque, come desumibile anche dai lavori preparatori, su una necessaria condotta di "attività" di trasporto con la necessaria conseguente individuazione di elementi rilevatori quali una organizzazione lavorativa, un impiego di veicoli di grosse dimensioni, l'impiego di più persone, la quantità e diversità tipologica dei rifiuti trasportati.

Con un secondo motivo deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all'art. 47 c.p. e art. 192 c.p.p..

Lamenta in particolare che, pur avendo il teste di P.G. B. unicamente dichiarato di presumere che l'imputato trasportasse pezzi provenienti da diverse autovetture, la Corte abbia ritenuto provata tale circostanza e dunque escluso il requisito della unicità dell'episodio si che l'imputato ben doveva conoscere essere necessaria per l'attività svolta una autorizzazione.

Con un terzo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 530 c.p.p., comma 2, avendo la Corte, operando come già esposto sopra, errato nella valutazione degli elementi probatori utilizzati spostando il baricentro tutto sulla ipotesi accusatoria e omettendo totalmente di considerare le prove e le argomentazioni difensive.

Con un quarto motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 5 c.p. Premesso che, ove l'antigiuridicità si ponga come elemento normativo della fattispecie criminosa (ciò che è ove si prevede in modo espresso che il fatto sia commesso senza autorizzazione), la consapevolezza dell'agente non può non riguardare anche tale elemento, si duole del fatto che la Corte non abbia motivato in merito alla ignorantia legis scaturente dalla mancata applicazione del D.L. n. 172 del 2008, art. 7, che prevedeva una apposita campagna informativa sul nuovo delitto, campagna, invece, mai realizzata; ciò tanto più a fronte della novità della norma, della mancanza di giurisprudenza, e della condizioni del quivis de populo tenuto ad osservarla, di inadeguata scolarizzazione e di umili origini.

Con un ultimo motivo lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione alla confisca obbligatoria, in particolare rilevando come, a fronte della natura facoltativa della confisca di cui alla L. n. 210 del 2008, la Corte territoriale, pur chiamata a farlo con i motivi di appello, non abbia motivato sulla pericolosità del soggetto e sulla necessaria relazione di asservimento tra cosa e reato quali necessari presupposti del provvedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I primi tre motivi di ricorso, da valutare unitariamente perchè basati tutti sul presupposto della invocata non occasionalità della condotta caratterizzante il delitto in oggetto, sono infondati.

Va premesso che l'ipotesi delittuosa contestata nella specie di cui al D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. d), riguarda il fatto di chiunque, nei territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della L. n. 255 del 1992, effettui "una attività di trasporto" di rifiuti (nella specie non pericolosi).

Ora, il ricorrente pretenderebbe che, in ragione del tenore letterale della norma, e in particolare dall'impiego del termine "attività", il reato non sia configurabile in presenza di una condotta caratterizzata da occasionalità, bensì, evidentemente, solo laddove la stessa sia assistita da requisiti di stabilità desumibili da elementi rivelatori quali uno scopo di lucro, un'organizzazione lavorativa, la diversa tipologia di rifiuti, l'impiego di veicoli di grosse dimensioni e l'impiego di più persone.

Un tale assunto non è, però, condivisibile.

Va osservato infatti che il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, riguardante, in via ordinaria e sull'intero territorio nazionale, l'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, contempla segnatamente la condotta di chiunque effettui, tra le altre, una "attività di trasporto" : ebbene, con riguardo a tale fattispecie, plasmata, nelle sue componenti, in maniera, come appena visto, assolutamente uguale a quella impiegata dalla norma "speciale" ex L. n. 210 del 2008, la giurisprudenza non ha mai dubitato del fatto che per la integrazione della stessa, avente natura di reato istantaneo e solo eventualmente abituale, in quanto perfezionantesi nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, sia sufficiente un unico trasporto (tra le altre, da ultimo, Sez. 3^, n. 21655 del 13/04/2010, Hrustic, Rv. 247605; Sez. 3^, n. 13456/07 del 30/11/2006, Gritti ed altro, Rv. 236326), da ciò discendendo, evidentemente, la non necessità di requisiti di continuatività e stabilità di sorta.

Del resto, e ad ulteriore riprova della fondatezza dell'assunto contestato in ricorso, va osservato che solo con riguardo al diverso reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260. (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) il legislatore ha testualmente previsto una condotta di trasporto accompagnata da "mezzi e attività continuative organizzate", ben potendo affermarsi, dunque, la irrilevanza penale, solo in tal caso, di una condotta caratterizzata da occasionalità.

Sarebbe, del resto, incongruo che, proprio in sede di approvazione di una normativa volta a reprimere, nei territori di cui si è detto, a fronte di una situazione emergenziale, in maniera più severa rispetto alla disciplina ordinaria le condotte di gestione dei rifiuti, pericolosi e non, il legislatore avesse poi richiesto un requisito di stabilità e continuatività della condotta, non previsto in sede di regolamentazione "ordinaria", che finirebbe, per una singolare "eterogenesi dei fini", per rendere la norma applicabile con minor frequenza. Deve dunque confermarsi, per le ragioni appena dette, l'approdo che già questa Sezione aveva raggiunto, proprio con riguardo alla norma di cui alla L. n. 210 del 2008, art. 6, con la sentenza n. 24428 del 25/05/2011, D'Andrea, Rv. 250674, mentre a conclusioni contrarie non può contribuire la lettura, invocata in ricorso, effettuata dalla sentenza di Sez. 3^, n. 5031 del 17/01/2012, Granata, non massimata, ove la affermata necessaria non occasionalità della condotta appare contrastante con la esigenza di una interpretazione uniforme e razionale delle condotte di trasporto dislocate nelle differenti normative appena considerate ove poste a raffronto con una ipotesi (quella dell'art. 260 cit.) espressamente basata su di una attività continuativa.

Ciò posto, e ritenuta sufficiente ad integrare il reato, per quanto appena ricordato sopra, la effettuazione anche di un solo trasporto, deve allora osservarsi che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio in oggetto disattendendo le prospettazioni dell'appellante fondate su un presupposto erroneo, già solo da ciò discendendo il rigetto dei primi tre motivi.

4. Il quarto motivo, volto ad invocare, in conseguenza, sostanzialmente, di una non adeguata campagna informativa circa l'introduzione del nuovo reato, l'ignoranza scusabile della legge penale, è manifestamente infondato, risolvendosi lo stesso, come del resto nella sostanza argomentato dalla Corte territoriale, in contrasto con il dettato dell'art. 5 c.p., nell'equiparare la mancata informazione della adozione della norma (secondo un assunto già di per sè fallace a fronte della conoscibilità per definizione derivante dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica) alla scusabilità sic et simpliciter dell'ignoranza della legge penale.

Proprio con riferimento alla fattispecie ex art. 6 cit. in oggetto questa Corte ha, del resto, affermato che non è sufficiente, ad integrare gli estremi dell'esimente in parola, il comportamento passivo, come nella specie, tenuto dall'imputato, essendo, invece, necessario che questo si attivi (informandosi presso gli uffici competenti, consultando esperti in materia, ecc.) al fine di adeguarsi all'ordinamento giuridico (Sez. 3^, n. 1406/12 del 15/12/2011, Bevilacqua e altri, Rv. 251647, non massimata sul punto); infatti, ai fini della configurabilità dell'ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale, la scriminante della buona fede può trovare applicazione solo nell'ipotesi in cui l'agente abbia fatto tutto il possibile per adeguarsi al dettato della norma e questa sia stata violata per cause indipendenti dalla volontà dell'agente medesimo, al quale, quindi, non può essere mosso alcun rimprovero, neppure di semplice leggerezza (Sez. 3^, n. 1042/90 del 21/12/1990, Checchi, RV. 186394).

5. L'ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato: la confisca del "veicolo" utilizzato per il trasporto consegue infatti obbligatoriamente alla sentenza di condanna come segnalato dal dato testuale dell'art. 6 cit., comma 1 bis, essendosi in giurisprudenza raggiunte differenti conclusioni solo relativamente al diverso punto della confiscabilità o meno a seguito di sentenza di patteggiamento.

6. Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2013.