Cass. Sez. III n. 1131 del 13 gennaio 2021 (UP 3 dic 2020)
Pres. Rosi Est. Corbetta Ric. Chirico
Rifiuti.Discarica abusiva e non applicabilità della procedura estintiva mediante prescrizioni

In caso di realizzazione di una discarica abusiva con abbandono di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (tra cui, come indicato nell’imputazione, materiali da demolizione, lastre di eternit, scarti di rifiuti vegetali, ecc.), stante l’evidente compromissione del bene tutelato, non sussistono i presupposti per accedere alla speciale fattispecie estintiva, la quale, secondo il disposto all’art. 318-bis d.lgs. n. 152 del 2006, si applica solo alle contravvenzioni “che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali”.

RITENUTO IN FATTO


1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Taranto, la quale aveva condannato Mariano Chirico e Salvatore Rizzo alla pena di giustizia, con i doppi benefici di legge per entrambi, per il reato di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, in esso assorbito la violazione del comma 1 del medesimo articolo, per avere realizzato, in concorso tra loro – il Chirico quale legale rappresentante e il Rizzo quale procuratore speciale della Gra.ni.ro. srl – una discarica abusiva mediante il deposito su un terreno sito a Talsano di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (materiali da demolizione, lastre di eternit, scarti di rifiuti vegetali e altro).

2. Avverso l’indicata sentenza, gli imputati, per il tramite del comune difensore di fiducia, propongono ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 318-bis e ss. d.lgs. n. 152 del 2006. Assumono i ricorrenti che, nei loro confronti, non sia stata accordata la possibilità di estinzione del reato conformandosi alle prescrizioni impartite dall’organo accertatore e versando l’importo previsto dalla legge a titolo di sanzione; ciò, ad avviso dei ricorrenti, integrerebbe una causa di improcedibilità dell’azione penale, che determinerebbe l’annullamento della sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006. Deducono i ricorrenti che, nel caso di specie, si sarebbe in presenza di un mero deposito temporaneo di rifiuti, realizzato negli intervalli di tempo tra uno smaltimento e il successivo, avendo la Corte territoriale travisato la portata delle dichiarazioni rese da Mariano Chirico, il quale ha riferito che i rifiuti non venivano accumulati ma erano smaltiti, ed essendo irrilevante che i rifiuti medesimi prevenissero da altri luoghi rispetto a quello in cui fu operato l’accertamento.
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione all’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006. Secondo la prospettazione difensiva, il Chirico dovrebbe comunque essere assolto dal reato per non aver commesso il fatto, avendo egli affidato la gestione dei rifiuti ad altro soggetto, ben potendo la delega essere stata affidata al Rizzo “con altro mezzo (magari anche verbalmente)”.


CONSIDERATO IN DIRITTTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Il primo motivo è inammissibile perché l’asserita violazione di legge, riferita agli artt. 318-bis e ss. d.lgs. n. 152 del 2006, non era stata dedotta con i motivi di appello, sicché, non essendo una questione rilevabile d’ufficio in ogni stato o grado del processo, non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità.
In ogni caso, si osserva che agli imputati si contesta la realizzazione di una discarica abusiva con abbandono di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (tra cui, come indicato nell’imputazione, materiali da demolizione, lastre di eternit, scarti di rifiuti vegetali, ecc.), sicché, stante l’evidente compromissione del bene tutelato, non sussistono i presupposti per accedere alla speciale fattispecie estintiva, la quale, secondo il disposto all’art. 318-bis d.lgs. n. 152 del 2006, si applica solo alle contravvenzioni “che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali”.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Per costante giurisprudenza, in tema di rifiuti, al fine di qualificare il deposito come temporaneo, il produttore può alternativamente e facoltativamente scegliere di adeguarsi al criterio quantitativo o a quello temporale, ovvero può conservare i rifiuti per tre mesi in qualsiasi quantità, oppure conservarli per un anno purché essi non raggiungano, anche con riferimento ai rifiuti pericolosi, i limiti volumetrici previsti dall’ art. 183, lett. bb) d.lgs. n. 152 del 2006 (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 38046 del 27/06/2013, Speranza, Rv. 256434); sicché l'inosservanza anche di una sola delle condizioni imposte per il deposito temporaneo trasforma l'attività oggetto del deposito in illecita gestione dei rifiuti o in abbandono di rifiuti.
A tal proposito, si è chiarito che l'onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall'art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria (Sez. 3, n. 35494 del 10/05/2016, dep. 26/08/2016, Di Stefano, Rv. 267636; Sez. 3, n. 23497 del 17/04/2014, dep. 05/06/2014, Lobina, 261507; Sez. 3, n. 15610 del 03/03/2010, Abbatino, non massimata; Sez. 3, n. 21587 del 17/03/2004, Marucci, non massimata).
3.2. Nel caso di specie, nessuna prova è stata dedotta in tal senso dagli imputati, i quali non hanno nemmeno allegato quali siano stati i limiti quantitativi, qualitativi e temporali osservati in concreto nella raccolta e nel conferimento dei rifiuti, e neppure la sussistenza delle ulteriori condizioni analiticamente prescritte dall’art. 183 lett. bb) d.lgs. n. 152 del 2006 da cui desumere l’esistenza di un mero deposito temporaneo di rifiuti.
Ad abundantiam, la Corte territoriale ha osservato che, secondo quanto ammesso dal Chirico,  i rifiuti erano lì da “due-tre anni”, il che dimostra  l’assenza del requisito temporale previsto dalla legge, e che, secondo quanto riferito dal Rizzi, detti rifiuti provenivano da altri luoghi, cioè da cantieri edili, ciò che parimenti osta alla configurabilità del deposito temporaneo, il quale deve essere necessariamente realizzato presso il luogo di produzione dei rifiuti, fatta eccezione per quelli derivanti dalle attività di manutenzione alle infrastrutture, per i quali detto luogo può coincidere con quello di concentramento ove gli stessi vengono trasportati per la successiva valutazione tecnica, finalizzata all'individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento (Sez. 3, n. 20410 del 08/02/2018 - dep. 09/05/2018, Boccaccio, Rv. 273221), situazione che non è ravvisabile nel caso in esame.

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
E’ ben vero che, come affermato da questa Corte di legittimità, la responsabilità per la corretta esecuzione delle operazioni di gestione dei rifiuti grava sul direttore tecnico al quale, per la molteplicità dei compiti istituzionali o per la complessità della organizzazione aziendale, la gestione medesima sia stata delegata con attribuzione in suo favore di tutti i poteri necessari per l'integrale rispetto delle norme di legge e regolamentari, quando si accerti che il titolare non abbia interferito nella sua attività (Sez. 3, n. 35862 del 31/05/2016 - dep. 31/08/2016, Varvarito e altro, Rv. 267641).
Nel caso di specie, con apprezzamento fattuale logicamente motivato, la Corte territoriale ha evidenziato che l’asserita esistenza della delega                   - circostanza riferita solamente dai due imputati - è smentita dal fatto che lo stesso Chirico avesse sottoscritto il contratto di smaltimento dei rifiuti pericolosi, ad oggetto le lastre di amianto e la successiva bonifica, con la Chemi.Pul.Italiana s.r.l., e che, soprattutto, nell’atto notarile di delega non vi fosse anche la procura al Rizzo per la gestione dei rifiuti, desumendo da tali elementi, in maniera non manifestamente illogica, che anche il Chirico si occupasse della gestione dei rifiuti.

4. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

 Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 03/12/2020.