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Cass. Sez. III sent.. 45982 del 19-12-2005 (Ud. 23 novembre 2005)
Pres. Lupo Est. Lombardi Ric. Bonfranceschi
Rifiuti – Realizzazione e gestione di discarica abusiva

Con riferimento ai reati di realizzazione e gestione di discarica abusiva, dei quali è indubbia la natura di reati permanenti realizzabili soltanto in forma commissiva, il sequestro dell’area determina la cessazione della permanenza in quanto sottrae all’imputato la disponibilità di fatto e di diritto della cosa sequestrata

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Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di colpevolezza di Bonfranceschi Graziano in ordine al reato ascrittogli per avere, in concorso con tale Borraccio Giuseppe, titolare della società Latermusto di San Vittore nel Lazio, ed altri, realizzato una discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi.

Si osserva nella sentenza in punto di fatto che a seguito di accertamenti ispettivi eseguiti presso la Latermusto era emerso che la predetta società, autorizzata ex art. 33 del D.L.vo n. 22/97 ad impiegare per la produzione di laterizi rifiuti, quali metalli non ferrosi, residui inerti, ceneri, terre di fonderia ed altro, aveva provveduto a stoccare, in quantità ingente, sia polveri di abbattimento dei fumi provenienti da impianti metallurgici del Nord Italia, sia fanghi di depurazione di acque industriali, materiale che la Latermusto non aveva mai impiegato nel proprio ciclo produttivo ed era stato messo in riserva in modo tale da creare una discarica non autorizzata, che recava pregiudizio all'ambiente ed alla pubblica incolumità. Si era accertato inoltre che le polveri contenevano cromo ed i fanghi cromo esavalente, cromo totale ed arsenico in quantità superiori ai limiti previsti dai punti 12.16 e 12.17 del D.M. 5 febbraio 1998 n. 72; che i citati rifiuti speciali erano stati conferiti alla Latermusto da varie ditte tra le quali la Bonfranceschi Servizi Ecologici S.n.c., della quale è titolare l'imputato. Si accertava in particolare con riferimento all'attività di tale ultima ditta, che la stessa aveva ricevuto dalle aziende produttrici rifiuti destinati allo smaltimento, classificati D15 (ovvero deposito preliminare finalizzato allo smaltimento in discarica autorizzata), con codice CER 100203 (polveri) o 110204 (fanghi), ma aveva modificato la destinazione del rifiuto .da smaltimento a recupero R13, conferendoli alla Latermusto; che quest'ultima società aveva stoccato abusivamente tra il settembre 1998 e l'aprile 1999 circa 5.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, assicurandosi rilevanti profitti, così come analoghi profitti erano stati ricavati dalle società di intermediazione, derivanti dal mancato conferimento dei rifiuti pericolosi alle aziende autorizzate allo smaltimento.

La sentenza ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'imputato aveva dedotto la liceità del fatto, anche in considerazione della incertezza normativa in ordine alle modalità di gestione dei rifiuti di cui si tratta, nonché la insussistenza dell'elemento psicologico del reato, ed ha escluso la prescrizione dello stesso, malgrado il disposto sequestro dell'area destinata a discarica, per la natura permanente della fattispecie criminosa, sicché - si osserva in sentenza - la prescrizione ha iniziato a decorrere solo dalla data della pronuncia di primo grado.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la denuncia con tre motivi di gravame.

 

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 158 c.p..

Si osserva che anche per la esistenza del reato permanente la legge richiede che l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma si protragga nel tempo per effetto della persistente condotta volontaria del soggetto, sicché quest'ultimo sia in grado di porre fine alla situazione antigiuridica precedentemente posta in essere.

Si deduce, quindi, che la sentenza impugnata ha erroneamente affermato la irrilevanza, al fine di
determinare la cessazione della permanenza del reato, del sequestro dell'area adibita a discarica,
poiché con tale provvedimento è stata sottratta all'imputato la disponibilità di fatto e di diritto sulla cosa, impedendogli di farsi parte diligente per impedire il protrarsi della situazione di danno o di pericolo.

Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata interpretazione del D.M. 5 febbraio 1998 in relazione al D.M. 5 settembre 1994 e del decreto del Ministero dell'Ambiente n. 161 del 12 giugno 2002.

Si deduce in sintesi che il D.M. 5 settembre 1994 consentiva al punto 4.2 le attività di recupero dei rifiuti pericolosi (residui costituiti da ossidi di metalli, non ferrosi, mescolati con ossidi di ferro ed altri), così come poste in essere dal Bonfranceschi, e che il citato D.M. è stato abrogate solo dal D.M. n. 161 del 12 giugno 2002, sicché il modus operandi dell’imputato doveva ritenersi lecito, all'epoca dei fatti, e conforme allo spirito del decreto Ronchi che favorisce le attività di recupero dei rifiuti; che, peraltro, il codice CER 100203, attribuisce ai rifiuti solidi derivanti dal trattamento dei fumi, qualifica gli stessi quali "rifiuti non pericolosi", sicché detti rifiuti potevano egualmente essere avviati ad operazioni di recupero ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998 punto 7.22; che, peraltro, in tale ultimo decreto non si fa riferimento ai componenti dei rifiuti, tra i quali il cromo, e, pertanto, la classificazione dei rifiuti di cui si tratta operata dalla Corte territoriale quali rifiuti pericolosi per esclusione non si palesa giuridicamente corretta.

Con il terzo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso la buona fede dell'imputato, facendo riferimento ad elementi privi di rilevanza ai fini di della valutazione, quale il maggior lucro che avrebbe tratto il Bonfranceschi dal conferimento dei rifiuti alla Latermusto invece che in discarica, senza tener conto del fatto che il fine di lucro e proprio di ogni attività imprenditoriale.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

E' stato da tempo affermato dalle sezioni unite di questa Suprema Corte, con specifico riferimento alla questione in esame, che "i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma commissiva. Ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza." (sez. un. 199412753, Zaccarelli, riv. 199385; cfr. inoltre più di recente: sez. III, 11 novembre 2004 n. 48402, P.G. in proc. Brugnolaro ed altri, nella quale vengono, altresì, espresse censure in ordine alla cosiddetta concezione "bifasica" del reato permanente, cui sembra ispirarsi la pronuncia dei giudici di merito e che si rileva essere stata superata da tempo sia in dottrina che in giurisprudenza).

A maggior ragione deve, quindi, affermarsi la cessazione della permanenza allorché, a seguito del sequestro, l'imputato abbia perduto la disponibilità della cosa tramite la quale è stata posta in essere la commissione del reato permanente (cfr., sia pure con riferimento alla diversa ipotesi della occupazione di un'area demaniale tramite la realizzazione di manufatti: sez. III, 200326811, P.G. in proc. Orlando, riv. 225734; sez. III, 200347436, P.G. in proc. Armanno, riv. 227067).

Orbene, nel caso in esame, l'area adibita a discarica abusiva dei rifiuti di cui si tratta è stata sequestrata in data 22 aprile 1999, sicché da tale data è iniziato a decorrere il termine della prescrizione, che si è verificata, ai sensi degli art. 157 n. 5 e 160 c.p., il 22 ottobre 2003.

L'accoglimento del primo motivo di ricorso rende superfluo l'esame degli ulteriori motivi, che, peraltro, neppure si palesano manifestamente infondati.

Né si ravvisano, infine, motivi di proscioglimento dell'imputato ex art. 129 c.p.p..

Per l'effetto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per la causale indicata.