Cass. Sez. III n. 36385 del 4 ottobre 2007 (Ud. 24 mag. 2007)
Pres. De Maio Est. Amoroso Ric. Cepparulo
Polizia Giudiziaria. Sequestro e garanzie difensive

La polizia giudiziaria, quando agisce di propria iniziativa e non su delega del p.m., prima di procedere al sequestro, ex art. 354 c.p.p., deve avvisare l'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (ex art. 114 disp, att, c.p.p.), in quanto anche il sequestro - come le ispezioni e le perquisizioni - rientra nella categoria degli atti per i quali è previsto l'avviso all'indagato della facoltà di nominare un difensore ad inizio di operazioni. La nullità derivante dall'omesso avviso all'interessato da parte della polizia giudiziaria che procede al sequestro della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia deve ritenersi sanata, a norma dell'art. 182, 2" comma, c.p.p., se la parte, presente, non la deduce immediatamente prima o immediatamente dopo il compimento dell'atto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.R. ha appellato la sentenza emessa in data 16-2-02 dal Tribunale di Nola con la quale è stata dichiarata colpevole dei reati a lei contestati (abusi edilizi, consistenti nella sopraelevazione di un immobile in zona sottoposta a vincolo paesistico, e violazione dei sigilli) e condannata, con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e ritenuta la continuazione tra i reati, alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa, con sospensione condizionale della pena subordinata alla eliminazione degli effetti dannosi dei reati, mediante l'abbattimento delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi. L'imputata chiedeva: a) la nullità della sentenza per nullità del verbale di sequestro in quanto la polizia giudiziaria all'atto delle operazioni non aveva dato all'indagata tempestiva comunicazione dell'informazione di garanzia ex artt. 369 e 369 bis c.p.p.; b) l'assoluzione per non aver commesso il fatto giacchè la circostanza che la C. fosse proprietaria dell'immobile non significava che la costruzione abusiva dovesse essere a lei riferita; c) la concessione delle attenuanti generiche prevalenti, il minimo edittale con i benefici di legge; l'eliminazione della condizione della demolizione; d) la declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione.

Con sentenza del 25 maggio 2006 la Corte d'appello di Napoli rigettava l'impugnazione confermando la sentenza di primo grado. Avverso questa pronuncia l'imputata propone ricorso per cassazione con quattro motivi.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente si duole del fatto che erroneamente, e comunque senza che ne sussistessero le prove, la Corte d'appello ha ritenuto a lei riferibile l'abuso edilizio in questione per solo fatto che era proprietaria dell'area su cui la costruzione insisteva.

Con il terzo motivo la ricorrente si duole del fatto che in occasione del sequestro dell'opera abusiva da parte della polizia giudiziaria non le fu rivolto l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore.

Con il quarto motivo la ricorrente chiede l'applicazione dell'indulto (L. 31 luglio 2006, n. 241).

2. Il primo ed il secondo motivo sono inammissibili.

La Corte d'appello con valutazione tipicamente di merito ha ritenuto che l'imputata, proprietaria del suolo, era stata anche l'autrice dell'abuso edilizio. La proprietà del suolo è stata ritenuta dalla Corte d'appello, con valutazione corretta ed immune da errori di diritto, quale elemento indiziario che concorreva a riferire all'imputata l'interesse alla prosecuzione delle opere abusive e ad identificare nella medesima l'autrice della condotta contestata. Deve infatti rilevarsi in generale che l'opera abusiva comunque accede alla proprietà del suolo sicchè il proprietario è il soggetto interessato a tale accessione e quindi anche alla realizzazione della stessa. In proposito questa Corte (Cass., sez. 3^, 11 febbraio 2003, Russotto) ha affermato che, in tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario per la realizzazione di costruzione abusiva, può essere ricostruita sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili dalla disponibilità giuridica e di fatto del suolo. A ciò si aggiunge che - come risulta dall'impugnata sentenza - il manufatto abusivo è consistito nella sopraelevazione di un immobile preesistente; talchè vi è una stretta contiguità fisica con quest'ultimo e pertanto la C., proprietaria di tale immobile, era l'unica ad avvantaggiarsi dell'opera abusiva. Ciò avvalorava gli indizi miranti ad individuare nella C. la committente della sopraelevazione in mancanza del benchè minimo elemento di fatto che potesse inficiare tale induzione; la difesa della ricorrente del resto non indica alcun elemento di fatto in ipotesi contrastante con tale induzione che i giudici di merito abbiano omesso di considerare ed anzi nel ricorso non nega l'ulteriore condotta contestata all'imputata, nominata custode giudiziaria dell'immobile abusivamente sopraelevato proprio perchè proprietaria dello stesso; condotta che è coerente con la prosecuzione dell'abuso edilizio e che non depone certo per l'estraneità della C. all'abusiva sopraelevazione dell'immobile di sua proprietà.

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

E' vero che la polizia giudiziaria, quando agisce di propria iniziativa e non su delega del P.M., prima di procedere al sequestro, ex art. 354 c.p.p., deve avvisare l'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (ex art. 114 disp. att. c.p.p.), in quanto anche il sequestro - come le ispezioni e le perquisizioni - rientra nella categoria degli atti per i quali è previsto l'avviso all'indagato della facoltà di nominare un difensore ad inizio di operazioni; la violazione di tale obbligo determina una nullità a regime intermedio, la quale, essendo pertinente alla fase delle indagini preliminari, è sanata se non eccepita tempestivamente entro il giudizio di primo grado.

Ma in proposito questa Corte (Cass., sez. 3^, 28 settembre 2004, Pellizzer) ha già affermato che la nullità derivante dall'omesso avviso all'interessato da parte della polizia giudiziaria che procede al sequestro della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia deve ritenersi sanata, a norma dell'art. 182 c.p.p., comma 2, se la parte, presente, non la deduce immediatamente prima o immediatamente dopo il compimento dell'atto. Cfr. anche Cass., sez. 4^, 25 settembre 2003, Giannandrea, secondo cui la nullità derivante dall'omesso avviso all'indagato - da parte della polizia giudiziaria che proceda al sequestro del corpo di reato - della facoltà di farsi assistere dal difensore è di natura intermedia e deve ritenersi sanata se non dedotta immediatamente dopo il compimento dell'atto, ex art. 182 c.p.p., comma 2; il che esclude che la nullità in questione possa essere fatta valere in sede di richiesta di riesame e, comunque, che il termine per la sua deduzione debba essere posto in relazione alla necessaria effettuazione di un successivo atto cui intervenga la stessa parte o il difensore, ben potendo la formulazione dell'eccezione avere luogo anche al di fuori dell'espletamento di specifici atti, mediante memorie o richieste che, ai sensi dell'art. 121 c.p.p., possono essere inoltrate in ogni stato e grado del procedimento.

4. Manifestamente infondato e infine anche il quarto motivo, atteso che è possibile far valere l'indulto in sede esecutiva. Questa Corte (Cass., sez. 2^, 5 maggio 2004, Bozzoatro) ha infatti affermato che l'applicazione dell'indulto può essere sollevata nel giudizio di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto negativamente e non, invece, quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone implicitamente l'applicazione al giudice dell'esecuzione; ne consegue che, allorchè non risulta richiesta, nelle fasi di merito, l'applicazione dell'indulto, la questione non è deducibile in cassazione.

5. Il ricorso è quindi nel suo complesso inammissibile.

L'inammissibilità del ricorso, anche per manifesta infondatezza dei motivi, configura in ogni caso una causa originaria di inammissibilità dell'impugnazione, e non sopravvenuta, sicchè non si costituisce il rapporto di impugnazione e conseguentemente non è possibile invocare eventuali cause estintive dei reati (Cass., sez. un., 22 novembre - 21 dicembre 2000, n. 32, De Luca).

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2007.