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Sez. 3, Sentenza n. 9544 del 02/03/2004 (Ud. 11/02/2004 n.00228 ) Rv. 227570
Presidente: Rizzo A. Estensore: Grillo C. Imputato: Rainaldi ed altro. P.M. Izzo G. (Parz. Diff.)
(Rigetta, Trib.L'Aquila, 15 ottobre 2001).
614001 SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Deposito incontrollato - Reato di cui all'art. 51, comma secondo, del decreto n. 22 del 1997 - Soggetti attivi - Individuazione.

CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)

Il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all'art. 51, comma secondo, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, è ipotizzabile non soltanto in capo alle imprese o agli enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo del citato art. 51 (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), ma a qualsiasi impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 cod. civ., o ente, con personalità giuridica o operante di fatto, atteso che il precedente riferimento alla attività di gestione dei rifiuti originariamente previsto dal comma in questione risulta soppresso con legge 9 dicembre 1998 n. 426.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. RIZZO Aldo - Presidente - del 11/02/2004
Dott. ZUMBO Antonio - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 228
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere - N. 424/2002
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
- RAINALDI GIORGIO, nato a Poggio Picenze il 10/6/1937, e DE MATTEIS ETTORE, nato a L'Aquila il 21/2/1976;
avverso la sentenza n. 619/01 del 15-19/10/2001, pronunciata dal Tribunale di L'Aquila;
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
- udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Carlo M. Grillo;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale G. Izzo, con cui chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
- udito il difensore, avv. A. Carbonara, che insiste per l'accoglimento dello stesso;
La Corte osserva:
FATTO
Con la decisione indicata in premessa, il Tribunale di L'Aquila, in composizione monocratica, condannava Rainaldi Giorgio, socio accomandatario e direttore tecnico della "Vibrocementi L'Aquila s.a.s. di Rainaldi Ezio & C.", e De Matteis Ettore, operaio dipendente di tale ditta, alla pena di L. 4.000.000 di ammenda ciascuno in ordine al reato di cui all'art. 51, comma 1^, lett. a), D. L.vo n. 22/1997, ed il primo anche in relazione alle fattispecie previste dai successivi commi 2^ e 5^. In particolare, il Rainaldi veniva riconosciuto colpevole di abbandono incontrollato e miscelazione di rifiuti non pericolosi prodotti dall'azienda, che scaricava in una grande buca aperta nel piazzale dello stabilimento;
il De Matteis, di avere smaltito "mediante abbruciamento" rifiuti non pericolosi, in mancanza di autorizzazione.
Avverso detta decisione propongono ricorso gli imputati, con un unico atto di gravame, deducendo, in primis, violazione dell'art. 606, lett. b), c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla normativa di cui al D. L.vo n. 22/1997, ed in particolare per erronea applicazione dell'art. 51, comma 1^, in relazione agli artt. 50 e 6, lett. m), del decreto stesso. Secondo i ricorrenti, il Tribunale aveva travisato le emergenze dibattimentali, avendo queste evidenziato che, nella menzionata buca, erano stati solo provvisoriamente accumulati rifiuti misti di costruzione e demolizione, provenienti dai lavori di rifacimento del piazzale esterno dell'azienda e della palazzina destinata ad uffici, in attesa di essere trasferiti altrove, come in effetti era poi avvenuto (il 24/5/2000) ad opera della ditta Zugaro, per cui non sussisteva l'abbandono di rifiuti. Inoltre rilevano gli imputati che le contravvenzioni previste dall'art. 51 del decreto Ronchi sono "reati propri", giacché il destinatario dei precetti può solo essere l'esercente di un' attività di gestione di rifiuti prodotti da terzi, come si evince dal titoletto della norma; in particolare, con riferimento alla previsione del secondo comma, il destinatario è il titolare di impresa che svolga detta attività, e non di una qualsiasi impresa che produca o detenga rifiuti, come la Fibrocementi. Pertanto il Rainaldi poteva essere riconosciuto colpevole al massimo della violazione amministrativa prevista dall'art. 50 D. L.vo n. 22/1997, ma non di quella penale di cui all'articolo successivo. Nel caso di specie, peraltro, doveva ritenersi sussistente il "deposito temporaneo", di cui all'art. 6 lett. m) del decreto, ricorrendone tutte le condizioni di legge. Relativamente all'imputato De Matteis, la violazione di legge è altrettanto evidente, si afferma nel ricorso, sia perché il predetto - per le esposte ragioni - non poteva essere destinatario della norma sopra esaminata, sia perché egli si era limitato, una sola volta, a dare fuoco a rifiuti non pericolosi prodotti dall'azienda. Con una seconda doglianza i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 606, lett. e), c.p.p. per carenza e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, emergendo dalle risultanze processuali e documentali che la ditta Vibrocementi conferiva regolarmente i rifiuti ad altra ditta autorizzata, per il trasporto alla discarica, per cui non aveva alcun interesse ad interrarli.
All'odierna udienza dibattimentale, il P.G. e la difesa concludono come riportato in premessa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Quasi tutte le doglianze proposte, invero, si concretano in una serie di censure alla valutazione delle prove effettuata dal giudice del merito, motivata adeguatamente, logicamente e correttamente. Ricordato che l'attuale codice di rito prevede come motivo di ricorso per Cassazione, attinente alla motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità di essa (quando detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento), e non anche la sua insufficienza, reputa il Collegio che, nel caso in esame, non ricorra alcuna di tali ipotesi, avendo il Tribunale spiegato, in maniera adeguata, logica e corretta le ragioni del proprio convincimento.
In particolare, per quanto attiene al giudizio di penale responsabilità dell'imputato, è d'uopo ribadire che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Alla luce di tale consolidato principio di diritto, deve osservarsi che il giudice del merito ha specificamente, congruamente e correttamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistere la colpevolezza degli imputati in ordine al reato ad essi ascritto, individuando una serie di elementi probatori della responsabilità di ciascuno, a fronte delle argomentazioni addotte dalla difesa. Così è stato accertato che i rifiuti accumulati nella buca, peraltro di notevoli dimensioni (sette metri di profondità), non consistevano solo - come riferito in ricorso - in detriti e materiale da demolizione, bensì anche in rifiuti plastici, cavi elettrici, secchi vuoti, legno da imballaggio ed altro; è risultato, inoltre, che la buca in questione era "in via di ritombamento", il che smentisce categoricamente la tesi del "deposito temporaneo", sostenuta dagli imputati, anche se si volesse ammettere la ricorrenza delle condizioni stabilite dall'art. 6 lett. m) del decreto Ronchi. Quindi, lungi dall'essere manifestamente illogica, la motivazione dell'impugnata sentenza in punto responsabilità è invece assolutamente adeguata e corretta, donde l'inammissibilità in sede di legittimità delle dette censure. Per quanto concerne, poi, l'unico punto "in diritto" del ricorso, e cioè la non
ipotizzabilità delle contravvenzioni previste dall'art. 51 nei confronti di chi non eserciti attività di gestione di rifiuti altrui, ritiene il Collegio non corretta l'interpretazione prospettata: le imprese o gli enti di cui tratta il secondo comma dell'art. 51 non sono soltanto quelle che effettuano una delle attività indicate nel primo comma (raccolta trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), bensì qualsiasi impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 c.c., o ente, sia con personalità giuridica che operante di fatto. Ciò lo si deduce, ad avviso del Collegio, aldilà di interpretazioni formali delle singole disposizioni, dalla ratio del decreto Ronchi (simile a quella del D.P.R. n. 915/1982), tendente all'obiettivo di massima protezione ambientale (art. 2), e dunque ad impedire ogni rischio di inquinamento derivante da attività idonee a produrre rifiuti con una certa continuità, escluse perciò solo quelle del privato, che si limiti a smaltire i propri rifiuti al di fuori di qualsiasi intento economico.
Peraltro questa Corte ha anche recentemente affermato (Cass. Sez. 3^, 14 maggio 2002, n. 21925, Saba) che il reato di cui all'art. 51 D. L.vo n. 22/1997 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata) non ha natura di reato proprio, la cui commissione sia possibile solo da soggetti esercenti professionalmente la detta attività, ma costituisce un'ipotesi di reato comune, che può essere commesso da "chiunque". Quindi anche le imprese e gli enti, di cui, al secondo comma del detto articolo, non sono solo quelli che esercitano professionalmente attività di gestione dei rifiuti, ma tutti, e ciò lo si ricava anche dalla originaria formulazione di tale comma (ante modifica, ad opera della legge n. 426/1998), che - nella prima parte (rimasta) - fa riferimento genericamente ad imprese ed enti, mentre - nella seconda (soppressa) - indicava le imprese ed enti "che effettuano attività di gestione dei rifiuti", in tal modo restringendo la generica categoria presa in considerazione precedentemente.
Per quanto concerne la posizione del De Matteis, non può dubitarsi che l'attività da lui posta in essere, e peraltro pacificamente ammessa, sia consistita nello smaltimento, tramite bruciatura, di rifiuti vari; ciò basta per ritenere concretata la contestata violazione del primo comma dell'art. 51. Del resto sul punto la gravata sentenza è supportata da adeguata motivazione. P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2004.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2004