Tribunale Torino Sez. VI penale sent. 4 luglio 2024
Est. Ruscello Imp. Chiamparino ed altri 
Ecodelitti. Inquinamento ambientale e responsabilità pubblici amministratori

Sentenza con la quale il Tribunale ha dichiarato non luogo a procedere per insussistenza del fatto nei confronti di alcuni pubblici amministratori (Presidenti di Regione, Sindaci ed Assessori) 

Proc. n. 23128/20 R.G. N.R.

Proc. n. 879/24 R.G. Trib.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO

SEZIONE SESTA PENALE

Il Tribunale di Torino in composizione monocratica in persona del dott. Roberto Ruscello,

all’udienza predibattimentale del 4.7.2024

ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente

SENTENZA

nei confronti di:

CHIAMPARINO Sergio,

  • LIBERO PRESENTE-

VALMAGGIA Alberto,

  • LIBERO PRESENTE-

FASSINO Piero Franco Rodolfo,

  • LIBERO ASSENTE-

LA VOLTA Enzo,

  • LIBERO PRESENTE-

APPENDINO Chiara,

- LIBERA ASSENTE –

GIANNUZZI Stefania,

- LIBERA ASSENTE –

UNIA Alberto

- LIBERO PRESENTE –

IMPUTATI

Del reato di cui agli artt. 40 cpv., 113, 452 quinquies co. 1 in relazione all’art. 452 bis co. 1 n. 1 c.p., perché, in cooperazione tra loro, nelle qualità di

  • CHIAMPARINO Sergio presidente della REGIONE PIEMONTE fino al 26.5.2019

  • VALMAGGIA Alberto assessore all’ambiente della REGIONE PIEMONTE fino al 26.5.2019

  • FASSINO Piero Franco Rodolfo sindaco della Città di Torino fino al giugno 2016

  • LA VOLTA Enzo assessore alle politiche per l’ambiente della Città di Torino fino al giugno 2016

  • APPENDINO Chiara sindaca della Città di Torino dal giugno 2016

  • GIANNUZZI Stefaniaassessore alle politiche per l’ambiente della Città di Torino dal giugno 2016 al giugno 2017

  • UNIA Albertoassessore alle politiche per l’ambiente della Città di Torino dal giugno 2017

Per colpa e cioè per negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di legge (artt. 9, 10, 11 e all. XI d.lgs. 155/2010)

  • Avendo le regioni, e per esse il loro presidente con l’assessore all’ambiente, l’obbligo di adottare un piano contenente le misure necessarie ad agire sulle principali sorgenti di emissione di inquinanti nell’aria ambiente aventi influenza sulle aree di superamento dei valori limite fissati dall’all. XI del d.lgs. 155/2010, in particolare:

  • 50 µg/m3 di PM10 in media giornaliera da non superare più di 35 volte per anno civile e di 40 µg/m3 di PM10 in media annuale, nonché l’obbligo di raggiungere i valori limite nei termini prescritti (vigenti fin dal 1°.1.2005 ai sensi della Direttiva 1999/30/CE, o al più tardi dal 1°.1.2008 o dal 11.6.2010 ai sensi della Direttiva 2008/50), e - in caso di superamenti successivi ai predetti termini – l’obbligo di integrare il piano con l’individuazione delle misure atte a raggiungere i valori limite nel più breve tempo possibile

  • 25 µg/m3 di PM 2,5 in media annuale (limite da raggiungere entro il 1.1.2015)

  • 40 µg/m3 di Biossido di Azoto in media annuale (limite da raggiungere entro il 1.1.2010)

  • 120 μg/m³ di Ozono da non superare più di 25 volte per anno civile come media su tre anni (valore obiettivo da raggiungere entro il 1.1.2010, all. VII d.lgs. 155/2010)

  • Avendo le regioni, e per esse il loro presidente con l’assessore all’ambiente, poteri sostitutivi in caso di inerzia dei comuni a dare attuazione ai piani regionali quanto a limitazione della circolazione veicolare

  • Avendo il sindaco il potere/dovere, coadiuvato dall’assessore all’ambiente, di emanare ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell’art. 50 co. 5 d.lgs. 267/2000 (testo unico degli enti locali) in caso di emergenze sanitarie, quali possono essere ritenute quelle tra l’altro derivanti dal superamento dei valori limite di PM10, l’esposizione al quale inquinante è dimostrato essere agente causale di un eccesso di mortalità nella popolazione

  • Dovendo il sindaco, coadiuvato dall’assessore all’ambiente, adottare ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell’art. 54 co. 4 d.lgs. 267/2000 al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica

  • Avendo il sindaco, coadiuvato dall’assessore all’ambiente, il potere/dovere di disporre ai sensi dell’art. 6 co. 1 d.lgs. 285/1992 la sospensione della circolazione veicolare di tutte o di alcune categorie di utenti per motivi di incolumità pubblica

  • Avendo il sindaco, coadiuvato dall’assessore all’ambiente, l’obbligo di adottare per l’anno 2017 le misure temporanee di cui alla DGR della REGIONE PIEMONTE 20.10.2017 n. 42-5005

  • Avendo il sindaco, coadiuvato dall’assessore all’ambiente, l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 4 L.R. 7.4.2000 n. 43 al controllo delle emissioni in atmosfera degli impianti termici degli edifici di civile abitazione

cagionavano abusivamente una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile dell’aria della Città di Torino risultando dai rilevamenti di ARPA PIEMONTE i seguenti dati oltre i limiti previsti dalla legge o raccomandati dall’OMS:

PM10, limite di legge 40 µg/m3 media annuale (raccomandazione OMS 20µg/m3 ) :

2015: stazione Grassi 51,9 - stazione Rebaudengo 42,6;

2016: stazione Grassi 41,7;

2017: stazione Consolata 43,0 - stazione Grassi 46,9 - stazione Rebaudengo 45,8;

Tutte le stazioni di rilevamento hanno superato il limite di concentrazione raccomandato dall'OMS (20µg/m3 ) dal 2015 al 2020.

PM10, limite di legge annuale dei giorni di superamento (massimo 35 giorni) del limite di concentrazione giornaliero di 50µg/m3

2015: stazione Consolata 93 gg - stazione Grassi 75 gg - stazione Lingotto 85 gg - stazione Rebaudengo 101 gg - stazione Rubino 84 gg;

2016: stazione Consolata 75 gg- stazione Grassi 89 gg - stazione Lingotto 60 gg - stazione Rebaudengo 74 gg - stazione Rubino 65 gg;

2017: stazione Consolata 108 gg- stazione Grassi 112 gg - stazione Lingotto 101 gg - stazione Rebaudengo 118 gg - stazione Rubino 97 gg;

2018: stazione Consolata 55 gg- stazione Grassi 76 gg - stazione Lingotto 45 gg - stazione Rebaudengo 87 gg;

2019: stazione Consolata 45 gg- stazione Grassi 83 gg - stazione Lingotto 50 gg - stazione Rebaudengo 71 gg - stazione Rubino 42 gg;

PM2,5, limite di legge 25 µg/m3 media annuale (raccomandazione OMS 10µg/m3 )

2015: stazione Lingotto 27,2 - stazione Rebaudengo 27,1;

2016: stazione Rebaudengo 28,7;

2017: stazione Lingotto 27,1 - stazione Rebaudengo 33,4.

Tutte le stazioni di rilevamento di Torino del PM2,5 (Lingotto, Rebaudengo e Rubino, quest'ultima attiva dal 2018) dal 2015 al 2019 hanno superato il limite di concentrazione raccomandato dall'OMS (10µg/m3 )

Biossido di Azoto, limite di legge 40 µg/m3 media annuale

2015: stazione Consolata 52,7 - stazione Rebaudengo 67,7 - stazione Rubino 44,2;

2016: stazione Consolata 50,2 - stazione Rebaudengo 70,0;

2017: stazione Consolata 59,1 - stazione Lingotto 40,2 - stazione Rebaudengo 79,8;

2018: stazione Consolata 52,0 - stazione Rebaudengo 55,9;

2019: stazione Consolata 53,3 - stazione Rebaudengo 60,0;

Ozono, valore obiettivo per la protezione della salute umana espresso come media massima giornaliera su 8 ore pari a 120µg/m3 che non deve essere superato per più di 25 giorni all'anno

2015: stazione Lingotto 57 gg - stazione Rubino 53 gg;

2016: stazione Lingotto 44 gg - stazione Rubino 52 gg;

2017: stazione Lingotto 38 gg - stazione Rubino 43 gg;

2018: stazione Lingotto 47 gg - stazione Rubino 47 gg;

2019: stazione Lingotto 61 gg - stazione Rubino 51 gg;

con conseguenze sulla salute delle persone secondo i seguenti dati statistici relativi al periodo 2015-2019:

  • Incidenza del PM10 per superamenti del limite normativo pari a 144 decessi attribuibili e 56 ricoveri ospedalieri attribuibili

  • Incidenza del PM2,5 per superamenti del valore giornaliero raccomandato dall’OMS compresa tra 178 e 407 decessi attribuibili e 184 ricoveri ospedalieri attribuibili

  • Incidenza del Biossido di Azoto per superamenti del limite normativo pari a 870 decessi attribuibili (di cui 620 decessi per malattie cardiovascolari) e 539 ricoveri ospedalieri attribuibili

Gli organi di governo della REGIONE PIEMONTE sopra indicati

  • Adottavano misure inadeguate a eliminare o contenere nei limiti legali i valori di PM10, nonostante che negli anni vi fossero sempre stati superamenti dei valori limite consentiti, fissando un orizzonte temporale di rientro nei limiti al 2030 (v. il Piano regionale per la qualità dell’aria - DGR 13-5132 del 5.6.2017, nonché analogo PRQA di cui alla Deliberazione del Consiglio regionale n. 364 – 6854 del 25.3.2019,) in patente e reiterata violazione dell’obbligo di procedervi il più rapidamente possibile

  • Adottavano un meccanismo di attivazione delle misure basato su ripetuti e consecutivi superamenti del valore limite di PM10 giornaliero secondo livelli crescenti di allarme in modo tale da consentire l’accumularsi dell’inquinante sopra il limite senza prevedere alcun intervento (per es. la deliberazione della giunta regionale n. 24-4171 del 7.11.2016 prevedeva il livello giallo con 7 gg consecutivi di superamento del valore di 50 µg/m3 di PM10, il livello arancio con 3 gg. di superamento del doppio della soglia, il livello rosso cinabro con 3 gg di superamento del triplo della soglia, il livello rosso vivo con 3 gg di concentrazione pari a 180 µg/m3; la deliberazione della giunta regionale n. 42-5805 del 20.10.2017 prevedeva il livello arancio con 4 gg consecutivi di superamento del valore di 50 µg/m3 di PM10, il livello rosso con 10 gg. consecutivi di superamento del limite); e inoltre stabilendo una deroga all’innalzamento dei livelli di allarme secondo un criterio prognostico inidoneo a fronteggiare i superamenti riscontrati e tale da vanificare la stessa previsione dei livelli di allarme (già di per sé molto laschi) e l’applicazione delle rispettive misure d’intervento (così la DGR n. 42-5805 ha stabilito che se i dati rilevati “porterebbero ad una variazione in aumento del livello esistente ma le previsioni meteorologiche e di qualità dell’aria prevedono per il giorno in corso e per il giorno successivo condizioni favorevoli alla dispersione degli inquinanti, il nuovo livello non si attiva”)

  • Prevedevano misure insufficienti per la loro limitatezza a contenere la dispersione del particolato con divieti circoscritti all’utilizzo di autovetture diesel e di veicoli commerciali di determinate categorie, e prevedevano nel passaggio dal livello arancio al livello rosso di cui alla DGR n. 42-5805 un modestissimo inasprimento delle misure consistente in una parziale estensione del divieto orario di circolazione per i veicoli commerciali Euro 3 e l’introduzione di un limitato divieto orario per i veicoli commerciali Euro 4

  • Adottavano misure che non tenevano specificamente conto della vulnerabilità di gruppi sensibili della popolazione, come i bambini (nominati dall’art. 23 par. 1 Direttiva 2008/50), anziani e malati

  • Non intervenivano in via sostitutiva dei poteri sindacali in ordine alle limitazioni al traffico veicolare, nonostante i ripetuti significativi sforamenti del valore limite di PM10 e la evidente inefficacia dei provvedimenti adottati dalla Città di Torino

Gli organi di governo della Città di Torino sopra indicati,

  • Adottavano misure inadeguate a eliminare o contenere nei limiti legali i valori di PM10, nonostante che negli anni vi fossero sempre stati numerosissimi superamenti dei valori limite consentiti

  • Adottavano un sistema di livelli di allarme che ne prevedeva l’attivazione soltanto dopo ripetuti e consecutivi giorni di superamento dei limiti di PM10 fino a 100, 150, 180 µg/m3, consentendo un incremento moltiplicativo dell’accumulazione dell’inquinante nell’aria ambiente prima di qualsiasi intervento più stringente di quello eventualmente già in atto ed evidentemente risultato inefficace (v. per es. delibera della giunta comunale n. 6424 del 13.12.2016 e la pedissequa ordinanza n. 81 del 13.12.2016 Area Ambiente)

  • Adottavano un analogo sistema di livelli di allarme, che ne prevedeva l’attivazione soltanto dopo ripetuti e consecutivi giorni di superamento dei limiti di PM10, attivazione condizionata da una clausola tale da vanificare la stessa previsione dei livelli di allarme (già di per sé molto laschi) e l’applicazione delle rispettive misure d’intervento (così l’ordinanza n. 92 del 27.10.2017 dell’Area Ambiente ha stabilito che se i dati rilevati “porterebbero ad una variazione in aumento del livello esistente ma le previsioni meteorologiche e di qualità dell’aria prevedono per il giorno in corso e per il giorno successivo condizioni favorevoli alla dispersione degli inquinanti, il nuovo livello non si attiva”)

  • Adottavano un sistema di livelli di allarme che prevedeva la loro attivazione solo a seguito di ripetuti e consecutivi superamenti della soglia, in modo tale che veniva favorita l’accumulazione dell’inquinante prima dell’attivazione del livello superiore con le relative misure d’intervento, che venivano di fatto sterilizzate (v. per es. ordinanza n. 67 del 23.10.2018 Area Ambiente )

  • Prevedevano numerosissime esenzioni ai divieti di circolazione veicolare, tali da compromettere l’efficacia dei blocchi quando disposti

  • Non effettuavano i dovuti controlli sul rispetto dei divieti al traffico veicolare, tanto che per es. nel 2015 le contravvenzioni elevate erano soltanto 39 e nel 2016 soltanto 137

  • Non effettuavano i dovuti controlli sul rispetto del limite di temperatura negli immobili di civile abitazione, secondo la competenza attribuita ai comuni dall’art. 4 L.R. 43/2000

  • Non adottavano, se non eventualmente in parte e in maniera insufficiente e inefficace, misure di riduzione del traffico veicolare (considerato dall’l’Inventario Regionale delle Emissioni in Atmosfera - IREA per la Città di Torino la causa principale della componente primaria del particolato, responsabile per circa l’82% della presenza di tale inquinante, con una incidenza maggioritaria da parte della motorizzazione diesel) analoghe a quelle sperimentate da anni e con efficacia da città italiane ed europee, come ad esempio:

  • L’accesso a pagamento in un’area dimensionalmente adeguata del centro città per gli autoveicoli con elevati standard di emissioni e il divieto di accesso per quelli con standard inferiori

  • La promozione del trasporto pubblico cittadino attraverso agevolazioni tariffarie e finanziamenti dedicati, considerato che il TPL è gestito da GTT Spa, controllata attraverso una finanziaria dalla Città di Torino

  • L’incentivazione di servizi di bike-sharing, la distribuzione di bonus per l’acquisito di biciclette, lo sviluppo infrastrutturale di una adeguata rete di piste ciclabili, la limitazione della velocità a 30 km/h nei controviali cittadini e in altre strade

  • L’incremento degli stalli per la ricarica dei veicoli a trazione elettrica

  • Agevolazioni specifiche per quest’ultima tipologia di veicoli

In Torino nelle date in cui ricoprivano il mandato come sopra indicato e fino a tutto il 2019

Con l’intervento delle parti civili:

  • Comitato Torino Respira, domiciliato presso l’avv. Marino CAREGLIO del foro di Torino

  • Associazione Italia Medici per l’Ambiente Isde Italia ODV domiciliata presso l’avv. Letizia BERTOLUCCI del foro di Firenzie

  • Greenpeace Onlus, domiciliata presso l’avv. Alessandro GARIGLIO del foro di Alessandria

MOTIVI DELLA DECISIONE

A seguito dell’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. con decreto di citazione emesso il 25.1.2024, CHIAMPARINO Sergio, VALMAGGIA Alberto, FASSINO Piero Franco Rodolfo, LA VOLTA Enzo, APPENDINO Chiara, GIANNUZZI Stefania e UNIA Alberto sono stati citati a giudizio innanzi a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato di cui in epigrafe.

Nel corso dell’udienza predibattimentale, articolatasi nelle udienze del 18.6.2024 e del 4.7.2024 il p.m. ed i difensori delle parti civili illustravano gli argomenti a sostegno dell’ipotesi di accusa formulata con l’imputazione in epigrafe mentre i difensori degli imputati chiedevano il proscioglimento dei propri assistiti con le formule indicate a verbale; all’esito della discussione il giudice si ritirava in camera di consiglio ed emetteva il dispositivo di sentenza ex art. 554 ter c.p.p..

1. La ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini della decisione

Dalla lettura degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del p.m. emerge una ricostruzione fattuale sostanzialmente incontestata in merito agli elementi che nella prospettiva accusatoria dimostrerebbero, in primo luogo, la materiale sussistenza della fattispecie delittuosa ex art. 452 bis c.p. oggetto del giudizio.

Il personale del NOE CC di Torino delegato dal p.m. su indicazione del consulente tecnico prof. Biggeri ha acquisito i dati relativi alla qualità dell’aria registrati dalle centraline di rilevamento installate nel territorio della città di Torino e gestite a cura dell’A.R.P.A. Piemonte per gli anni ricompresi tra il 2015 ed il 2019 che rilevano nella presente sede. 1

I dati così ricavati, peraltro di pubblico dominio e liberamente consultabili attraverso il sito internet dedicato, 2 offrono delle indicazioni in merito al superamento, in alcuni casi, dei valori limite per la concentrazione nell’aria di determinate sostanze inquinanti in forza delle previsioni di legge vigenti all’epoca dei fatti di causa contenute nell’allegato XI al d.lgs. 155/2010 emesso in attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa.

Ciò si verifica con riferimento a quattro parametri e, specificamente:

  • la concentrazione di PM10 in misura superiore alla media annuale consentita (limite di legge fissato in 40 µg/m3 );

  • la concentrazione di PM10 in misura superiore al valore giornaliero di 50 µg/m3 riscontrata oltre al numero massimo di 35 giorni l’anno;

  • la concentrazione di PM2,5 in misura superiore alla media annuale consentita (limite di legge fissato in 25 µg/m3 );

  • la concentrazione di Biossido di azoto in misura superiore alla media annuale consentita (limite di legge fissato in 40 µg/m3 ).

Le rilevazioni ottenute hanno poi evidenziato, nel medesimo arco temporale, il superamento del valore obiettivo per la protezione della salute umana fissato dall’allegato VII al d.lgs. 155/2010 con riguardo alla concentrazione di Ozononella misura pari a 120 µg/m3 indicata quale media massima giornaliera calcolata su 8 ore e riscontrata oltre al numero massimo di 25 giorni all'anno.

I risultati acquisiti con tale modalità a cura dell’ARPA Piemonte provengono da un’attività di rilevazione eseguita istituzionalmente secondo una metodologia rigorosamente disciplinata, non sono stati oggetto di alcun tipo di osservazione critica nella prospettazione delle difese ed appaiono quindi particolarmente attendibili. Essi possono pertanto costituire un primo dato certo nella ricostruzione della presente vicenda, ferme restando le ulteriori valutazioni in merito alla valenza da attribuire a tali dati che saranno svolte nel prosieguo della trattazione.

Il sistema di misurazione della qualità dell’aria della città di Torino, per quanto interessa i dati significativi in questa sede, si componeva all’epoca dei fatti di causa (e tuttora) di cinque stazioni di rilevamento collocate in aree diverse della città3, così denominate:

  • stazione Consolata (ubicata in via della Consolata 10, in zona centrale);

  • stazione Grassi (sita in via Paolo Veronese angolo via Reiss Romoli, nella zona nord-est della città);

  • stazione Lingotto (sita in via Augusto Monti 21, in zona centro-sud della città);

  • stazione Rebaudengo (sita in piazza Rebaudengo 23 in zona nord-est della città);

  • stazione Rubino (sita in via Edoardo Rubino nella zona sud della città).

Le stazioni Lingotto e Rubino sono impiegate quali stazioni di fondo destinate alla rilevazione dei livelli di fondo di concentrazione degli inquinanti nell’aria in misura non direttamente dipendente dalle variazioni imputabili alle emissioni riconducibili al traffico veicolare mentre le altre tre stazioni sono collocate in zone dove è più intensa la circolazione di veicoli ed i livelli degli inquinanti sono quindi più alti.

La tipologia dei dati raccolti dalle centraline è diversificata in quanto solo la concentrazione del PM10 è rilevata da tutte le stazioni mentre gli altri inquinanti sono oggetto di misurazione da una parte soltanto delle centraline. 4

I dati riscontrati dalle singole centraline di misurazione della qualità dell’aria nel periodo 2015-2019 con riferimento ai parametri delle sostanze inquinanti sopra richiamate sono stati elaborati sia al fine di verificare i casi di superamento dei limiti rilevati da ciascuna centralina singolarmente considerata, sia al fine di individuare un valore medio di concentrazione degli inquinanti nell’aria della città di Torino formato sulla base di tutti i dati complessivamente ottenuti dalle rilevazioni delle cinque centraline.

L’elaborazione di tali dati è stata illustrata nel dettaglio dai consulenti prof. Biggeri e dott. Sera 5 e dall’ing. Francesco Petracchini 6 i quali, nell’ambito di due distinti incarichi di consulenza tecnica, sono giunti all’indicazione di valori sostanzialmente equivalenti salve alcune divergenze nel calcolo dei valori medi di entità del tutto trascurabile ed irrilevante ai fini delle valutazioni che seguiranno.

Al fine di illustrare in termini chiari ed esaustivi quali siano gli elementi ricavati dai sistemi di rilevazione si riportano ora distintamente i dati relativi alle singole sostanze inquinanti per ciascuno degli anni ricompresi nel periodo della contestazione formulata dal p.m..

La rilevazione della concentrazione media giornaliera diPM 10 , con riferimento alla soglia di legge consentita di 40 µg/m3 quale media annuale, è risultata la seguente:

2015: - stazione Grassi 51,97- stazione Rebaudengo 42,6 µg/m3;

- le altre tre stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 40,7 µg/m3;

2016: stazione Grassi 41,7 µg/m3;

- le altre quattro stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge, - il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 35,7 µg/m3;

2017: stazione Consolata 43,0 - stazione Grassi 46,9 - stazione Rebaudengo 45,8 µg/m3;

- le altre due stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 43,3 µg/m3 ;

2018: tutte le stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 33,8 µg/m3;

2019: - tutte le stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 31,4 µg/m3.

La rilevazione del numero di giorni in cui si è superato il limite di concentrazione giornaliero di 50 µg/m3 di PM 10per cui è previsto il limite di legge annuale di 35 giorni di superamento del limite ha dato questi risultati:

2015: stazione Consolata 93 giorni - stazione Grassi 75 giorni - stazione Lingotto 85 giorni - stazione Rebaudengo 101 giorni - stazione Rubino 84 giorni; valore medio 105 giorni8;

2016: stazione Consolata 75 giorni- stazione Grassi 89 giorni - stazione Lingotto 60 giorni - stazione Rebaudengo 74 giorni - stazione Rubino 65 giorni; valore medio 78 giorni;

2017: stazione Consolata 108 giorni- stazione Grassi 112 giorni - stazione Lingotto 101 giorni - stazione Rebaudengo 118 giorni - stazione Rubino 97 giorni; valore medio 113 giorni;

2018: stazione Consolata 55 giorni- stazione Grassi 76 giorni - stazione Lingotto 45 giorni - stazione Rebaudengo 87 giorni -stazione Rubino 33 giorni9; valore medio 67 giorni,

2019: stazione Consolata 45 giorni- stazione Grassi 83 giorni - stazione Lingotto 50 giorni - stazione Rebaudengo 71 giorni - stazione Rubino 42 giorni; valore medio 62 giorni.

La rilevazione della concentrazione media giornaliera diPM 2,510con riferimento alla soglia di legge consentita di 25 µg/m3 quale media annuale, è risultata la seguente:

2015: stazione Lingotto 27,2 - stazione Rebaudengo 27,1 µg/m3;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 29,9 µg/m3;

2016: stazione Rebaudengo 28,7- stazione Lingotto 22,8 µg/m3;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 25,9 µg/m3

2017: stazione Lingotto 27,1 - stazione Rebaudengo 33,4 µg/m3;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 30,2 µg/m3 11

2018: - stazione Rebaudengo 25,0- stazione Lingotto 21,4 µg/m3;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 23,2 µg/m3

2019- stazione Rebaudengo 24,6- stazione Lingotto 19,3 µg/m3;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 21,8 µg/m3.

La rilevazione della concentrazione media giornaliera diBiossido di Azoto (NO2)con riferimento alla soglia di legge di 40 µg/m3 quale media annuale ha offerto i seguenti dati:

2015: stazione Consolata 52,7 - stazione Rebaudengo 67,7 - stazione Rubino 44,2 µg/m3;

- la stazione Lingotto ha fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 50,6 µg/m3;

2016: stazione Consolata 50,2 - stazione Rebaudengo 70,0 µg/m3;

- le altre due stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 48,9 µg/m3;

2017: stazione Consolata 59,1 - stazione Lingotto 40,2 - stazione Rebaudengo 79,8 µg/m3;

- la stazione Rubino ha fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 53,6 µg/m3;

2018: stazione Consolata 52,0 - stazione Rebaudengo 55,9 µg/m3;

- le altre due stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 43,4 µg/m3;

2019: stazione Consolata 53,3 - stazione Rebaudengo 60,0 µg/m3;

- le altre due stazioni hanno fatto registrare valori inferiori alla soglia di legge;

- il valore medio calcolato per la città di Torino è stato determinato in 45,0 µg/m3.

La rilevazione del numero di giorni in cui si è superato il limite di concentrazione media giornaliera di Ozono12con riferimento al valore obiettivo per la protezione della salute umana espresso come media massima giornaliera su 8 ore pari a 120 µg/m3 che non deve essere superato per più di 25 giorni all'anno mostra come tale soglia stata superata nelle annualità oggetto della contestazione nei seguenti termini: 13

2015: stazione Lingotto 57 giorni - stazione Rubino 53 giorni;

2016: stazione Lingotto 44 giorni - stazione Rubino 52 giorni;

2017: stazione Lingotto 38 giorni - stazione Rubino 43 giorni;

2018: stazione Lingotto 47 giorni - stazione Rubino 47 giorni;

2019: stazione Lingotto 61 giorni - stazione Rubino 51 giorni.

Nella valutazione dei dati relativi all’Ozono illustrata dal c.t. prof. Biggeri è stata peraltro determinata una concentrazione media giornaliera dell’inquinante oscillante intorno ai 40 µg/m3 14 mentre la lettura delle singole rilevazioni mostra picchi di concentrazione in misura superiore ai 120 µg/m3 in casi estremamente limitati e non superiori, in ogni caso, a n.5 occasioni che si riscontrano per la sola stazione Lingotto nell’anno 2015. 15

I dati sin qui elencati costituiscono quindi la base fattuale da cui partire per verificare, in primo luogo, la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie di reato in contestazione.

Non si ritiene per contro di alcuna utilità riportare gli ulteriori esiti delle indagini svolte sotto il profilo della possibile incidenza del superamento dei limiti di legge relativi ad alcune sostanze inquinanti rispetto alla verificazione di decessi e malattie. 16

Tale aspetto si estende infatti a temi che esulano dall’oggetto del giudizio essendosi chiarito da parte del p.m. nel corso dell’udienza predibattimentale come le indicazioni contenute nell’imputazione in merito alle conseguenze sulla salute delle persone attribuite all’incidenza dei parametri relativi agli inquinanti PM10, PM2,5 e Biossido di Azoto non costituiscano oggetto di contestazione nei confronti degli imputati (dovendosi configurare di fatto in tal caso la fattispecie aggravata ai sensi dell’art. 452 ter c.p.) in ragione della natura degli accertamenti svolti sul punto sotto un profilo epidemiologico e statistico non ritenuti idonei, nella stessa valutazione data dai rappresentanti dell’Accusa, a dimostrare il nesso casuale tra i fatti di inquinamento in contestazione e la verificazione di decessi e/o lesioni personali ai danni delle persone esposte all’inquinamento dell’aria.

Il tema in questione risulta in definitiva estraneo rispetto all’oggetto dell’imputazione delimitata alla fattispecie prevista dall’art. 452 bis c.p. e rende superflua l’esposizione di quanto approfondito sul punto nelle relazioni svolte dai c.t. Biggeri e Sera.

Sempre con riguardo alla ricostruzione fattuale nei limiti che rilevano ai fini della decisione va poi sinteticamente osservato che le qualifiche attribuite a ciascun imputato con specifico riferimento ai ruoli istituzionali svolti in seno, rispettivamente, alla Regione Piemonte o al comune di Torino sono documentalmente provate sulla base delle acquisizioni effettuate a cura del NOE dei Carabinieri e sono del tutto incontestate, non ponendosi quindi alcun dubbio sul punto.

2. La fattispecie di inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p.

La legge 22 maggio 2015, n. 68 ha introdotto nel codice penale il nuovo titolo VI-bis dedicato ai delitti contro l’ambiente ed ha in tal modo integrato il sistema normativo attinente alla materia ambientale che si compone ora di due sottosistemi.

Il primo è costituito dalle disposizioni contenute nel d.lgs. 152/2006 (T.U. in materia ambientale) che, nel dettare una disciplina organica anche in riferimento alla tutela delle singole componenti ambientali, prevede una serie di contravvenzioni contro l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo e modella tali fattispecie sullo schema dei reati di mera condotta e di pericolo astratto sanzionando la violazione delle regole amministrative dettate per la gestione dell’ambiente e delle attività che possono incidere negativamente su di esso.

Il secondo sottosistema calato all’interno del codice penale è basato in prevalenza sulla previsione di delitti di evento e di danno ed è finalizzato alla tutela dell’ambiente contro le forme di inquinamento più gravi. Il legislatore ha inteso in tal modo offrire una risposta sanzionatoria rispetto ai comportamenti più aggressivi ai danni dei beni ambientali che, anteriormente alla riforma del 2015, non erano inquadrabili in alcuna specifica fattispecie delittuosa se non in quella del c.d. disastro “innominato” prevista dall’art. 434 c.p. (anche nella forma colposa in applicazione dell’art. 449 c.p.) dando luogo tuttavia nella pratica giudiziaria a numerose e gravi problematiche interpretative e di ordine probatorio.

Il delitto di inquinamento ambientale disciplinato dall’art. 452 bis c.p. è la prima tra le fattispecie che compongono il nuovo titolo VI bis introdotto all’interno del codice penale e sanziona “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sotto-suolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.”

La lettura della disposizione incriminatrice mostra innanzitutto come il legislatore, a differenza di quanto praticato nelle ipotesi contravvenzionali contenute nel d.lgs.152/2006 imperniate in prevalenza sull’esercizio di attività inquinanti in mancanza della necessaria autorizzazione ovvero in superamento di determinati valori soglia da rispettare, ha costruito la fattispecie ex art. 452 bis c.p. come delitto di evento e di danno.

L’evento del reato previsto e punito dall’art. 452 bis c.p. è descritto mediante un riferimento alla compromissione o al deterioramento dei singoli elementi che compongono l’ambiente nominativamente individuati (acque, aria, suolo e sottosuolo), di un ecosistema ovvero della biodiversità, anche agraria, della flora e della fauna.

Parte della dottrina che ha analizzato la fattispecie delittuosa in questione ne ha criticato la formulazione non priva di aspetti di vaghezza e destinata ad incontrare difficoltà di applicazione nella pratica rispetto alla prova di un evento descritto in termini inafferrabili o comunque generici. 17

L’utilizzo alternativo dei termini “compromissione” e “deterioramento” è frutto di un lungo dibattito di cui si trova ampia traccia nei lavori preparatori che hanno portato all’approvazione della l. legge 22 maggio 2015, n. 68 e nel corso dei quali si era proposto di considerare il deterioramento come un'alterazione dell'ambiente reversibile attraverso processi rigenerativi naturali, differenziandolo dalla compromissione consistente in un'alterazione reversibile solo attraverso un'attività umana di bonifica o di ripristino.

Sotto il profilo lessicale l’uso del termine “compromissione” richiama in effetti una situazione tendenzialmente “irrimediabile”, quale sinonimo di “compromessa”, ed uno stato di cose caratterizzato da un pregiudizio sicuramente più accentuato rispetto al “deterioramento” che pure integra l’evento di reato in termini di alternatività.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha elaborato sin dai primi anni di applicazione della fattispecie ex art. 452 bis c.p. una serie di criteri interpretativi utili a delineare i confini ed il contenuto del nuovo delitto di inquinamento ambientale e si è più volte soffermata sul significato da attribuire ai termini utilizzati dal legislatore per descrivere l’evento chiarendo che “la "compromissione" si sostanzia in uno squilibrio che attiene alla relazione del bene aggredito (…) con l'uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (c.d. "squilibrio funzionale", incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale o dell'ecosistema), mentre il "deterioramento" consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile, il valore o da impedirne anche parzialmente l'uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole (c.d. "squilibrio strutturale", caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità di questi ultimi)“ (cfr. Cass. 27.9.2023 n. 39195).

Tanto la compromissione quanto il deterioramento del singolo bene ambientale devono essere "significativi" e "misurabili" perché lo squilibrio, funzionale o strutturale che sia nei termini appena chiariti, possa assumere rilevanza penale.

Il carattere della “significatività”, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, richiama una valutazione di ordine qualitativo, mentre il requisito della “misurabilità“ attiene ad un dato più marcatamente quantitativo e, tuttavia, la fattispecie ex art. 452 bis c.p. non contiene alcun riferimento a limiti previsti da specifiche disposizioni né a particolari metodiche di analisi che debbano essere applicate nell’ambito del giudizio attinente al carattere significativo e misurabile della compromissione e/o del deterioramento del singolo fattore ambientale.

L’assenza di richiami espressi a limiti normativi e metodi di analisi che caratterizza il contenuto della fattispecie di inquinamento ambientale ha indotto la giurisprudenza ad escludere l'esistenza di un vincolo assoluto per l'interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore di volta in volta rilevante e, tuttavia, si è sottolineato come tali parametri debbano comunque rappresentare “un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi” (cfr. Cass. 27.9.2023 n. 39195 in motivazione).

In applicazione di tali criteri l’interprete non potrà quindi limitarsi a verificare se siano stati superati i limiti normativi previsti, ad esempio, con riferimento alle soglie di concentrazione di determinati fattori inquinanti, ma occorrerà verificare anche di quanto siano state oltrepassate eventuali soglie, con riferimento a quanti parametri e per quanto tempo. 18

Deve quindi ribadirsi, come sottolineato anche dalla dottrina, che l’evento di danno richiesto per l’integrazione del delitto ex art. 452 bis c.p. tanto nella forma della compromissione quanto in quella del deterioramento non si realizza col mero superamento dei valori-soglia fissati in relazione alle singole matrici ambientali ma deve corrispondere ad una soglia di offesa superiore e ad una lesione effettiva e non fugace del bene ambientale aggredito.

Il singolo bene ambientale che viene in evidenza nel presente giudizio è quello dell’aria ed è quindi rispetto ad esso che andrà valutata in concreto l’integrazione dell’evento delittuoso di danno richiesto dalla fattispecie incriminatrice.

Trattandosi di reato di evento a forma libera, la materialità delle condotte che vanno ad incidere negativamente sull’ambiente danneggiandolo con le modalità significative e misurabili richieste dalla disposizione ex art. 452 bis c.p. può assumere le forme più diverse a seconda del bene di volta in volta aggredito.

Tali condotte possono quindi consistere, ad esempio, nel deposito di materiali contaminanti, nello sversamento di sostanze inquinanti nei corpi idrici ma anche mediante altre forme di inquinamento attuate per mezzo di sostanze chimiche o radioattive e, più in generale, con qualsiasi comportamento che determini un peggioramento delle matrici ambientali elencate al punto 1) del primo comma dell’art. 452 bis c.p. ovvero degli ulteriori elementi (ecosistema, biodiversità, flora e fauna) che completano al punto 2) di tale disposizione il catalogo dei beni protetti dalla norma incriminatrice. 19

Vertendosi nel caso di specie del bene ambientale costituito dall’aria, la condotta potenzialmente generatrice del danno non può che consistere nelle emissioni in atmosfera di sostanze che incidano in negativo sulla composizione dell’aria atmosferica sino a causarne la compromissione ovvero il deterioramento.

L’estrema particolarità del caso in esame è tuttavia data dal fatto che la condotta materiale contestata agli imputati non consiste affatto nella materiale produzione delle emissioni inquinanti che, nell’ipotesi di accusa, avrebbero causato l’evento dannoso.

Le emissioni materialmente causative dell’inquinamento oggetto del giudizio derivano infatti dalla sommatoria di una serie indefinita di sorgenti produttive dei plurimi agenti inquinanti menzionati nell’imputazione.

Tali sorgenti si identificano principalmente negli scarichi degli impianti produttivi e di riscaldamento operanti nella città di Torino e nell’area metropolitana ad essa circostante, negli scarichi dei mezzi di trasporto, pubblici e privati, dotati di motorizzazione a benzina o a gasolio circolanti nella stessa area e nelle ulteriori e svariate fonti di produzione di sostanze inquinanti che sono comunemente presenti all’interno di ogni città e del tessuto produttivo ad essa correlato anche oltre gli stretti confini del territorio cittadino. E’ infatti evidente come le peculiari caratteristiche fisiche del fenomeno dell’inquinamento atmosferico rendano assai difficile, se non impossibile, inquadrare le dinamiche di tale fenomeno entro confini – quelli della città di Torino della cui qualità dell’aria si tratta - utili a delimitare la superficie del suolo ma non certo l’atmosfera sovrastante ad esso.

Così chiarita la prospettiva del tutto peculiare in cui risulta inquadrata la condotta ascritta agli imputati, va osservato che quanto meno in termini generali ed astratti la realizzazione dell’evento dannoso di inquinamento può essere cagionato, oltre che attraverso una condotta attiva, anche mediante un comportamento omissivo secondo i principi generali applicabili ai reati di evento a forma libera nei quali rientra la fattispecie ex art. 452 bis c.p..

Ciò presuppone evidentemente che ai soggetti chiamati a rispondere del delitto nella forma del reato omissivo improprio sia addebitabile il mancato impedimento dell’evento in applicazione della clausola generale ex art. 40 cpv. c.p..

Si ritiene tuttavia opportuno nell’economia della decisione rinviare al prosieguo della trattazione la disamina di tale aspetto per verificare in primo luogo se l’evento tipico richiesto dalla fattispecie possa ritenersi effettivamente integrato o meno in termini strettamente naturalistici qualora si accedesse all’impostazione accusatoria che, come si vedrà, valorizza i dati relativi al superamento obiettivo di determinati limiti di legge relativi alla qualità dell’aria della città di Torino, originato da un processo causale multifattoriale e non ascrivibile a soggetti determinati, e identifica in esso l’integrazione dell’evento tipico del delitto di inquinamento ambientale ponendolo a carico dei soggetti citati a giudizio.

3. Il sistema normativo del d.lgs. 155/2010 ed i valori limite di concentrazione degli inquinanti nell’aria ambiente.

L’esistenza di valori limite relativi alle sostanze inquinanti menzionate nell’imputazione si ricava dalla lettura di alcune disposizioni contenute nel d.lgs. 13.8.2010 n. 155 emanato in attuazione della direttiva 2008/50/Ce relativa “alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa” .

Con l’approvazione in data 21.5.2008 del provvedimento citato, il legislatore comunitario ha inteso unificare la disciplina in precedenza affidata a diverse direttive di settore ed ha istituito una serie di misure volte innanzitutto a definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso, 20 nonché al fine di mantenere la qualità dell’aria ambiente, ove sia buona e di migliorarla negli altri casi. 21

Il d.lgs. 155/2010 ha recepito le indicazioni provenienti dalla fonte sovranazionale ed ha posto le fondamenta di un impianto normativo volto a raggiungere gli scopi prefissati dalla direttiva 2008/50/Ce mediante l’istituzione di un sistema di valutazione e gestione della qualità dell’aria fondato sul rispetto di standard qualitativi omogenei su base nazionale ed assicurato, in concreto, dalla raccolta di dati relativi alla valutazione della qualità dell’aria basata sulla suddivisione del territorio in zone omogenee e sulla creazione di una rete di stazioni di misurazione soggette alla gestione o al controllo pubblico. 22

Il decreto attuativo stabilisce, tra gli altri, i valori limite per le concentrazioni nell’aria ambiente di sette sostanze inquinanti specificamente individuate: Biossido di zolfo, Biossido di azoto, Benzene, Monossido di carbonio, Piombo, PM10 e PM2,5 23 e definisce il valore limite quale il “livello fissato in base alle conoscenze scientifiche al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso, che deve essere raggiunto entro un termine prestabilito e in seguito non deve essere superato.” 24

L’allegato XI al d.lgs. 155/2010 fissa i valori limite per le sostanze inquinanti interessate dalla contestazione del p.m. (Biossido di azoto, PM10 e PM 2,5) in termini distinti e basati, quanto al Biossido di azoto ed al PM 2,5, sulla fissazione del limite di concentrazione nell’aria del singolo inquinante che non deve essere superato rispetto ad un valore medio annuale fissato, rispettivamente, in 25 µg/m3 per il PM 2,5 ed in 40 µg/m3 per il Biossido di azoto.

In relazione al Biossido di azoto è altresì stabilita una soglia di allarme – definita in termini generali quale “livello oltre il quale sussiste un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per la popolazione nel suo complesso ed il cui raggiungimento impone di adottare provvedimenti immediati” 25 qualora si raggiunga una concentrazione dell’inquinante pari a 400 µg/m3 (e quindi in misura pari a dieci volte il valore limite). 26

Con riferimento al PM10 il legislatore ha fissato un doppio limite, sia giornaliero che annuale, ed ha fissato in 50 µg/m3 la soglia di concentrazione che non deve essere superata su base quotidiana per più di 35 volte l’anno ed in 40 µg/m3 il valore medio annuale da non oltrepassare.

La rilevanza del superamento dei valori limite così definiti e quantificati dal legislatore si ricollega al sistema introdotto dal d.lgs. 155/2010 che si incentra sull’adozione di appositi piani contenenti le misure necessarie ad agire sulle principali sorgenti di emissione aventi influenza sulle aree di superamento ed a ricondurre la soglia di concentrazione delle sostanze inquinanti entro il valore limite “nel più breve tempo possibile.” 27

La competenza ad adottare i piani finalizzati al rispetto dei valori limite è attribuita dal legislatore nazionale alle regioni ed alle province autonome al cui interno sono situate le zone interessate dal superamento dei livelli degli inquinanti di cui all’articolo 1, comma 2 d.lgs.155/2010.

Quanto al contenuto di detti piani, l’art. 11 d.lgs. 155/2010 elenca una serie di misure che tipicamente possono integrare l’essenza dello strumento pianificatorio ideato dal legislatore per prevenire o contenere le emissioni di diversa natura che concorrono a produrre il superamento dei valori limite. Tali misure possono prevedere, tra gli altri, criteri per la limitazione della circolazione dei veicoli a motore, la fissazione di valori limite di emissione per determinate tipologie di impianti, limiti e condizioni per l’utilizzo di combustibili, nonchè prescrizioni di altra natura secondo l’articolata elencazione contenuta al primo comma della disposizione citata.

Si deve osservare a questo punto che con riguardo all’ Ozono il legislatore ha delineato una disciplina diversa e, a differenza delle sette sostanze inquinanti in precedenza elencate, non ha fissato per esso alcun valore limite ma, piuttosto, ha stabilito per esso il valore obiettivo (definito in termini generali quale “livello fissato al fine di evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana o per l'ambiente nel suo complesso, da conseguire, ove possibile, entro una data prestabilita” 28), gli obiettivi a lungo termine, le soglie di allarme e le soglie di informazione (cfr. art. 1, 3° comma d.lgs. 155/2010).

Coerentemente a tale diverso inquadramento, la pianificazione disciplinata dall’art. 11 d.lgs. 155/2010 che trova il proprio fondamento nel superamento dei valori limite fissati dall’allegato XI del d.lgs. 155/2010 non ha alcuna correlazione con l’eventuale deviazione dei limiti di concentrazione dell’ozono rispetto alle soglie dei valori obiettivo previste dal legislatore per questo diverso inquinante all’allegato VII del decreto. 29

Il richiamo contenuto nell’imputazione all’esistenza di un obbligo di adozione del piano previsto dall’art. 9 d.lgs. 155/2010 anche in riferimento al superamento dei valori obiettivo dell’ozono appare quindi improprio dovendosi sottolineare come la gestione della qualità dell’aria ambiente in relazione all’ozono trovi una distinta disciplina nell’art. 13 d.lgs. 155/2010 che, in caso di superamento dei valori obiettivo fissati per l’ozono, affida alle regioni l’adozione di “misure che non comportano costi sproporzionati necessarie ad agire sulle principali sorgenti di emissione aventi influenza su tali aree ed a perseguire il raggiungimento dei valori obiettivo nei termini prescritti” 30 .

Anche tali misure, per espressa previsione legislativa, devono essere previste all’interno di un piano che è tuttavia distinto dai piani di qualità dell’aria di cui all’articolo 9 del decreto incentrati anzitutto sul rispetto dei valori di limite degli inquinanti diversi dall’ozono tanto che il legislatore ha espressamente previsto l’integrazione dei due diversi strumenti pianificatori. 31

Una corretta lettura dell’impianto normativo induce quindi sin da ora ad escludere che alla circostanza del superamento dei valori obiettivo fissati per la concentrazione di ozono nell’aria possa essere attribuita la medesima valenza che, nell’ipotesi di accusa, è stata associata al mancato rispetto dei valori limite delle sostanze inquinanti diverse dell’ozono. Ciò sia in ragione della diversa portata che rivestono le nozioni di “valore limite” e di “valore obiettivo” nella definizione di tali termini data dal legislatore nazionale e, prima ancora, da quello comunitario, con l’evidente attribuzione di una cogenza più pregnante del valore-limite rispetto al valore-obiettivo, sia in relazione ai distinti compiti affidati alle regioni in tema di pianificazione in conseguenza del superamento dei diversi valori individuati per l’ozono e per le altre sostanze inquinanti nei termini appena esposti.

Si osserva infine che nella disamina dei dati ricavati dal sistema di rilevazione della qualità dell’aria non si terrà conto dei diversi e più restrittivi parametri contenuti nelle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità menzionati nell’imputazione con riferimento ai livelli di concentrazione di PM10 e PM2,5: si tratta infatti di indicazioni sprovviste di efficacia normativa rispetto alle quali non possono che prevalere i diversi limiti dettati dalla disciplina comunitaria e nazionale vigente.

4. Il superamento dei limiti di legge e la valutazione dell’evento di danno della fattispecie ex art. 452 bis c.p..

Dopo avere chiarito quali siano, da un lato, i criteri interpretativi da adottare al fine di accertare la verificazione dell’evento tipico della fattispecie di inquinamento ambientale e, dall’altro, gli elementi fattuali da valutare alla luce di detti criteri, è ora necessario accertare se, ed in quali termini, il superamento dei limiti di legge fissati per la concentrazione nell’aria di determinati inquinanti possa integrare l’elemento tipico della compromissione e/o del deterioramento dello specifico bene ambientale costituito, nel caso di specie, dall’aria.

Richiamando i dati in precedenza illustrati, la lettura delle rilevazioni effettuate dalle centraline installate nella città di Torino mostra i seguenti esiti con riferimento, innanzitutto, ai limiti di legge relativi ai valori medi di concentrazione degli inquinanti nell’aria:

  • il limite di legge relativo alla media annuale di concentrazione del PM10fissato in 40 µg/m3 è stato superato, nel valore medio determinato per la città di Torino, negli anni 2015 e 2017 mentre è risultato inferiore alla soglia di legge negli anni 2016, 2018 e 2019;

  • l’entità dello scostamento del valore medio di concentrazione del PM10 dalla soglia di legge per gli anni 2015 e 2017 è inferiore al 10% oltre al limite di legge non oltrepassando mai il valore di 44 µg/m3 ;

  • nessuna delle singole stazioni di rilevamento ha mai fatto registrare valori di concentrazione del PM10 in misura superiore ad uno scostamento del 25% dalla soglia (misura determinabile in 50 µg/m3 ); 32

  • il limite di legge relativo alla media annuale di concentrazione del PM2,5 fissato in 25 µg/m3 è stato superato, nel valore medio determinato per la città di Torino, negli anni 2015, 2016 e 2017 mentre è risultato inferiore alla soglia di legge negli anni 2018 e 2019;

  • l’entità dello scostamento del valore medio di concentrazione del PM2,5 dalla soglia di legge per gli anni 2015, 2016 e 2017 è contenuta entro il 20% 33 ed è comunque sempre inferiore al 25% oltre al limite di legge non oltrepassando mai il valore di 31,25 µg/m3 ;

  • la sola stazione di rilevamento Rebaudengo ha fatto registrare valori di concentrazione del PM2,5 in misura superiore ad uno scostamento del 25% dalla soglia in un’unica occasione nell’anno 2017 quando si è registrato un valore medio di 33,4 µg/m3 ;

  • il limite di legge relativo alla media annuale di concentrazione del Biossido di Azoto fissato in 40 µg/m3 è stato superato, nel valore medio determinato per la città di Torino, in tutte le annualità dal 2015 al 2019;

  • l’entità dello scostamento del valore medio di concentrazione del Biossido di Azoto dalla soglia di legge per gli anni 2018 e 2019 è inferiore al 10% oltre al limite di legge non oltrepassando mai il valore di 44 µg/m3 e ha oltrepassato di oltre il 25% la soglia unicamente nel 2017;

  • la stazione di rilevamento Rebaudengo ha fatto registrare gli scostamenti più significativi oltre al 50% dalla soglia negli anni 2015, 2016 e 2017 e, in quest’ultima annualità, ha sfiorato il limite del 100% rispetto al limite di legge (quantificabile in 80 µg/m3) giungendo ad una concentrazione di 79,8 µg/m3;

  • le altre stazioni di rilevamento non hanno mai fatto registrare scostamenti superiori al 50% oltre ai limiti di legge (misura quantificabile in 60 µg/m3);

  • il raggiungimento della soglia di allarme corrispondente ad una concentrazione di 400 µg/m3 prevista specificamente per il Biossido di azoto non risulta mai verificatosi.

Con riferimento ai diversi parametri collegati all’individuazione di un numero massimo di giorni oltre i quali non possono essere superati determinati valori di concentrazione giornaliera della sostanza inquinante nell’arco di un anno solare – parametri fissati per il PM10 e l’Ozono nei termini in precedenza esposti – gli esiti delle rilevazioni mostrano in sintesi che:

  • il limite di legge relativo ai valori di concentrazione giornaliera del PM10 nella misura massima di 50 µg/m3 per 35 giorni l’anno è stato superato, nel valore medio determinato per la città di Torino, in tutte le annualità dal 2015 al 2019;

  • l’entità dello scostamento dalla misura massima dei giorni di sforamento consentiti è risultata particolarmente elevata negli anni 2015 e 2017 in cui ha rispettivamente raggiunto e di poco superato il triplo della soglia di legge (pari a 35 giorni x3= 105 giorni), superiore al doppio nel 2016 e di poco inferiore al doppio nelle annualità 2018 e 2019;

  • la medesima tendenza si osserva rispetto alle singole stazioni di rilevamento che hanno fatto registrare un numero più elevato di giorni caratterizzati dal superamento del limite annuale di 35 giorni negli anni 2015 e 2017 e, in ogni caso, tutte le centraline di rilevamento hanno superato il limite di legge con la sola eccezione della stazione Rubino per l’annualità 2018;

  • la misura dello sforamento oltre la soglia massima di concentrazione del PM10 nella misura di 50 µg/m3 che si registra è assai variabile ma in alcuni casi, pur se limitati ad alcuni giorni l’anno, raggiunge ed oltrepassa il doppio della soglia determinabile in 100 µg/m3; 34

  • il limite di legge relativo al valore obiettivo dell’ Ozono con riferimento alla media massima giornaliera di 120 µg/m3 per 25 giorni l’anno è stato superato, nei valori registrati dalle stazioni Lingotto e Rubino, in tutte le annualità dal 2015 al 2019;

  • l’entità dello scostamento dalla misura massima dei giorni di sforamento consentiti è risultata particolarmente elevata negli anni 2015 e 2019 in cui ha raggiunto e di poco superato il doppio della soglia di legge (pari a 25 giorni x2= 50 giorni) mentre è risultata inferiore al doppio nelle annualità 2016, 35 2017 e 2018.

Così riepilogate le risultanze delle rilevazioni relative a ciascuna sostanza inquinante per i periodi interessati dalla contestazione, vanno a questo punto formulate alcune osservazioni in merito alla portata che debba attribuirsi al superamento dei limiti di legge fissati per tali sostanze applicando al caso di specie i principi delineati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all’entità ed alla frequenza degli scostamenti riscontrati.

Tra le diverse sostanze inquinanti che nell’ipotesi di accusa hanno concorso a causare il deterioramento dell’aria della città di Torino, i limiti di legge relativi alla concentrazione del PM10 risultano essere stati violati, quanto alla soglia media annuale di 40 µg/m3 calcolata con riguardo all’intera città, nei soli anni 2015 e 2017 ed in una misura minimale non avendo mai lo sforamento raggiunto una percentuale del 10% oltre il limite di legge.

I limiti di legge relativi alla soglia media annuale di 25 µg/m3 del PM2,5 relativa all’intera città risultano essere stati violati negli anni 2015, 2016 e 2017 ma in una misura piuttosto contenuta che non ha mai oltrepassato il 25% oltre il limite di legge.

Il superamento del limite di legge relativo alla concentrazione di Biossido di Azoto fissato in 40 µg/m3 è stato superato, nel valore medio determinato per la città di Torino, in tutte le annualità dal 2015 al 2019 ma, analogamente a quanto osservato rispetto alle soglie del PM2,5 l’entità dello scostamento non ha mai oltrepassato di oltre il 25% la soglia se non nel 2017 e, anche in tal caso, il dato pari a 53,6 µg/m3 determinato quale media annuale integra comunque uno scostamento contenuto rispetto ai valori di legge.

Lo sforamento del limite di legge annuale relativo al numero massimo di giorni nei quali si presenta una concentrazione giornaliera di PM10 superiore a 50 µg/m3 costituisce invece una costante lungo tutto l’arco temporale della contestazione e, al contrario di quanto osservato rispetto alla violazione degli altri parametri, si caratterizza per la significatività dello scostamento riscontrato negli anni rispetto ai limiti normativi.

Quanto all’entità del superamento del limite massimo di concentrazione giornaliera previsto per il PM10, essa si è manifestata nella maniera più accentuata connotata dal raggiungimento di valori pari o superiori al doppio del limite di concentrazione di 50 µg/m3 in un numero di giorni superiore a dieci nell’arco dell’anno solare negli anni 2015, 2016 e 2017 per poi ripresentarsi in misura nettamente inferiore nel 2018 e nel 2019.

Lo sforamento dei limiti di concentrazione del PM10 in misura doppia al valore soglia si è poi presentato per almeno cinque giorni consecutivi in un unico caso tra il 21.12.2017 ed il 25.12.2017.

Con riguardo infine allo sforamento del limite di legge relativo al valore obiettivo dell’ Ozono rispetto alla media massima giornaliera di 120 µg/m3 per 25 giorni l’anno deve sottolinearsi come si tratti di circostanza alla quale, come chiarito in precedenza, non può attribuirsi la medesima valenza data al superamento dei valori limite fissati dall’Allegato XI del d.lgs. 155/2010 per le concentrazioni degli inquinanti elencati all’art, 2, lett. a) del decreto.

La registrazione di una concentrazione di Ozono in misura più elevata rispetto ai valori obiettivo si manifesta poi unicamente nei periodi estivi e quindi in un frangente temporale del tutto distinto rispetto a quello in cui si collocano gli sforamenti dei valori limite degli altri inquinanti, tendenzialmente ricompresi tra i mesi di ottobre e febbraio come ricavabili dai dati acquisiti dall’ARPA.

Tale circostanza impedisce quindi di valutare congiuntamente gli effetti sulla qualità dell’aria dati da elevate concentrazioni di Ozono unitamente ad alti livelli di PM10, PM2,5 e Biossido di Azoto trattandosi di evenienza che, nei fatti, non si è mai presentata visti i diversi periodi temporali in cui tali sostanze sono rispettivamente presenti.

Venendo alle conclusioni che devono trarsi rispetto alla verificazione dell’ evento di inquinamento descritto dalla fattispecie incriminatrice ex art. 452 bis c.p. devono a questo punto formularsi alcune osservazioni in merito all’effettiva portata dei dati relativi alla qualità dell’aria della città di Torino sin qui illustrati.

La raccolta dei dati registrati dalle centraline che compongono il sistema di controllo della città torinese consente senz’altro di affermare che il deterioramento dell’aria che costituisce il bene ambientale di cui si tratta sia misurabile nell’accezione prevista dalla disposizione codicistica e sia anzi stato quotidianamente misurato. Non vi è quindi alcun dubbio circa il fatto che i valori di concentrazione di determinati inquinanti registrati dai sistemi di rilevazione possono costituire una valida base di partenza per giudicare in merito all’integrazione dell’evento tipico offrendo un dato espresso in termini obiettivi e misurabili corrispondentemente alla volontà del legislatore.

La misurabilità ed anzi la misurazione dei dati lungo tutto l’arco temporale della contestazione offre poi una serie di elementi utili a giudicare se all’ipotizzato deterioramento dell’aria possa attribuirsi il carattere della significativitàrichiesto dalla norma incriminatrice secondo una valutazione che non può non tenere conto anche delle indicazioni offerte dalla normativa dettata in tema di qualità dell’aria ambiente contenuta nel d.lgs. 155/2010 già diffusamente richiamato.

Come precedentemente anticipato, l’art. 2, 1°comma lett. a) e l’Allegato XI del decreto fissano i valori limite per sette sostanze inquinanti specificamente elencate e tale scelta del legislatore impone che un giudizio in merito alla qualità, e quindi all’eventuale deterioramento, del bene ambientale dell’aria non possa che fondarsi in primo luogo su un’analisi complessiva in merito alla presenza ed eventuale compresenza di dette sostanze nell’aria.

In applicazione di tali criteri si ritiene che la valutazione debba portare a distinguere, da un lato, i casi in cui nell’aria si presentino concentrazioni elevate, oltre i limiti di legge, di più inquinanti (sino al caso estremo in cui l’aria sia contaminata dalla contemporanea presenza di tutte e sette le sostanze elencate in misura superiore a quella consentita) e, dall’altro, i casi in cui soltanto uno solo o comunque una parte minimale di tali inquinanti caratterizzino la composizione dell’aria.

I valori tabellari riferiti ai limiti di concentrazione dell’aria delle sostanze inquinanti di cui si tratta costituiscono del resto dei valori precauzionali al cui superamento non corrisponde affatto l’automatica dimostrazione della verificazione di un danno effettivo all’ambiente. 36

La fissazione di un’autonoma serie di valori di concentrazione degli inquinanti dal cui superamento potrebbe farsi discendere la causazione, quanto meno, di un deterioramento dell’aria presupporrebbe del resto un’autonoma produzione normativa che allo stato non è stata introdotta e che dovrebbe essere preceduta da una complessa e lunga raccolta di dati scientifici in una prospettiva che, pur se auspicata dalla dottrina che si è più approfonditamente dedicata alla ricerca di soluzioni utili a coniugare le esigenze di tutela dell’ambiente con le altrettanto insopprimibili esigenze di certezza circa i confini dell’illecito penale, appare allo stato difficilmente realizzabile.

Calando tali principi orientativi alla fattispecie in esame, il superamento dei livelli di concentrazione degli inquinanti nell’aria della città di Torino rispetto ai valori limite ha interessato tre delle sette sostanze elencate dal legislatore (PM10, PM2,5 e Biossido di Azoto).

Gli sforamenti si sono manifestati secondo una proporzione ed una durata e frequenza temporale che possono considerarsi di significatività tale da comportare un deterioramento dell’aria in termini penalmente rilevanti in relazione al solo dato relativo al superamento del numero massimo di giorni consentiti per una concentrazione di PM10 in misura superiore ai 50 µg/m3 nel corso dell’anno solare che caratterizza l’intero arco temporale della contestazione pur se con una marcata tendenza discendente negli anni successivi al 2017.

Richiamato quanto già in precedenza esposto circa la contenuta entità del superamento dei valori limite previsti per il Biossido di Azoto ed il PM 2,5 va infatti sottolineato che anche rispetto al PM10 il superamento della diversa soglia relativa al valore medio annuale di concentrazione per tale inquinante si è verificato, tra il 2015 ed il 2017, in misura minimale e quindi insufficiente ai fini dell’integrazione dell’evento tipico richiesto dalla norma incriminatrice.

In forza delle considerazioni sin qui esposte l’integrazione dell’evento descritto dalla norma incriminatrice può in definitiva ritenersi sussistente dal punto di vista oggettivo con riguardo, unicamente, al costante superamento del valore limite dettato dal legislatore in merito al numero massimo di 35 giorni consentiti nel corso dell’anno solare per una concentrazione di PM10 in misura superiore ai 50 µg/m3.

L’integrazione obiettiva dell’evento naturalistico richiesto dalla disposizione incriminatrice, pur se riscontrabile in termini assai più ristretti rispetto alla più ampia contestazione dal p.m. e non senza margini di opinabilità, rende necessaria la disamina di ulteriori aspetti peculiari alla fattispecie concreta in esame.

Tali aspetti, come si vedrà, portano ad escludere la sussistenza del reato ipotizzato sotto altri e diversi profili attinenti all’elemento oggettivo che devono essere a maggior ragione valutati con particolare rigore in un caso, come quello in esame, che presenta marcate criticità che attengono all’evento naturalistico.

5. La responsabilità per omesso impedimento dell’evento di inquinamento ambientale

La formulazione della fattispecie incriminatrice nei termini di reato a forma libera consente, come si è anticipato, di configurare il delitto ex art. 452 bis c.p. anche mediante la tenuta di un comportamento omissivo ipotizzata dal p.m. con il ricorso alla clausola prevista dall’art.40 cpv. c.p. e cioè con il mancato impedimento dell’evento dannoso di inquinamento da parte di chi abbia l’obbligo giuridico di impedire tale evento.

Tale configurazione ha trovato riscontro, per quanto sporadico, anche nella pratica giudiziaria che ha visto, tra le altre, l’affermazione, anche in sede di legittimità, della penale responsabilità del dirigente del settore ambiente ed ecologia di un comune per un’ipotesi di inquinamento colposo delle acque riconducibile alla cattiva gestione di una discarica affidata all’amministrazione comunale e fondata sulla tenuta di condotte omissive colpose ai sensi degli artt. 452 bis e 452 quinquies c.p. (cfr. Cass. 27.9.2023 n. 39195).

Il tema in esame investe la complessa problematica della posizione di garanzia che trova il proprio fondamento normativo nella disposizione generale posta dall’art. 40 cpv. c.p. in merito alla quale la giurisprudenza ha stabilito nel tempo alcuni capisaldi ed ha chiarito, con specifico riferimento ai reati omissivi colposi tra i quali rientra il delitto in contestazione, che la posizione di garanzia può essere generata da un’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante.

In entrambi i casi va accertata in concreto l’effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo 37 nelle ipotesi in cui la posizione qualificata generi in capo al garante obblighi di controllo ovvero del potere-dovere di tutelare un determinato bene da tutte le possibili fonti di pericolo nei casi in cui la posizione di garanzia dia origine, piuttosto, ad un obbligo di protezione .

La posizione di garanzia assegnata agli imputati nella ricostruzione accusatoria va senza dubbio ricondotta a questa seconda ipotesi e deve essere quindi valutata nella prospettiva degli obblighi di protezione . Non è infatti nemmeno astrattamente ipotizzabile attribuire ai soggetti chiamati a giudizio un obbligo di controllo generalizzato rispetto ad una serie indeterminata ed indeterminabile di possibili fonti inquinanti e ciò a differenza dei casi, più conosciuti nell’esperienza giudiziaria anche rispetto ad altre fattispecie penali aventi una qualche affinità con quella oggetto di giudizio, in cui un determinato soggetto abbia, o debba avere in ragione della propria qualifica, il governo di un determinato fattore produttivo di sostanze inquinanti come si verifica, ad esempio, nell’ambito della gestione di uno stabilimento produttivo generante emissioni in atmosfera.

Ragionando quindi sul versante degli obblighi di protezione, la giurisprudenza è giunta ad affermare la sussistenza della posizione di garanzia “a condizione che: a) un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; b) una fonte giuridica – anche negoziale – abbia la finalità di tutelarlo; c) tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate; d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero che siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l’evento dannoso sia cagionato” (cfr. Cass. 38624/2019).

Così delineati gli elementi che portano alla ricostruzione di una posizione qualificata, il primo aspetto problematico attiene all’individuazione della fonte giuridica da cui discenda un obbligo di protezione puntuale in relazione ad un determinato bene – costituito nel caso di specie nell’aria della città di Torino – in capo a soggetti specificamente individuati.

L’imputazione formulata dal p.m. richiama una serie di norme aventi rango di legislazione primaria statale 38 così soddisfacendo in linea di principio la necessità che l’obbligo di protezione trovi il fondamento in un atto avente forza di legge anche nella lettura più restrittiva data da quella dottrina che, accedendo alla c.d. teoria mista dell’obbligo di impedire l’evento, 39 limita alla sola legge dello Stato ed agli atti normativi ad essa equiparati le possibili fonti giuridiche dell’obbligo.

L’integrazione di tale requisito è tuttavia solo apparente in quanto, come si chiarirà, da nessuna delle disposizioni richiamate può in realtà farsi discendere un obbligo di impedire l’ipotizzato evento naturalistico costituito dal deterioramento dell’aria della città di Torino in capo agli imputati nelle loro qualità, rispettivamente, di presidente della Regione Piemonte, assessore all’ambiente della Regione Piemonte, sindaco/a della città di Torino e assessore alle politiche per l’ambiente della città di Torino.

Come più volte chiarito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la responsabilità omissiva sancita nell'art. 40 cpv. trova fondamento nel principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost., all'art. 41 Cost., comma 2, e all'art. 42 Cost., comma 2, macontemporaneamente essa trova un limite in altri principi costituzionali e segnatamente nel principio di legalità della pena consacrato nell'art. 25, comma 2, il quale si articola nella riserva di legge statale e nella tassatività e determinatezza delle fattispecie incriminatrici. È proprio in ragione di questo limite che la responsabilità omissiva non può fondarsi su un dovere indeterminato o generico, anche se di rango costituzionale come quelli solidaristici o sociali di cui alle norme citate; ma presuppone necessariamente l'esistenza di obblighi giuridici specifici, posti a tutela del bene penalmente protetto, della cui osservanza il destinatario possa essere ragionevolmente chiamato a rispondere”(cfr. Cass. 49327/2013).

La disamina delle norme indicate nell’imputazione a fondamento normativo della posizione di garanzia mostra come esse non attribuiscano affatto un obbligo specifico di impedire l’evento delittuoso in capo agli imputati.

Si devono in questo senso distinguere nettamente i casi in cui da una determinata situazione insorga un obbligo di sorveglianza rispetto al possibile verificarsi di determinati accadimenti pericolosi o dannosi ovvero un obbligo di attivarsi per la tutela di certi beni da quello in cui venga in esistenza un obbligo di garanzia in senso proprio definito dalla dottrina più qualificata come un effettivo obbligo giuridico, gravante su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di adeguatamente proteggerli.

Il sistema normativo illustrato in precedenza affida alle regioni il compito di acquisire con continuità informazioni puntuali in merito ai livelli di concentrazione di determinati inquinanti nell’aria e di predisporre gli opportuni strumenti atti a prevenire e poi ad eliminare le condizioni che possano portare alla violazione dei limiti imposti dalla legge.

Tale sistema, anche perché strutturato nella sua concreta applicazione su più livelli di intervento che rendono necessaria l’azione coordinata di una moltitudine di soggetti tra i quali, ad esempio, le agenzie regionali per l’ambiente a cui è affidata l’attività di misurazione, non configura tuttavia ancora un obbligo specifico e puntuale, a carico di soggetti determinati, di impedire lo sforamento di uno o più valori limite della qualità dell’aria in termini misurabili e significativi tali da integrare l’evento naturalistico previsto dall’art. 452 bis c.p..

Ai poteri, ed agli obblighi, di intervenire ed attivarsi mediante l’adozione di provvedimenti che riguardano in generale la qualità dell’aria e mirano quindi indirettamente anche a prevenire o contenere fenomeni di inquinamento non corrisponde in altri termini in automatico l’insorgenza di un obbligo giuridico di impedire la verificazione dell’evento dannoso di inquinamento laddove ciò non sia espressamente previsto da alcuna norma che imponga ad uno o più soggetti specifici un puntuale obbligo di prevenzione rispetto ad un determinato fatto suscettibile di portare all’integrazione dell’evento tipico descritto dalla norma incriminatrice ex art. 452 bis c.p..

La delimitazione in questi termini della possibilità di ritagliare una posizione di garanzia in capo a dei pubblici amministratori va poi tanto più rimarcata ove si consideri la pluralità di competenze che l’ordinamento attribuisce loro nell’ambito di settori anche estremamente diversificati 40 e che, tuttavia, non può far discendere in capo ai medesimi un obbligo di impedire la verificazione di una serie potenzialmente indefinita di reati che in qualche modo ledano i beni giuridici interessati da ogni singolo settore del quale essi siano chiamati ad occuparsi in assenza di norme specifiche che attribuiscano nel contempo agli amministratori stessi soggetti poteri effettivi di impedimento dell’illecito.

Il compito assegnato dal legislatore statale alle regioni, del resto, si traduce in termini ancora diversi da quelli riconducibili agli obblighi di informazione ed sorveglianza ed agli obblighi di attivarsi tradizionalmente assunti quale tertium comparationis rispetto all’obbligo di impedire l’evento in senso proprio e ciò in quanto l’ente regionale è investito innanzitutto del compito di regolamentare la materia della qualità dell’aria prima ancora di assumere poteri e doveri nel triplice senso della informazione, della sorveglianza e dell’attivazione.

Anche tale peculiarità non può quindi essere trascurata nell’ottica doverosa di interpretare il dato normativo dal quale si pretende di ricavare la creazione di una posizione di garanzia in termini corrispondenti alla funzione effettiva delle disposizioni in questione.

Ripercorrendo le norme richiamate dal p.m. per fondare una posizione di garanzia in capo ai soggetti che hanno operato in seno alla Regione Piemonte si osserva quanto segue.

La prima fonte giuridica dalla quale viene fatto discendere un obbligo di protezione viene individuata nelle disposizioni già richiamate in precedenza 41 e contenute nell’ art. 9 d. lgs. 155/2010 che attribuiscono alle regioni il compito di adottare un piano finalizzato ad agire sulle principali sorgenti di emissione ed a raggiungere i valori limite delle sostanze inquinanti nell’aria nei termini di legge prescrivendo, in caso contrario, di integrare il piano con le misure atte a raggiungere i valori limite che risultino superati “nel più breve tempo possibile” . 42

L’attribuzione alle regioni dell’iniziativa in materia di pianificazione delle misure finalizzate (anche) al contenimento dei valori limite di concentrazione degli inquinanti deriva da una scelta del legislatore nazionale che, nel dare attuazione agli obblighi discendenti dalla Direttiva 2008/50/Ce ha di fatto conferito agli enti regionali quella che la dottrina più critica ha definito una sorta di “cambiale in bianco” in una materia – la tutela dell’ambiente - riservata in linea di principio alla potestà legislativa nazionale secondo la previsione contenuta nell’art. 117, 2° comma, lett. s) della Costituzione. Così facendo, il legislatore nazionale ha delegato di fatto integralmente alle regioni l’attuazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. 155/2010 senza riservare allo Stato, in caso di inerzia o di insufficiente efficacia delle azioni e dei provvedimenti posti in essere da tali enti, reali poteri di controllo e di intervento sostitutivo idonei ad assicurare il rispetto degli obblighi assunti in sede europea.

Al di là delle ragioni che hanno dettato la scelta del legislatore nazionale, il dato normativo evidenzia come l’attribuzione dei compiti di cui si tratta sia stata operata nel senso di configurare uno strumento pianificatorio di natura assai complessa, per la cui elaborazione è espressamente prescritta l’adozione di procedure di partecipazione degli enti locali interessati43demandando ad apposita ed ulteriore normativa regionale le modalità di redazione ed approvazione dei piani.

Le disposizioni contenute negli artt. 9 e 11 del d.lgs. 155/2010 sono in definitiva volte ad attribuire alle regioni una competenza ad hocnell’ambito della pianificazione relativa al contenimento dell’inquinamento dell’aria ed a delineare in tal modo i contorni di un sistema normativo il cui contenuto concreto è tuttavia rimesso alle scelte delle singole regioni.

Da tale attribuzione, che ha carattere generalissimo, ed investe l’ente regionale nel suo complesso e non già i soggetti specificamente individuati dal p.m. nel presidente della Regione e nell’assessore regionale all’ambiente, non può farsi discendere sic et simpliciter in capo a questi ultimi un obbligo di protezione rispetto ad eventi di inquinamento ambientale.

Si tratta di un’implicazione non prevista da alcuna disposizione né discendente dal sistema normativo sin qui commentato se non mediante un’evidente forzatura interpretativa che porterebbe ad assegnare a norme dettate per la ripartizione, sul piano politico ed ordinamentale, della competenza tra Stato e Regioni in ordine alla pianificazione di misure atte a contenere e contrastare le sorgenti di emissioni di sostanze inquinanti una portata prescrittiva rispetto all’impedimento dei delitti di inquinamento ambientali a carico di singoli soggetti. Una simile operazione investe tali soggetti di una sorta di responsabilità di posizione assegnando ad essi un obbligo di risultato rispetto al mancato superamento dei valori limiti delle sostanze inquinanti (e della conseguente integrazione degli eventi di inquinamento ambientale secondo lo schema che si è in precedenza tratteggiato) che non trova alcun fondamento nel testo della legge e contrasta con i principi di tassatività e conoscibilità del precetto penale.

La stessa specifica individuazione del presidente della Regione Piemonte e dell’assessore all’ambiente quali soggetti titolari della posizione di garanzia ipotizzata dal p.m. appare il frutto di una scelta non condivisibile. La lettura congiunta delle disposizioni contenute nel d.lgs. 155/2010 e nella l.r. Piemonte 43/2000 che ha costituito lungo tutto l’arco temporale della contestazione il testo di riferimento a livello regionale in materia di attuazione del Piano regionale di risanamento e la tutela della qualità dell’aria mostra infatti come l’approvazione del Piano sia demandata ad apposita deliberazione del Consiglio regionale su proposta della Giunta regionale.

In assenza di alcuna specifica attribuzione di competenze sul punto al presidente della Regione Piemonte e/o all’assessore all’ambiente non si comprende quindi perché proprio tali soggetti siano stati chiamati a rispondere del reato in esame in forza delle disposizioni inerenti alla pianificazione regionale in tema di inquinamento atmosferico se non in virtù della loro appartenenza alla Giunta regionale. Seguendo tale logica si imporrebbe semmai un’estensione dell’ipotizzata responsabilità a carico di tutti i componenti della Giunta e del Consiglio regionale che risultassero avere concorso alla predisposizione ed all’approvazione del piano, il che dimostra una volta in più come l’impostazione adottata dall’Accusa risenta di una lettura non corretta del dato normativo che è stato posto a fondamento della posizione di garanzia ed è invece destinato unicamente a disciplinare la procedura pianificatoria operando una ripartizione di competenze tra Stato e Regioni.

Osservazioni del tutto analoghe valgono ad escludere che in capo ai rappresentanti dell’ente regionale possa fondarsi una posizione di garanzia in forza della disposizione di cui all’art. 11, comma 3 d.lgs. 155/2010.

Tale norma attribuisce alle regioni poteri sostitutivi in tema di attuazione delle previsioni specificamente destinate alla limitazione della circolazione dei veicoli a motore contenute nei piani in materia di qualità dell’aria qualora si verifichi sul punto un’inerzia da parte dei sindaci o della diversa autorità individuata a livello regionale per provvedere in ordine a detta limitazione.

La disposizione richiamata, nell’ottica di assicurare l’attuazione di misure, quali sono quelle attinenti alla limitazione del traffico veicolare, ritenute particolarmente significative nel contrasto dell’inquinamento atmosferico, ha inteso disciplinare una ripartizione dei compiti attribuendo una competenza primaria in capo ai sindaci ovvero ad una diversa autorità individuata nell’ambito dell’autonomia regionale ma riservando in via sostitutiva e residuale uno spazio operativo in capo alle regioni.

E’ evidente anche in tal caso che si tratta di una disciplina di natura ordinamentale volta a regolamentare preventivamente eventuali situazioni di stallo e/o di contrasto tra le diverse autorità che operano a livello locale ma del tutto sprovvista di alcun contenuto precettivo nei confronti dei soggetti operanti in seno all’ente regionale indicati nell’imputazione: dal testo della norma non si ricava infatti alcun obbligo specifico e puntuale in ordine all’impedimento di eventi di inquinamento a carico di alcun soggetto e, tanto meno, a carico del presidente della regione e dell’assessore regionale all’ambiente.

Le disposizioni di legge richiamate nell’imputazione nei confronti degli imputati CHIAMPARINO Sergio e VALMAGGIA Alberto nelle loro rispettive qualità di presidente ed assessore all’ambiente della regione Piemonte non sono in definitiva idonee a fondare alcuna posizione di garanzia a carico dei medesimi.

Venendo alle distinte norme indicate a fondamento della posizione di garanzia costruita nei confronti dei soggetti che si sono succeduti nelle cariche di sindaco e di assessore all’ambiente della città di Torino nell’arco temporale ricompreso nella contestazione vanno formulate le seguenti osservazioni.

Una prima considerazione di carattere generale è data dal fatto che l’imputazione richiama più disposizioni che, nell’ambito dell’ordinamento, attribuiscono al sindaco il potere di emettere provvedimenti a carattere contingibile ed urgente aventi, almeno in ipotesi, una potenziale incidenza rispetto ai fattori produttivi dell’inquinamento atmosferico ma, così facendo, trascura di considerare che la materia della qualità dell’aria è disciplinata dal legislatore secondo un modello pianificatorio affidato alle regioni nei termini che si sono esposti in precedenza mentre i singoli comuni, pur essendo legittimati e tenuti a partecipare all’elaborazione dei piani ed alla loro attuazione, 44 non possono ragionevolmente essere chiamati all’adozione di ulteriori provvedimenti anche a carattere di urgenza se non in applicazione dei criteri stabiliti nei piani regionali ed in armonia con le prescrizioni in essi contenute.

La conferma di tale impostazione si ricava da quanto disposto all’art. 11, comma 3 d.lgs. 155/2010 laddove, proprio con riferimento al potere del sindaco di disporre con apposite ordinanze la sospensione o limitazione della circolazione veicolare anche per motivi inerenti alla tutela della salute o all’esigenza di prevenzione degli inquinamenti in forza del combinato disposto degli artt. 6 e 7 d.lgs. 285/1992, 45 stabilisce espressamente che tali ordinanze possono essere adottate nei casi e con i criteri previsti dallo stesso art. 11, comma 3 d.lgs. 155/2010, vale a dire nei limiti di quanto stabilito dalla pianificazione regionale, se presente, ed in attuazione di essa.

Stante la pacifica vigenza, all’epoca dei fatti di causa, di piani di qualità dell’aria regionali adottati dalla Regione Piemonte e contenenti al loro interno specifici criteri inerenti all’adozione di misure relative alla sospensione ed alla limitazione del traffico veicolare, non si ritiene quindi che possa configurarsi in capo al sindaco (né all’assessore all’ambiente cittadino trattandosi di ruolo nemmeno contemplato dalla norma) un’autonoma posizione di garanzia fondata sulle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 6 e 7 d.lgs. 285/1992 e ciò in quanto spettava semmai al sindaco di dare attuazione, in ambito comunale, alle misure pianificate a livello regionale come in effetti costantemente avvenuto nel corso degli anni mediante l’adozione di specifici provvedimenti limitativi del traffico 46 in applicazione degli appositi protocolli operativi per l’attuazione delle misure antismog approvati nel tempo dalla Regione Piemonte.

Anche il richiamo alle disposizioni di cui agli artt. 50, comma 5 e 54, comma 4 d.lgs. 267/2000 non può validamente fondare alcuna posizione di garanzia in capo al sindaco né, tanto meno, all’assessore all’ambiente della città di Torino.

La prima disposizione richiamata attiene al potere del sindaco di adottare ordinanze contingibili ed urgenti quale rappresentante della comunità locale in relazione, tra le altre, ad emergenze sanitarie 47 che devono tuttavia avere “carattere esclusivamente locale” secondo la previsione espressa del legislatore.

Il carattere residuale dello strumento disciplinato dall’art. 50 comma 5 d.lgs. 267/2000 impone una lettura dei presupposti per la sua applicazione in termini restrittivi che non consentono di legittimare l’adozione di tale tipologia di ordinanza in presenza di un fenomeno, quale quello dell’inquinamento atmosferico, tutt’altro che emergenziale bensì caratterizzato da una ricorrenza e pervasività tali da rendere evidente la necessità di contrasto mediante misure strutturali che non possono certo essere adottate mediante ordinanze tipicamente atte a soddisfare esigenze temporanee ed urgenti a meno che si ipotizzi l’adozione di provvedimenti radicali quali, ad esempio, il blocco della circolazione di veicoli a combustione in misura pressochè totale e protratta nel tempo che, tuttavia, presentano altro genere di criticità alle quali si accennerà più avanti.

Proprio con riferimento a tale genere di misure l’art. 11 comma 3, ultimo periodo d.lgs. 155/2010 riserva tuttavia spazio al potere del sindaco di imporre limitazioni al traffico veicolare per mezzo delle ordinanze previste dal d.lgs. 267/2000 nei soli casi in cui non siano stati adottati i piani regionali per la qualità dell’aria ovvero essi non individuino i casi ed i criteri di limitazione della circolazione dei veicoli a motore.

Tale situazione non ricorre nel caso della regione Piemonte e non è pertanto ipotizzabile il ricorso a tale tipologia di provvedimenti né la configurazione in capo ai rappresentanti istituzionali cittadini di una posizione di garanzia correlata all’omessa adozione di simili ordinanze.

Del tutto evidente è poi l’assenza del requisito del carattere esclusivamente locale della situazione emergenziale identificata nell’elevata concentrazione di sostanze inquinanti che ha costantemente interessato il territorio dell’intera area metropolitana torinese e non certo la sola città di Torino con la conseguenza che, anche sotto tale aspetto, non appaiono sussistenti i presupposti normativi richiesti per l’adozione dei provvedimenti in questione.

Quanto all’attribuzione al sindaco, in qualità di ufficiale di governo, del potere di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica ai sensi dell’art. 54 d.lgs. 267/2000, si tratta di strumento di natura del tutto eccezionale che, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, può trovare applicazione unicamente a fronte di situazioni impreviste, non tipizzate dalla legge ed a fronte delle quali appaia impossibile adottare i normali mezzi approntati dall’ordinamento giuridico. Ipotizzare l’utilizzo di tali ordinanze da parte del sindaco della città di Torino nella materia dell’inquinamento atmosferico caratterizzata all’opposto, purtroppo, dalla periodicità e diffusività delle sue manifestazioni appare del tutto irragionevole ed illegittimo con la conseguenza che, a fortiori, la prospettazione di una posizione di garanzia in forza della disposizione in questione va senz’altro esclusa richiamandosi, sotto l’aspetto dell’impossibilità in concreto di adottare ordinanze limitative del traffico ai sensi dell’art. 54 d.lgs 267/2000, quanto appena esposto rispetto alla disposizione ex art. comma 5 d.lgs. 267/2000 in forza di quanto previsto dall’art. 11 comma 3, ultimo periodo d.lgs. 155/2010.

Nemmeno il richiamo delle misure temporanee adottate con la delibera della giunta regionale 20.10.2017 n. 42-5805 avente quale oggetto “P rime misure di attuazione dell'Accordo di Programma per l'adozione coordinata e congiunta di misure di risanamento della qualita' dell'aria nel Bacino Padano, sottoscritto in data 9 giugno 2017, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lett. d), della legge n. 88/2009” vale a costituire in capo al sindaco ed all’assessore all’ambiente della città di Torino alcuna posizione di garanzia.

Il provvedimento richiamato nell’imputazione, adottato dalla giunta regionale piemontese a seguito di accordi sottoscritti tra il Ministro dell’Ambiente ed i Presidenti delle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto nel tentativo di adottare misure anti-inquinamento comuni da applicare congiuntamente ed in modo coordinato nel territorio della pianura padana, contiene una serie di disposizioni destinate a trovare applicazione al verificarsi di condizioni di accumulo e di aumento delle concentrazioni di PM10 correlate all’instaurarsi di condizioni meteo sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti.

Alle misure in questione, aventi un contenuto estremamente diversificato che ricomprende, oltre a limitazioni al traffico veicolare, anche specifici divieti in tema di riscaldamento degli ambienti e di combustioni viene attribuita valenza cogente nelle aree urbane dei comuni facenti parte dell’agglomerato di Torino e, quindi, nella stessa città di Torino.

L’obbligatorietà di tali misure va tuttavia correlata all’attività dell’ente comunale nel suo complesso nell’ambito di azione coordinata su più livelli che costituisce il portato dell’impianto normativo in tema di qualità dell’aria e non vale invece a fondare un obbligo di protezione in capo al sindaco e/o all’assessore all’ambiente cittadini in difetto dei requisiti minimi di specificità e determinatezza richiesti. Deve anche in tal caso ribadirsi che non ogni potere-dovere di attivazione in una determinata materia (nel caso di specie, la qualità dell’aria) si traduca indiscriminatamente in una posizione di garanzia collegata all’impedimento di qualsiasi reato che, in qualche modo, abbia un legame con quella materia (nel caso di specie, l’inquinamento dell’aria).

Indipendentemente dalla qualificazione da attribuire alla richiamata delibera della giunta regionale, la possibilità di desumere da essa l’esistenza di una posizione di garanzia contrasta in ogni caso con il principio di riserva di legge statale in materia penale e va pertanto escluso ogni obbligo di protezione fondato sulle disposizioni di cui alla delibera della giunta regionale 20.10.2017 n. 42-5805

L’imputazione in esame contiene infine il richiamo alla disposizione di cui all’ art. 4 l.r 7.4.2000 n. 43 che, nel delineare le funzioni specificamente assegnate ai comuni rispetto al controllo della qualità dell'aria ed alla salvaguardia dell'ambiente che costituiscono l’oggetto della legge menzionata ed ai quali essa intende assicurare tutela mediante l'esercizio coordinato ed integrato delle funzioni degli enti a vario titolo competenti sul territorio regionale,48stabilisce che nell'ambito delle proprie competenze i comuni, tra gli altri compiti, “provvedono al controllo delle emissioni in atmosfera degli impianti termici degli edifici di civile abitazione” . 49

La costruzione di una posizione di garanzia in capo al sindaco e/o all’assessore all’ambiente cittadini rispetto al mancato impedimento del delitto di inquinamento ambientale in forza di tale disposizione appare anche in tal caso frutto di una forzatura interpretativa in difetto dei requisiti minimi di specificità e determinatezza richiesti e ciò senza considerare come, anche sotto il profilo strettamente soggettivo, l’obbligo di provvedere ai controlli delle emissioni menzionati dall’art. 4 l.r. 43/2000 debba più correttamente essere collegato alla sfera di competenza primaria dei dirigenti amministrativi che si occupino dello specifico settore in forza della ripartizione di compiti sancita dall’art. 107 d.lgs. 267/2000 e della separazione fra l’attività di indirizzo politico e l’attività di gestione che ne costituisce la ratio.

Analogamente a quanto osservato rispetto alla delibera della giunta regionale 20.10.2017 n. 42-5805, non è in ogni caso possibile desumere dal contenuto di una legge regionale l’esistenza di una posizione di garanzia. Si tratta di un’operazione che non si limiterebbe ad una integrazione della legge penale con meri elementi di specificazione bensì porterebbe, nella sostanza, alla creazione di un’autonoma fattispecie fondata su un obbligo di protezione autonomamente elaborato dal legislatore regionale in violazione del principio di riserva di legge statale in materia penale.

Le disposizioni normative richiamate nell’imputazione nei confronti degli imputati FASSINO Piero Franco Rodolfo ed APPENDINO Chiara (in qualità di sindaci della città di Torino), LA VOLTA Enzo, GIANNUZZI Stefania e UNIA Alberto (quali assessori alle politiche per l’ambiente della città di Torino) non sono in conclusione idonee a fondare alcuna posizione di garanzia a carico dei medesimi.

6. Il carattere abusivo della condotta

La fattispecie delittuosa prevista dall’art. 452 bis c.p. richiede che la condotta causativa dell’evento di inquinamento ambientale, pur se descritta in forma libera, sia connotata dal carattere abusivo della stessa.

L’impiego dell’avverbio “abusivamente” che ha trovato ingresso nella formulazione definitiva della norma incriminatrice ha costituito l’esito di un dibattito parlamentare assai articolato nel corso del quale il legislatore ha scelto di abbandonare la stesura precedente in forza della quale la condotta era punita in quanto posta in essere “in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale” .

A seguito dell’opzione adottata dal legislatore mediante il ricorso ad una terminologia che trova ampio spazio in più settori dell’ordinamento penale la giurisprudenza ha fornito un’interpretazione piuttosto ampia in merito alla necessaria abusività della condotta ed ha chiarito come debba considerarsi abusiva “non soltanto quella posta in essere in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorchè non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative“ (cfr. Cass. 27.4.2018 n. 28732 in motivazione) non essendo per contro necessario che la condotta causante la compromissione o il deterioramento richiesti dalla norma siano autonomamente sanzionati in sede penale.

Cosi delineati i termini in cui debba essere apprezzato il carattere abusivo del comportamento che costituisca l’antecedente causale dell’evento di inquinamento, va evidenziato come tale caratterizzazione debba connotare la condotta incriminata in termini oggettivi e concorra quindi alla formazione dell’elemento oggettivo della fattispecie tipica.

A fronte di tali premesse, dal tenore dell’imputazione formulata dal p.m. emerge come la connotazione abusiva della condotta non sia stata in alcun modo esplicitata posto che, al di là della trasposizione letterale dell’avverbio “abusivamente” non si chiarisce quali norme siano state violate mediante la tenuta delle plurime condotte descritte nella contestazione né quali altri profili di abusività eventualmente distinti dalla violazione puntuale di norme o prescrizioni amministrative nemmeno menzionate (salvo ritenere che l’abusività debba coincidere con il superamento dei valori limite posti dalla legge e quindi con l’evento tipico del reato secondo un’interpretazione non condivisibile in quanto sostanzialmente abrogatrice di tale requisito), conferiscano ai comportamenti tenuti dagli imputati il carattere dell’abusività.

Appare per contro evidente come tutte le condotte ascritte ai soggetti citati a giudizio, per quanto ritenute nella logica accusatoria inidonee rispetto all’impedimento dell’evento delittuoso, siano state poste in essere nell’ambito delle rispettive sfere di competenza istituzionale, il che esclude in radice il carattere abusivo delle stesse anche nell’ampia accezione delineatasi nell’interpretazione giurisprudenziale.

Anche sotto tale aspetto, che investe la materialità della fattispecie prima ancora che gli aspetti di natura soggettiva attinenti alla colpevolezza, il fatto di reato ipotizzato dall’Accusa deve ritenersi insussistente.

7. Il giudizio controfattuale in tema di reati omissivi impropri

Esigenze di completezza impongono di concludere l’esposizione dei motivi a sostegno della presente decisione con alcune brevissime osservazioni in tema di giudizio controfattuale.

Nella descrizione del fatto di reato addebitato agli imputati sono state elencate una serie di condotte di natura strettamente omissiva (quali, ad esempio, il mancato intervento in via sostitutiva dei poteri sindacali in ordine alle limitazioni del traffico veicolare contestato agli imputati CHIAMPARINO e VALMAGGIA ovvero la mancata effettuazione dei controlli dovuti circa il rispetto dei divieti al traffico veicolare addebitato ai restanti imputati operanti in seno alla città di Torino) unitamente ad altre condotte di natura in parte attiva ed in parte omissiva laddove le misure anti-inquinamento pur adottate sono state ritenute penalmente rilevanti per la loro inidoneità rispetto all’impedimento dell’evento di inquinamento come nel caso delle misure contenute nel protocollo operativo per l’attivazione delle misure antismog attuato con la delibera della Giunta regionale 7.11.2016 n.24-4171.

All’ampia ed articolata descrizione delle condotte in questione, elencate nel loro complesso quali fattori causali che avrebbero concorso alla causazione dell’evento di inquinamento ambientale ad opera di più soggetti attraverso il meccanismo della cooperazione colposa ex art. 113 c.p. non segue tuttavia l’indicazione da parte dell’Accusa in merito a quali sia lo specifico comportamento lecito, possibile e doveroso, che, qualora fosse stato tenuto, avrebbe impedito la verificazione dell’evento.

All’interno del materiale raccolto nel corso delle indagini non si rinvengono del resto elementi utili a stabilire con un minimo grado di certezza quali eventuali misure di segno diverso adottate dagli esponenti della regione Piemonte e della città di Torino avrebbero portato ad un contenimento dei livelli di concentrazione degli inquinanti al di sotto dei valori limite ed avrebbero quindi impedito la verificazione dell’evento secondo la logica seguita dall’Accusa.

Per contro, l’imputazione formulata dal p.m. elenca in particolare nella sua parte finale una serie di condotte assai eterogenee accomunate dal fatto di essere tutte dirette alla riduzione del traffico veicolare quali: la creazione di aree di accesso a pagamento al centro della città di Torino riservate ad autoveicoli con elevati standard di emissione ed il divieto di accesso ad autoveicoli non rispondenti a tali standard, la promozione del trasporto pubblico, l’incentivazione dei servizi di bike-sharing, lo sviluppo di piste ciclabili, la limitazione della velocità a 30 km/h nei controviali cittadini ed in altre strade, l’incremento di stalli per la ricarica dei veicoli a trazione elettrica e la creazione di agevolazioni specifiche per tale ultima tipologia di veicoli.

L’analiticità delle indicazioni offerte dal p.m., spingendosi a suggerire una serie di misure la cui progettazione ed attuazione è riservata alla competenza degli amministratori pubblici, appare inversamente proporzionale alla validità delle indicazioni stesse valutate sotto il profilo strettamente causale che va adottato nel rispetto dei più elementari principi di certezza che governano il giudizio sulla responsabilità penale.

Ciascuna delle opzioni descritte dall’Accusa, oltre ad essere rappresentata in termini del tutto generici e non suscettibili di costituire, nemmeno astrattamente, una condotta alternativa la cui portata effettiva rispetto all’impedimento dell’evento di inquinamento possa essere obiettivamente apprezzata e misurata, si limiterebbe a porre in essere delle condizioni più favorevoli, in particolare, ad un uso più limitato di mezzi di trasporto inquinanti da parte dei privati cittadini.

Ciò non dimostrerebbe tuttavia ancora l’effettiva diminuzione nell’uso di tali mezzi ove si consideri come, banalmente, le scelte operate dai singoli rispetto ai propri spostamenti personali dipendano da una serie di fattori di diversa natura che possono solo in parte essere condizionati dalle politiche attuate dall’amministrazione pubblica che ben potrebbe, ad esempio, significativamente potenziare i servizi pubblici di bike-sharing salvo poi riscontrare una limitata adesione a tali servizi da parte dei cittadini ovvero constatare criticità nella gestione dei servizi stessi al punto di doverne decretare la cessazione come in effetti avvenuto proprio nella città di Torino. 50

Sotto altri aspetti rilevabili dalla mera lettura dell’imputazione deve poi rimarcarsi come alcune delle misure suggerite quali condotte alternative siano palesemente inidonee rispetto ad una significativa riduzione del traffico veicolare gravante sull’area cittadina nel suo complesso e, piuttosto, appaiano funzionali ad una diversa distribuzione della concentrazione dei veicoli a combustione all’interno del perimetro della città di Torino (come nel caso delle ipotizzate ulteriori limitazioni all’accesso nell’area centrale della città) portando potenzialmente, al netto di eventuali effetti portati dalla circolazione dell’aria, ad una corrispondente diversa concentrazione locale dei picchi di inquinamento ma non potendo certo condurre ad una riduzione significativa del complessivo carico inquinante con riferimento ai valori medi dell’intera città.

Altre misure risultano poi del tutto insignificanti rispetto alle esigenze di mobilità di soggetti che si trovino a dover percorrere, magari quotidianamente, distanze non ragionevolmente percorribili mediante mezzi ad impatto ambientale zero quali le biciclette difettando anche in tal caso, già in astratto, una portata significativa e concretamente misurabile di siffatte iniziative rispetto a determinate componenti di traffico e, quindi. rispetto alla complessiva riduzione dell’inquinamento atmosferico.

La mancata capacità dimostrativa delle condotte enucleate del p.m. rispetto alla circostanza della diminuzione del traffico di veicoli porta con sé, conseguentemente, un evidente inidoneità a dimostrare se, quando e quanto tali condotte - quand’anche si immaginasse la loro effettiva e congiunta messa in atto all’esito di scelte politiche rimesse in realtà alla discrezionalità di altri soggetti – possano incidere sugli specifici meccanismi causali che hanno portato al superamento dei valori limite degli inquinanti nell’aria ed alla conseguente integrazione dell’evento naturalistico del reato ex art.452 bis c.p..

Di qui l’evidente irrilevanza di ogni ulteriore considerazione sullo specifico contenuto di ciascuna delle condotte indicate dal p.m. rispetto alle quali, al di là di riferimenti generici contenuti nel materiale di indagine raccolto anche rispetto alle politiche ambientali adottate in altre città in Italia ed all’estero, non è stato acquisito alcun dato scientifico utile a dimostrarne la portata impeditiva rispetto all’evento di inquinamento nei termini specificamente riferiti alla città di Torino.

Vero è, piuttosto, che tutte le indicazioni ricavabili dagli elementi di natura scientifica acquisiti agli atti concordano sulla circostanza che l’accumulo di PM10 nell’aria della città di Torino sia da attribuire in misura preponderante alle emissioni generate dal traffico veicolare che, peraltro, non interessa solo lo stretto territorio cittadino ma tutta l’area metropolitana circostante con ulteriori difficoltà nel contrasto di fattori inquinanti a carattere diffuso.

Ciò comporta che la principale, se non l’unica, misura che l’amministrazione pubblica avrebbe dovuto in ipotesi adottare ai fini di impedire il ripetuto superamento dei valori limite consentiti sarebbe dovuta consistere nel divieto pressochè assoluto e generalizzato dell’utilizzo di mezzi di trasporto a combustione in termini radicalmente più restrittivi rispetto a quelli adottati nel tempo e, tuttavia, non può non considerarsi come l’adozione di simili misure, astrattamente idonee ad impedire l’evento naturalistico, presentano evidenti criticità rispetto alla tutela di altri interessi altrettanto meritevoli di attenzione che attengono, tra gli altri, alla libertà di circolazione delle persone ed alla tutela dell’occupazione e delle attività economiche e che vengono inevitabilmente pregiudicati dal blocco del traffico veicolare e da misure analoghe.

Ne consegue l’altrettanto evidente necessità di contemperare le diverse e spesso contrastanti esigenze all’interno di una più ampia e complessa attività di pianificazione in tema della qualità dell’aria piuttosto che mediante l’adozione di singoli provvedimenti dell’amministrazione pubblica in tema di limitazione al traffico. Al di là di ogni questione circa la loro effettiva legittima adottabilità, nemmeno il p.m. si è in effetti spinto a suggerire l’adozione di tali misure tra le condotte alternative alle contestate omissioni pur trattandosi delle uniche misure verosimilmente idonee, sotto un profilo strettamente fattuale, a scongiurare gli episodi di inquinamento.

In ragione di quanto sin qui esposto il materiale probatorio esaminato appare quindi del tutto insufficiente ad offrire gli elementi minimi per la formulazione di un giudizio controfattuale che possa portare ad affermare con certezza l’esistenza di una condotta alternativa, lecita e concretamente esigibile da parte degli imputati, idonea a scongiurare l’evento di inquinamento ambientale.

8. Conclusioni

Gli elementi contenuti nel fascicolo trasmesso dal p.m., ivi comprese le ulteriori produzioni comunque acquisite agli atti del giudizio, appaiono in conclusione idonei a dimostrare l’integrazione dell’evento tipico richiesto dalla norma incriminatrice - pur se nei termini limitati (e comunque ricavati da una lettura dei dati acquisiti non priva di significativi margini di opinabilità) rispetto alla più ampia contestazione del p.m. illustrati in precedenza - ma ciò non appare sufficiente per dimostrare la sussistenza del reato in esame.

Alla luce di una disamina rigorosa ed improntata ad una interpretazione particolarmente attenta alla ricerca di un fondamento normativo puntuale rispetto ai cardini dell’ipotesi accusatoria - operazione che, si ribadisce, è a fortiori imposta a fronte di una imputazione caratterizzata da un’impostazione giuridica di particolare complessità e non priva di aspetti marcamente critici in relazione all’evento naturalistico – difettano, già dal punto di vista oggettivo, tanto la posizione di garanzia attribuita agli imputati necessaria per l’affermazione della loro responsabilità ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p. quanto il carattere abusivo della condotta tenuta.

Manca, infine, qualsiasi certezza in ordine alla possibile tenuta di condotte alternative lecite ed esigibili idonee ad impedire l’evento alla stregua del c.d. giudizio controfattuale.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte si ritiene in conclusione che gli imputati debbano essere prosciolti dall’accusa mossa nei loro confronti in ragione dell’obiettiva insussistenza del fatto di reato loro ascritto.

La complessità delle valutazioni svolte ed il carico di lavoro dell’Ufficio giustificano l’indicazione del termine per il deposito della motivazione indicato in dispositivo.

P.Q.M.

Visto l’art. 554 ter c.p.p.,

dichiara non luogo a procedere nei confronti di CHIAMPARINO Sergio, VALMAGGIA Alberto, FASSINO Piero Franco Rodolfo, LA VOLTA Enzo, APPENDINO Chiara, GIANNUZZI Stefania e UNIA Alberto in ordine al reato a loro ascritto perché il fatto non sussiste.

Visto l’art. 544 comma 3 c.p.p.,

indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.

Torino,4.7.2024.

Il giudice

Roberto Ruscello

1 L’acquisizione dei dati si è estesa sino al 31.3.2021: cfr. nota del 19.11.2021 redatta dal NOE CC di Torino e i dati contenuti sul cd-rom acquisito a cura del NOE CC di Torino ed allegato al faldone 4 sub 1173.

2 I dati in questione sono liberamente consultabili al sito web https://aria.ambiente.piemonte.it/qualita-aria/dati.

3 Si veda l’immagine riportata a pag.11 della relazione a firma del c.t. del p.m. ing. Francesco Petracchini depositata il 13.2.2023.

4 Cfr. anagrafica delle stazioni allegata ai dati acquisiti dal NOE CC di Torino.

5 Il riferimento è all’elaborato depositato il 27.1.2023 dal c.t. prof. Biggeri e dal dott. Sera.

6 Si veda l’elaborato depositato il 13.2.2023 dall’ing. Francesco Petracchini.

7 Il dato relativo alla centralina Grassi per il 2015 risente tuttavia del fatto che per quell’annualità si dispongono di dati per soli 159 giorni ed il rilevamento non ha quindi coperto in maniera sufficiente l’anno solare come previsto dalle norme: cfr. relazione a firma del prof. Biggeri, pag. 16 in nota.

8 Il valore medio per la città di Torino è quello ricavato dall’elaborato a firma del prof. Biggeri, pag. 32.

9 Il dato relativo alla stazione Rubino risente della mancanza di rilevazioni disponibili per più periodi significativi: cfr. i dati riportati nella tabella predisposta dall’ARPA Piemonte.

10 Si tratta di parametro misurato dalle sole stazioni Lingotto e Rebaudengo.

11 Nell’elaborato redatto dall’ing. Petracchini il valore medio è stato determinato nella misura inferiore di 27 ug/m3: cfr. pag. 15 della relazione.

12 Si tratta di parametro misurato dalle sole stazioni Lingotto e Rubino.

13 I dati sono ricavati dal sito web https://aria.ambiente.piemonte.it/qualita-aria/dati .

14 Cfr. relazione a firma del prof. Biggeri pag. 25.

15 Cfr. dati contenuti nella tabella predisposta dall’ARPA Piemonte acquisita a cura del NOE CC di Torino.

16 Si tratta di aspetto approfondito nella relazione a firma del prof. Biggeri.

17 La giurisprudenza di legittimità ha respinto sotto tale aspetto le censure di incostituzionalità mosse nei confronti della fattispecie in esame affermando che è' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 452-bis cod. pen. per contrasto con gli artt. 25 Cost. e 7 CEDU sotto il profilo della sufficiente determinatezza della fattispecie, in quanto le espressioni utilizzate per descrivere il fatto vietato sono sufficientemente univoche, sia per quanto riguarda gli eventi che rimandano ad un fatto di danneggiamento e per i quali la specificazione che devono essere "significativi" e "misurabili" esclude che vi rientrino quelli che non incidono apprezzabilmente sul bene protetto, sia per quanto attiene all'oggetto della condotta precisamente descritto ai nn. 1) e 2) della norma incriminatrice”(cfr. Cass. 30.1.2020 n.9736).

18 Secondo gli stessi principi applicati dalla sentenza Cass. 39195/2023 con riferimento ad una fattispecie di inquinamento di acque ed alla rilevanza, tra gli altri, dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) normativamente fissati dal d.lgs. 152/2006.

19 La giurisprudenza di legittimità formatasi intorno alla fattispecie di cui all’art. 452 bis c.p. in poco meno di un decennio dall’introduzione della norma ha tratto origine da una casistica concreta derivante da condotte materiali attive aventi prevalentemente ad oggetto fattispecie di inquinamento del suolo e delle acque nonché di danneggiamento dell’ecosistema marino. Le fattispecie portate all’attenzione della Suprema Corte appaiono accomunate dalla natura puntuale e circoscritta, sotto i versanti spaziale e temporale, delle condotte giudicate e pertanto la giurisprudenza di legittimità non risulta ancora essersi confrontata con fattispecie di inquinamento a carattere diffuso quale quella in esame.

20 Cfr. art. 1 della direttiva 2008/50/CE che indica tale scopo al punto 1).

21 Cfr. art. 1 della direttiva 2008/50/CE che indica tale scopo al punto 5).

22 Cfr. i principi contenuti nell’art.1, 4° comma del d.lgs. 155/2010.

23 Cfr. art. 1, 2° comma, lettere a) e d) del d.lgs. 155/2010.

24 Cfr. art. 2, 1° comma, lettera h) del d.lgs. 155/2010 e la corrispondente definizione di cui all’art. 2, n°5) della direttiva 2008/50/CE.

25 Cfr. art. 2, 1° comma lett. n) d.lgs. 155/2010.

26 Cfr. Allegato XII al d.lgs. 155/2010.

27 Cfr. art. 9, 1° comma del d.lgs. 155/2010.

28 Cfr. art. 2, 1° comma, lettera m) del d.lgs. 155/2010 e la corrispondente definizione di cui all’art. 2, n°9) della direttiva 2008/50/CE

29 Nell’allegato XII, punto 2 del d.lgs. 155/2010 vengono invece fissate le soglie di informazione e di allarme per la concentrazione dell’ozono.

30 Cfr. art. 13, 1° comma del d.lgs. 155/2010.

31 Cfr. art. 13, 1° comma, ultimo periodo d.lgs. 155/2010.

32 Si ritiene in questo senso di non poter tenere conto del dato registrato per il 2015 dalla stazione Grassi per il valore medio annuale del PM10 in quanto non correttamente acquisito secondo le previsioni normative come già specificato in precedenza.

33 Con la sola eccezione, in misura minimale, dell’annualità 2017 per la quale il c.t. Biggeri ha calcolato una media annuale di 30,2 ug/m3 a fronte della diversa quantificazione, tuttavia, di una media di 27 ug/m3 da parte del c.t. ing. Petracchini per il medesimo periodo.

34 Ciò si registra in particolare nei giorni: 9.1.2015; 12.2.2015, 13.2.2015, 11.3.2015, 20.3.2015, 2.12.2015, 3.12.2015, 4.12.2015, 7.12.2015, 8.12.2015, 18.12.2015, 19.12.2015, 20.12.2015, 20.12.2015, 21.12.2015, 29.12.2015 (per un totale di 16 giorni nel 2015); 23.1.2016, 24.1.2016, 25.1.2016, 26.1.2016, 17.11.2016, 18.11.2016, 19.11.2016, 4.12.2016, 5.12.2016, 10.12.2016, 11.12.2016, 26.12.2016 (per un totale di 12 giorni nel 2016); 1.1.2017, 9.1.2017, 27.1.2017, 31.1.2017, 1.2.2017, 2.2.2017, 16.3.2017, 17.3.2017, 19.10.2017, 20.10.2017, 25.10.2017, 26.10.2017, 27.10.2017, 3.11.2017, 4.11.2017, 22.11.2017, 24.11.2017, 25.11.2017, 5.12.2017, 6.12.2017, 7.12.2017, 21.12.2017, 22.12.2017, 23.12.2017, 24.12.2017, 25.12.2017 (per un totale di 26 giorni nel 2017), 24.1.2018, 25.1.2018, 16.2.2018 (per un totale di 3 giorni nel 2018) e 8.1.2019 (per un solo giorno nel 2019): cfr. dati acquisiti presso l’Arpa Piemonte.

35 Ad eccezione del dato relativo alla stazione Rubino che ha fatto registrare n. 52 giorni di sforamento.

36 I valori limite utilizzati nella prospettiva accusatoria hanno in questo una valenza diversa rispetto ai più elevati valori qualificati come soglie di allarme più esplicitamente ricollegati ad un pericolo concreto per l’ambiente e per i soggetti esposti agli inquinanti.

37 Cfr. Cass. 38624/2019 in motivazione.

38 Con l’eccezione della l.r. Piemonte 7.4.2000 n. 43 e della delibera adotta dalla Giunta regionale del Piemonte in data 20.10.2017 n.42-5805 pur richiamate nell’imputazione.

39 Tale teoria opera un’integrazione tra la teoria formale e la teoria sostanzialistico-funzionale ma assicura in primo luogo i principi della riserva di legge e di tassatività.

40 Si pensi in particolare agli organi rappresentativi dell’ente quali il presidente della regione ed il sindaco.

41 Cfr. quanto sinteticamente illustrato al paragrafo 3) della presente motivazione.

42 Cfr. art. 9, 1°comma d.lgs. 155/2010.

43 Cfr. art. 9, 7° comma d.lgs 155/2010.

44 Cfr. art. 9, comma 7 d.lgs. 155/2010.

45 Il riferimento contenuto nell’imputazione all’art. 6 d. lgs 285/1992 che attribuisce al prefetto il potere di adottare provvedimenti di sospensione del traffico deve ritenersi operato in forza del richiamo a tale disposizione da parte dell’art. 7, 1° comma lett. a) d.lgs. 285/1992 disciplinante le ordinanze del sindaco nella medesima materia.

46 I numerosi provvedimenti in questione risultano attuati mediante specifiche ordinanze emesse dal dirigente dell’area ambiente della città di Torino in applicazione del riparto di competenze previsto dall’art. 107 d.lgs. 267/2000 (T.U. Enti Locali).

47 Come espressamente contestato nell’imputazione.

48 Cfr. art. 1 della l.r. Piemonte 7.4.2000 n. 43.

49 Cfr. art. 4 lett. b) della l.r. Piemonte 7.4.2000 n. 43.

50 Il servizio pubblico di bike-sharing denominato To-Bike gestito dalla città di Torino attraverso l’affidamento ad una società concessionaria avviato nel 2010 è stato definitivamente chiuso nel febbraio del 2023 a causa, principalmente, del diffuso vandalismo.