Cass. Sez. III n. 30929 del 29 luglio 2024 (UP 10 apr 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Duse
Rfiuti.Abbandono e deposito incontrollato

Il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, diversamente dall’abbandono, reca in sé i segni del persistente dominio finalistico sulle cose; la qualificazione della condotta come abbandono o deposito incontrollato di rifiuti costituisce frutto di un accertamento di fatto del giudice di merito che, se congruamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità; l’abbandono di rifiuti ha natura istantanea; il deposito incontrollato di rifiuto ha sempre natura permanente; la permanenza cessa con la rimozione definitiva dello stato di antigiuridicità già prodottosi oppure con il vincolo reale del bene oppure, ancora, con la sentenza di primo grado quando la contestazione è di natura aperta; colui il quale subentra contrattualmente nella gestione dei rifiuti risponde direttamente del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, e non del reato di cui all’art. 255, comma 3, stesso decreto se, dopo aver provveduto all’iniziale smaltimento dei rifiuti, ha cessato la condotta lasciando in deposito incontrollato i residui rifiuti; la condotta di deposito incontrollato dei rifiuti consiste anche nel lasciare in deposito i rifiuti stessi, non richiedendo necessariamente la norma che l’agente conferisca ulteriori rifiuti rispetto a quelli dei quali abbia assunto la gestione diretta

RITENUTO IN FATTO

            1. Il sig. Flavio Duse ricorre per l’annullamento della sentenza del 13 aprile 2023 della Corte di appello di Venezia che, in parziale riforma della sentenza del 28 gennaio 2016 del Tribunale di Venezia, pronunciata a seguito di giudizio ordinario e da lui impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per essere il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, estinto per prescrizione, ha revocato le statuizioni civili di condanna a favore dei Comuni di Marcon e Mogliano Veneto, ha confermato nel resto le statuizioni civili di condanna a favore della Regione Veneto.
                1.1. Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 157 e 158 cod. pen., nonché dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, e la mancanza di motivazione in ordine alle ragioni del mancato accoglimento del motivo di appello relativo al momento consumativo del reato contestato (di natura istantanea, con effetti eventualmente permanenti) ed al conseguente termine prescrizionale maturato ben prima della sentenza di primo grado (ed anzi prima ancora dell’esercizio dell’azione penale) poiché, a prescindere dalla natura permanente del reato, il termine decorreva dal mese di marzo 2004, epoca di esecuzione del decreto di sequestro preventivo dell’impianto.  
A tutto concedere, aggiunge, nel caso in esame di tratterebbe di deposito preliminare consumato nel luglio 2008 quando l’autorizzazione, concessa nel 1999, rinnovata nel dicembre 2003 e sospesa nel mese di marzo 2004, era stata definitivamente revocata. La Corte di appello, afferma, non si è pronunciata nemmeno su questo argomento difensivo.
                1.2. Con il secondo motivo deduce l’inosservanza degli artt. 40, secondo comma, cod. pen., 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, lamentando l’insussistenza dello specifico obbligo giuridico di smaltire i rifiuti ricadente sulla sua persona, non potendo tale obbligo derivare una fonte contrattuale. In ultima analisi, considerato che egli non era l’autore del deposito dei rifiuti, l’obbligo contrattualmente assunto di smaltire i rifiuti da altri illecitamente depositati non può costituire causa penalmente rilevante del concorso nel fatto altrui.
                1.3. Con il terzo motivo deduce l’inosservanza e/o l’erronea applicazione dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, e comunque la mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione del ricorrente come soggetto attivo del reato dovendo i rifiuti provenire dall’attività dell’impresa che illecitamente li smaltisce ovvero essere collocati in terreni di pertinenza della stessa dall’imprenditore, non potendo l’agente essere considerato responsabile dei rifiuti abbandonati da altri. Chi subentra a coloro che si sono materialmente resi autori della condotta non risponde del reato per aver omesso condotte utili a evitare il perdurare dell’eventuale lesione del bene; semmai, conclude, risponde del diverso reato di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 ove destinatario dell’ordinanza sindacale ivi prevista. 


CONSIDERATO IN DIRITTO

    1.  Il ricorso è infondato.

    2. Il ricorrente risponde del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 perché, quale legale rappresentante della società «Europambiente S.r.l.», deteneva in deposito incontrollato, presso l’impianto di gestione di rifiuti “ex Nuova Esa” di Marcon (VE), una notevole quantità di rifiuti pericolosi e non pericolosi. Il fatto, accertato a seguito di sopralluogo del 2 luglio 2009, è contestato come commesso in permanenza fino al 15 febbraio 2012, data di cessazione del ricorrente dalla carica. L’illecito, recita la rubrica, è ascrivibile al ricorrente perché la società da lui rappresentata aveva acquisito nel dicembre dell’anno 2005 il ramo di azienda della società proprietaria dell’impianto di rifiuti con l’impegno di smaltire i rifiuti stessi.
        2.1. Stando alla lettura delle sentenze di primo grado e di appello, i fatti si sono svolti secondo la seguente scansione temporale:
        2.2. l’8 marzo 2004 l’impianto “ex Nuova Esa” di Marcon veniva sottoposto a sequestro preventivo nell’ambito di indagini per la gestione e il traffico illecito di rifiuti;
        2.3. l’11 marzo 2004 la Provincia aveva sospeso l’autorizzazione rilasciata alla NUOVA ESA Srl il 15 dicembre 1999;
        2.4. il 14 giugno 2004 la NUOVA ESA aveva presentato al Pubblico ministero un piano di smaltimento dei rifiuti con contestuale richiesta di dissequestro dell’impianto;
        2.5. il 21 giugno 2004 la NUOVA ESA aveva presentato un’istanza di rinnovo dell’autorizzazione a svolgere l’attività di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui agli allegati B e C del d.lgs. n. 22 del 1977;
        2.6. il 28 luglio 2004 il Giudice per le indagini preliminari aveva revocato parzialmente il sequestro preventivo escludendone determinate aree ma autorizzando NUOVA ESA a espletare le attività indicate dal Pubblico ministero sotto la sorveglianza dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente;
        2.7. il 10 dicembre 2004 il Pubblico Ministero aveva dissequestrato le aree che sarebbero state liberate dai rifiuti, impianti e capannoni, con esclusione del capannone C e delle strutture nelle quali sarebbero stati depositati i rifiuti, precisando che la revoca del vincolo sarebbe coincisa con l’ultimazione della procedura di smaltimento dei rifiuti ancora in sequestro (circa cinque milioni di chilogrammi);
        2.8. nel mese di dicembre erano iniziate le operazioni di smaltimento alla presenza dell’odierno ricorrente;
        2.9. il 30 dicembre 2005 NUOVA ESA aveva ceduto a EUROPAMBIENTE il ramo di azienda riguardante la gestione delle attività di stoccaggio, trattamento rifiuti e commercio al dettaglio all'ingrosso di metalli, rottami ferrosi, carta, oli esausti, stracci, fondami e rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi e altri generi di materiali di recupero. Nel contratto si dava atto che la società cedente si era obbligata nei confronti dell'Autorità Giudiziaria a provvedere allo smaltimento di circa 5800 tonnellate di rifiuti di vario genere stoccati nello stabilimento e che la cessionaria si era dichiarata disponibile a portare a compimento tale operazione;
        2.10. l’11 giugno 2008, a seguito di numerose intimazioni, diffide e solleciti, la Provincia aveva comunicato a EUROPAMBIENTE l’esistenza di ragioni ostative al rilascio dell’autorizzazione e il 15 luglio 2008 la Provincia aveva archiviato la richiesta dichiarando la propria incompetenza a favore di quella della Regione Veneto;
        2.11. il 16 giugno 2008 la Regione aveva comunicato a EUROPAMBIENTE il diniego della A.I.A. provvisoria ;
        2.12. nel frattempo, tra il 25 giugno ed il 5 dicembre 2008 erano proseguite le operazioni di smaltimento dei rifiuti da parte di EUROPAMBIENTE, operazioni che erano riprese il 19 giugno 2009 e definitivamente cessate il 4 settembre 2009, giorno dell’ultima operazione di smaltimento;
        2.13. il 4 settembre 2009, scriveva il primo Giudice, «Flavio Duse (…) ha di fatto abbandonato l’impianto e omesso di adempiere all’obbligo assunto al momento dell’acquisto del ramo di azienda da Nuova Esa s.r.l. di gestire e smaltire i rifiuti presenti nelle diverse aree dell’impianto» (pag. 11), persino aggravando la situazione preesistente, «come evidenziato in sede di sopralluogo dalla presenza di pentasolfuro di fosforo contenuto in numerosi fusti gonfiati (312) che presentavano rischi di esplosione in ipotesi di incendio, di terre di bonifica frammiste a rifiuti pericolosi che potevano cagionare a seguito del dilavamento delle piogge inquinamento del suolo, nonché dalla presenza [di] cumuli di rifiuti frammisti a eternit, ad apparecchiature elettriche ed elettroniche, di onduline in cemento e amianto non protette» (pagg. 11-12).

    3. Tanto premesso, i motivi - che possono essere esaminati congiuntamente -  sono infondati.
        3.1. Costituisce approdo recente (e ormai consolidato) della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, può avere natura permanente, nel caso in cui l'attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, caratterizzandosi invece come reato di natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l'anzidetta attività si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l'intero disvalore della condotta (Sez. 3, n. 8088 del 13/01/2022, Franceschetti, Rv. 282916 - 01; Sez. 3, n. 30910 del 10/06/2014, Ottonello, Rv. 260011 - 01; Sez. 3, n. 5478 del 18/01/2024, Fiorentino, non mass.; Sez. 3, n. 36003 del 12/07/2023, De Grande, non mass.; nel senso che il reato di deposito incontrollato di rifiuti può avere natura di reato permanente avuto riguardo alle circostanze del caso, Sez. 3, n. 36411 del 09/05/2019, Vitale, Rv. 277068 - 01).
        3.2. Il ricorrente evoca, a suo favore, l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, invece, il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti (art. 256, secondo comma del D.Lgs. 3 aprile 2005, n. 152) ha natura di reato istantaneo, eventualmente con effetti permanenti (Sez. 3, n. 42343 del 09/07/2013, Pinto Vraca, Rv. 258313 - 01; nello stesso senso, più recentemente, Sez. 3, n. 38977 del 07/04/2017, Alabiso, Rv. 271078 - 01). Nell’ambito di questo indirizzo, è stato precisato che i reati di abbandono di rifiuti e di discarica abusiva sono reati commissivi eventualmente permanenti, la cui antigiuridicità cessa con l'ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con il vincolo reale del bene ovvero con la sentenza di primo grado, conseguendo da uno di tali momenti la cessazione della decorrenza del termine di prescrizione (Sez. 3, n. 38662 del 20/05/2014, Convertino, Rv. 260380 - 01, espressamente citata dal ricorrente insieme con la Sez. 3, Pinto).
        3.3. Sez. 3, Franceschetti, ha affrontato l’argomento richiamando l’orientamento per il quale il reato di deposito incontrollato di rifiuti è reato permanente poiché, integrando la condotta da esso prevista una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero od allo smaltimento, la sua consumazione perdura sino allo smaltimento o al recupero (Sez. 3, n. 48489 del 13/11/2013, Fumuso, Rv. 258519 - 01; Sez. 3, n. 6999 del 22/11/2017, dep. 2018, Paglia, Rv. 272632 - 01, che qualifica la condotta come deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 7386 del 19/11/2014, dep. 2015, Cusini, Rv. 262410 - 01) e quello per il quale, invece, si tratta di reato istantaneo (si vedano le pronunce richiamate al § 3.2 che precede). E ha osservato che il contrasto deve essere considerato più apparente che reale essendo necessario verificare le concrete circostanze che connotino in maniera peculiare la presenza in loco dei rifiuti (nello stesso senso, Sez. 3, Vitale, cit.): «[o]gni qualvolta l'attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi essa, pertanto, come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che costituisce il "grado zero"), la relativa illiceità penale permea di sé l'intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio; tutto ciò con le derivanti conseguenze anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale. Nel caso in cui, invece, siffatta attività non costituisca l'antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni, aventi ad oggetto appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in sé l'intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente; ciò in quanto, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai cristallizzati i profili dinamici fin dal momento dei rilascio del rifiuto, nessuna ulteriore attività residuando alla descritta condotta di abbandono (…) la verifica del concreto atteggiarsi della vicenda (…) è affidata al giudice di merito (…) [sicchè], senza con ciò esaurirne il novero, costituirà attendibile indice differenziale l'occasionalità o meno del fatto di abbandono e deposito del rifiuto, laddove la sistematica pluralità di azioni, fra loro di identico o comunque analogo contenuto, farà propendere per una forma di organizzazione della condotta, sintomo attendibile di una volontà gestoria e non esclusivamente dismissiva del rifiuto; mentre l'episodicità di esse, ancorché non rigorosamente intesa nel senso dell'assoluta unicità della condotta, dovrebbe indirizzare il giudizio sulla istantaneità della natura del reato posto in essere; altri indici rivelatori della finalità gestoria potranno essere la pertinenza, o meno, del rifiuto oggetto di rilascio, all'eventuale circuito produttivo riferibile all'agente, ove questi svolga attività imprenditoriale; oppure la reiterata adibizione di un unico sito, eventualmente anche promiscuamente utilizzato al medesimo fine pure da altri soggetti, quale punto di rilascio dei rifiuti (…) in tutti i casi in cui, in concreto, sia mancata una successiva fase di gestione e la collocazione del rifiuto ed altri dati oggettivi siano indicativi della mera volontà di liberarsene definitivamente, il disinteresse del detentore del rifiuto dopo la collocazione nel luogo in cui lo stesso viene rinvenuto determina una sostanziale coincidenza con la condotta tipica di abbandono, che si esaurisce nel momento stesso del rilascio; le ipotesi di condotta permanente restano del tutto residuali e l'apprezzamento del giudice effettuato nel caso concreto sulla base di dati obiettivi consente, se adeguatamente motivato, di pervenire ad una corretta soluzione. Anche la dottrina è pervenuta a conclusioni analoghe, osservando che se l'illecito si concretizza nell'abbandono del rifiuto, si configura un reato istantaneo con eventuali effetti permanenti: se il deposito incontrollato assume, di fatto, la conformazione di un rilascio definitivo nell'ambiente è, al pari dell'abbandono, un reato istantaneo con eventuali effetti permanenti; il reato è, invece, permanente ove l'agente pur non abbandonando il rifiuto ne mantiene la detenzione del rifiuto con modalità estranee a quelle conformi a legge, potenzialmente pericolose e la sua consumazione dura fintanto che non vengano a cessare le situazioni di fatto che integrano l'illecito (la regolarizzazione delle modalità di tenuta del deposito, la materiale rimozione dei rifiuti, anche ad opera di terzi, il compimento delle fasi di recupero o smaltimento dei medesimi)».  
        3.4. Il Collegio intende dare continuità a questo indirizzo, pur con le precisazioni che seguono.
        3.5. Il Duse pone l’interrogativo di come sia possibile qualificare un reato come istantaneo o permanente a seconda dell’atteggiamento soggettivo dell’autore della condotta prescindendo dall’interesse giuridico tutelato dalla norma e dalla cessazione della antigiuridicità del fatto e ribadisce, quanto a quest’ultimo aspetto, che il sequestro intervenuto nel 2004 aveva definitivamente fatto venir meno la antigiuridicità della condotta.
        3.6. Il rilievo non solo è infondato ma è anche mal posto.
        3.7. Secondo una risalente, ma mai superata pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, la nozione di reato permanente richiede che alla struttura tipica dell'illecito appartenga, secondo la descrizione contenuta nella norma incriminatrice, tanto la causazione del risultato proprio del reato che integra la fase consumativa primaria quanto il mantenimento volontario dello stato di antigiuridicità che ne è conseguito, attraverso cui si realizza una fase ulteriore della già avverata consumazione. Trattasi di ipotesi in cui il precetto penale presenta, alla analisi, un duplice contenuto: anzitutto il divieto o il comando di cagionare l'evento tipico descritto dalla norma; in secondo luogo il comando conseguenziale di rimuovere lo stato di antigiuridicità già prodottosi, sicché, ove l'autore della condotta non provveda immediatamente, pur potendolo, a farlo cessare, la fase consumativa della violazione permane fino a tanto che duri il predetto stato di antigiuridicità (Sez. U, n. 16 del 24/11/1956, Salomone, Rv. 097641 - 01; nel senso che la condotta che realizza il fatto tipico non esaurisce l'offesa, ma determina una permanente compressione del bene protetto, lo stato di consumazione perdura fino a quando si protrae la situazione antigiuridica realizzata, che l'agente ha il potere di rimuovere provocando la riespansione del bene compresso, Sez. 5, n. 1787 del 05/10/2023, dep. 2024, Silvestri, Rv. 285842 - 01). 
        3.8. E’ stato invece definito “eventualmente permanente” il reato nel quale il fatto previsto dalla legge può esaurirsi nel momento in cui si concretano gli elementi costitutivi della ipotesi tipica di reato, ma può anche protrarsi con una ininterrotta attività che in ogni momento riproduce l'ipotesi stessa (Sez. 1, n. 714 del 17/12/1992, dep. 1993, Daprea, Rv. 192800 - 01). 
        3.9. L’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, punisce allo stesso modo l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti. Pur equivalenti ai fini della pena, le due condotte sono però diversissime e alternative tra loro: l’una, l’abbandono, si esaurisce in un gesto isolato che produce “res derelictae”; l’altra, il deposito, evoca comunque il persistente dominio sulle cose e ne esclude l’abbandono (che è cosa diversa dallo “stato di abbandono” che costituisce una delle possibili manifestazioni esteriori del deposito incontrollato). Entrambe le condotte costituiscono forme di smaltimento del rifiuto: l’abbandono comporta l’uscita definitiva della cosa dal dominio finalistico dell’autore della condotta; il deposito, invece, comunque lo si definisca (temporaneo, irregolare, controllato, incontrollato), reca in sé i segni dell’altrui dominio sulla cosa tant’è vero che il legislatore ne coglie il tratto finalistico quando lo considera legittimo solo se (e perché) finalizzato alla raccolta (purché nella costanza delle condizioni di cui all’art. 185-bis d.lgs. n. 152 del 2006).      
        3.10. Secondo l’italiano corrente, il verbo “depositare” significa “affidare, lasciare in deposito”, laddove il sostantivo “deposito” indica l’atto con cui si “depone un oggetto in un luogo o lo si affida a una persona, perché venga custodito e riconsegnato a un’eventuale richiesta o allo scadere di un termine prefisso”, o “il luogo dove vengono custodite le cose depositate o comunque di proprietà altrui o quello nel quale sono raccolte cose omogenee, e le cose stesse che vi sono raccolte”. 
        3.11. Abbandonare, invece, significa “lasciare definitivamente e per sempre” un luogo, una cosa, una persona, oppure “smettere di fare o di occuparsi di una cosa, ritirarsi da un’impresa o dal luogo della competizione”.
        3.12. Il deposito può essere effettuato con un solo atto o con più condotte (nel senso che il deposito può avere natura eventualmente abituale, Sez. 3, n. 18020 del 18/01/2024, Halili, non mass. sul punto) ma quel che rileva è che il “deposito” reca in sé i segni del persistente dominio sulla cosa che manca del tutto nell’abbandono (significativamente, Sez. 3, Paglia, e Sez. 3, Cusini, qualificano il deposito come “controllabile”).
        3.13. La questione relativa all’atteggiamento soggettivo dell’autore del reato è dunque, come detto, mal posta perché il ricorrente non considera che l’interesse tutelato dall’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, può essere leso o messo in pericolo con modalità diverse ognuna delle quali qualifica il reato come istantaneo o permanente a seconda che l’autore della condotta continui o meno a esercitare il dominio sul rifiuto; non si tratta di valorizzare, ai fini della prescrizione, l’elemento soggettivo del reato quanto piuttosto di attribuire al fatto la sua corretta qualificazione giuridica, operazione che non può prescindere, per le ragioni lessicali già spiegate, dall’accertamento della intenzione dell’autore della condotta, evocando, come detto, l’abbandono una volontà dismissiva del bene dalla signoria dell’agente che il deposito esclude. E’ un accertamento che compete al giudice di merito e che è insindacabile in sede di legittimità se argomentato in modo non manifestamente illogico e senza travisamenti di sorta. 
        3.14. Il dominio, che costituisce elemento strutturale del deposito incontrollato, può certamente essere spezzato da un atto autoritativo che sottrae all’autore della condotta la disponibilità di fatto e di diritto dei rifiuti; sicché, come giustamente postula il ricorrente, il sequestro penale è idoneo a produrre un simile effetto che comporta la interruzione della permanenza del reato, non essendo più in grado l’autore di rimuovere lo stato di antigiuridicità già prodottosi.
        3.15. Sennonché, ed è questo il punto, il sequestro del 2004 ha interrotto la permanenza di un reato diverso da quello oggetto di odierna cognizione. I provvedimenti giurisdizionali con i quali la NUOVA ESA era stata autorizzata alla gestione dei rifiuti ed immessa conseguentemente nel loro possesso hanno determinato  una cesura netta rispetto alle precedenti condotte, ormai esaurite, dando la stura ad una nuova fase, del tutto autonoma. 
        3.16. Il ricorrente ha contrattualmente acquisito, nel mese di dicembre dell’anno 2005, la signoria diretta sulle cose precedentemente sequestrate quando se ne è assunto la gestione diretta (e dunque il controllo ed il dominio) successivamente alla loro restituzione, ancorché condizionata, in favore della NUOVA ESA. Il ricorrente, pertanto, è subentrato in una nuova fase gestoria dei rifiuti diventandone a tutti gli effetti depositario, quand’anche al solo fine del loro definitivo smaltimento. La cessazione delle operazioni di conferimento e smaltimento dei rifiuti non ha fatto venir meno il deposito, poiché i rifiuti non sono mai usciti dalla diretta signoria del ricorrente, ma ha fatto venir meno la liceità del deposito stesso trasformato, nel settembre dell’anno 2009, da strumento finalizzato alla raccolta, in vista dello smaltimento mediante conferimento, a forma di smaltimento definitivo essa stessa, essendo stati i rifiuti lasciati in stato di abbandono senza che sia mai venuto meno il dominio dell’imputato il quale, secondo lo schema del reato permanente come delineato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, in qualunque momento avrebbe potuto rimuovere lo stato di antigiuridicità già prodottosi, almeno fino a quando aveva conservato la legale rappresentanza dell’ente (15 febbraio 2012). Il segno tangibile di questa signoria è dimostrato proprio dalla condotta tenuta dal Duse che, dopo aver materialmente cessato le operazioni di smaltimento, aveva realizzato una parziale copertura dei rifiuti, peraltro, annotano i Giudici distrettuali, inidonea a scongiurare il rischio di dilavamento e inquinamento. 
        3.17. Conclusivamente: il ricorrente è subentrato nella gestione dei rifiuti assumendone la piena, diretta e consapevole signoria. Ciò è stato reso possibile dalla adozione di atti giudiziari successivi al sequestro del 2004 che, come detto, hanno aperto una nuova ed autonoma fase nella gestione dei rifiuti. 
        3.18. Il ricorrente deduce di non aver posto in essere ulteriori immissioni di rifiuti essendo stato il deposito già formato da altri e lamenta d’esser stato ritenuto penalmente responsabile, ex art. 40, secondo comma cod. pen., per fatto altrui per non aver ottemperato al dovere, contrattualmente assunto, di smaltire i rifiuti e, quindi, per non aver impedito l’evento “deposito incontrollato”. 
        3.19. Il rilievo è manifestamente infondato e si basa su principi giurisprudenziali elaborati in fattispecie tutt’affatto diverse quali quelle, per esempio, del titolare del terreno sul quale terzi effettuano il deposito incontrollato di rifiuti chiamato a rispondere a titolo di concorso per non aver impedito l’evento.
        3.20. Ora, premesso che il contratto può certamente costituire fonte dell’obbligo di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40, secondo comma, cod. pen. (ex plurimis, Sez. 4, n. 79 del 26/10/2021, dep. 2022, Flace, Rv. 282656 - 01; Sez. 1, n. 9049 del 07/02/2020, Ciontoli, Rv. 278501 - 01; Sez. 4, n. 46191 del 23/05/2019, Fabris, Rv. 277698 - 01; Sez. 4, n. 39261 del 18/04/2019, Cairo, Rv. 277193 - 01), nel caso di specie, la responsabilità del ricorrente non deriva da fatto altrui, bensì da fatto proprio avendo egli (e non altri) lasciato in deposito incontrollato i rifiuti dei quali aveva assunto la diretta gestione. 
        3.21. La circostanza che il Duse non abbia effettuato ulteriori incrementi rispetto al precedente deposito costituisce circostanza irrilevante che postula una errata interpretazione della fattispecie incriminatrice la quale non richiede, ai fini della sua integrazione, che l’agente dapprima accumuli materialmente i rifiuti in un determinato luogo e poi li lasci in deposito, essendo, più semplicemente, sufficiente che li depositi in modo incontrollato dovendosi intendere a tal fine anche il solo lasciare in deposito incontrollato i rifiuti nella cui gestione diretta egli si sia intromesso. Il ricorrente ha infatti “lasciato in deposito” incontrollato i rifiuti che aveva smesso di conferire.
        3.22. L’argomento si salda con quello relativo al rapporto tra il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, e quello di cui all’art. 255, comma 3, in relazione all’art. 192, comma 3, stesso decreto.
        3.23. Il ricorrente cita a sostegno delle proprie deduzioni Sez. 3, n. 24477 del 15/05/2007, Pino, non mass., secondo cui in nessun caso la responsabilità per il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, può estendersi al titolare di impresa o al responsabile di ente che non si attivi per rimuovere i rifiuti abbandonati in un'area di pertinenza aziendale o dell'ente, in ragione del fatto che in forza della relativa norma incriminatrice non grava su tale soggetto alcun obbligo di impedire il mantenimento dell'evento lesivo già realizzato o di attivarsi per rimuoverne le conseguenze. Un tale obbligo nasce unicamente in forza dell’art. 192, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, e costituisce oggetto di specificazione con ordinanza del  Sindaco e solo la violazione di tale ordinanza da luogo alla diversa contravvenzione di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006.
        3.24. Nel caso scrutinato dalla sentenza citata, l’imputata era stata ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 51, comma 2, d.lgs. n. 22 del 1997 (oggi 256, comma 2, d.lgs. n. 153 del 2006) nonostante che l'abbandono o il deposito incontrollato dei rifiuti fosse avvenuto antecedentemente all'incarico da lei assunto di legale rappresentante della società che gestiva la cava e in difetto di qualsivoglia ordinanza da parte del Sindaco del Comune, sicché la condanna faceva carico a lei (e alla società che rappresentava) di un obbligo di garanzia esteso all'attivazione per rimuovere le conseguenze di un reato già consumato, che la norma incriminatrice non le imponeva.
        3.25. Nel caso in esame, invece, il ricorrente era - come già detto - nel pieno possesso dei rifiuti che stava direttamente gestendo salvo poi lasciarli egli (e non altri) in deposito incontrollato mantenendone la signoria fino alla cessazione della carica in base alla quale poteva esercitarla. 
        3.26. Vanno dunque affermati i seguenti principi di diritto:
«il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, diversamente dall’abbandono, reca in sé i segni del persistente dominio finalistico sulle cose;
la qualificazione della condotta come abbandono o deposito incontrollato di rifiuti costituisce frutto di un accertamento di fatto del giudice di merito che, se congruamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità;
l’abbandono di rifiuti ha natura istantanea; il deposito incontrollato di rifiuto ha sempre natura permanente;
la permanenza cessa con la rimozione definitiva dello stato di antigiuridicità già prodottosi oppure con il vincolo reale del bene oppure, ancora, con la sentenza di primo grado quando la contestazione è di natura aperta;
colui il quale subentra contrattualmente nella gestione dei rifiuti risponde direttamente del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, e non del reato di cui all’art. 255, comma 3, stesso decreto se, dopo aver provveduto all’iniziale smaltimento dei rifiuti, ha cessato la condotta lasciando in deposito incontrollato i residui rifiuti;
la condotta di deposito incontrollato dei rifiuti consiste anche nel lasciare in deposito i rifiuti stessi, non richiedendo necessariamente la norma che l’agente conferisca ulteriori rifiuti rispetto a quelli dei quali abbia assunto la gestione diretta».
        3.27. E’ bene ricordare che qualora nel capo di imputazione contenuto nel decreto di rinvio a giudizio relativo ad un reato permanente si contesti una durata della permanenza precisamente individuata nel tempo, quanto meno nel suo momento terminale, il giudice può tener conto del successivo protrarsi della consumazione soltanto qualora esso sia stato oggetto di un'ulteriore contestazione ad opera del pubblico ministero ex art. 516 cod. proc. pen.; la posticipazione della data finale della permanenza, infatti, incide sulla individuazione del fatto come inizialmente contestato, comportandone una diversità, sotto il profilo temporale, che influisce sulla gravità del reato e sulla misura della pena e può condizionare l'operatività di eventuali cause estintive (Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, Polizzi, Rv. 199171 - 01).  
        3.28. Nel caso di specie, la cessazione della permanenza è stata fatta coincidere con la cessazione della carica del ricorrente senza che però fosse venuta meno la signoria dei beni da parte dell’ente da egli legalmente rappresentato e benché egli avesse riassunto la medesima carica nel mese di gennaio dell’anno 2013. 
        3.29. Infine, deve essere escluso che nel caso di specie si verta in un caso di deposito temporaneo di rifiuti ai sensi dell’odierno art. 185-bis d.lgs. n. 152 del 2006, non ricorrendo alcuna delle condizioni di liceità del deposito previste dal secondo comma della norma. Osta alla qualifica di deposito temporaneo dei rifiuti la circostanza che: a) i rifiuti non fossero raggruppati per categorie omogenee (art. 185-bis, comma 2, lett. c, d.lgs. n. 152 del 2006); b) il raggruppamento non fosse finalizzato al trasporto dei rifiuti in un impianto di recupero e smaltimento.
        3.30. Alla luce dei principi sopra indicati, il ricorso deve essere rigettato perché infondato, non essendo la prescrizione maturata prima della sentenza di primo grado ed avendo il ricorrente commesso il reato per il quale è stato ritenuto responsabile.
        3.31. Al rigetto consegue la condanna alle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, Regione Veneto, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla Regione Veneto che liquida in complessivi euro 1.772 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10/04/2024.