Cass. Sez. III n. 14721 del 10 aprile 2024 (UP 13 mar 2024)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. Venturini
Rifiuti.Concorso tra illecita gestione e gestione illecita di veicoli fuori uso 

Il reato di cui all'art. 256, comma primo, lett. b), del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 può concorrere materialmente, se riguardante rifiuti consistenti in veicoli fuori uso, con il reato di cui all'art. 13 del D. Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, in quanto mentre la prima contravvenzione attiene ad una azione diversificata di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti pericolosi svolta in assenza di preventiva autorizzazione, la seconda fattispecie è integrata da una attività imprenditoriale di gestione dei veicoli fuori uso non soggetta ad autorizzazione ambientale preventiva, svolta in violazione di una serie di prescrizioni specifiche dettate non solo per la salvaguardia dell'ambiente ma anche per il riutilizzo ottimale dei veicoli


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 luglio 2023, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova del 2 novembre 2022, appellata da Venturini Antonio e Venturini Silvano e dalla parte civile Prov. Mantova, in accoglimento dell’appello di quest’ultima, condannava entrambi gli imputati al risarcimento dei danni in favore della predetta parte civile, liquidati in 2.500,00 euro, con condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla stessa parte civile, confermando nel resto l’appellata sentenza che aveva riconosciuto gli stessi colpevoli del reato di cui all’art. 13, comma 1, d. lgs. n. 209 del 2003, per la mancata osservanza delle prescrizioni imposte dall’all. 1 della predetta disposizione nonché per la violazione dell’art. 256, comma 4, d. lgs. n. 152/2006, in relazione a fatto contestato come commesso in data 16/02/2020, secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nell’imputazione. 

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, i predetti hanno proposto congiunto ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo quattro motivi, di seguito sommariamente indicati. 

2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione in relazione agli artt. 13, comma 1, d. lgs. n. 209/2003 e 256, comma 4, lett. b), d. lgs. n. 152/2006 nonché per la violazione dei principi di cui all’art. 192, cod. proc. pen. nella valutazione della prova.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto provata la responsabilità penale dei due imputati con riferimento ad un'unica condotta tra le due contestate nel capo di imputazione. Si premette che gli imputati erano stati chiamati a giudizio tra di loro in concorso in ordine al reato di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 209 del 2003, perché non si sarebbero attenuti alle prescrizioni imposte dall'allegato 1 della citata norma. Analizzando il testo della pronuncia, e in particolare le deposizioni dei testimoni, non sembrerebbe in realtà che tale convincimento sia seguito ad un logico percorso motivazionale che, anzi, sarebbe caratterizzato da più di una contraddizione, oltre che da un errato richiamo a dati processuali, del tutto travisati, emessi nel corso del dibattimento. Si premette che gli imputati sono titolari da diversi anni di due categorie di attività, entrambe autorizzate dalla Provincia con un provvedimento unico agli atti: una attinente alla autodemolizione e quindi bonifica autovetture da rottamare, ed una attinente al recupero e messa in riserva di materiale ferroso con un elenco preciso di codici rifiuto. Le aree adibite alle due attività autorizzate, individuate ed autorizzate dall'Ente, sono promiscue, in sostanza insistono nel medesimo contesto logistico suddivise in una mappa esposta all'ingresso della sede operativa e alla quale gli imputati si attengono. Gli stessi giudici di appello attribuiscono rilievo a quello che è stato definito dalla polizia giudiziaria operante come un complessivo disordine e una generica inottemperanza alle prescrizioni, facendo tuttavia erroneamente derivare da ciò la loro responsabilità penale. Secondo la difesa, la portata, l'entità e l'incidenza delle violazioni circa il pericolo di un eventuale inquinamento ambientale sarebbero del tutto insussistenti, come confermato dalla teste dell'Arpa la quale ha sottolineato che vi erano carenze gestionali e non altro, e che situazioni di pericolo non erano state ravvisate in quel momento. 
Con riferimento al primo capo di imputazione, ossia quello riferibile all'articolo 13 del decreto legislativo n. 209 del 2003, la difesa svolge alcune deduzioni con riferimento alle singole rilevazioni contestate (recinzione lungo il perimetro; superficie impermeabile; barriera di protezione ambientale; stoccaggio accumulatori nei contenitori; cartellonistica ed etichette sui contenitori). 
Orbene, con riferimento alla recinzione lungo il perimetro, sostiene la difesa che un conto è sostenere che la recinzione lato nord dell'area non fosse adeguatamente posizionata, un conto è invece sostenere che non vi fosse la recinzione. Dall'istruttoria sarebbe emerso che la recinzione dell'area esiste nel rispetto delle autorizzazioni provinciali e che si tratta di area che recinta una porzione di un'area già ricompresa in quella maggiore ai lati che è già di proprietà anch'essa della medesima ditta Venturini. Le due aree sono destinate, la prima, dove insiste l'attività, alla detenzione rifiuti ed autovetture da demolire, mentre la seconda area, nella quale non vi erano rifiuti stoccati, è area di deposito attrezzature o materiali. La porzione maggiore, e che ricomprende anche l'area di attività, mai è stato messo in dubbio essere stata recintata addirittura con un muretto: da qui l'insussistenza di tale violazione. 
Quanto al secondo rilievo, relativo alla superficie impermeabile, osserva la difesa come tutta la superficie dell'impianto dedicata al deposito dei rifiuti è superficie che i ricorrenti hanno impermeabilizzato nel rispetto dell'autorizzazione concessa: il fatto che in alcune minime porzioni la stessa non risultasse in perfette condizioni, non significa che potesse essere di pregiudizio per il terreno sottostante o che si pregiudicasse la funzionalità della copertura, in quanto, come sarebbe attestato dal tecnico della ditta Venturini, gli strati sottostanti garantivano comunque la tenuta idraulica, non trattandosi di superficie in asfalto ma in calcestruzzo. Secondo la difesa i tratti di minima superficie ammalorati si riferivano esclusivamente allo spazio di transito degli autotreni in manovra, ossia quelli che fanno ingresso nell'area per depositare al suolo il materiale tecnologico. Nelle aree di semplice deposito dei rifiuti la superficie si conserva in buono stato in quanto non sollecitata meccanicamente. Peraltro, i ricorrenti, pur non essendo stato loro richiesto, avrebbero perfezionato, nel punto di scarico dei rifiuti e di selezione carico con il ragno, la tenuta della superficie in calcestruzzo con delle lamiere in acciaio fissate mediante saldatura a protezione del suolo, proprio contro le sollecitazioni meccaniche provocate dai materiali metallici scaricati dagli automezzi e dal ragno durante le fasi di carico del rifiuto avviato agli impianti di recupero. La stessa teste Bedetti avrebbe confermato che le tracce che vi erano non erano di olio e, poiché stava piovendo, quello che si vedeva non era olio: dunque nemmeno il pericolo di inquinamento in questo caso sarebbe stato rilevato. 
Quanto al terzo rilievo, riguardante la barriera di protezione ambientale, si sostiene che anche tale adempimento sarebbe stato portato a termine dai ricorrenti, come confermato dalla stessa teste Bedetti. Inoltre, si sostiene che né nell'atto autorizzativo provinciale si prescrivevano, né nell’allegato 2 e nell'unica planimetria citata, alcune barriere a verde. Peraltro, si aggiunge, la porzione nord-est dell'area sarebbe confinante con quella adiacente sempre di proprietà dei Venturini che non è dedicata all'attività di impianto, e dunque non vi sarebbe stata necessità di piantumare il confine se è tutt'uno con un terreno sempre della stessa ditta. Per quanto riguarda il lato sud, come sarebbe stato ammesso dalla testimone, vi è un muro di lastre di cemento prefabbricato di altezza di 2 m. dunque con adeguata protezione visiva, visto che la norma stessa prevede mascheratura a verde o con barriere. 
Quanto al quarto rilievo, riguardante lo stoccaggio degli accumulatori nei contenitori, si osserva che la contestazione di non aver stoccato gli accumulatori nei contenitori appositi non sarebbe veritiera atteso che, come sarebbe stato attestato dal consulente tecnico della ditta Venturini e dal medesimo imputato, i contenitori dove sono state rinvenute le batterie sono contenitori in plastica adeguati a resistere ad eventuali perdite di liquidi, forniti direttamente dalla ditta che ritira le batterie che sostituisce il vuoto per pieno. Come emergerebbe dalla semplice visione della fotografia 12 in atti, il cartello che identifica il Cer e le batterie è presente, e su diversi contenitori sarebbe presente anche il simbolo di sicurezza relativo al materiale corrosivo oltre la R identificativa del rifiuto, donde anche tale violazione non sussisterebbe. 
Quanto all'ultimo rilievo, cioè la mancanza di cartellonistiche ed etichette sui contenitori, si fa rilevare come i contenitori di rilevanti dimensioni presenti nell'area sarebbero tutti facilmente distinguibili sia per le dimensioni che per l'evidente contenuto, che ha già valore identificativo, ossia se materiale ferroso, se pneumatici o se plastica. Se in alcuni contenitori mancavano o non erano apposti in modo chiaro i cartelli identificativi questo sarebbe dovuto al fatto che non ci si trova all'interno di un'attività agevole da mantenere in ordine, in quanto spesso accade che il materiale o il braccio meccanico stesso urti i cassonetti e la cartellonistica si stacchi, tanto è vero che qualcuno era proprio a ridosso del cassonetto stesso. Al di là del dato formale, secondo la difesa, ciò che importa è la sostanza e la correttezza delle operazioni di collocazione del materiale in ogni suo apposito contenitore, e ciò non sarebbe stato oggetto di contestazione punto
Quanto al residuo capo di imputazione relativo alla violazione di cui all'articolo 256 comma 4, decreto legislativo n. 152 del 2006, si sostiene che la pronuncia di condanna non troverebbe riscontro negli elementi raccolti in dibattimento. Si sostiene che tale violazione derivi dal mancato rispetto delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione provinciale laddove rileva una commistione riscontrata nel corso dei sopralluoghi. Ove il giudice si riferisca alla presenza dei veicoli non bonificati in area già dedicata a veicoli già sottoposti al trattamento di bonifica, si osserva come gli stessi operatori dell'Arpa avrebbero confermato nei verbali agli atti che sia la norma di settore che l'autorizzazione prevedono che le aree di stoccaggio autoveicoli possono essere utilizzate indifferentemente per veicoli bonificati e non bonificati, quindi i veicoli non bonificati ben potevano stare in quella destinata ai veicoli bonificati, peraltro tutta pavimentata, il che escluderebbe la sussistenza della violazione. Da ultimo si censura anche quella parte della sentenza che ritiene provata la contestazione di non aver avuto in dotazione lo strumento rilevatore portatile per il controllo radiometrico. A tal proposito, si sostiene che la prescrizione contenuta nell'allegato dell’autorizzazione provinciale del 2019 esiste, ma l'autorizzazione omette di citare a quale dato normativo si dovrebbe fare riferimento. Si osserva come tramite il tecnico della ditta Venturini si stesse predisponendo un protocollo di utilizzo di tale apparecchiatura per la quale in realtà sarebbe opportuno vi fosse un tecnico specializzato. A tal proposito si osserva come, per gli impianti di semplice stoccaggio di rifiuti della ditta Venturini, non nascerebbe l'esigenza di accertare la presenza radioattiva nei metalli conferiti, in quanto non vi sarebbe alcun pericolo perché di fatto il controllo viene fatto con apparecchi molto più sofisticati dalle aziende che ricevono dai Venturini. La stessa teste Bedetti avrebbe confermato, in merito al rischio di materiale contaminato, che si tratta di una eventualità abbastanza remota e che il rifiuto prevalente proviene da demolizione ed è quindi molto improbabile che sia radioattivo. 

2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 131-bis, cod. pen. stante il mancato riconoscimento della speciale causa di non punibilità.
In sintesi, si duole la difesa per non aver la Corte d’appello riconosciuto la speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. pen. ritenendo che la violazione non sia isolata, ma ripetitiva delle prescrizioni dell’autorizzazione. Si tratterebbe di motivazione censurabile, alla luce della disciplina normativa e della relativa interpretazione giurisprudenziale, di cui si riportano copiosi riferimenti, in quanto la norma in esame sarebbe sicuramente applicabile anche ai reati ambientali, e, soprattutto, si sarebbe trattato di un fatto isolato in cui non è stata recata alcuna offesa, né pericolo o danno, tantomeno all’ambiente circostante, essendosi al più trattato di violazioni formali. Da qui la richiesta di “assoluzione” degli imputati per la particolare tenuità del fatto. 

2.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione agli artt. 132, 133 e 62-bis, cod. pen. con riferimento alla pena inflitta ed all’esclusione delle attenuanti generiche.
In sintesi, si duole la difesa per l’eccessività della pena irrogata e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Si richiede, pertanto, la rideterminazione della pena con il riconoscimento delle invocate attenuanti, richiamando sul punto copiosa giurisprudenza di questa Corte in materia, ed insistendo sul fatto che, in considerazione delle emergenze istruttorie, l’oggettiva valutazione dei fatti e la condotta complessiva degli imputati anche successivamente ai fatti avendo provveduto al pronto ed immediato ripristino dei luoghi, avrebbero giustificato il riconoscimento delle invocate attenuanti. 

2.4. Deducono, con il quarto motivo, il vizio di motivazione quanto al riconoscimento del danno in favore della parte civile Comune di Bigarello e della Provincia di Mantova.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto un danno risarcibile agli Enti, ricondotto all’immagine, al tessuto paesaggistico, per un contesto quasi urbano dell’insediamento, laddove, per la Provincia, deriverebbe dalle violazioni delle prescrizioni imposte con l’autorizzazione e che avrebbero determinato anche un impegno della stessa in termini di personale ed iter. Richiamata sul punto la giurisprudenza di legittimità, si sostiene che in atti non vi sarebbero elementi tali da ricondurre una minima entità di danno al Comune e nemmeno alla Provincia, certo non di carattere ambientale e paesaggistico in un’area privata, recintata dove nessuna violazione d carattere urbanistico od edilizio è stata riscontrata. Non vi sarebbe stato alcun danno all’immagine, on avendo dato notizia della vicenda nessuna testata locale. Nessun esposto sarebbe mai stato presentato dai cittadini residenti nel comune, come confermato dal Sindaco, né alcun procedimento amministrativo sarebbe mai stato aperto. Non sussisterebbe quindi la prova del danno, né la Provincia avrebbe mai dimostrato un minimo disagio o impegno di personale perché a fronte del verbale Arpa e della diffida al ripristino dello stato dei luoghi, i ricorrenti avrebbero prontamente adempiuto senza alcun aggravio dell’Ente. 

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 29 gennaio 2024, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Per il PG va evidenziato che la sentenza di secondo grado conferma integralmente il giudizio di prime cure in relazione al giudizio di responsabilità degli imputati, versandosi in un’ipotesi di doppia conforme. Fatte queste premesse la Corte ha offerto ampia motivazione in ordine al giudizio di responsabilità degli imputati anche in ragione delle criticità sollevate in sede di appello, e riproposte integralmente in questa sede, con la conseguenza che deve escludersi che “entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento di risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”. Nei motivi di ricorso, sostanzialmente ripetitivi dei motivi di appello, si assumono vizi argomentativi della sentenza ed erronea valutazione delle risultanze processuali del tutto infondati, come è dato desumere dalle motivazioni delle Corti di merito che analiticamente danno risposta alle censure difensive con percorso argomentativo legittimo e coerente. Del tutto corretta risulta, poi, la motivazione relativa all’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 131 bis c.p., che si basa sulla gravità degli addebiti desumibile dalla pluralità delle violazioni rilevate, peraltro attinenti ad un’attività di gestione che lascia presumere una ripetitività di comportamenti gestori in violazione della normativa prevista, evidenziando, peraltro che entrambi gli imputati annoverano precedenti specifici sul punto. Del tutto infondate, poi, sono le censure relative al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dovendosi ritenere la sentenza sia è adeguatamente motivata sia in relazione ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sia in relazione alle ragioni del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Deve, infine, ritenersi palesemente infondata la censura relativa alla condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile Provincia di Mantova e del Comune di San Giorgio Bigarello, in relazione al quale la sentenza impugnata offre motivazione del tutto adeguata in relazione all’interesse correlato alla lesione di diritti particolari secondo quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 1, n. 44528 del 25/09/2018 Ud., dep. 31/10/2019, rv. 277148).

4. in data 15 febbraio 2024, l’avv. Roberta Ramelli, in difesa della parte civile Comune di San Giorgio Bigarello, ha fatto pervenire memoria con cui evidenzia come i ricorrenti si sarebbero limitati a riproporre i motivi già sottoposti al vaglio della Corte territoriale, anche con riguardo al danno riconosciuto al Comune di San Giorgio di Bigarello. Sul punto la Corte d’appello ha richiamato il dato probatorio acquisito nel corso del dibattimento, e già valorizzato dal giudice di prime cure, per concludere che la deposizione dell’allora sindaco Chilesi Barbara, aveva messo in luce gli obiettivi primari del Comune volti a garantire una migliore qualità della vita dei propri cittadini, attraverso tutta una serie di politiche amministrative ed ambientali volte a contenere i rischi di inquinamento. Gli interessi salvaguardati dal Comune, ha chiarito la Corte, risultano senza dubbio violati dalle condotte contestate agli imputati ed integrano un danno di natura non patrimoniale. In data 20/02/2024, sempre l’avv. Roberta Ramelli, in difesa della parte civile Comune di San Giorgio Bigarello, ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e la condanna alla rifusione delle spese legali del grado alla parte civile, rimettendo la relativa nota spese. 

5. In data 26 febbraio 2024, l’avv. Lucia Salemi, in difesa della parte civile Provincia di Mantova, ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte, con cui ha chiesto che, in accoglimento delle richieste del Procuratore Generale, e agli effetti della responsabilità civile, la Corte voglia dichiarare l’inammissibilità del ricorso, confermando le statuizioni della sentenza impugnata riferite alla parte civile Provincia di Mantova, e condannare i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese e dei compensi professionali a favore della parte civile Provincia di Mantova come da nota depositata. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, trattati cartolarmente ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 137/2020 e successive modifiche ed integrazioni, in assenza di istanza di discussione orale, sono inammissibili.  

2. Il primo motivo è inammissibile. 

2.1. È anzitutto inammissibile perché generico per aspecificità, in quanto è palese come lo stesso non si confronti minimamente con le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata che hanno chiarito le ragioni per le quali ambedue i reati in contestazione dovevano ritenersi configurabili. 
Già la semplice lettura delle pagine 7/11 dell’impugnata sentenza, rende evidente come le doglianze svolte nel primo motivo di ricorso replicano fedelmente, senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, quelle già sviluppate davanti ai giudici territoriali, ciò che rende ragione del giudizio di inammissibilità per genericità. È stato più volte affermato da questa Corte infatti che l'impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (tra le tante: Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Rv. 236945 – 01). 
Le argomentazioni svolte dalla sentenza d’appello a sostegno della configurabilità degli illeciti penali contestati, del tutto immuni dai vizi denunciati, sorreggono adeguatamente le ragioni del diniego in ordine all’accoglimento della prospettazione difensiva. Si legge infatti in sentenza che le contestazioni in merito alla sussistenza delle violazioni rilevate, in sede di sopralluogo, da parte dei tecnici ARPA appaiono destituite di fondamento. Al di là del fatto che i due verbali di sopralluogo, corredati dalle fotografie in atti e la deposizione dei testi danno conto di una situazione di gestione dell'attività di demolizione autoveicoli all'insegna del disordine e in violazione delle prescrizioni contenute nel trattamento del veicolo fuori uso, non altrimenti smentita, sottolineano i giudici di merito come è lo stesso ing. Baraldi, tecnico della ditta Venturini, ad ammettere di fatto l'effettività delle violazioni rilevate, rappresentando che la ditta sua cliente aveva dato corso ai lavori di ripristino e di messa a punto in relazione alle contestazioni rilevate in sede di sopralluogo da parte di ARPA e poi oggetto di successiva diffida da parte della Provincia di Mantova ("…abbiamo riparato la pavimentazione, abbiamo riparato il cancello, abbiamo riparato i cartelli che si erano danneggiati e che non c'erano più…": pg.37 deposizione del 6.7.2022). La stessa mancanza di disponibilità da parte della ditta del rilevatore portatile per il controllo radiometrico è un dato oggettivo e non altrimenti smentito. Che poi si assuma che tali violazioni avrebbero una modesta, se non nulla, incidenza sul bene interesse dell'ambiente, per i giudici di appello è postulato logico ad una premessa giuridica non condivisibile, tenuto conto che, nel caso di specie, si è in presenza di reati di pericolo presunto, ove è già il legislatore ad aver anticipato la soglia di punibilità del reato alla mera violazione formale in ragione dell'importanza dell’interesse da salvaguardare. 
Nel caso di specie, osservano correttamente i giudici di appello, il pericolo per l’ambiente non è inserito tra i requisiti della fattispecie incriminatrice, ma viene presunto "iuris et de iure"; pertanto, non solo non deve essere accertata la concreta esistenza dello stato di pericolo, ma neanche è ammessa prova contraria, che peraltro, nel caso di specie, è del tutto assente. Così quanto al reato di cui al capo 1), osserva con ineccepibile logica argomentativa la Corte d’appello, le incontestate problematiche della recinzione dell'area, facilmente amovibile e in alcuni punti aperta, non sono certo superate dal fatto che l'area era interclusa in un più ampio spazio sempre di proprietà dei VENTURINI, delimitato da adeguata recinzione; la normativa tecnica del D.lgs. 209 del 2003 prescrive che sia idonea la recinzione di tutto il perimetro del sedime adibito all'attività di autodemolizione, per cui poco importa che l'ulteriore area circostante fosse dei VENTURINI, che ben potrebbero adibire la stessa ad altri e diversi usi. Per quanto poi si voglia sostenere che le fessurazioni presenti sulla pavimentazione soprattutto nella zona di transito dei mezzi pesanti non avrebbero determinato il pericolo di infiltrazione per assenza di prodotti oleosi e in quanto il sottofondo sarebbe impermeabilizzato in calcestruzzo, si tratta, sottolineano i giudici di appello con motivazione anche in questo caso del tutto scevra da illogicità manifeste, di considerazione irrilevante alla luce della natura del reato. Non solo, aggiunge la Corte territoriale, quanto alla deposizione del teste Bedetti si osserva come lo stesso non ha escluso la presenza sulla pavimentazione di sostanze oleose, ma ha solo specificato che, essendo le foto scattate durante un temporale, quello che si vedevano erano sostanze oleose frammiste ad acqua piovana (''qui è evidente .. . si è evidente .. . non si vedono in questa immagine, si vedrebbero molto meglio negli originali, dove appunto si vedevano queste parti scure che ... sì ad occhio erano imputabili, comunque, a tracce di olio o comunque di idrocarburi. L'ultima foto, la foto 5, qui non si vede bene, però quella parte di liquido, insomma se mi permette il termine poco .. . stava piovendo o era appena piovuto, quindi quello che si vede non è olio, ma ovviamente acque meteoriche frammiste .. "; pg.9 verbale deposizione 6.7.2022). Allo stesso modo, puntualizzano i giudici territoriali, non vi è alcuna identificazione delle aree in cui staccare i diversi residui dell'attività di demolizione e poco importa se fossero state rispettate comunque le aree come indicate in planimetria, da parte dei Venturini sulla scorta della loro conoscenza dei luoghi, poiché ciò che viene richiesto è l'esatta identificazione nel sito. Peraltro, l'asserito rispetto della planimetria è smentito dalla complessiva commistione riscontrata nel corso dei sopralluoghi, per come desumibile dalle foto in atti. Inoltre, anche gli accumulatori non risultavano stoccati in maniera idonea, poiché al di là dell’inidoneità dei contenitori – che non erano quelli prescritti e non erano idonei per assenza del bacino di raccolta (teste Balloni pag.17 verbale deposizione 6.7.2022) sono risultati accatastati alla rinfusa in zona non consentita, con ciò escludendo che potessero essere il risultato provvisorio delle demolizioni di giornata. Quanto poi alla gestione degli pneumatici, le foto 13 e 14 del fascicolo fotografico versato in atti sono eloquenti in ordine alla situazione di disordine relativa alla loro gestione. Quanto al reato di cui al capo 2) per la Corte d’appello è, del pari, irrilevante, oltre che non comprovato, che non vi fosse l'esigenza di accertare la presenza di metalli radioattivi, trattandosi di prescrizione obbligatoria e non adempiuta.

2.2. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze dei ricorrenti si appalesano dunque anche manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunti vizi di violazione di legge e di motivazione, con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte del Giudice di legittimità. Il controllo di legittimità non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745). E sotto tale profilo la decisione non merita censura. 
Non vi è dubbio poi che i due reati possano tra loro concorrere materialmente, posto che, come già chiarito da questa stessa Sezione, il reato di cui all'art. 256, comma primo, lett. b), del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 può concorrere materialmente, se riguardante rifiuti consistenti in veicoli fuori uso, con il reato di cui all'art. 13 del D. Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, in quanto mentre la prima contravvenzione attiene ad una azione diversificata di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti pericolosi svolta in assenza di preventiva autorizzazione, la seconda fattispecie è integrata da una attività imprenditoriale di gestione dei veicoli fuori uso non soggetta ad autorizzazione ambientale preventiva, svolta in violazione di una serie di prescrizioni specifiche dettate non solo per la salvaguardia dell'ambiente ma anche per il riutilizzo ottimale dei veicoli (Sez. 3, n. 9217 del 20/11/2014, dep.  2015, Rv. 262521 – 01). 

2.3. Peraltro, nel caso di specie, la violazione di cui al capo b) afferiva anche all’inosservanza delle prescrizioni autorizzative indicate nel capo di imputazione previste dall'atto autorizzativo rilasciato dalla Provincia di Mantova (AD PD /61 del 23. 1.20 19) ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. 152/2006. In particolare, violavano la prescrizione di cui al punto 3.1 della predetta autorizzazione, non provvedendo ad acquistare e dunque non utilizzando un apposito rilevatore portatile in grado di effettuare un controllo radiometrico per individuare eventuali elementi radioattivi presenti tra i rifiuti in entrata all'impianto. Inoltre, violavano le prescrizioni in materia di stoccaggio di rifiuti che non avvenivano in conformità a quanto riportato in planimetria e non indicavano nelle aree e nei contenitori il contenuto degli stessi, rendendo impossibile un controllo preciso della conformità degli stoccaggi dei rifiuti, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Prescrizioni la cui violazione integra ex se il reato contestato, non potendo valere le giustificazioni pretestuose indicate in ricorso circa la presunta mancanza di necessità di accertare la presenza radioattiva nei metalli conferiti o l’assenza di pericolo, essendosi infatti più volte affermato da questa Corte che la contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni (art. 256, comma quarto, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è reato formale di pericolo, il quale si configura in caso di violazione delle prescrizioni imposte per l'attività autorizzata di gestione di rifiuti, non essendo richiesto che la condotta sia anche idonea a ledere in concreto il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice (Sez. 3, n. 6256 del 02/02/2011, Rv. 249577 – 01). 

3. Anche il secondo motivo è inammissibile. 
I giudici di appello hanno escluso che il fatto potesse qualificarsi in termini di lieve tenuità, segnatamente valorizzando la gravità degli addebiti desumibili dalla pluralità delle violazioni rilevate, peraltro attinenti ad un'attività di gestione, che lascia presumere una evidente ripetitività di comportamenti gestori in spregio alla normativa prevista. E, del resto, ha considerato significativo il fatto che entrambi gli imputati annoverino precedenti specifici sul punto.
La motivazione non merita censura. Ed infatti, mentre può in astratto essere sindacato il diniego della causa di non punibilità nella parte in cui è fondato su un giudizio negativo alla luce dei precedenti specifici sul punto – atteso che il richiamo ai precedenti penali specifici, esula dalla valutazione “oggettivistica” che il giudice è chiamato a svolgere ai fini del riconoscimento della speciale causa di non punibilità, essendovi infatti affermato che il riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto non è precluso dall'esistenza di precedenti penali gravanti sull'imputato, pur quando, sulla base di essi, si sia applicata una pena superiore al minimo edittale, atteso che i parametri di valutazione di cui all'art. 131-bis cod. pen. hanno natura e struttura oggettiva, ed operano su un piano diverso da quelli sulla personalità del reo (Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016, dep.  2017, Rv. 270948 – 01) - non merita censura l’ulteriore ratio decidendi su cui si fonda il diniego, basata sulla oggettiva gravità del fatto, laddove in particolare rileva “la gravità degli addebiti desumibili dalla pluralità delle violazioni rilevate, peraltro attinenti ad un'attività di gestione, che lascia presumere una evidente ripetitività di comportamenti gestori in spregio alla normativa prevista”. 
Dunque, il diniego non si fonda solo sulla mera pluralità delle violazioni rilevate (che non sarebbe sufficiente a giustificarlo, come del resto ormai chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto la quale può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che - salve le condizioni ostative tassativamente previste dall'art. 131-bis cod. pen. per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale - tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti: Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 – 01), ma sulla oggettiva gravità delle stesse attinenti ad un'attività di gestione, che, con motivazione non manifestamente illogica, lascia presumere alla Corte territoriale una evidente ripetitività di comportamenti gestori in spregio alla normativa prevista, con ciò escludendo che il fatto possa qualificarsi in termini di “particolare tenuità”. 
Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede, infatti, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite, una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 – 01). 
Nella specie, proprio il giudizio negativo sulle modalità della condotta, unito anche all’entità del trattamento sanzionatorio inflitto ed al motivo addotto per il diniego delle circostanze attenuanti generiche (non fondato sulla mera constatazione dei precedenti penali, ma “del fatto che non era la prima volta che l'attività di demolizione era fatta oggetto di intervento repressivo e che, ciò nonostante, la sua gestione è proseguita in modo imperterrito in spregio alle prescrizioni previste”, escludendo la possibilità di apprezzare positivamente “l'intervento ripristinatorio posto in essere, al sol considerare che il mancato intervento avrebbe comportato la revoca dell'autorizzazione concessa”), così valorizzando inequivocabilmente il grado di colpevolezza, consente di ritenere ragionevole l’approdo valutativo cui è pervenuta la Corte territoriale nell’escludere la particolare tenuità del fatto. 

4. Il terzo motivo è parimenti inammissibile. 
I giudici di appello giustificano il diniego della richiesta di un trattamento sanzionatorio più lieve, osservando come non vi fossero ragioni apprezzabili per concedere le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto del fatto che non era la prima volta che l'attività di demolizione era fatta oggetto di intervento repressivo e che, ciò nonostante, la sua gestione è proseguita in modo imperterrito in spregio alle prescrizioni previste. 
La motivazione non merita censura, considerato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02).  

5. Anche l’ultimo motivo è inammissibile. 
La Corte d’appello ha, anzitutto, chiarito le ragioni per le quali non poteva accogliersi la revoca delle statuizioni civili in favore del Comune. Sul punto, ha richiamato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali aventi ad oggetto fatti compiuti successivamente al 29 aprile 2006 a seguito della abrogazione dell'art. 18, comma terzo, della l. n. 349 del 1986 derivante dall'entrata in vigore dell'art. 18, comma secondo, lett. a), del D.Lgs. n. 152 del 2006, spetta, in via esclusiva allo Stato per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, inteso come lesione dell'interesse pubblico alla integrità e salubrità dell'ambiente, mentre tutti gli altri soggetti, singoli o associati, comprese le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, possono esercitare l'azione civile in sede penale ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. solo per ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari diversi dall'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente, pur se derivante dalla stessa condotta lesiva. 
Orbene nel caso di specie, osserva la Corte d’appello, l'audizione del teste Chilesi, vicesindaco del Comune interessato e assessore all'Ambiente, ha fatto emergere come uno dei primari obiettivi del Comune sia quello di garantire una migliore qualità della vita dei propri cittadini, adottando tutta una serie di politiche amministrative e di attenzioni volte a contenere i rischi di inquinamento ambientale e ciò, a maggior ragione nel caso di specie, ove l'attività della ditta VENTURINI era ubicata in un contesto vicino alle abitazioni. Per tali ragioni, di conseguenza, osserva del tutto correttamente la Corte d’appello, non può non rilevarsi come la violazione alle prescrizioni in essere abbia determinato un'incidenza diretta sugli interessi salvaguardati dal Comune, la cui lesione ben appare compatibile, sotto il profilo del danno non patrimoniale alla posta risarcitoria riconosciuta (risarcibilità del danno non patrimoniale assolutamente pacifica: Sez. 4, n. 24619 del 27/05/2014, Rv. 259153). 
Analogamente, non merita censura l’accertato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in favore della Provincia di Mantova, trattandosi di ente territoriale anch'esso interessato dalle violazioni in contestazione. Peraltro, come bene evidenzia la Corte d’appello, se si considera che l'autorizzazione all'attività di demolizione di veicolo e alla gestione dei rifiuti di recupero risulta essere stata rilasciata proprio dalla Provincia di Mantova, non si comprende la ragione per la quale non sussisterebbe danno per la stessa. Al riguardo basti pensare che, al fine di rilevare le violazioni constatate da A.R.P.A., la Provincia di Mantova ha dapprima effettuato un sopralluogo con proprio personale il 17.2.2020, unitamente all'A.R.P.A. e ha emesso, successivamente, atto di diffida del 27.2.2020. Le condotte illecite hanno quindi leso il diritto della Provincia di Mantova, sotteso al rispetto delle prescrizioni imposte con l'autorizzazione e ha determinato anche un impegno della stessa - in termini di personale e iter - per imporre il rispetto di questa. Anche alla Provincia di Mantova ben poteva dunque essere riconosciuto un danno risarcibile, come del resto pacificamente ammesso dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 755 del 28/10/2009, dep.  2010, Rv. 246015).

6. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione dei ricorsi. Segue, infine, la condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili costituite, liquidate come da dispositivo, in applicazione dei parametri ministeriali, disciplinati dal D.M. 55/2014 recante: "Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell'art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247", aggiornati al D.M. n. 147 del 13/08/2022. 
 
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di San Giorgio Bigarello e Provincia di Mantova che liquida in complessivi euro 3.686 ciascuno, oltre accessori di legge. 
Così deciso, il 13 marzo 2024