Cass. Sez. III n. 11452 del 14 Marzo 2019 (Up 6 nov 2018)
Pres. Di Nicola Est. Zunica Ric. Paolacci
Rifiuti.Fresato bituminoso

Il fresato bituminoso proveniente dall’asportazione del manto stradale mediante spandimento al suolo e compattamento costituisce un materiale classificato come rifiuto speciale dal codice europeo dei rifiuti (CER), che può essere trattato alla stregua di un sottoprodotto solo se venga inserito in un ciclo produttivo e venga utilizzato senza alcun trattamento in un impianto che ne preveda l’utilizzo nello stesso ciclo di produzione, senza operazioni di stoccaggio a tempo indefinito

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Roma dell’8 gennaio 2018, Mauro Paolacci veniva condannato alla pena di euro 2.000 di ammenda, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 256 comma 4 del d. lgs. 152/2006 (capo A) e 279 comma 1 del d. lgs. 152/2006 (capo B), perché, quale amministratore unico della “Elpidia 2000 s.r.l.”, con stabilimento ubicato in Roma alla via Polense n. 5, non rispettava le prescrizioni indicate nell’allegato 5 del D.M. 502/1998 quali norme tecniche generali degli impianti di recupero che effettuano le operazioni di messa in riserva dei rifiuti non pericolosi, apportando  altresì una modifica sostanziale a un complesso unitario di tre impianti di emissioni in atmosfera senza autorizzazione, fatti accertati in Roma il 23 aprile 2013. Con la medesima sentenza, Paolacci veniva condannato anche al risarcimento del danno in favore della parte civile, “Comitato spontaneo cittadini Castelverde”, oltre che al pagamento di una provvisionale pari a mille euro.
2. Avverso la sentenza del Tribunale di Roma, Paolacci, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
 Con i primi due, esposti congiuntamente, la difesa lamenta la violazione degli art. 256 comma 4 e 279 comma 1 del d. lgs. 152/2006 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, osservando che, nel giustificare l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, il Tribunale si era limitato a scarne affermazioni apodittiche, ignorando gli elementi probatori addotti dalla difesa; in particolare, quanto alla contravvenzione ex art. 256 comma 4 del d. lgs. 152/2006, la difesa osserva che il materiale presente nell’impianto non è mai stato rifiuto, avendo la società Elpidia 2000 s.r.l. gestito il fresato prodotto dalla propria attività di manutenzione autostradale come “sottoprodotto” ai sensi dell’art. 184 bis del d. lgs. n. 152 del 2006, in coerenza con l’assetto normativo vigente in materia già a partire dal 2006.
In ordine invece al reato ex 279 comma 1 del d. lgs. 152/2006, la difesa rileva che il macchinario in questione non era stato mai utilizzato, essendo stato acquistato e portato nell’area dell’impianto nel 2005 pronto per essere ispezionato dal Servizio Controlli della Provincia, come previsto per la domanda di rinnovo in procedura semplificata cui la Elpidia riteneva di essere sottoposta.
Con il terzo motivo, infine, viene dedotta l’inosservanza degli art. 74 e 78 lett. d) cod. proc. pen., impugnandosi in particolare l’ordinanza dell’11 luglio 2016 con cui è stata ammessa la costituzione di parte civile del Comitato promotore di raccolta fondi per la tutela della salute e dell’ambiente, nonostante la formale richiesta di esclusione formulata ai sensi dell’art. 80 cod. proc. pen., motivata dalla carenza sia della legitimatio ad causam dell’ente, le cui finalità statutarie erano del tutto generiche, autoreferenziali e non circostanziate dal punto di vista storico e geografico, sia della causa petendi, non essendo derivato alcun pregiudizio immediato e diretto dall’ipotetica condotta illecita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I motivi di ricorso sono infondati, ma la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, per essere i reati estinti per prescrizione.
1. Iniziando dai primi due motivi di ricorso, deve escludersi che il giudizio sulla configurabilità dei reati contestati presti il fianco alle censure difensive.
1.1. Partendo dalla fattispecie di cui all’art. 256 comma 4 del d.lgs. n. 256 del d. lgs. n. 152 del 2006 (capo A), occorre evidenziare che il Tribunale, nel ricostruire i fatti di causa, ha richiamato l’accertamento di P.G. del 23 aprile 2013, da cui è emerso che la società “Elpidia 2000 s.r.l.”, di cui Paolacci era legale rappresentante, effettuava attività di recupero di rifiuti non pericolosi, senza rispettare le dovute prescrizioni, essendo stata riscontrata la mancata separazione tra le aree di deposito dei rifiuti (conglomerato bituminoso) e quelle destinate alle materie prime (sabbia e silicio), non essendo stati adottati rimedi per evitare il contatto e l’eventuale contaminazione tra i predetti materiali.
La tesi difensiva, secondo cui il materiale ricevuto dall’impianto, derivato dalla scarifica del manto autostradale mediante fresatura a freddo, non era considerabile rifiuto, gestendo la società “Elpidia 2000 s.r.l.” il fresato prodotto dalla propria attività di manutenzione autostradale come sottoprodotto, non appare idonea a escludere la sussistenza del reato, dovendo sul punto ribadirsi l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 24865 del 08/02/2018, Rv. 273366 e Sez. 3, n. 53136 del 28/06/2017, Rv. 272096), secondo cui è destinato ad assumere rilievo penale (ai sensi dell’art. 256, comma 1 lett. a del d.lgs. n. 152 del 2006, o eventualmente anche ai sensi della previsione di cui al comma 4 del medesimo articolo) il reimpiego di materiale inerte derivante dall’attività di scarifica del manto stradale nel processo produttivo di conglomerato bituminoso, non potendo tale materiale essere qualificato come sottoprodotto ex art. 184 bis del d.lgs. n. 152 del 2006, neppure all’esito della modifica introdotta dall’art. 12 del d.lgs. n. 205 del 3 dicembre 2010, in quanto non solo lo stesso deriva da un processo lavorativo che non è funzionale alla sua produzione, ma anche perché, ai fini del suo riutilizzo, è sottoposto a una lavorazione con altri componenti vergini, dando luogo a un materiale dal tratto diverso da quello originario.
In definitiva, il fresato bituminoso proveniente dall’asportazione del manto stradale mediante spandimento al suolo e compattamento costituisce un materiale classificato come rifiuto speciale dal codice europeo dei rifiuti (CER), che può essere trattato alla stregua di un sottoprodotto solo se venga inserito in un ciclo produttivo e venga utilizzato senza alcun trattamento in un impianto che ne preveda l’utilizzo nello stesso ciclo di produzione, senza operazioni di stoccaggio a tempo indefinito, presupposti questi che nel caso di specie non sono stati né comprovati né tantomeno dedotti dalla difesa, per cui deve concludersi che il giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto alla fattispecie a lui contestata al capo A non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
1.2. Anche per quanto concerne la ritenuta sussistenza del reato di cui al capo B della rubrica, la sentenza impugnata resiste alle obiezioni difensive.
Al riguardo, il giudice monocratico, richiamando la documentazione acquisita, ha evidenziato che il terzo impianto di emissione in atmosfera della società gestita dall’imputato non era autorizzato, non solo come messa in esercizio, ma anche come presenza sul luogo, per cui la Provincia di Roma, in data 30 aprile 2013, ha diffidato la ditta “Elpidia 2000” s.r.l. a interrompere l’attività cui era preposta.
Le deduzioni difensive circa il mancato utilizzo del macchinario in questione nel processo produttivo in atto, oltre a essere meramente assertive, scontando il ricorso sul punto palesi limiti di autosufficienza, non possono ritenersi in ogni caso pertinenti, dovendosi richiamare in proposito la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 192 del 24/10/2012, Rv. 254335), secondo cui, in tema di inquinamento atmosferico, la realizzazione di uno stabilimento in difetto di autorizzazione integra un reato permanente di pericolo, per la cui sussistenza non è richiesto che l’attività inquinante abbia avuto effettivamente inizio, essendo sufficiente la sola sottrazione delle attività al controllo preventivo degli organi di vigilanza, come appunto risulta avvenuto nel caso di specie.
2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Ed invero, quanto alla legittimazione delle associazioni ambientaliste a costituirsi parti civili, la decisione del Giudice monocratico assunta all’udienza dell’11 luglio 2016 di ammettere la costituzione di parte civile del “Comitato promotore di raccolta fondi per la tutela della salute e dell’ambiente” non può ritenersi illegittima, risultando la stessa coerente con il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016, Rv. 269349), secondo cui le associazioni ambientaliste sono legittimate a costituirsi parti civili “iure proprio” nel processo per reati ambientali, sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto alla tutela ambientale, anche per i reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell’ambiente e del territorio.
Nel caso di specie, dallo statuto del “Comitato promotore di raccolta fondi per la tutela della salute e dell’ambiente” si rileva (art. 5) che il predetto ente “nasce con l’obiettivo di raccogliere fondi a sostegno delle azioni legali volte alla tutela della salute, dei diritti e interessi legittimi dei cittadini, nonché alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, in risposta alle problematiche ambientali presenti sia nel territorio nazionale, sia, in particolar modo, a quelle interessate dal Polo impiantistico Ama, sito nella zona di Rocca Cencia a Roma”.
Nell’atto di costituzione si evidenzia inoltre che l’area di interesse dell’attività dell’ente è strettamente collegata alla zona di Castelverde in Roma dove sono stati accertati i fatti e che, in ogni caso, nel Comitato costituitosi parte civile è confluito proprio il “Comitato Spontaneo Cittadini Castelverde”, ente che, al pari del suo legale rappresentante, arch. Andrea De Carolis (divenuto poi componente del “Comitato promotore di raccolta fondi per la tutela della salute e dell’ambiente”), è indicato nel decreto di citazione diretta quale persona offesa.
Alla stregua di tali elementi, la cui disamina è stata consentita dalla natura processuale della doglianza sollevata, emerge dunque l’esistenza di un legame qualificato, anche dal punto di vista geografico, tra le finalità perseguite dall’Ente e gli interessi lesi dalla commissione dei reati contestati, per cui deve escludersi che la costituzione di parte civile del Comitato e il successivo riconoscimento in suo favore di una pretesa risarcitoria presentino profili di criticità.
3. Ribadita l’infondatezza (invero non manifesta) dei motivi di ricorso, deve tuttavia prendersi atto che nelle more, ovvero il 23 aprile 2018, è maturato, in assenza di cause di sospensione, il termine massimo di prescrizione di entrambi i reati contestati, pari a 5 anni, trattandosi di contravvenzioni.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, per essere i reati oggetto di imputazione estinti per prescrizione.
Sono invece fatte salve le statuizioni civili della sentenza di primo grado, disponendosi in tal senso che Paolacci provveda al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, “Comitato promotore di raccolta fondi per la tutela della salute e dell’ambiente”, in persona del legale rappresentante Maria Vittoria Molinari, spese liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione. Conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, Comitato promotore di raccolta fondi per la tutela della salute e dell’ambiente in persona del legale rappresentante Maria Vittoria Molinari, che liquida in € 2.500, oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.
Così deciso il 06/11/2018