Cass. Sez. III Sent. 1187 del 11 gennaio 2008 (ud. 6 nov. 2007)
Pres. Lupo Est. Sarno Ric. Petrelli
Rifiuti. Deposito temporaneo oltre il termine e mutamento titolare dell’azienda

Poiché la contestazione del reato di abbandono di rifiuti discende dal mancato smaltimento dei rifiuti dell\'azienda di cui il ricorrente era titolare entro il limite temporale trimestrale fissato dalla legge, appare evidente che per la sussistenza del reato stesso si rendono contestualmente necessarie due condizioni e, cioè, l\'iniziale attività di deposito dei rifiuti e la successiva mancata rimozione di essi nel termine indicato. Ne consegue che qualora nell\'arco del trimestre successivo all\'avvenuto deposito venga a mutare il titolare dell\'azienda interessata, incombendo direttamente su quest\'ultima l\'obbligo di rimozione dei rifiuti nel termine indicato dalla norma di riferimento, deve necessariamente farsi carico il nuovo titolare della rimozione nel termine richiesto. In caso di omissione anche il titolare subentrante risponde del reato in quanto con la sua condotta (omissiva) ha oggettivamente determinato la condizione di irregolarità del deposito.

In data 3 febbraio 2006 il tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica, condannava Petrelli Luigi alla pena di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili, quantificato per ciascuna di esse in via provvisionale in euro 3.000, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 51 co. 1 lett. a) e co. 2 D.L.vo 22/97 per avere effettuato tra il marzo ed il luglio 2001 il deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi provenienti da impianto di incenerimento, omettendo di avviarli allo smaltimento entro il limite temporale trimestrale fissato dall’art. 6 lett. m) del decreto - in Acquasanta Terme sino all’aprile 2002 -.

Con la medesima sentenza venivano dichiarati estinti per prescrizione gli ulteriori reati per i quali il Petrelli era stato tratto a giudizio (artt. 110, 659, 674 cod. pen e 51 co. 1 lett. a) e co. 2 D.L.vo 22/97, quest’ultimo in relazione all’inosservanza delle prescrizioni contenute nel D.G.R. Marche n. 1856 del 19 luglio 1999).

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Petrelli il quale, in relazione ai reati dichiarati prescritti dal tribunale, eccepisce:

- inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 659 co. 1 e 2 cod. pen. dovendosi ritenere il fatto depenalizzato per effetto dell’art. 10 L. n. 447/95;

- Mancanza, contraddittoria o manifesta illogicità della motivazione relativamente ai reati di cui agli artt. 110 e 674 cod. pen. e 51 co. 1 lett. a) e co. 2 D.L.vo 22/97 in relazione all’inosservanza delle prescrizioni contenute nel D.G.R. Marche citato. In relazione al reato per cui è intervenuta la declaratoria di condanna rileva, invece:

- inosservanza o erronea applicazione della legge penale incriminatrice;

- mancanza della motivazione in relazione alla disposizione dell’art. 533 cod. proc. pen.;

- manifesta illogicità della motivazione in ordine alla condanna generica ed alla concessione della provvisionale a favore delle parti civili costituite.

 

Motivi della decisione

Per quanto concerne i reati già dichiarati prescritti dal tribunale vanno anzitutto rigettati entrambi i motivi dedotti dal ricorrente.

Riguardo all’assenta depenalizzazione della condotta contestata con l’art. 659 cod. pen. è assorbente il rilievo della carenza di interesse in concreto da parte del ricorrente allo specifico motivo di impugnazione.

Come già affermato da questa Corte non esiste un interesse in senso assoluto delle parti alla correttezza giuridica delle decisioni che li riguardano; invero l’interesse richiesto dall’art. 568 comma 4 cod. proc. pen. quale condizione di ammissibilità della impugnazione, deve essere collegato agli effetti primari e diretti dell’atto da impugnare e sussiste solo se il gravame è idoneo ad eliminare una decisione pregiudizievole, determinando per l’impugnante una situazione pratica più vantaggiosa di quella esistente (Sez. 5, n. 9135 del 18 giugno 1999 Rv. 213963).

La valutazione deve evidentemente avvenire avendo riguardo al complesso delle situazioni soggettive facenti capo al ricorrente e occorre considerare, quindi, anche gli eventuali effetti giuridici extrapenali, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico più volte evidenziato da questa Corte in tema di interesse all’impugnazione (così Sez. 6, n. 624 del 14 febbraio 1997 Rv. 208003).

Il ricorrente nulla afferma al riguardo.

Per contro appare evidente che l’accoglimento del motivo di ricorso, comportando la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, consentirebbe in quella sede l’applicazione di provvedimenti aventi natura sanzionatoria che, per l’indubbio carattere affittivo, il ricorrente ha certamente interesse ad evitare.

Vale la pena ricordare che da ultimo questa Corte, sia pure mutando il proprio precedente orientamento, è giunta ad affermare che sussiste l’interesse dell’imputato, ex art. 568, comma quarto, cod. proc. pen., nell’ipotesi di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (violazione dell’illecito originariamente previsto dall’art. 2623, n. 3 cod. civ. successivamente depenalizzato ad opera dell’art. 2625 cod. civ., introdotto dal d.lgs. n. 61 del 2002) - ad impugnare con ricorso per cassazione la statuizione concernente l’ordine di trasmissione all’autorità amministrativa per l’applicazione delle sanzioni in ordine all’illecito depenalizzato, in quanto l’avvio dell’accertamento, da parte della competente autorità, circa la configurabilità di una violazione amministrativa nel fiuto estromesso dall’area della illiceità penale, integra ex se un pregiudizio prodotto dall’effetto gravato, per la concreta possibilità che l’accertamento si traduca nell’applicazione delle sanzioni una volta che il giudice penale, trasmettendo gli atti, abbia espresso un giudizio di applicabilità delle medesime. (Sez. 5, n. 21064 del 5 marzo 2004 Rv. 229237).

E dunque si è in sostanza affermato in quella decisione che già il provvedimento con cui si dispone la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa è idoneo a produrre un effetto pregiudizievole per la parte.

Andando oltre nell’esame degli argomenti dedotti con il primo motivo di ricorso è palese l’inammissibilità delle doglianze relative al vizio di motivazione per gli ulteriori reati dichiarati estinti per prescrizione.

Occorre ricordare al riguardo, infatti, che, come costantemente affermato da questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen. (ex plurimis Sez. 1, n. 4177 del 27 ottobre 2003 Rv. 227098).

Venendo ora alle doglianze del ricorrente concernenti l’unico reato per il quale vi è stata pronuncia di condanna da parte del tribunale (art. 110 cod. pen., 51 co. 1 lett. a) e co. 2 D.L.vo 22/97, contestato al capo c) dell’imputazione), osserva il Collegio che anche per quest’ultimo deve ritenersi maturata alla data odierna la prescrizione, non essendovi prova che i comportamenti illeciti siano proseguiti oltre il mese di ottobre 2002, epoca dell’accertamento del reato, e non ricorrendo, per le ragioni indicate oltre, alcuna delle condizioni previste all’art. 129 cod. proc. pen..

Si rende tuttavia ugualmente necessario procedere in questa sede all’esame delle doglianze dedotte in ordine alla sussistenza del reato stante l’avvenuta condanna del ricorrente al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.

Il ricorrente assume la propria estraneità al reato contestato.

Egli rileva, infatti, di avere affittato l’azienda in questione da D’Ortenzi Claudia, con atto registrato in data 31 luglio 2007, e che gli effetti del contratto sono iniziati a decorrere dall’1 agosto 2007 - epoca in cui l’impianto di incenerimento da cui scaturivano i rifiuti aveva cessato di funzionare essendo rimasto attivo, per come emerso in giudizio, fino al 24 luglio 2001 -.

Ritiene, pertanto, il Petrelli che non possa essere ravvisato nei suoi confronti il reato di abbandono di rifiuti, che peraltro presuppone - a suo avviso - una condotta commissiva e non omissiva.

La conclusione cui perviene il ricorrente non può essere condivisa.

Poiché la contestazione del reato di cui all’art. 51 co. 1 lett. a) D.L.vo 22/97 discende dal mancato smaltimento dei rifiuti dell’azienda di cui il ricorrente era titolare entro il limite temporale trimestrale fissato dall’art. 6 lett. m) del D.L.vo, appare evidente che per la sussistenza del reato stesso si rendono contestualmente necessarie due condizioni e, cioè, l’iniziale attività di deposito dei rifiuti e la successiva mancata rimozione di essi nel termine indicato.

Ne consegue che qualora nell’arco del trimestre successivo all’avvenuto deposito venga a mutare il titolare dell’azienda interessata, incombendo direttamente su quest’ultima l’obbligo di rimozione dei rifiuti nel termine indicato dalla norma dì riferimento (art. 6 lett. m) cit.), deve necessariamente farsi carico il nuovo titolare della rimozione nel termine richiesto.

In caso di omissione anche il titolare subentrante risponde del reato in quanto con la sua condotta (omissiva) ha oggettivamente determinato la condizione di irregolarità del deposito.

Nella specie non ha dunque motivo di dolersi il Petrelli in quanto, anche a voler dare per ammessa la successione degli eventi dallo stesso descritta, si deve rilevare che riferendosi la contestazione al deposito dei rifiuti avvenuto tra il marzo ed il luglio 2001, il trimestre per provvedere certamente scadeva dopo il luglio 2001 - epoca in cui il Petrelli stesso sostiene di essere subentrato nella titolarità dell’azienda -.

Da quanto sopra detto discende che, nonostante l’avvenuta prescrizione del reato ed il conseguente annullamento della decisione impugnata, va confermato in questa sede l’obbligo risarcitorio nei confronti delle parti civili.

Non può che essere rinviata al giudice civile competente, invece, la quantificazione del danno, per la necessaria valutazione di merito richiesta.