Cass. Sez. III n. 2260 del 20 gennaio 2021 (UP 24 nov 2020)
Pres. Ramacci Est. Gai Ric. Felli
Rifiuti.Parti di autoveicoli recuperate

I veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti ai sensi della voce "16 01" dell'allegato D alla parte quarta del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, richiamato dall'art. 184, comma 5, stesso Decreto.  A norma dell’art. 184- ter comma 1, del d.lgs n. 152 del 2006, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti. Sempre il d.lgs n. 152 del 2006, art. 184- ter comma 4, richiama espressamente anche il D.Lgs. n. 209 del 2003. Secondo tale decreto, le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza di cui al D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, provenienti dai centri di raccolta autorizzati di cui al d.lgs n. 209 del 2003, costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, suballegato 1-5. Ne consegue che le parti di autoveicoli recuperate a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato e con il concorso delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184- ter cit., cessano di essere rifiuti.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 ottobre 2019, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Livorno che aveva condannato Felli Emiliano, alla pena sospesa di un mese di arresto e € 3.000,00 di ammenda, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in relazione ai reati di cui agli artt. 256 comma 1, 259 del d.lvo n. 152 del 2006, per avere, quale legale rappresentante della MEC Rottami srl, svolto attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione, in relazione all’esportazione in Libia di quattro automezzi integri e non bonificati. In Livorno il 05/06/2014.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione della legge penale di cui all’art. 259 del d.lg n. 152 del 2006, non essendo i beni in fase di esportazione di proprietà della società Mec Rottami srl, di cui il Felli è legale rappresentante. Le prove documentali e testimoniale avrebbero dimostrato che i beni in questione erano stati ceduti a Boabulla Alaraf franco deposito in Roma, che si era occupato del trasferimento al porto di Livorno per l’esportazione, che aveva organizzato la spedizione, firmato la documentazione necessaria per l’esportazione. Il fatto non sarebbe dunque ascrivibile all’imputato Felli.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione della legge penale di cui all’art. 259 del d.lg n. 152 del 2006 in relazione alla ritenuta natura di rifiuto. La corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la natura di rifiuto di quanto rinvenuto nel container non essendo configurabile la natura di rifiuti di autoveicoli. Le parti di autoveicoli risultavano provenire dall’AMA che li aveva ceduti alla Fe.rom che li aveva bonificati, come dimostrato dal testimoniale, e poi rivenduti alla Mec Rottami che li aveva ceduti a Boabulla Alaraf. La corte territoriale non avrebbe correttamente applicato la disciplina del d.lgs n. 203 del 2009, relativo ai veicoli fuori uso, modificato dal d.lgs n. 149 del 2006. La corretta applicazione della disciplina che regola la procedura di commercializzazione delle parti di autoveicolo fuori uso avrebbe dovuto comportare l’esclusione della responsabilità.
Travisamento del fatto avendo la corte territoriale ritenuto che i veicoli rinvenuti nel container erano integri e non avevano avuto azioni di bonifica, laddove risulta invece che la bonifica venne operata.
2.3. Con il terzo motivo denuncia il contrasto tra dispositivo e motivazione ed errore nel calcolo della pena. In motivazione la pena viene calcolata in venti giorni di arresto e € 1.600,00 di ammenda, nel dispositivo in mesi uno di arresto e € 3000,00. Risulta poi nel dispositivo il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non computate e ritenute equivalente ad una circostanza aggravante insussistente.

3. Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il primo e il secondo motivo di ricorso, risolvendosi nella proposizione di censure di fatto non consentite in questa sede, sono inammissibili. Ed invero, il ricorrente, attraverso una diversa lettura delle emergenze probatorie, richiede una diversa ricostruzione dei fatti e segnatamente della proprietà dei rifiuti da spedire e della natura di rifiuto di quanto oggetto della spedizione (n. 4 autoveicoli).
Trattasi di censura non proponibile in questa sede a fronte di una motivazione adeguata, logica offerta dal giudice del merito e fondata sugli accertamenti dell’Agenzia delle Dogane che a seguito di un controllo a campione aveva  accertato che la società di cui il ricorrente è legale rappresentante era in procinto di inviare in Libia, all’interno di un container, n. 4 autoveicoli praticamente integri mentre nella documentazione doganale risultava che la spedizione riguardava rifiuti costituiti da parti di autoveicoli, che come tali dovevano essere sottoposti a bonifica prima dell’esportazione.
Quanto alla natura di rifiuto, mette conto rilevare il Collegio che essa non possa essere messa in discussione in quanto la qualifica di rifiuto discende dalla stessa documentazione di esportazione compilata dal ricorrente.
L’operazione di esportazione era, infatti, dichiarata come riferita a rifiuti, rifiuti di cui non era stata effettuata la preventiva bonifica come richiesta per legge. In tale ambito non è pertinente il richiamo alla disciplina della commercializzazione degli autoveicoli poiché nel caso in esame ciò che dichiaratamente si intendeva esportare erano “rifiuti”. Né il ricorrente deduce il travisamento probatorio quanto alla documentazione doganale che accompagnava l’esportazione, mentre non è proponibile in questa sede il travisamento del fatto circa l’avvenuta bonifica, risolvendosi in una censura sul fatto inammissibile nel giudizio di legittimità.
Quanto al primo profilo, osserva, per completezza, il Collegio che il ricorrente non ha fornito la documentazione attestante l’assolvimento delle prescrizioni imposte dalla legge per il commercio di parti di ricambio.
Deve rammentarsi, a tal riguardo, che i veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti ai sensi della voce "16 01" dell'allegato D alla parte quarta del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, richiamato dall'art. 184, comma 5, stesso Decreto.
A norma dell’art. 184- ter comma 1, del d.lgs n. 152 del 2006, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti. Sempre il d.lgs n. 152 del 2006, art. 184- ter comma 4, richiama espressamente anche il D.Lgs. n. 209 del 2003. Secondo tale decreto, le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza di cui al D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, provenienti dai centri di raccolta autorizzati di cui al d.lgs n. 209 del 2003, costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, suballegato 1-5. Ne consegue che le parti di autoveicoli recuperate a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato e con il concorso delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184- ter cit., cessano di essere rifiuti.
Tutto ciò premesso, il ricorrente non ha assolto all’onere probatorio non avendo dimostrato di aver assolto alle operazioni di recupero che comportano la cessazione della qualità di “rifiuto”, risultando, al contrario, l’esatto opposto per l’accertata presenza nel container di n. 4 autoveicoli integri e dunque non bonificati.
5. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Sotto un primo profilo, il ricorrente si limita a rilevare il contrasto tra la pena calcolata nella motivazione e quella indicata nel dispositivo, contrasto insussistente poiché non ha considerato, il ricorrente, che il calcolo di pena comprendeva l’aumento per la continuazione, di cui non si contestano i presupposti applicativi, sicchè quella indicata nel dispositivo era quella finale come da calcolo contenuto nella motivazione.
Allo stesso modo le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute ed è stata applicata la riduzione alla pena base di mesi uno di arresto e € 2.400 di ammenda, pena così diminuita a venti giorni di arresto e € 1.600,00 di ammenda su cui è stato operato l’aumento per la continuazione, così da pervenire alla pena finale di mesi uno di arresto e € 3.000,00 di ammenda, come indicata nel dispositivo di sentenza. La motivazione della sentenza fa chiarezza rispetto ad un refuso contenuto nel dispositivo della sentenza che contiene il riferimento al giudizio di bilanciamento con una circostanza aggravante non contestata.
6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/11/2020