Cass. Sez. III n. 28356 del 1 luglio 2013 (Ud 21 mag 2013)
Pres.Fiale Est. Andreazza Ric.Farina
Urbanistica.Sospensione condizionale della pena e possibilità di subordinare il beneficio alla demolizione
In tema di reati edilizi, il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in quanto tale ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato.
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. FIALE     Aldo             - Presidente  - del 21/05/2013
 Dott. MULLIRI   Guicla           - Consigliere - SENTENZA
 Dott. SARNO     Giulio           - Consigliere - N. 1565
 Dott. GAZZARA   Santi            - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDREAZZA Gastone     - rel. Consigliere - N. 46597/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 Farina Cosimo, n. a Oria il 08/11/1967;
 avverso la sentenza della Corte d'Appello di Lecce in data  13/06/2012;
 visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
 udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gastone Andreazza;
 udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto  Procuratore generale BAGLIONE Tindari, che ha concluso per  l'annullamento senza rinvio per prescrizione.
 RITENUTO IN FATTO
 1. Con sentenza del 13/06/2012 la Corte d'appello di Lecce, in  riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi del 2 dicembre 2010,  ha eliminato la condizione apposta al beneficio della non menzione  della condanna e ha confermato nel resto la sentenza di condanna per  i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) per avere  realizzato, in assenza del permesso di costruire, due manufatti con  copertura in lamiera coibentata, e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,  lett. a) per avere realizzato i detti manufatti in zona delimitata  come zona verde di rispetto cimiteriale.
 2. Ha proposto ricorso l'imputato.
 Con un primo motivo lamenta l'inosservanza di legge penale e la  mancanza o contraddittorietà o manifesta illogicità della  motivazione in relazione all'art. 479 c.p.p.; deduce che la Corte ha  erroneamente negato la sospensione del procedimento per la pendenza  di procedimento amministrativo dinanzi al Tar avverso il diniego  della concessione in sanatoria.
 Con un secondo motivo censura la decisione con cui la Corte ha  ritenuto tardiva l'eccezione avanzata in merito alla revoca da parte  del Tribunale dell'ordinanza ammissiva del teste Marinò, essendo  stata ritenuta la relativa nullità quale nullità a regime  intermedio, senza che la stessa fosse stata dedotta immediatamente  dopo; sostiene invece che da un'attenta lettura del verbale d'udienza  del 2 dicembre 2010 a pagina 24, si evidenzia come la nullità sia  stata immediatamente e ritualmente dedotta dal difensore; quanto al  merito, la decisione con cui il testimone è stato revocato, non per  sopravvenuta superfluità o irrilevanza della prova, ma per semplice  economia processuale, la stessa integra violazione del diritto di  difesa dell'imputato; detto esame era infatti assolutamente rilevante  per la difesa che poteva in tal modo dimostrare la manifesta  inesistenza del vincolo cimiteriale sull'area di ubicazione dei  manufatti. Con un terzo motivo lamenta l'inosservanza della legge  penale in relazione agli artt. 581 e 591 c.p.p. e all'art. 192  c.p.p.. Rileva che in favore dell'assunto accusatorio militano  esclusivamente il sequestro del manufatto effettuato dai vigili  urbani e la dichiarazione del tecnico comunale, alquanto imprecisa e  generica, essendosi questi limitato ad affermare l'esistenza del  vincolo sulla base della mera vicinanza dei manufatti al cimitero,  senza avere specificato la distanza esatta; nella specie, poi, i  manufatti si troverebbero a ben oltre 100 metri dalle mura  cimiteriali. Deduce inoltre che i manufatti sottoposti a sequestro  sarebbero pertinenza di manufatti già preesistenti in quanto adibiti  al deposito di materiale relativo alla lavorazione del marmo svolta  dall'imputato; denuncia inoltre l'insussistenza dell'elemento  psicologico del reato, atteso che, tra l'altro, come affermato dal  teste dell'accusa Incalza, nei pressi del laboratorio dell'imputato  insistono altre costruzioni vecchie e nuove proprio nelle adiacenze  del vecchio e nuovo cimitero.
 Con un quarto motivo lamenta l'inosservanza di legge penale e la  mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione in  relazione agli artt. 163 e 165 c.p., per avere la Corte ritenuta  legittima la concessione della sospensione condizionale della pena  subordinatamente all'adempimento dell'ordine di demolizione nel  termine di due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza,  potendo la demolizione essere demandata all'autorità amministrativa.  Con un quinto motivo, lamenta l'inosservanza di legge penale nonché  la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della  motivazione in relazione all'art. 133 c.p. per eccessività della  pena irrogata, che avrebbe dovuto essere invece determinata nel  minimo assoluto edittale.
 Con un ultimo motivo lamenta l'inosservanza o erronea applicazione  della legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà manifesta  illogicità della motivazione in relazione all'art. 157 c.p. per  avere erroneamente la Corte d'Appello ritenuto non intervenuta la  prescrizione, pur tenuto conto delle sospensioni maturate.  CONSIDERATO IN DIRITTO
 3. Il primo motivo è manifestamente infondato: in ripetuti arresti  questa Corte ha affermato che il ricorso al giudice amministrativo  avverso il diniego di sanatoria per abuso edilizio non comporta la  sospensione dell'azione penale promossa per la relativa violazione,  essendo detta sospensione limitata temporalmente sino alla decisione  degli organi comunali sulla relativa domanda di sanatoria,  manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto (tra le altre,  Sez. 3, n. 24245 del 24/03/2010, Chiarello, Rv. 247692); si è  precisato che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 45, comma 1, dispone  che, qualora venga richiesto l'accertamento di conformità al sensi  dell'art. 36 del D.P.R. cit., "l'azione penale relativa alle  violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i  procedimenti amministrativi di sanatoria". La norma ricollega,  dunque, la durata della sospensione all'esaurimento dei soli  "procedimenti amministrativi di sanatoria", limitandola temporalmente  alla decisione degli organi comunali sulla relativa domanda,  manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto prevista dall'art.  36, comma 4. Va anche ricordato che, secondo la costante  giurisprudenza di questa Corte Suprema, nell'ipotesi in cui il  giudice di merito non abbia sospeso, D.P.R. n. 380 del 2001, ex art.  45, comma 1, il procedimento relativo ai reati di cui all'art. 44,  non consegue alcuna nullità, mancando qualsiasi previsione normativa  in tal senso e non configurandosi pregiudizio al diritto di difesa  dell'imputato, poiché questi può far valere nei successivi gradi di  giudizio l'esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva, nella  specie comunque non intervenuta (Sez. 3, n, 22921 del 06/04/2006,  Guercio, Rv. 234475).
 4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.  La revoca, in assenza di contraddittorio, del teste precedentemente  ammesso determina, infatti, una nullità a regime intermedio, da  dedursi nel termine di cui all'art. 182 c.p.p., comma 2, (tra le  altre, Sez. 3, n. 24302 del 12/05/2010, L. Rv. 247878). Nella specie,  in conformità a quanto affermato dalla Corte territoriale, e  difformemente, invece, da quanto asserito in ricorso, nessuna  eccezione risulta, sulla base della lettura del verbale di udienza  del 02/12/2010, sollevata dalla Difesa a fronte della disposta  revoca. Del resto, va anche ricordato che, secondo quanto disposto  dall'art. 139 c.p.p., comma 3, ove la riproduzione fonografica non  abbia avuto effetto o non sia comprensibile, fa prova il verbale  redatto in forma riassuntiva, verbale che, nella specie, come appena  ricordato, difetta di qualunque indicazione al riguardo.  5. Quanto al terzo motivo, va rilevata anzitutto la corretta  valutazione effettuata dalla Corte territoriale in ordine alla  genericità del motivo di appello relativo all'affermata sussistenza  del vincolo cimiteriale e alla insussistenza della natura  pertinenziale dei manufatti. Va precisato che i motivi di appello  devono essere specifici allo stesso modo di quanto richiesto per il  ricorso In cassazione e, quindi, pur nella libertà della loro  formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di  diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con  precisione l'oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza,  impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Sez. 6, n. 1770 del  18/12/2012, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204); nella specie, la  generica menzione, a confutazione della dichiarazione di  responsabilità resa in primo grado, dell'intervenuto sequestro del  manufatto e delle dichiarazioni rese dal tecnico comunale, tacciate  di farraginosità ed imprecisione senza alcuna spiegazione, sia pure  minima, dei motivi di una tale valutazione, è stata senza dubbio  tale da integrare la aspecificità del motivo, correttamente colta  dai giudici. In ogni caso, gli stessi giudici di appello hanno  evidenziato, in particolare, in termini esaustivi e del tutto logici,  da un lato, gli elementi comprovanti la identificazione della zona  come di "rispetto cimiteriale" (pagg. 6 e 7), valorizzando  addirittura lo stesso contenuto del ricorso al Tar presentato dal  ricorrente, sia la esclusione di natura pertinenziale in capo  all'intervento edilizio in oggetto, facendo corretta applicazione, in  relazione segnatamente alla entità delle opere, al contrasto con il  P.d.F. e alla suscettibilità di autonoma e diversa utilizzazione,  dei principi più volte affermati da questa Corte. Anche in relazione  alla sussistenza dell'elemento psicologico la Corte territoriale ha  correttamente posto in rilievo l'impossibilità, per l'imputato, da  tempo immemorabile proprietario del terreno e del preesistente  laboratorio, di non avvedersi dell'esistenza del vincolo e comunque,  implicitamente conformando la propria valutazione ai dettami più  volte indicati da questa Corte a seguito della sentenza n. 364 del  1988 della Corte costituzionale intervenuta in relazione all'art. 5  c.p., l'inescusabilità di una condotta caratterizzata quanto meno  dall'assenza di informazioni presso i competenti uffici.  6. Con riguardo al quarto motivo, va ricordato che in tema di reati  edilizi ben può il giudice, nella sentenza di condanna, subordinare  il beneficio della sospensione condizionale della pena alla  demolizione dell'opera abusiva, in quanto il relativo ordine ha la  funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato (tra le altre,  Sez. 3, n. 38071 del 19/09/2007, Terminiello, Rv. 237825), sicché  nessuna illegittimità è rinvenibile, come già affermato dalla  Corte leccese, nella statuizione del Tribunale.
 7. In ordine al quinto motivo, premesso che in ogni caso, come da  costante affermazione di questa Corte, allorquando la pena venga  compresa nel minimo o in prossimità del minimo, la motivazione non  deve necessariamente svilupparsi in un esame dei singoli criteri  elencati nell'art. 133 c.p., essendo sufficiente il riferimento alla  necessità di adeguamento al caso concreto (tra le tante, Sez. 2, n.  43596 del 07/10/2003, Iunco, Rv. 227685), la Corte ha comunque  puntualmente evidenziato, quali elementi ostativi alla invocata  mitigazione della pena, il numero e l'entità delle opere abusive  realizzate di per sè prevalenti su altri, possibili, elementi di  segno contrario.
 8. Il sesto ed ultimo motivo è parimenti manifestamente Infondato.  Ove si consideri infatti che al termine prescrizionale pari ad anni  cinque decorrente dalla data del 04/05/2007 devono aggiungersi  complessivi giorni 101 di sospensione per effetto dei rinvii  rispettivamente assegnati alle udienze del 10/02/2012 per malattia  dell'imputato (per giorni sessanta) e del 02/05/2012 per legittimo  impedimento dell'imputato (per giorni quarantuno), il termine stesso  è maturato in data 15/08/2012 e, dunque, successivamente alla  pronuncia della sentenza qui impugnata. Nè la scadenza del termine  può essere considerata ora da questa Corte attesa l'inammissibilità  del ricorso, di per sè ostativa ad una rituale introduzione del  rapporto processuale (cfr., Sez. U., n. n. 32 del 22/11/2000, De  Luca, Rv. 217266).
 9. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del  ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata  in dispositivo, ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende,  in applicazione dell'art. 616 c.p.p..
 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al  			pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in  			favore della Cassa delle ammende.
 Così deciso in Roma, il 21 maggio 2013.
 Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2013
                    



