Cass. Sez. III n. 29578 del 28 luglio 2021 (PU 7 mag 2021)
Pres. Rosi Est. Scarcella Ric. Codognotto
Rifiuti.Nozione di deposito incontrollato

Il “deposito incontrollato” presuppone una condotta differente dalle fattispecie di abbandono e di immissione, altrimenti la sua previsione da parte del legislatore risulterebbe inutile. Tale elemento distintivo non può essere rinvenuto nell'episodicità della condotta e nella quantità, necessariamente contenuta, di rifiuti che esso ha in comune con l'abbandono e che consente di contraddistinguere entrambi rispetto ad altre condotte tipiche individuate dalla disciplina di settore. Ciò che, invece, caratterizza il deposito incontrollato è la condotta tipica individuabile alla luce del significato letterale del termine "deposito", ossia la collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 24 luglio 2020, il Tribunale di Venezia riconosceva la responsabilità penale di Codognotto Alessandro e Ormenese Fabrizio per il reato p. e p. dall’art. 256, co. 1 lett. a) e co. 2 e art. 192 D.lgs. 152/2006 (perché in qualità di legali rappresentanti, rispettivamente, della Brick s.r.l. e della Domus s.r.l. realizzavano, consentendo lo scarico e comunque il permanere dei rifiuti, un deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi), nonché la responsabilità amministrativa da reato della società Brick s.r.l., ai sensi dell’art. 25-undecies D.lgs. 231/2001 (come novellato con D.lgs. n. 121/2011), per il reato presupposto di cui all’art. 256, co. 1 lett. a) e co. 2 D.Lgs. 152/2006, consumato nel suo interesse o comunque a suo vantaggio da Codognotto Alessandro in qualità di suo legale rappresentante, in quanto, non smaltendo i rifiuti presenti nell’area di sua proprietà presso un centro autorizzato, assicurava alla società un risparmio economico correlato ai costi che avrebbe dovuto sostenere per lo smaltimento a norma di legge.

2. Contro la sentenza ha proposto congiunto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dei ricorrenti, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, afferente alla posizione dei ricorrenti Codognotto e Brick s.r.l., il vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 546 co. 1 lett. e), cod. proc. pen., per l’omessa indicazione delle ragioni per le quali il giudice non ha considerato la prova contraria fornita nel dibattimento, nonché per il correlato vizio di motivazione carente e contraddittoria su un aspetto decisivo della vicenda processuale.
Con il primo motivo di ricorso, la difesa evidenzia come l’imputato Codognotto e la società Brick s.r.l. siano totalmente estranei ai fatti oggetto di imputazione. All’esisto del giudizio, infatti, lo stesso Pubblico Ministero ne aveva richiesto l’assoluzione.
In particolare, il terreno sito in Via Valdarno (Mira) sarebbe stato interessato da due sole vicende rilevanti ai fini dell’applicazione della normativa di cui al D.lgs. 152/2006. Il primo episodio, risalente all’8 giugno del 2016, riguarda l’accertamento in flagranza dello sversamento di materiale proveniente da scavi stradali. Tali rifiuti erano stati caricati su di un camioncino condotto da Relu Tataru, dipendente a sua volta di un tale Giuliano Giacometti. A seguito della segnalazione inviata dal carabiniere Massimo Zaramella, le forze dell’ordine si sono recate sul luogo indicato, hanno sottoposto a sequestro il camioncino ed i materiali ivi rinvenuti, ed infine hanno inoltrato la denuncia alla Procura competente al fine di sottoporre a procedimento penale i predetti soggetti. In tale circostanza, gli operatori di polizia avevano notato la presenza di un accumulo di materiale risalente nel tempo, in quanto ricoperto da una folta vegetazione che ne impediva quasi l’individuazione.
Solo a seguito di tale rinvenimento i Vigili avevano disposto il sequestro dell’intera area ed avevano inviato la seconda notizia di reato da cui, poi, ha avuto origine il procedimento penale a carico degli odierni ricorrenti. Sulla base di queste premesse, la difesa ritiene sia il Codognotto che la Brick s.r.l. estranei alla vicenda di abbandono di rifiuti accertata in flagranza nel giugno del 2016. Gli odierni imputati, infatti, non risultano aver mai avuto alcun rapporto contrattuale - neanche di fatto - con gli autori dello sversamento a cui era stato contestato il suddetto reato.
L’attuale ricorrente e la società all’epoca da lui amministrata non avrebbero dovuto essere considerati responsabili nemmeno in relazione all’accumulo di materiale presente sul terreno. Nel corso del giudizio - prosegue la difesa - era stato accertato che quei rifiuti erano ivi presenti da almeno otto anni, trattandosi di materiale derivante dalla costruzione di un edificio realizzato dalla Domus s.r.l. sul fondo attiguo tra il 2007 ed il 2008. Tuttavia, la Brick s.r.l. ha acquistato il terreno in questione solo molti anni dopo (novembre 2015), come risulta dall’atto notarile prodotto dalla difesa in sede processuale. Al cospetto di simili elementi probatori, sia la difesa che il Pubblico Ministero avevano richiesto l’assoluzione degli odierni ricorrenti, ma i giudici di prime cure hanno disatteso la tesi difensiva senza dar conto delle ragioni per cui hanno ritenuto tali elementi inidonei ad escludere la loro responsabilità.
La sentenza impugnata, inoltre, risulterebbe palesemente contraddittoria nella parte in cui valorizza le dichiarazioni rese dal teste Vignotto anche al fine di ritenere comprovata la responsabilità del Codognotto e della Brick s.r.l.
In particolare, i giudici di primo grado avrebbero erroneamente ritenuto coinvolto l’odierno imputato nella vicenda accertata nel giugno del 2016 e posta a carico di soggetti terzi, nei cui confronti si è instaurato un autonomo giudizio penale. Il Tribunale di Venezia avrebbe altresì illogicamente accostato la posizione del Codognotto a quella dell’Ormenese, omettendo di considerare che l’attività di deposito di rifiuti era stata realizzata in un’epoca in cui la Brick s.r.l. non aveva la disponibilità, né materiale né giuridica, del terreno.
Infine, la difesa reputa ugualmente illogiche e contradditorie le argomentazioni con cui il Collegio giunge ad affermare che il Codognotto fosse a conoscenza della presenza di quel deposito di rifiuti ed avesse concordato con l’Ormenese di procedere alla bonifica del sito. Al riguardo, i ricorrenti evidenziano la profonda differenza che intercorre tra la responsabilità penale e l’obbligo amministrativo di bonificare il terreno ex art. 192 co. 3 D.lgs. 192/2006: la prima si configura a carico di chi materialmente svolge l’attività di deposito non autorizzato; il secondo, invece, ricade in solido anche sul proprietario del fondo, fermo restando la possibilità di rivalersi sull’autore dell’illecito.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, afferente alla posizione del ricorrente Ormenese, il vizio di motivazione carente e contraddittoria su un aspetto decisivo della vicenda processuale.
Con il secondo motivo di ricorso, la difesa censura le argomentazioni con cui il Tribunale di Venezia non ha accolto la richiesta di assoluzione dell’imputato Ormenese sotto il profilo dell’insussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, era emerso che il deposito del materiale edile risaliva all’epoca in cui la Domus s.r.l. aveva realizzato una costruzione in un’area adiacente al sito successivamente sequestrato. L’attività di edificazione era stata svolta dall’impresa Ormenese Costruzioni, la quale aveva depositato il prodotto di risulta sull’area in questione in attesa di trasportarlo in discarica. Lo stato di grave crisi del mercato immobiliare - prosegue la difesa - aveva indotto tale società a bloccare gli investimenti effettuati ed a tentare di trasferire l’area alla nuova società Brick s.r.l. Tuttavia, a causa della mancata accettazione dell’accollo del mutuo bancario proposto dalla Brick s.r.l., la proprietà dell’immobile era stata riacquistata dalla Domus s.r.l., nonostante quest’ultima fosse stata nelle more dichiarata fallita.     A causa del verificarsi di tali accadimenti, l’odierno ricorrente si sarebbe trovato nell’impossibilità di sostenere i costi necessari per effettuare il trasferimento di tale materiale in un’apposita discarica. Quei rifiuti, dunque, avrebbero dovuto costituire un accumulo temporaneo effettuato nel corso della realizzazione del primo edificio, destinato ad essere smaltito contestualmente all’inizio dei lavori per la costruzione del secondo edificio. Tali lavori, tuttavia, non erano iniziati a causa della situazione di illiquidità in cui versava la Domus s.r.l. Proprio per questo motivo, l’Ormenese aveva alienato con clausola risolutiva la proprietà dell’area alla Brick s.r.l., confidando che quest’ultima fosse in grado di subentrare nei rapporti debitori con la Banca finanziatrice. La buona fede dell’odierno pervenuto troverebbe ulteriore conferma nel fatto che, una volta constatata l’impossibilità di realizzare quanto programmato, è stato egli stesso a richiedere il fallimento in proprio della società.    
Alla luce di tali argomentazioni, la difesa evidenzia come la sentenza impugnata abbia omesso di argomentare il motivo per cui ha deciso di non accedere alla richiesta di assoluzione avanzata da entrambe le parti del giudizio. Al contrario, i giudici di primo grado valorizzano l’eloquente attività di scarico in corso al momento del sopralluogo degli operatori di polizia. Tale attività, tuttavia, era stata realizzata da soggetti terzi nei cui confronti è stato instaurato un autonomo procedimento penale al quale gli odierni imputati sono del tutto estranei.    
Il giudizio accusatorio a cui giunge il Tribunale di Venezia risulterebbe, infine, in contrasto anche con le dichiarazioni rese dai testimoni escussi in sede processuale. Tali dichiarazioni, infatti, convergono nel ritenere il deposito di rifiuti frutto di un’attività risalente nel tempo, nonché occasionale e non reiterata.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, afferente alla posizione di entrambi i ricorrenti Codognotto ed Ormenese ed alla società Brick s.r.l., il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione, quanto all’errata applicazione dell’art. 157 c.p., nonché in ragione del vizio logico della motivazione derivante dal palese travisamento del fatto in ordine alla data di commissione del reato.
Con il terzo motivo di ricorso, la difesa censura le argomentazioni con cui il Tribunale di Venezia ha qualificato il reato in contestazione come un’ipotesi di reato a carattere permanente, errando, di conseguenza, nel non dichiarare l’intervenuta prescrizione di tale fattispecie contravvenzionale. In particolare, i giudici di prime cure hanno ritenuto sussistente un’ipotesi di reato permanente sul presupposto che la condotta degli odierni imputati integrasse la fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti, ritenuta dalla giurisprudenza prevalente un reato avente natura permanente.
Tuttavia, tale fattispecie non potrebbe essere attribuita né al Codognotto, né alla Brick s.r.l., stante l’insussistenza di prove che vi sia stata da parte di questi ultimi un’attività di deposito di rifiuti nel periodo in cui hanno avuto la proprietà dell’area.
In merito alla posizione dell’imputato Ormenese, il ricorso evidenzia come l’attività di deposito di materiale edile sia circoscritta al periodo di realizzazione dell’intervento di lottizzazione, ovvero al biennio 2007-2008. Tuttavia - prosegue la difesa - la contravvenzione contestata ai sensi dell’art. 256 co. 2 D.lgs. 152/2006 costituisce un’ipotesi di reato istantaneo (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 42343/2013; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 45306/2013; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 38977/2017), rispetto al quale il momento consumativo coincide con l’istante in cui siano stati integrati tutti gli elementi costitutivi tipizzati dalla norma penale, senza alcuna rilevanza di eventuali ed ulteriori effetti successivi. Così opinando, il dies a quo rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione coinciderebbe con il giorno della consumazione del reato (art. 158 co. 1 c.p.).    Nel caso di specie, l’istruttoria dibattimentale ha accertato che l’unica condotta riferibile all’Ormenese, in qualità di rappresentante della Domus s.r.l., riguarda la fase di realizzazione del suddetto intervento edile, senza che nessun’altra attività di deposito fosse stata di seguito realizzata. Di conseguenza, il Tribunale di Venezia avrebbe dovuto dichiarare estinto il reato in contestazione, in quanto già prescrittosi antecedentemente all’emanazione della sentenza impugnata.
La difesa, infine, precisa che, anche aderendo ad un orientamento diverso riguardo la natura della contravvenzione in esame, le conclusioni sarebbero state le stesse. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha talvolta qualificato i reati di abbandono di rifiuti e di discarica abusiva come fattispecie di reati commissivi a carattere “eventualmente permanente” (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 38662/2014). Pertanto, ragionando in questi termini, l’antigiuridicità di tali illeciti cesserebbe o con l’ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con il vincolo reale del bene o con la sentenza di primo grado, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione da uno di questi momenti.
Alla luce di tali rilievi, la difesa richiede l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti degli odierni imputati perché il fatto non sussiste ovvero, in subordine, perché il reato risulta estinto per intervenuta prescrizione.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 22.04.2021, ha chiesto a questa Corte il rigetto del congiunto ricorso. Il Tribunale di Venezia, coerentemente con l’ipotesi accusatoria formulata, ha ritenuto integrato il reato di deposito incontrollato di rifiuti, valorizzando: la presenza di materiale edile sul fondo sequestrato risalente a svariati mesi antecedenti al sopralluogo, il trasferimento della proprietà del sito tra le due società avvenuto circa sette mesi prima del suddetto sequestro, nonché la presenza dell’imputato Codognotto al momento del sopralluogo delle forze dell’ordine. Per quanto riguarda la censura attinente l’intervenuta prescrizione del reato, i giudici di primo grado hanno attribuito natura “permanente” all’illecito contestato, coerentemente con l’orientamento prevalente in sede di legittimità.

4. In data 26.04.2021, la difesa dei ricorrenti ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte, in replica alla requisitoria del PG, insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il congiunto ricorso, trattato ai sensi ex art. 23, comma 8 del D.L. n. 137/2020, è complessivamente infondato.

2. Al fine di una migliore comprensione della vicenda e dell’approdo reiettivo cui è pervenuta questa Corte, è utile una sintetica, ma necessaria, ricostruzione dei fatti.
La vicenda processuale trae origine dalla segnalazione ricevuta dalla polizia locale di Mira nel giugno del 2016. In particolare, la Centrale del Comando Operativo aveva comunicato la presenza di tre soggetti nei pressi di via Valdarno intenti a scaricare rifiuti all’interno di un’area recintata. Giunte sul posto, le forze dell’ordine avevano rilevato la presenza di rifiuti da scavo, in parte su di un autocarro ed in parte già depositati sul terreno. Le verifiche di seguito effettuate dagli operatori di polizia avevano condotto a rilevare la presenza sul fondo di circa cento metri cubi di rifiuti da demolizione, ricoperti da una folta vegetazione. Sul luogo era presente Codognotto Alessandro, legale rappresentate della Brick s.r.l. e proprietario del terreno, il quale aveva affermato che la suddetta società aveva acquistato l’area, assumendo l’impegno di procedere alla bonifica del sito.
Il giudizio di colpevolezza cui giungono i giudici di prime cure trae fondamento dalle plurime dichiarazioni rese dai testimoni escussi nel corso del giudizio. Di centrale importanza risultano le dichiarazioni del teste Vignotto Andrea, operatore in servizio presso la polizia locale di Mira all’epoca dei fatti. Quest’ultimo aveva spiegato che, a seguito della segnalazione, erano state redatte due CNR: l’una relativa all’attività di scarico in atto, l’altra riguardante il cumulo di rifiuti presente sull’area. L’operatore di polizia, inoltre, aveva precisato che doveva trattarsi di materiale da demolizione e ricostruzione presente in quel luogo da molto tempo, in quanto quasi interamente ricoperto da una folta vegetazione. L’area in sequestro, infatti, era stata utilizzata come deposito di rifiuti in assenza della necessaria autorizzazione. Il Vignotto, infine, aveva dichiarato che, fino a qualche mese prima della segnalazione, il sito era di proprietà di una ditta, la Domus s.r.l., riconducibile alla titolarità dell’imprenditore Ormenese Fabrizio.
Per quanto riguarda la natura del materiale oggetto di sequestro, il Dott. Florindo Favaretto ne aveva riscontrato l’essenza non pericolosa ed aveva precisato che si trattava di “materiali edili, rocce, terre e rocce di scavo” il cui deposito non era recente. Analogamente a quanto dichiarato dal teste Vignotto, anche il Sig. Fontolan Gabriele aveva riferito di aver visto che sull’area era depositato quel materiale di scavo coperto da vegetazione. Quest’ultimo, all’epoca dei fatti, lavorava alle dipendenze della New Co s.r.l., una società edile anch’essa riconducibile a Ormenese Fabrizio, ed aveva ricevuto dallo stesso Ormenese il compito di vigilare su quel sito già di proprietà della Domus s.r.l.
La riconducibilità dell’area sequestrata alla Domus s.r.l. rinviene ulteriore conferma nelle dichiarazioni rese dal teste Zaramella Massino, operatore in servizio presso i carabinieri di Mira all’epoca dei fatti.
Infine, il teste della difesa, Marigo Michele, aveva lavorato alle dipendenze della ditta Ormenese costruzioni ed aveva spiegato che, tra il 2007 ed il 2008, era stato eseguito un intervento di lottizzazione utilizzando un’area vicina come deposito rifiuti. Dalla documentazione acquisita agli atti del processo si evince che, proprio in quel periodo, la Domus s.r.l. aveva realizzato il suddetto intervento in via Valdarno, affidandone l’esecuzione delle opere alla Ormenese Costruzioni s.r.l.
Alla luce di tali elementi indiziari, il Tribunale di Venezia ha ritenuto responsabili il Sig. Codognotto ed il Sig. Ormenese per aver posto in essere, in assenza di autorizzazione ambientale e delle prescrizioni necessarie, un’attività di deposito incontrollato di rifiuti presso il sito oggetto di sequestro. In tale area, infatti, non era stata effettuata alcuna opera di pavimentazione né tantomeno era stata elevata una tettoia di copertura del suddetto materiale di scavo. Le verifiche ivi effettuate, inoltre, avevano consentito di rinvenire, al di sotto dello strato di fitta vegetazione, un cumulo di rifiuti provenienti dall’attività di costruzione e demolizione. Al momento del sopralluogo, nel giugno del 2016, proprietaria dell’area era la Brick s.r.l. Tale società l’aveva, a sua volta, acquistata dalla Domus s.r.l. nel novembre dell’anno precedente, attraverso un contratto di cessione risolutivamente condizionato all’ottenimento da parte del sistema bancario del finanziamento necessario per saldare il prezzo pattuito per l’acquisto. Negli anni precedenti (la dichiarazione di inizio attività risale al 2007), la Domus s.r.l. aveva realizzato un intervento di lottizzazione in un’area adiacente a quella attualmente di proprietà della Brick s.r.l. ed aveva utilizzato il sito in questione per il deposito dei rifiuti. Pertanto, la scelta di utilizzare quell’area per il deposito di materiale edile risulta verosimilmente ascrivibile all’Ormenese, in quanto unico responsabile ed amministratore della Domus s.r.l.
Per quanto attiene la posizione del Codognotto, il Tribunale di Venezia lo ha ritenuto responsabile a titolo di concorso dei reati contestati. L’odierno ricorrente, in qualità di legale rappresentate della Brick s.r.l., era subentrato nella proprietà del sito attualmente sequestrato nel novembre del 2015 ed era a conoscenza della presenza di quel deposito, avendo concordato con l’Ormenese di procedere alla bonifica del sito.
Nell’argomentare la ricostruzione accusatoria, i giudici di merito non ritengono condivisibili le deduzioni difensive. In primo luogo, il Collegio non accoglie l’assunto difensivo secondo cui quanto sequestrato era riconducibile a materiale di cantiere e scarti di lavorazione solo temporaneamente stoccati in attesa di essere smaltiti in un’apposita discarica. Dalle dichiarazioni rese dai testimoni escussi, infatti, si evince che tali rifiuti erano ricoperti da una folta vegetazione e, pertanto, depositati diversi mesi prima dell’avvenuto sequestro. La figura del “deposito temporaneo”, inoltre, ricorre solo nel caso in cui i rifiuti siano depositati per un periodo non superiore all’anno o al trimestre (ove non superino in volume di 30 mc) nel luogo in cui gli stessi sono materialmente prodotti ovvero in un altro luogo funzionalmente collegato al primo, nella disponibilità del produttore e con l’ausilio dei necessari presidi di sicurezza (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 50129/2018). Nel caso di specie, invece, non sono emersi elementi tali da ritenere integrata la suddetta fattispecie. Si configura, al contrario, la fattispecie di “deposito incontrollato di rifiuti”, consistente in un’attività di stoccaggio e di smaltimento di materiali eterogenei ammassati alla rinfusa, senza alcuna autorizzazione su di un’area rientrante nella disponibilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 15593/2011). Nel caso in esame, infatti, il cumulo di rifiuti è stato rinvenuto in un’area adiacente al sito di proprietà della Domus s.r.l. ed i rifiuti oggetto di rilascio erano pertinenti al circuito produttivo di quest’ultima società. Il fondo di proprietà della Brick s.r.l., quindi, era stato reiteratamente utilizzato quale luogo di rilascio dei rifiuti prodotti nel corso dell’attività edile svolta dalla stessa Domus s.r.l.
In secondo luogo, il Tribunale di Venezia non ha ritenuto fondata la dedotta eccezione di prescrizione. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito in più occasioni che: ove la condotta di deposito incontrollato segua al mancato rispetto delle condizioni previste dalla legge ai fini della qualificazione del medesimo come “temporaneo”, si è in presenza di un reato “permanente” in quanto la condotta riguarda un’ipotesi di deposito controllabile cui segue l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall’art. 183 D.lgs. 152/2006. L’inosservanza delle prescrizioni previste da quest’ultima norma integra una fattispecie omissiva a carattere permanente, la cui antigiuridicità cessa solo con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro (sul punto, Cass. pen., Sez. III, sent. n. 6999/2018; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 36411/2019).
Il Tribunale di Venezia, infine, ritiene responsabile in via amministrativa anche la Brick s.r.l. ai sensi dell’art. 25-undecies co. 2 D.lgs. 231/2001 ed in relazione ai reati di cui all’art. 256 co. 1 lett. a) e b) D.lgs. 152/2006. Dalla lettura della visura camerale acquisita agli atti risulta che tale società opera nel settore delle costruzioni edili e svolge, tra l’altro, “lavori generali di escavazione e movimentazione terra consolidamento, bonifica e sistemazione in genere di terreni di qualsiasi natura, frantumazione riciclaggio e vendita di materiali inerti”. Tuttavia, i giudici di prime cure ritengono che il Codognotto abbia commesso il reato contestato nel prevalente interesse dell’Ormenese, consentendo a quest’ultimo di risparmiare i costi che avrebbe dovuto sostenere per lo smaltimento dei rifiuti. La Brick s.r.l., invece, ha tratto solo vantaggi minimi da tale attività illecita, con conseguente riduzione della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 12 co. 1 lett. a) D.lgs. 231/2001.

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata appare lineare e giuridicamente corretta. A fronte del dato fattuale del rinvenimento, da parte della polizia locale di Mira, di un’ingente quantità di rifiuti all’interno di un’area di proprietà della Brick s.r.l. di cui il ricorrente Codognotto è legale rappresentante, il Tribunale di Venezia ha adeguatamente spiegato le ragioni per cui gli odierni imputati non potessero considerarsi esenti da responsabilità.

3.1. Va osservato, in premessa, che il “deposito incontrollato” presuppone una condotta differente dalle fattispecie di abbandono e di immissione, altrimenti la sua previsione da parte del legislatore risulterebbe inutile.  Tale elemento distintivo non può essere rinvenuto nell'episodicità della condotta e nella quantità, necessariamente contenuta, di rifiuti che esso ha in comune con l'abbandono e che consente di contraddistinguere entrambi rispetto ad altre condotte tipiche individuate dalla disciplina di settore. Ciò che, invece, caratterizza il deposito incontrollato è la condotta tipica individuabile alla luce del significato letterale del termine "deposito", ossia la collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto. Ragionando in questi termini, può rinvenirsi una prima soluzione utilizzabile in tutti i casi in cui, in concreto, sia mancata la successiva fase di gestione dei rifiuti ed altri elementi oggettivi siano indicativi della mera volontà dell’autore di liberarsene definitivamente. Il disinteresse del detentore del rifiuto a seguito della collocazione nel luogo in cui lo stesso viene rinvenuto determina una sostanziale coincidenza con la condotta tipica di “abbandono”, che tuttavia si esaurisce nel momento stesso del rilascio.  Il deposito del rifiuto, essendo caratterizzato da un tempo di attesa prima dell'espletamento di altre attività di gestione, presuppone che durante tale fase sia predisposta ogni necessaria cautela per la salvaguardia della salute e dell'ambiente. Il deposito incontrollato, invece, si caratterizza proprio per le modalità con cui viene effettuato, ovvero senza alcuna cautela. Si versa, in tali evenienze, in un caso in cui il detentore del rifiuto, pur non abbandonandolo, ne mantiene la detenzione con modalità estranee a quelle conformi a legge e potenzialmente pericolose.

3.2. Nel caso di specie, giudici di prime cure hanno ritenuto integrata, sulla scorta del compendio probatorio, la fattispecie contestata ai sensi dell’art. 256, co. 1 lett. a) e co. 2 D.lgs. 152/2006.
In merito alla posizione del Codognotto, il tribunale ha evidenziato come quest’ultimo abbia realizzato, in “concorso” con l’imputato Ormenese (rectius, a norma dell’art. 113, cod. pen., essendo evidente come il giudice di merito abbia atecnicamente utilizzato il termine “concorso”, volendo riferirlo in termini di cooperazione nel delitto colposo, senza procedere ad alcun mutamento della qualificazione giuridica contestata nel capo di imputazione), un’attività di deposito incontrollato di rifiuti in assenza delle autorizzazioni e prescrizioni necessarie. L’attività illecita interessava un’area priva di pavimentazione, né tantomeno dotata di una tettoia di copertura del materiale da scavo ivi depositato. Le verifiche svolte dalle forze dell’ordine nel giugno del 2016 hanno consentito di individuare un cumulo di rifiuti ricoperto da uno strato di fitta vegetazione.
Da tale circostanza, i giudici di primo grado hanno desunto che il sito sia stato a lungo utilizzato per il deposito di materiali edili e che - probabilmente - il deposito sia stato effettuato quando il terreno era ancora di proprietà della Domus s.r.l. Pertanto, la scelta di utilizzare l’area per il deposito di tali materiali è stata correttamente ascritta all’imputato Ormenese, in qualità di unico amministratore e responsabile delle scelte aziendali di quest’ultima società.     

3.3. La responsabilità del Codognotto, a titolo di cooperazione colposa, è ravvisabile invece nel fatto che quest’ultimo, nel novembre del 2015, è subentrato nella proprietà di quella medesima area in cui si era verificata l’attività di deposito incontrollato di rifiuti. Dal verbale di sequestro, inoltre, risulta che tale ricorrente fosse anche consapevole della presenza di quell’ingente quantità di materiale sul fondo acquistato.
Al riguardo va precisato che, qualora a seguito del deposito venga a mutare la titolarità dell’area interessata dal deposito medesimo, incombe direttamente sul successivo proprietario del sito l’obbligo di rimuovere i rifiuti nel termine previsto dalla normativa in materia (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 1187/2008).    Di conseguenza il Codognotto, essendo subentrato nella proprietà del sito nel novembre del 2015 e, pertanto, molti anni dopo l’inizio dell’attività di deposito irregolare, avrebbe dovuto procedere alla rimozione di tali rifiuti edili.
Nel caso di specie, invece, l’odierno ricorrente ha omesso di compiere siffatta attività e, attraverso tale condotta omissiva, ha contribuito a determinare e protrarre oggettivamente la condizione di irregolarità del deposito.
3.4. Nell’affermare la responsabilità degli imputati in ordine al reato loro ascritto, il Tribunale di Venezia argomenta anche in merito all’insussistenza degli elementi costitutivi della diversa ipotesi del “deposito temporaneo”. Tale figura ricorre solo nel caso di raggruppamento di rifiuti e del loro deposito preliminare alla raccolta per un periodo non superiore all’anno o al trimestre (ove superino il volume di 30 mc). Nel caso in esame, invece, i rifiuti in sequestro erano ricoperti da una folta vegetazione e dunque riconducibili ad un deposito avvenuto molto tempo prima.    
Anche la costante giurisprudenza di questa Corte si è espressa nei termini correttamente esposti nella motivazione della sentenza impugnata. Al riguardo, non può che ribadirsi il principio secondo cui l'accumulo di una quantità consistente di rifiuti (nel caso di specie, materiale edile) integra la fattispecie di deposito incontrollato quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento ovvero di recupero.

4. Per quanto riguarda la responsabilità amministrativa della Brick s.r.l., deve ritenersi corretto il giudizio di colpevolezza cui giungono i giudici di prime cure.    
È opportuno precisare che il reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dall'art. 256 co. 2 D.lgs. 152/2006, è configurabile anche in caso di attività occasionale commessa non soltanto dai titolari di imprese e responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al primo capoverso della richiamata disposizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione), ma anche da qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 c.c. (Cass pen., Sez. III, sent. n. 30133/2017).
In materia ambientale, i titolari ed i responsabili di enti o imprese rispondono del reato in contestazione non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull'operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta sanzionata (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 40530/2014).

4.1. Nel caso di specie, il Tribunale di Venezia ha fatto buongoverno dei principi anzidetti ed ha ritenuto sussistente la responsabilità amministrativa della Brick s.r.l. ai sensi dell’art. 25-undecies D.lgs. 231/2001.
Dalla visura camerale acquisita agli atti del processo risulta che tale società sia operativa nel settore delle costruzioni edili e che svolga, tra l’altro, “lavori generali di escavazione e movimentazione terra consolidamento, bonifica e sistemazione in genere di terreni di qualsiasi natura, frantumazione, riciclaggio e vendita di materiali inerti”. Inoltre, il sito oggetto di sequestro ed in cui era stato realizzato il deposito dei rifiuti risulta di proprietà della suddetta società dal novembre del 2015.    
Il trattamento sanzionatorio disposto dai giudici di primo grado appare proporzionato anche ai concreti vantaggi ottenuti dall’ente a seguito di tale attività illecita. Il Codognotto, infatti, ha commesso il reato contestato nel prevalente interesse dell’Ormenese, consentendogli di risparmiare i costi che avrebbe dovuto sostenere per lo smaltimento dei rifiuti. La Brick s.r.l., invece, ha tratto vantaggi minimi dalla suddetta attività e tale circostanza è stata - opportunamente - valorizzata dal Tribunale di Venezia attraverso la riduzione della pena pecuniaria inflitta ai sensi dell’art. 12, co. 1 lett. a) D.lgs. 231/2001.    

4.2. Il Collegio, dunque, con un accertamento in punto di fatto insindacabile in sede di legittimità in quanto sorretto da congrua motivazione, ha ritenuto integrata la fattispecie contestata al capo A) di imputazione. Al contrario, le censure proposte dal ricorrente riguardano essenzialmente la ricostruzione e la valutazione in fatto della vicenda, nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, ed attengono a profili del giudizio rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito.
Giova rammentare sul punto che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia impugnata mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (ex multis: Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 12/2000; Cass. pen., Sez. II, sent. n. 20806/2011).
Pertanto, è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura - sia pure anch'essa logica - dei dati processuali ovvero una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza delle fonti di prova (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 7380/2007; Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 25255/2012; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 13976/2014; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 40350/2014; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 12226/2015).

5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
Va osservato, in premessa, che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 co. 1 c.p.p., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile. Pertanto, la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartiene più al concetto di “constatazione”, ovvero di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” (Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 35490/2009).
Nel caso in esame, la regula iuris innanzi indicata è stata rispettata dal Tribunale di Venezia in relazione alla responsabilità dell’Ormenese per il reato in contestazione. Alla luce del quadro probatorio emerso in sede processuale, i giudici di primo grado hanno ritenuto adeguatamente provata la realizzazione da parte dell’odierno imputato di un’attività di deposito incontrollato di rifiuti in assenza.

5.1. La tesi difensiva secondo cui quei rifiuti avrebbero dovuto costituire un accumulo meramente temporaneo è priva di pregio.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l'onere della prova in ordine alla sussistenza delle condizioni fissate dall'art. 183 del D.lgs. n. 152/2006 per la liceità del deposito “controllato” o “temporaneo” grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 23497/2014; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 29084/2015).
La norma in esame pone una serie di indefettibili condizioni, tutte concorrenti, per la configurabilità, in presenza di raggruppamento di rifiuti, di un deposito temporaneo, con la conseguenza che in difetto anche solo di uno di essi il deposito non può ritenersi temporaneo (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 38676/2014).
In particolare:
- i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento comunitario n. 850/2004 devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
- i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
- il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
- devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;
- per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo.    
A tali condizioni si aggiunge quale requisito principale, immanente rispetto agli altri elementi indicati, il raggruppamento dei rifiuti nel luogo in cui gli stessi sono prodotti.
Nel caso di specie, non sono emersi elementi idonei al fine di ritenere che quel cumulo di rifiuti fosse riconducibile ad un deposito temporaneo. Al contrario, dalle testimonianze acquisite in sede processuale, risulta che quei rifiuti fossero ricoperti da una folta vegetazione e, pertanto, riconducibili ad un deposito effettuato molto tempo prima rispetto al sopralluogo delle forze dell’ordine.

5.2. Alla medesima sorte è destinata la censura attinente alla mancanza dell’elemento psicologico del reato. In particolare, la tesi difensiva si fonda sull’asserita “buona fede” del ricorrente Ormenese, il quale si sarebbe trovato nell’impossibilità finanziaria di sostenere i costi necessari per il trasporto di tali rifiuti in un’apposita discarica.
Il reato di cui all'art. 256, co. 1 D.lgs. n. 152 del 2006 è una fattispecie di natura contravvenzionale, punito in via generale, quanto all'elemento psicologico, sia a titolo di dolo che di colpa (art. 42 co. 4 c.p.).
Nel caso di specie, l’esistenza di tale elemento psicologico si appalesa all’evidenza dell’oggettività degli accertamenti. Costituisce, infatti, principio generale che lo svolgimento di un'attività in uno specifico campo comporta un dovere di informazione sulle norme che regolano detta attività, con la conseguenza che l'inosservanza di tale obbligo rende colpevole e non scusabile l'eventuale ignoranza della legge penale (Cass. pen., Sez. III, sent. n.23998/2011; Cass. pen., Sez. III, sent. n.18928/2017).

5.3. Né, contrariamente alla deduzione difensiva, risultano agli atti elementi dai cui desumere la buona fede.
Va ricordato che, alla luce del consolidato principio di diritto affermato in sede di legittimità, la “buona fede”, volta ad escludere nei reati contravvenzionali l'elemento soggettivo, non può essere determinata dalla mera non conoscenza della legge, ma da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della autorità amministrativa deputata alla tutela dell'interesse protetto dalla norma, idoneo a determinare nel soggetto agente uno scusabile convincimento della liceità della propria condotta (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 4951/1999; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 172/2007; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 49910/2009; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 42021/2014; Cass. pen., Sez. I, sent. n.47712/2015).
Tuttavia, il ricorrente non adduce nulla di concreto in merito al fattore positivo esterno idoneo a suffragare la tesi difensiva, né alcun elemento in tal senso si ricava dalla lettura della sentenza impugnata.
La Domus s.r.l., di cui l’Ormenese è stato amministratore fino al 2010, aveva realizzato un intervento di lottizzazione in un’area adiacente al sito oggetto di sequestro. Quest’ultimo fondo, invece, era stato utilizzato come deposito dei materiali da demolizione e ricostruzione utilizzati per l’intervento edile. Tuttavia, come precisato anche dal teste Vignotto in sede di escussione dibattimentale, quel sito non era in alcun modo autorizzato a costituire un deposito temporaneo di rifiuti. Al fine di avvalorare tale ricostruzione in fatto della vicenda, il Tribunale di Venezia richiama - opportunamente - le dichiarazioni convergenti dei testimoni Vignotto Andrea, Fontolan Gabriele e Marigo Michele.
Pertanto, al cospetto di un simile quadro indiziario, potrebbe affermarsi soltanto il fatto negativo dell’ignoranza della normativa settoriale che, però, risulta insufficiente a fondare una valutazione di inevitabilità o inescusabilità dell’errore.
Nelle fattispecie contravvenzionali, infatti, la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in una mancanza di coscienza dell'illiceità del fatto (commissivo od omissivo) e derivi da un elemento positivo estraneo all'agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto. La prova della sussistenza di un elemento positivo di tal genere deve, però, essere fornita dall'imputato (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 12710/1994; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 46671/2004).
Ciò che nella specie difetta.

6. Privo di fondamento risulta invece il terzo motivo di ricorso.    

6.1. Va osservato, in premessa, che in merito alla natura giuridica del reato di deposito incontrollato di rifiuti sono rinvenibili due orientamenti: per l'uno «il reato di deposito incontrollato di rifiuti è reato permanente giacché, dando luogo ad una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero ed allo smaltimento, la sua consumazione perdura sino allo smaltimento o al recupero» (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 25216/2011; Cass. pen., Sez. III, sent. 2013, n. 48489/2013); per l'altro - seppur più risalente - la fattispecie contravvenzionale in esame ha natura di reato istantaneo, eventualmente con effetti permanenti, la cui consumazione si perfeziona o con il sequestro ovvero con l'ultimo atto di conferimento da parte del soggetto agente (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 6098/2008; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 40850/2010; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 42343/2013).    

6.2. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni chiarito come il descritto contrasto sia da considerarsi più apparente che reale, in quanto è necessario verificare le concrete circostanze che connotano in modo peculiare la presenza in loco dei rifiuti.    
In particolare, ogni qualvolta l'attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi essa, pertanto, come una forma - per quanto elementare - di gestione del rifiuto, la relativa illiceità penale permea di sé l'intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio.
Nel caso in cui, invece, siffatta attività non costituisca l'antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni, ma racchiuda in sé l'intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente. In tali evenienze, infatti, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne cristallizzati gli effetti fin dal momento del rilascio del rifiuto (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 30910/2014; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 7386/2014; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 6999/2017).

6.3. La verifica del concreto atteggiarsi della vicenda, alla luce dei principi indicati, è affidata al giudice di merito.    
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che potrebbe costituire un attendibile indice differenziale l'occasionalità o meno del fatto di abbandono e deposito del rifiuto. La sistematica pluralità di azioni, fra loro di identico o comunque analogo contenuto, farà propendere per una forma di organizzazione della condotta, sintomo attendibile di una volontà gestoria e non esclusivamente dismissiva del rifiuto. Al contrario, l'episodicità di esse, ancorché non rigorosamente intesa nel senso dell'assoluta unicità della condotta, dovrebbe indirizzare il giudizio sulla istantaneità della natura del reato posto in essere.    
Altri indici rivelatori della finalità gestoria potranno essere la pertinenza o meno del rifiuto oggetto di rilascio all'eventuale circuito produttivo riferibile all'agente ovvero la reiterata adibizione di un unico sito - eventualmente anche promiscuamente utilizzato al medesimo fine pure da altri soggetti - quale punto di rilascio dei rifiuti.     

6.4. Nel caso di specie, il Tribunale di Venezia ha fatto buongoverno di tali principi, laddove ha evidenziato che qualora la condotta di deposito incontrollato segua al mancato rispetto delle condizioni di legge per la qualificazione del medesimo come temporaneo si è in presenza di un reato permanente.
In tali evenienze, infatti, si è in presenza di un’ipotesi di deposito controllabile cui segue l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall’art. 183, co. 1 lett b) D.lgs. 152/2006 e la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero ovvero l’eventuale sequestro (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 6999/2018).
I giudici di merito hanno valorizzato opportunamente la circostanza del rinvenimento di materiale da demolizione e costruzione in un’area di proprietà di una ditta, la Brick s.r.l., di tipo edile, che ivi esplica la sua attività. Il deposito in questione, inoltre, era stato realizzato in occasione di un intervento di lottizzazione eseguito dalla precedente società - anch’essa edile - proprietaria del fondo, la Domus s.r.l. Tali precisazioni risultano ancor più rilevanti al fine di valorizzare la pertinenza del rifiuto oggetto del rilascio al circuito produttivo riferibile alle imprese che si sono succedute nella proprietà del sito sequestrato.     

6.5. Considerata la natura permanente del reato in esame, deve ritenersi che la sua persistenza cessa non solo con il terminare della condotta tipica, ma anche nel momento in cui, per qualsiasi causa, volontaria o imposta, sia interrotta la medesima.     
Nel caso in esame, trattandosi di una fattispecie contravvenzionale accertata dalle forze dell’ordine l’8 giugno del 2016, il reato non può considerarsi prescritto e, pertanto, non può essere accolta la subordinata richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta prescrizione, atteso che il relativo termine maturerà il prossimo 8 giugno 2021.     

7. Al rigetto del congiunto ricorso segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 7 maggio 2021