Cass. Sez. III n. 46950 del 9 novembre 2016 (Cc 11 ott 2016)
Presidente: Di Nicola Estensore: Ramacci Imputato: Sepe
Rifiuti.Traffico illecito di rifiuti e nozione di ingente quantitativo

L'ingente quantitativo dei rifiuti, necessario a configurare il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 D.Lgs. n. 152 del 2006), deve riferirsi al quantitativo complessivo di rifiuti trattati attraverso la pluralità delle operazioni svolte, anche quando queste ultime, singolarmente considerate, possono essere qualificate di modesta entità.


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 13/6/2016 ha rigettato l’istanza di riesame avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari emesso il 5/5/2016 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nei confronti di Vincenzo SEPE, collaboratore della “S.C.G. COSTRUZIONI s.r.l.”, in quanto gravemente indiziato del reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 260 d.lgs. 152/06, perché, unitamente ad altri ed al fine di conseguire un ingiusto profitto, consistente nel risparmio dei costi per la corretta gestione, smaltiva illecitamente ed in assenza dei prescritti formulari ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi provenienti da cantieri edili (CER 170904), conferendoli presso una cava, sito autorizzato alla sola ricomposizione ambientale, previa predisposizione di certificati di analisi falsi (fatti accertati in Napoli e Giuliano dal gennaio 2014, con condotta perdurante).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un unico motivo di ricorso osserva che i giudici del riesame non avrebbero ben delineato la condotta attribuitagli nell’ambito della complessa vicenda, che vede coinvolti numerosi soggetti, posta in essere in un arco di tempo limitato (sette o otto mesi al massimo) e relativa al trasporto di una quantità di rifiuti del tutto modesta, pari a circa 800 tonnellate, quantitativo trasportabile da un camion in circa 30 viaggi.
Rileva, inoltre, di aver sempre operato alla luce del sole, senza porre in essere alcun artificio, al fine di procedere allo smaltimento dei materiali, affidandosi alle analisi effettuate dal laboratorio di fiducia indicato direttamente dai responsabili del sito di conferimento ed evidenzia, poi, che quanto trasportato era qualificabile come terre e rocce da scavo e non come rifiuto, debitamente accompagnato, quindi, da semplice DDT e non da FIR, regolarmente utilizzato, invece, in altri trasporti concernenti effettivamente rifiuti.
Aggiunge che il Tribunale avrebbe errato nel valutare le emergenze indiziarie ed erroneamente considerato la sussistenza dell’ingiusto profitto, affermando, in definitiva, l’insussistenza dei requisiti previsti dalla legge per la configurabilità del reato contestatogli.
Lamenta, inoltre, l’insussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c) cod. proc. pen., rilevando che la prosecuzione dei rapporti con i gestori del sito di conferimento anche dopo l’intervento della polizia giudiziaria non avrebbe dovuto essere valutata come sintomo di indifferenza, bensì quale dimostrazione di assoluta buona fede.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.  


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.
I fatti descritti nell’incolpazione provvisoria, opportunamente riprodotta nell’ordinanza impugnata, sono stati compiutamente analizzati dal Tribunale, il quale ha fornito anche puntuale risposta alle plurime doglianze del ricorrente.
A fronte di ciò, il ricorso si limita, per lo più, a riproporre le medesime argomentazioni già confutate nell’ordinanza impugnata, sostanzialmente omettendo un effettivo confronto con il percorso argomentativo che la sostiene.
Il Tribunale, in particolare, ha compiutamente evidenziato la sussistenza di un grave quadro indiziario, descrivendo le attività organizzate poste in essere dai vari soggetti coinvolti, appartenenti a tre diversi gruppi, che gestivano illecitamente rifiuti, parte dei quali indirizzati presso la cava gestita dalla “SAN SEVERINO RICOMPOSIZIONI AMBIENTALI s.r.l.”, la quale, dovendo effettuare soltanto attività di ripristino morfologico dell’area di estrazione, non era autorizzata all’espletamento di attività di gestione dei rifiuti (stoccaggio, messa in riserva, trattamento o recupero) ma, nonostante ciò, riceveva rifiuti provenienti da attività di demolizione conferiti “tal quali” in assenza dei prescritti formulari, oppure previa falsificazione dei rapporti di prova e del registro di carico e scarico dei rifiuti prodotti dalle società conferenti, tra le quali figurava quella dell’odierno ricorrente.
I giudici del riesame, nel verificare la sua specifica posizione, riportano nel dettaglio i contenuti di alcune conversazioni intercettate e correttamente rilevano, dopo aver evidenziato i problemi sorti per il conferimento di alcuni carichi, come ciò non sarebbe avvenuto in caso di trasporto effettuato regolarmente e con idonea documentazione.
Fanno rilevare, inoltre, come attraverso il sequestro di copiosa documentazione si era potuta accertare la falsità di un rapporto di prova che recava un numero progressivo (22814) incompatibile con quello complessivo (62) dei certificati emessi nel periodo da colui che li firmava ed, inoltre, che la polizia giudiziaria aveva avuto modo di accertare, mediante visita al cantiere, la presenza di rifiuti di varia natura (quali scarifica di asfalto, rifiuti misti provenienti da costruzioni e demolizione, rifiuti di diversa natura siti in zona contaminata con presenza di tubi di plastica, tondini metallici e ritagli di legno) e, presso l’A.R.P.A., l’assenza della dichiarazione, da parte delle varie società che conferivano rifiuti presso la cava, della dichiarazione, ai sensi dell’art. 41-bis della legge 98/2013, di riutilizzo delle terre e rocce da scavo prodotte. Nessun documento inerente lo smaltimento di terre e rocce da scavo era stato poi rinvenuto presso la società.                
Osserva inoltre il Tribunale come il profitto conseguito dall’illecito smaltimento fosse, per le società che conferivano i rifiuti, quello del minor costo rispetto a quello dello smaltimento regolare e confuta la tesi della difesa, secondo la quale detto costo sarebbe stato comunque sostenuto dal committente dei lavori, rilevando che il risparmio sarebbe stato comunque vantaggioso per l’impresa appaltatrice.

2. Ciò posto, osserva il Collegio come l’astratta configurabilità del delitto oggetto di provvisoria incolpazione sia stata correttamente ritenuta dal Tribunale.
I requisiti della condotta configurante il reato di cui all'art. 260 d.lgs. 152\06 vanno infatti individuati nel compimento di più operazioni e nell'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, che con l'attività descritta devono essere strettamente correlate, posto che il legislatore utilizza la congiunzione "e".
Si è anche precisato (Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348, non massimata sul punto) che tale requisito può sussistere a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira, anche quando la struttura non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione di attività illecite, cosicché il reato può configurarsi anche quando l'attività criminosa sia marginale o secondaria rispetto all'attività principale lecitamente svolta (conf. Sez. 3, n. 47870 del 19/10/2011, R.C., Giommi e altri, Rv. 251965).
Si tratta, come precisato già da questa Corte, di reato abituale, in quanto integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie (Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605).
L'apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta deve essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a «più operazioni» ed all'«allestimento di mezzi e attività continuative organizzate» finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti (Sez. 3 n. 47229 del 6/11/2012, De Prà non massimata).
Ulteriori requisiti sono l'attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti, che già risultano sanzionate penalmente e vengono agevolate dalle azioni propedeutiche di cui si è appena detto, nonché l'ingente quantitativo di rifiuti, che secondo quanto stabilito da questa Corte, non può essere individuato a priori, attraverso riferimenti esclusivi a dati specifici, quali, ad esempio, quello ponderale, dovendosi al contrario basare su un giudizio complessivo che tenga conto delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato e della pericolosità per la salute e l'ambiente e nell'ambito del quale l'elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri di riferimento (così,  Sez. 3 n. 47229 del 6/11/2012, De Prà, cit.).
Quanto alla finalità di ingiusto profitto, pure richiesta dalla norma in esame per la configurabilità del delitto, si è invece precisato (Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, cit.) che esso non deve necessariamente consistere in un ricavo patrimoniale, potendosi ritenere integrato anche dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura, senza che sia necessario, ai fini della configurazione del reato, l'effettivo conseguimento di tale vantaggio.

3. Tenuto conto dei ricordati elementi che caratterizzano la condotta tipica del delitto per il quale è stata applicata la misura cautelare, occorre rilevare che gli stessi sono stati opportunamente messi in luce dal Tribunale, evidenziando il sistema di illecito smaltimento effettuato dai soggetti coinvolti e, in particolare, il pieno coinvolgimento, a titolo di concorso, dell’odierno ricorrente attraverso un puntuale richiamo ai dati fattuali di volta in volta valorizzati.
Sono state, in particolare, evidenziate la pluralità di operazioni, in continuità temporale, poste in essere ai fini dell’illecito smaltimento; la sostanziale pianificazione e la strutturale organizzazione della condotta e la sua abusività, ampiamente dimostrata dal conferimento del rifiuto in assenza dei prescritti titoli abilitativi ed in sito non autorizzato alla loro ricezione, nonché l’ingente quantità dei rifiuti trattati.
Tale ultimo aspetto, peraltro, va valutato in relazione al quantitativo complessivo dei rifiuti trattati dai soggetti coinvolti e non anche con riferimento ai singoli trasporti effettuati da ciascun indagato, atteso che tutti, secondo quanto emerge dall’ordinanza impugnata hanno, a diverso titolo, partecipato all’attività delittuosa, la quale deve essere unitariamente apprezzata, come già ricordato da questa Corte (Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, cit.) affermando che la verifica sui quantitativi di rifiuti va effettuata, tenendo conto delle finalità della disposizione, con riferimento al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni, anche se queste ultime, considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta.

4. Parimenti corrette risultano le valutazioni operate dal Tribunale, con corretti richiami alla normativa applicabile, circa la natura di rifiuto dei materiali conferiti e della loro esclusione dal novero delle terre e rocce da scavo.
In particolare, del tutto pertinente risulta il preliminare richiamo al fatto che la natura eccezionale e derogatoria della disciplina, di cui l’indagato invocava l’applicazione, impone che l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione (v. ad es.  Sez. 3, n. 6107 del 17/1/2014, Minghini Rv. 258860 in tema di impianti mobili adibiti alla sola attività di riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee;  Sez. 3, n. 17453 del 17/4/2012, Busè, Rv. 252385; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, non massimata; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504 in tema di sottoprodotti; Sez. 3, n. 15680 del 3/3/2010, Abbatino, non massimata; Sez. 3, n. 21587 del 17/3/2004, Marucci, non massimata; Sez. 3, n. 30647del 15/06/2004, Dell'Angelo, non massimata, in tema di deposito temporaneo e, con riferimento alle terre e rocce da scavo, Sez. 3, n. 16078 del 17/4/2015, Fortunato non ancora massimata; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone Rv. 244784; Sez. 3, n. 37280 del 12/6/2008, Picchioni, Rv. 241087; Sez. 3, n. 9794 del 29/11/2006 (dep. 2007), Montigiani, non massimata sul punto. In tema di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate rinvenute in battigia, art. 39, undicesimo comma, d.lgs. 152\06, v.  Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014 dep. (2015), Aloisio, Rv. 262159).
Il Tribunale ha inoltre evidenziato, sulla base dei dati fattuali opportunamente richiamati, che i materiali conferiti erano rifiuti a tutti gli effetti e che, in ogni caso, non risultava rispettata la procedura di cui all’art. 41-bis della legge 98/2013, come in precedenza ricordato e, a fronte di tali precisazioni, il ricorrente si è limitato a richiamare in ricorso il d.m. 161/2012, non applicabile nella fattispecie, come evidenziato nell’ordinanza impugnata, in ragione di quanto disposto dall’art. 3, comma 2, il quale esclude dall'ambito di applicazione del regolamento i rifiuti provenienti direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di edifici o altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della parte quarta del d.lgs. 152\06.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomentazioni giuridicamente corrette e del tutto pertinenti, le quali confermano la ritenuta illiceità della condotta che il Tribunale aveva già inequivocabilmente evidenziato attraverso l’indicazione di elementi in fatto oggettivamente sintomatici della piena sussistenza di attività organizzate finalizzate all’illecito smaltimento di rifiuti.

5. Anche le considerazioni svolte in ricorso sull’affidamento riposto nelle certificazioni utilizzate si scontra con l’evidenza dei fatti e con la spiegazione che i giudici del riesame chiaramente forniscono circa la falsità del documento menzionato, desumibile dal numero progressivo non corrispondente con quello complessivo dei certificati emessi dal tecnico che li sottoscriveva.
Altrettanto corrette risultano le considerazioni in merito al risparmio di costi quale ingiusto profitto    conseguito dall’indagato, il quale ripropone in ricorso la tesi già confutata dal Tribunale con argomentazioni che il ricorrente si limita a definire “suggestive”, senza null’altro opporre.

6. Anche per ciò che riguarda, infine, il ritenuto pericolo di reiterazione del reato, deve rilevarsi che il Tribunale ha offerto, sul punto, adeguata e corretta motivazione, dando atto delle modalità della condotta concretamente tenuta e valorizzando il fatto che, nonostante i controlli della polizia giudiziaria, l’indagato aveva proseguito per mesi nell’attività illecita, dando altresì atto del fatto che l’attività da questi svolta era “contigua o comunque cointeressata” a quella di gestione dei rifiuti ed apprezzando tali elementi come indicativi della concretezza ed attualità del suddetto pericolo di recidivanza.
A fronte di tali argomentazioni il ricorrente si limita, anche in questo caso, ad illustrare una diversa e del tutto personale valutazione dei medesimi fatti apprezzati in sede di riesame.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 11.10.2016