Cass. Sez. III n. 32257 del 8 agosto 2024 (UP 10 lug 2024)
Pres. Ramacci Rel. Galanti Ric. Senese
Rifiuti.Natura permanente del reato di stoccaggio illecito

Lo stoccaggio non autorizzato di rifiuti è un reato avente natura permanente, la cui consumazione termina con la rimozione della situazione di fatto abusiva, ossia con la cessazione volontaria della condotta (ovvero con quella imposta dal sequestro del bene, ovvero ancora con la sentenza di primo grado).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 01/12/2023, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Lamezia Terme del 19/01/2022, concesse all’imputato Elia Vito Senese circostanze attenuanti generiche condannava lo stesso alla pena di mesi 4 di arresto ed € 3.300,00 di ammenda in relazione all’articolo 256 d. lgs. 152/2006, per avere gestito un’attività di raccolta di rifiuti senza essere in possesso della necessaria autorizzazione.

2. Avverso la sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 256 d. lgs. 152/2006, e chiede assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato.
Evidenzia che è stato lo stesso imputato a fornire agli operanti i formulari aventi ad oggetto lo smaltimento degli olii esausti; sottolinea che non è emerso alcun “trattamento” di rifiuti, e che la presenza di mera attrezzatura meccanica per la manutenzione degli automezzi non necessita di autorizzazione per le emissioni in atmosfera.
Inoltre, non sarebbe stato provato quale fosse il contenuto dei fusti né che i pezzi smontati delle auto fossero destinati a smaltimento anziché a riparazioni.
2.2. Con il secondo motivo, censura violazione degli articoli 157 e 160 cod. pen., 531 cod. proc. pen..
La commissione del fatto sarebbe stata erroneamente collocata all’epoca dell’accertamento (febbraio 2019), laddove per come contestata la condotta sarebbe invece antecedente di almeno un quinquennio, con conseguente prescrizione del reato.
2.3.  Con il terzo motivo, lamenta violazione di legge e mancata assunzione di prova decisiva in riferimento alla mancata concessione del beneficio della conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, sia in ragione della redditualità del ricorrente che della nuova disciplina intervenuta relativa alle pene sostitutive.

3. In data 2 luglio 2024 l’Avv. Giuseppe Senese, per l’imputato, faceva pervenire note di replica in cui insisteva per l’accoglimento del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è inammissibile.
In primo luogo, il Collegio evidenzia che il ricorrente, nel petitum, chieda l’assoluzione, domanda consona ad un giudizio di merito e non anche a quello di legittimità, circostanza già di per sé sufficiente per una pronuncia di inammissibilità.
In ogni caso, il ricorrente, per un verso confonde l’autorizzazione richiesta per la gestione di rifiuti (la cui assenza peraltro non contesta) con quella per l’emissione di fumi in atmosfera, sanzionata dall’articolo 279 d. lgs. 152/2006; per altro verso, si limita ad una contestazione meramente fattuale delle risultanze probatorie (a fronte della riconduzione da parte dei giudici alla categoria dei rifiuti degli olii esausti e dei filtri per autoveicoli usati), operazione senz’altro esclusa nel giudizio per cassazione.
Nel giudizio di legittimità (v. da ultimo Sez. 3, n. 8466 del 17/01/2023, Negrini, n.m.) sono infatti precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Nel caso in esame, già il primo giudice aveva ritenuto provata (pag. 2) la condotta di “stoccaggio” abusivo di rifiuti speciali anche pericolosi, alla luce del rinvenimento di fusti di olio esausto, filtri esausti e parti di autoveicoli, in assenza di autorizzazione. 
Il ricorso di limita ad una contestazione totalmente generica e fattuale, risultando così inammissibile per aspecificità.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato, oltre che generico ai limiti della incomprensibilità. 
Nel ricorso non è chiarito in alcun modo per quale ragione il fatto dovrebbe essere retrodatato di almeno cinque anni, posto il rinvenimento di olii e filtri esausti all’atto del controllo nel febbraio 2019, condotta che certamente integra la gestione non autorizzata di rifiuti.
Va evidenziato come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio ribadisce (Sez. 3, n. 8050 del 01/02/2024, Berardi, n.m.), lo stoccaggio non autorizzato di rifiuti è un reato avente natura permanente, la cui consumazione termina con la rimozione della situazione di fatto abusiva, ossia con la cessazione volontaria della condotta (ovvero con quella imposta dal sequestro del bene, ovvero ancora con la sentenza di primo grado).
Il motivo di ricorso, che non si confronta affatto con la giurisprudenza della Corte, è manifestamente infondato.

4. Il terzo motivo è inammissibile.
Questa Corte ha precisato che la sostituzione o meno della pena detentiva con la pena sostitutiva presuppone una valutazione discrezionale del giudice, il cui esercizio, se adeguatamente motivato, non è sindacabile nel giudizio di legittimità, così come previsto per i criteri dettati dall’art. 133 c.p. ai fini della determinazione della pena, cui rimanda l’art. 58 della l. n. 689/1981 (Sez. 4, n. 12331 del 27/02/2024, De Falco, n.m.).
Vero è che il d.lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, è intervenuto sulla legge n. 689/81, con l'evidente obiettivo di estendere l'ambito applicativo delle sanzioni sostitutive; tuttavia, è pur vero che, anche nel testo attualmente vigente, l'art. 58 della legge n. 689/81 richiede al giudice, che debba valutare se applicare una pena sostitutiva, di tenere conto «dei criteri indicati dall'art. 133 del codice penale». 
Il novellato art. 58 stabilisce che, nel decidere se applicare una pena sostitutiva e nello scegliere quale pena applicare, il giudice debba valutare quale sia la pena più idonea alla rieducazione del condannato e se sia possibile, attraverso opportune prescrizioni, prevenire il pericolo di commissione di altri reati. 
Nel motivare sull'applicazione (o mancata applicazione) delle pene sostitutive, dunque, il giudice può ancora oggi tenere conto dei precedenti penali dell'imputato, da valutare non tanto nella prospettiva della meritevolezza del beneficio della sostituzione, quanto nella prospettiva dell'efficacia della pena sostitutiva e della possibilità di considerarla più idonea alla rieducazione rispetto alla pena detentiva (Sez. 4, n. 42847 del 11/10/2023, Palumbo, Rv. 285381 — 01).
Nel caso di specie, il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha da un lato sottolineato che l’imputato nulla aveva dedotto sul suo stato economico, e dall’altro evidenziato come il fatto non poteva considerarsi lieve in ragione della natura pericolosa dei rifiuti e della circostanza che, anche dopo l’accertamento del reato, l’imputato non si fosse adoperato per ottenere l’autorizzazione.
Con tale motivazione, che non è affatto illogica o contraddittoria, il motivo di ricorso non si confronta affatto, risultando pertanto inammissibile per genericità.

5. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/07/2024.