Cass. Sez. III n. 40445 del 12 dicembre 2006 (ud. 28 nov. 2006)
Pres. De Maio Est. Teresi Ric. Bisogno
Rifiuti. Materie prime secondarie

Deve escludersi che un materiale possa qualificarsi "materia prima secondaria", ai sensi dell'art. 181, commi 6 e 13 del D.lgs. n. 152-2006 ed anche che possa essere in atto una legittima operazione preliminare d'attività di gestione, preparatoria al recupero non ricorrendo un deposito temporaneo di rifiuti nel rispetto di precise condizioni temporanee, quantitative e qualitative nel caso in cui si proceda all’ammasso di eterogenei materiali provenienti da demolizione e da costruzioni edili accumulati alla rinfusa senza una preliminare attività di separazione e di cernita in vista del loro "recupero"

Pubblica Udienza 28.11.2006
SENTENZA N. 1902
REG. GENERALE n. 07639/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III. mi Signori

    Dott. Guido De Maio                                           Presidente
1. Dott. Alfredo Teresi                                             Consigliere rel.
2. Dott. Aldo Fiale                                                  Consigliere
3. Dott. Margherita Marmo                                       Consigliere
4. Dott. Maria Silvia Sensini                                     Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da Bisogno Mario, nato a Paciano il 20.06.1943, avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Montepulciano in data 9.07.2004 con cui è stato condannato alla pena dell'ammenda per il reato di cui all'art. 51, commi 1 e 2, d.lgs. n. 22/1997;


Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;


Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;


Sentito il P.M. nella persona del PG dott. Giovani D'Angelo, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;


Sentito il difensore del ricorrente, avv. Carlo Stolzi, il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso;


osserva


Con sentenza in data 9.07.2004 il Tribunale di Montepulciano condannava Bisogno Mario alla pena di €. 3.000 d'ammenda per avere, quale titolare dell'omonima ditta [impresa esecutrice dei lavori edili che aveva prodotto i rifiuti], depositato in modo incontrollato, su un area condotta in locazione, rifiuti di varia natura, tra cui calcinacci, cemento, frammenti di mattoni, piastrelle, imballaggi, tavoli e sedie.


Rilevava il Tribunale che il deposito era stato formato con materiale accumulato alla rinfusa costituito da "risulta di vario genere" che non era suscettibile d'alcuna riutilizzazione e che nella specie, non era ravvisabile un'ipotesi di deposito temporaneo di rifiuti.


Proponeva ricorso per cassazione l'imputato denunciando la non configurabilità del reato perché  il materiale depositato non poteva qualificarsi rifiuto ai sensi dell'art. 14 del d. l. n. 138/2002 perché riutilizzabile nell'attività edilizia senza alcuna trasformazione e senza pregiudizio per l'ambiente e perché il deposito non era incontrollato.


Chiedeva l'annullamento della sentenza :


Il ricorso non è puntuale perchè censura in punto di fatto la decisione fondata su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici perchè specifica gli elementi probatori emersi a carico degli imputati e confuta le obiezioni difensive.


La sentenza, infatti, ha correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che integrano il concetto normativo di smaltimento di rifiuti [ art .6, comma 1, lettera  g del decreto n. 22/97 ] non pericolosi, nella specie costituiti da eterogenei materiali da demolizione di costruzioni, accumulati alla rinfusa.


In tema di rifiuti, la nuova definizione di rifiuto contenuta nell'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178, quale interpretazione autentica della nozione dettata dell'art. 6 lett. a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, definiva rifiuto ogni sostanza inclusa nelle categorie riportate nell'allegato A del decreto citato di cui il detentore "si disfi", che cioè il detentore sottoponga ad una delle attività di smaltimento o di recupero che sono precisate negli allegati B e C del decreto o di cui il detentore abbia "deciso di disfarsi", che cioè il detentore voglia destinare ad una delle operazioni di smaltimento o di recupero, come sopra individuate o di cui il detentore abbia "l'obbligo di disfarsi" in base ad una disposizione di legge, ad un provvedimento della pubblica autorità o alla natura stessa del materiale e, in particolare, in base alla natura di sostanze pericolose come individuate nel allegato D del decreto.


Le ipotesi in cui il detentore "abbia deciso" ovvero "abbia l'obbligo di disfarsi" non ricorrevano - per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo - effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo senza subire alcun intervento di trattamento preventivo, ma senza che fosse necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto n. 22/97.


A seguito della procedura d'infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti del Governo italiano, la Corte di Giustizia, con sentenza 11.11.2004, Niselli, ha affermato l'illegittimità comunitaria dell'art. 14 della legge n. 178/2002 e tale decisione ha costituito il presupposto di una questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 14 che questa Corte ha sollevato con ordinanza n. 1414 del 16.10.2006. Rubino.


Quindi allo stato, la questione va riesaminata alla stregua delle disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006, attuativo della delega di cui alla legge n. 308/2004, che ha abrogato l'art. 14 della legge n. 178/2002 [art. 264, comma 1 lett. l)] secondo cui, ex art. 183, comma 1 lettera a), è rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A della parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi o abbia l'obbligo di disfarsi" e rifiuti speciali sono "i rifiuti derivante dalle attività di demolizione, costruzione..." [art. 184, comma 3 lett. b)]


Nel caso in esame è stato correttamente ritenuto che il detentore si sia effettivamente disfatto dei rifiuti effettuando un'attività di smaltimento mediante deposito incontrollato al suolo per un prolungato periodo.


E' stato accertato, in fatto, che in un'area di cui l'imputato aveva la disponibilità sono stati ammassati eterogenei materiali provenienti da demolizione e da costruzioni edili accumulati alla rinfusa senza una preliminare attività di separazione e di cernita in vista del loro "recupero".


Le modifica di conservazione denotano, infatti, che l'area dell'accumulo è stata trasformata di fatto in deposito degli stessi, mediante una condotta consistente nell'abbandono - per un tempo apprezzabile anche se non determinato - di una notevole quantità, che occupava uno spazio cospicuo.


Deve, quindi escludersi che il materiale potesse qualificarsi " materia prima secondaria ", ai sensi dell'art. 181, commi 6 e 13 del d.lgs. n. 152/2006 ed anche che fosse in atto una legittima operazione preliminare all'attività di gestione, preparatoria al recupero non ricorrendo un deposito temporaneo di rifiuti [art. 6 lett. m decreto n. 22/1997] "quale raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti" nel rispetto di precise condizioni temporanee, quantitative e qualitative.


Pertanto, puntualizzando che in assenza di tali condizioni, il deposito dei rifiuti nel luogo diverso da quello in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente alla attività di gestione dei rifiuti non autorizzata prevista come reato dell'art. 51 del d.lgs. 22/1997" (Cass. Sez. III n. 7140, 21.03.2000, Eterno, RV 216977), va rilevato che correttamente è stata esclusa la ricorrenza delle condizioni che integrano il concetto normativo di deposito temporaneo di rifiuti poiché risulta che non sono state rispettate le condizioni relative alle cadenze temporali di raccolta e d'avviamento alle operazioni di recupero o di smaltimento; ai termini massimi di durata e alle modalità del deposito stesso.


L'inammissibilità del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 1.000.00 euro in favore della cassa della ammende.


P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di € 1.000 in favore della casa delle ammende.


Così deciso a Roma nella pubblica udienza del 28.11.2006


L' estensore              Il presidente
 Alfredo Teresi            Guido De Maio