Cons. Stato Sez. VI sent. 4762 del 22 agosto 2003
Beni culturali. Imposizione vincolo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 3514
del
1998
, proposto da GRA Adriana, TATAFIORE Bruna, GRA
Blume e STRAMIGNONI Barbara
, rappresentate
e difese
dall'avv.
Giuseppe Lavitola
, elettivamente domiciliate
presso
lo studio del medesimo
in
Roma, Via Costabella n. 23;
contro
il Ministero per i Beni Culturali e
ambientali
, in persona del Ministro pro-tempore, e la
Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici del Lazio, in persona del
legale rappresentante pro-tempore, rappresentati
e
difesi
dall'Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale sono per legge domiciliati, in Roma, via
dei Portoghesi, n. 12;
per
l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, Sez. II bis,
n.
432
del
4 marzo 1997
.
Visto il ricorso
con i relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato;
Vista la memoria
delle appellanti;
Visti gli atti
tutti della causa;
Relatore alla
pubblica udienza del 13 maggio 2003
il
Cons. Giuseppe Minicone;
Uditi l’avv.
Lavatola Leonardo, per delega dell’avv. Giuseppe Lavitola,
e
l’avv. dello Stato Pino
;
Ritenuto e
considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso
notificato il 24 gennaio 1989, la sig.ra Adriana Gra, comproprietaria
dell’immobile denominato “Castello di Tecchiena”, sito in Comune di Alatri,
impugnava,
innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
il
decreto in data 23 luglio 1988, con il quale il Ministro dei Beni Culturali e
ambientali aveva dichiarato l’immobile stesso di interesse particolarmente
importante, ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089.
Di tale
provvedimento deduceva l’illegittimità per
seguenti motivi:
1.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 L. 1 giugno 1939 n.
1089; eccesso di potere per difetto d'istruttoria, in quanto sarebbe mancata
un'adeguata istruttoria per l'imposizione del vincolo, essendosi
l'Amministrazione sottratta anche al compito di esaminare i luoghi in questione
ed essendosi limitata a richiamare la relazione storico artistica facente parte
integrante del decreto impugnato, relazione che non conterrebbe alcun elemento
originale idoneo a testimoniare un esame tecnico e, soprattutto, attuale dello
stato dei luoghi.
2.
Eccesso di potere per incongruità di motivazione, perplessità e
contraddittorietà nonché ulteriore violazione degli artt. 1 e 2 L. 1089/39,
giacché la relazione storico artistica costituente motivazione del
provvedimento impugnato conterrebbe una mera descrizione mutuata da un'opera
letteraria, senza ulteriore esame della persistenza dell’interesse al vincolo,
anche in relazione allo stato attuale dell'immobile a seguito degli eventi
bellici, degli atti vandalici su di esso compiuto e dei furti perpetrati.
3.
Violazione degli artt. 1 e 2 L. 1089/39 con riferimento agli artt. 11,
12, 13, 18 e 59 della stessa legge, violazione dei principi generali in materia
di tutela dei beni d'interesse storico e artistico; ulteriore eccesso di potere
per perplessità e contraddittorietà, in quanto sarebbe mancata l'esatta
individuazione dei beni soggetti a vincolo, essendo state elencate, ad esempio,
alcune opere mai esistite (come la torre) o rubate (e regolarmente denunciate,
come le immagini della Via Crucis), il che esporrebbe la ricorrente a gravi
rischi di sanzioni in caso di ispezione della soprintendenza.
4.
Ulteriore violazione degli artt. 1 e 2 L. n. 1089/39, eccesso di potere
per omessa comparazione d'interessi ed estrema genericità del provvedimento;
mancanza di motivazione, posto che il vincolo sarebbe stato imposto all'immobile
nella sua interezza, sia all'interno che all'esterno, pur essendo stata motivata
la sussistenza dell'interesse pubblico solo con riferimento ad alcune sue
porzioni, non avendo le parti rimodernate ed adibite ad appartamenti alcun
pregio per essere state oggetto di radicali mutamenti.
Con successivo
ricorso notificato il 30 marzo 1989, la sig.ra Adriana Gra, la sig.ra Bruna
Tatafiore, in proprio e quale legale rappresentante della figlia minore Blume
Gra, nonché la Società Centroriass a r.l., proprietarie della gran parte
dell’area circostante il “Castello di Tecchiena”, impugnavano il decreto
ministeriale 13 dicembre 1988, di vincolo delle aree stesse ai sensi dell’art.
21 della citata legge n. 1089/1939.
Al riguardo
deducevano le seguenti censure:
1.
Illegittimità derivata dall’illegittimità del vincolo diretto;
2.
In subordine: violazione dell'art. 21 L. 1089/39; eccesso di potere per
difetto dei presupposti e travisamento dei fatti, difetto di pubblico interesse,
illogicità ed ingiustizia manifesta, in relazione alla circostanza che da una
notevole porzione dei terreni di proprietà dei ricorrenti (circa
130.000 mq.)
il "Castello
di Tecchiena" non sarebbe
assolutamente visibile, data l'interposizione del Colle Moticchio, mentre da
un'altra porzione di terreni (di circa 210.000 mq.) sarebbero visibili solo
limitate porzioni del Castello sicché mancherebbe il presupposto stesso del
vincolo indiretto. Né, a giustificare il vincolo imposto, potrebbe farsi
ricorso al concetto di ambiente in
senso "paesistico naturale – ecologico”, posto che il vincolo indiretto
sarebbe stato previsto a tutela del concetto di ambiente in senso "storico
- artistico - architettonico" e, dunque, con finalità più ristrette e
limitate rispetto al concetto di ambiente di cui alle leggi 1497/39 e 431/85.
3.
Più in subordine: violazione e falsa applicazione della L. 1089/39 in
riferimento alla L. 1497/39 come modificata ed integrata dalla L. 431/85 e
dall'art. 82 D.P.R. 616/77; incompetenza, giacché essendo i criteri ispiratori
del vincolo prevalentemente di natura ambientale paesaggistica e non storico -
artistica, la relativa tutela competerebbe alla regione e non al Ministero.
4.
In via ancor più subordinata: violazione della L. 1089/39 e delle leggi
n. 1497/39 e n. 431/85 sotto altro profilo; eccesso di potere per sviamento e
per perplessità, in quanto il Ministro, per conseguire obiettivi di tutela di
cose di interesse artistico – storico, si sarebbe avvalso di una normativa di
diverso contenuto, ispirata a scopi di tutela paesistico ambientale in senso
ampio e generale, facendo, peraltro, applicazione, con un'unica
istruttoria ed un unico
provvedimento,di normativa di diverso contenuto e finalità.
5.
Eccesso di potere per manifesta ingiustizia e per difetto di ponderazione
dei contrapposti interessi pubblico e privato, posto che la vastità del vincolo
e la natura delle prescrizioni imposte, comportanti l'inedificabilità assoluta
e permanente dell'intero complesso vincolato, avrebbero ingiustamente ed
immotivatamente sacrificato i diritti dei proprietari.
6.
Difetto di istruttoria e di motivazione.
7.
In via estremamente gradata: incostituzionalità dell'art. 21 L. 1089/39
per contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost.
Il giudice adito,
con la sentenza in epigrafe, riuniti i due ricorsi, li ha respinti entrambi, in
quanto infondati.
Avverso detta
decisione hanno proposto appello le sig.re Adriana Gra, Bruna Tatafiore, Blume
Gra e Barbara Stramignoni (quest’ultima subentrata alla Centroriass s.r.l.,
posta in liquidazione), reiterando le censure svolte in primo grado,
erroneamente, a loro avviso, disattese dal T.A.R.
Si è costituita
l’Amministrazione appellata, che ha depositato gli scritti difensivi di primo
grado.
Alla pubblica
udienza del 13 maggio 2003
il
ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.
La sentenza appellata ha respinto, previa riunione, due ricorsi, proposti
dai soggetti indicati in epigrafe contro i decreti del Ministero dei Beni
Culturali e Ambientali in data 23 luglio 1988 e 13 dicembre 1988, che hanno,
rispettivamente, dichiarato di interesse particolarmente importante, ai sensi
della legge 1 giugno 1939, n. 1089, l’immobile denominato “Castello di
Tecchiena”, sito in Comune di Alatri, e posto il vincolo sulle aree
circostanti detto edificio, ai sensi dell’art. 21 della citata legge n.
1089/1939.
2.
Con il presente gravame, gli interessati, nel criticare le conclusioni
cui è pervenuto il primo giudice, ripropongono, con un primo gruppo di motivi,
le censure contro l’imposizione del vincolo sul fabbricato, ribadendo, in
apice, la carenza di una congrua e analitica istruttoria, atteso che il vincolo
in questione sarebbe stato deciso sulla base di mere notizie desunte da
un’opera letteraria risalente al 1976, senza alcuna verifica dei luoghi, come
sarebbe dimostrato dall’acritico riferimento, nella relazione
storico-artistica, ad elementi che non troverebbero più riscontro nella realtà,
come la torre (non più esistente), la disposizione degli ambienti interni (non
corrispondenti più agli originari), la presenza di una Via Crucis (asportata
per furto tempestivamente denunciato dai proprietari).
2.1.
La doglianza non può essere condivisa.
2.2.
Premesso che la declaratoria di particolare interesse storico e artistico
di un immobile è basata su un giudizio che attiene alla discrezionalità
tecnica dell'Amministrazione ed è sindacabile in sede di legittimità solo per
difetto di motivazione, illogicità manifesta ed errore di fatto (cfr., ex
plurimis, Cons. St., Sez. VI, n. 1766 del 27 marzo 2001), va osservato che, nel
caso di specie, la relazione che accompagna il provvedimento dà, innanzi tutto,
compiutamente ragione del valore storico del complesso, valore che, in realtà,
neppure gli appellanti sono in grado di mettere in discussione: ed è evidente
che il valore storico non può che fondarsi principalmente su fonti letterarie.
2.3.
In realtà, è soprattutto con riguardo al valore artistico
dell’immobile che gli appellanti insistono nell’affermare che non si è
tenuto conto dello stato attuale dei luoghi.
Sennonché, gli
argomenti addotti per suffragare tale apodittica asserzione non appaiono
conferenti allo scopo.
2.3.1.
Ed infatti, quanto alla torre andata distrutta, è agevole rilevare che
la stessa è citata nella relazione solo come elemento storico dell’evoluzione
dell’immobile sorto nel IX secolo, ma non si afferma affatto, da parte
dell’Amministrazione, che essa rientri nell’oggetto attuale della tutela: ed
infatti, il decreto di vincolo fa riferimento esclusivo alla “Grancia”
benedettina del XV secolo, di gran lunga posteriore alla distruzione della
torre, avvenuta nel XIII secolo.
2.3.2.
Quanto alle distruzioni intervenute nel corso dell’ultima guerra
mondiale, di esse si dà, ugualmente, atto nella relazione, laddove si menziona
il crollo del corpo di fabbrica, per 25 metri, a seguito di bombardamenti aerei
e si richiamano i rimaneggiamenti e le modificazioni subiti dagli ambienti
interni, ad opera dei diversi proprietari e degli atti vandalici dell’esercito
di occupazione tedesca.
2.3.3.
Del tutto marginale è, poi, il riferimento, nella relazione, alla Via
Crucis trafugata, trattandosi di elemento di arredo interno, neppure menzionato
nel decreto di vincolo.
2.4.
Ne consegue che, avendo l’istruttoria dato atto della situazione, anche
di degrado, del complesso, ogni altra valutazione circa il rilievo storico
artistico del bene, nella sua attuale consistenza, appartiene alla
discrezionalità dell’amministrazione, non spettando al giudice amministrativo
(tranne casi di macroscopica illogicità, che qui non ricorrono) il giudizio di
merito circa il valore dell’immobile e circa l’interesse pubblico
conseguente alla tutela.
2.5.
Né è da condividere il rilievo, secondo il quale non sarebbe stato
individuato con precisione il bene da vincolare, non essendosi operata alcuna
distinzione fra la parti originarie ancora valide e quelle innovate.
Va ribadito, al
riguardo, che l’immobile è stato vincolato nella sua globalità, in quanto
elemento significativo di un’antica “Grancia”, ovverosia di un convento
con annesso podere, giustificazione, questa, che, evidentemente, esclude la
rilevanza di distinzioni all’interno del bene, giacché valorizza
l’unitarietà del complesso e il suo sorgere isolato nella campagna
pertinente, come espressione superstite di un momento di fusione tra le esigenze
di difesa militare del territorio e la sua utilizzazione agricola da parte di
una comunità monastica.
3.
Con un secondo gruppo di motivi, gli istanti aggrediscono il decreto di
imposizione del vincolo sulle aree circostanti il “Castello di Tecchiena”,
sia per illegittimità derivata da quella del decreto di vincolo di
quest’ultimo (le censure avverso il quale sono già state riconosciute
infondate) sia per vizi propri.
3.1.
L’assunto fondamentale degli appellanti si incentra
sull’argomentazione che sussisterebbe una sproporzione tra l’estensione
delle aree vincolate (circa 400.000 mq) e le esigenze di tutela cui dovrebbe
essere conformato il vincolo indiretto.
In particolare, in
alcune delle zone vincolate il bene non sarebbe affatto visibile,
mentre in altre esso lo sarebbe solo parzialmente.
Risponderebbe,
inoltre, ad una non consentita interpretazione estensiva dall'art. 21 della L. 1
giugno 1939 n. 1089 lo scopo, perseguito con il decreto impugnato, di
salvaguardia delle caratteristiche ambientali dei luoghi.
3.2.
L’assunto non può essere condiviso.
3.3.
Occorre, in primo luogo, rilevare, alla stregua della giurisprudenza
consolidata, come la facoltà attribuita dall'art. 21 della L. 1 giugno 1939 n.
1089 al Ministro, sebbene condizionata e limitata dalle esigenze, specificamente
indicate dalla stessa disposizione, “di evitare che sia messa in pericolo la
integrità delle cose immobili” d'interesse storico ed artistico, “ne sia
danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di
ambiente e di decoro”, è, peraltro, caratterizzata da notevole ampiezza,
comprendendo ogni misura o prescrizione idonea allo scopo, la cui scelta è
rimessa alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione, non sindacabile in
sede di legittimità se non per manifesta illogicità ed arbitrarietà.
Le esigenze di
tutela alle quali è preordinato l'art. 21 presentano, naturalmente, un grado di
intensità strettamente correlato alle caratteristiche del bene da proteggere e
comportano ogni prescrizione atta a tenere indenne il valore culturale
dell'intero comprensorio dalle lesioni e contaminazioni che possono derivare da
opere o insediamenti con quel valore incompatibili.
In questa ottica,
si iscrive anche la tutela dell’ambiente circostante, inteso come cornice,
nella quale si inseriscono gli elementi del comprensorio storico artistico.
3.4.
Alla stregua dei concetti ora esposti, appare evidente come
l’individuazione e la determinazione dell'ampiezza della zona di rispetto
sono, per un verso, frutto di apprezzamento discrezionale e, per altro verso,
non possono essere valutati astrattamente, ma in rapporto all'ubicazione, alla
natura ed alle caratteristiche del complesso dei beni costituenti l'insieme da
preservare, risolvendosi il giudizio di logicità della scelta in un giudizio di
congruità e proporzione in relazione agli indicati presupposti oggettivi.
3.5.
Orbene, nel caso concreto, il complesso sottoposto a tutela è, come si
è più volte ricordato, una “Grancia”, il cui valore storico artistico
risiede proprio nella stretta connessione dell’immobile con il territorio
agricolo ad esso pertinente.
L'esigenza cui
risponde il vincolo de quo è, appunto, indicata nel provvedimento impugnato,
oltre che nella necessità di conservare le attuali condizioni di visibilità,
anche in quella di salvaguardia “delle condizioni di decoro ambientale
mantenutesi nel tempo, strettamente legate all’inedificazione dei suoli
circostanti…, un tempo costituenti le pertinenze rurali della tenuta del
Castello di Tecchiena”, ivi compresa la collina del Monticchio.
3.6.
Ne consegue che non possono assumere rilevanza ex se né la notevole
estensione dell’area vincolata né la non completa visibilità, da tutte le
zone, del bene, non essendo posta fondatamente in discussione la funzione delle
aree de quibus ad integrare l’originaria “Grancia”, la cui conservazione
forma oggetto dell’intervento ministeriale.
3.7.
In questo contesto, non può neppure negarsi la logicità della funzione
strumentale che, nella fattispecie in esame, assume la conservazione delle
caratteristiche ambientali dei luoghi, tenuto conto che, nella stessa relazione
descrittiva, è messo anche in evidenza che “la remota presenza e la cura dei
frati Certosini, con le loro note attività erboristiche, ha consentito la
presenza di specie botaniche… spesso estranee a questi luoghi”, onde non
sussiste affatto l’esercizio di poteri diversi da quelli contemplati
dall’art. 21 della legge n. 1089/39, non essendo il contesto ambientale
salvaguardato nell’ambito della tutela paesistica, bensì in quanto
strettamente integrante l’interesse storico artistico del particolare bene.
3.8.
In conclusione può affermarsi la legittimità del provvedimento di
imposizione del vincolo in questione, sia sotto il profilo della motivazione,
quale risulta dalle ragioni esposte nel provvedimento stesso e nella relazione
tecnica allegata sia per l'obiettiva sussistenza delle condizioni previste dalla
legge per giustificare il vincolo e le prescrizioni che ne integrano il
contenuto.
5.
Manifestamente infondata è, infine, la questione subordinata di
illegittimità dell’art. 21 della legge n. 1089/1939, per contrasto con gli
artt. 3 e 42 della Costituzione, avendo l’impugnato decreto ministeriale
imposto il vincolo di inedificabilità assoluta (per di più su un’area
urbana) senza la previsione di un indennizzo.
Su tale questione,
invero, si è già pronunciata la Corte costituzionale, la quale ha avuto modo
di affermare che l’art. 21 della legge n. 1089 del 1939, nella parte in cui
non prevede diritto ad indennizzo per le limitazioni alla proprietà privata da
esso consentite, non viola il precetto costituzionale di cui all’art. 42 in
quanto non concerne l'espropriazione di immobili di proprietà privata, ma,
riconoscendo un pubblico interesse rispetto a beni immobili di interesse
artistico, storico, archeologico o etnografico, ne disciplina il regime,
accordando alla Pubblica Amministrazione il potere di imporre dei limiti
all'esercizio dei diritti privati in relazione ad un preciso interesse pubblico
ed in base ad apprezzamento tecnico sufficientemente definito e controllabile,
la cui discrezionalità risulta chiaramente determinata.
Né sussiste
violazione del principio di eguaglianza, in quanto la norma in questione prevede
limitazioni della proprietà che non si identificano con l'ablazione di questa
e, di conseguenza, pone in essere una situazione che non è in alcun modo
parificabile a quella del proprietario espropriato, mentre non è configurabile,
in radice, la denunciata discriminazione tra proprietari di beni dotati delle
stesse caratteristiche, essendo l’imposizione del vincolo correlata, come si
è detto, alle caratteristiche concrete di ciascun bene.
6.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, l'appello deve essere
respinto.
Le spese e gli
onorari del grado di giudizio possono essere equamente compensati.
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando
sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in
Roma, addì 13 maggio 2003
, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI
Presidente
Luigi MARUOTTI
Consigliere
Carmine VOLPE
Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI
Consigliere
Giuseppe MINICONE
Consigliere Est.