Cass. Sez. III n. 43613 del 29 ottobre 2015 (Ud. 18 set 2015)
Presidente: Franco Estensore: Ramacci Imputato: Curasi' e altro
Rifiuti.Trasporto e formulario di identificazione dei rifiuti contenente false indicazioni

In tema di trasporto di rifiuti, la falsa attestazione contenuta nel formulario di identificazione (c.d. FIR), previsto dall'art. 193, D.Lgs. n. 152 del 2006, non integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all'articolo 483 cod. pen., trattandosi di documento recante mera attestazione del privato a contenuto puramente dichiarativo, avente natura diversa dal certificato di analisi di rifiuti indicato dall'art. 258, comma quarto, D.Lgs cit.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 26/3/2015 ha parzialmente riformato la sentenza emessa in data 15/4/2014 dal Tribunale di quella città assolvendo C.S. dal reato di truffa ascrittogli al capo D) della rubrica rideterminando la pena originariamente infettagli in relazione ai residui reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 (trasporto di rifiuti in assenza della iscrizione all'Albo dei gestori ambientali) e art. 483 c.p., (trasporto di rifiuti con formulario recante false indicazioni).

La Corte territoriale ha altresì rideterminato la pena irrogata dal primo giudice a L.P.G. per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 (attività di gestione di rifiuti - messa in riserva e cernita - con autorizzazione scaduta).

Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione, il C. tramite il proprio difensore di fiducia ed il L. personalmente, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..

2. C.S. deduce, con un primo motivo di ricorso, il vizio di motivazione in relazione alla censura concernente la nullità della decisione di primo grado per difetto di motivazione, che i giudici del gravame avrebbero respinto con asserzione meramente apodittica, sostanzialmente ricalcando quanto affermato dal primo giudice circa la responsabilità conseguente, per l'illecita gestione, dalla mera mancanza del titolo abilitante, senza approfondire i rapporti intercorrenti tra l'azienda dell'imputato e quella della moglie, per la quale questi lavorava abitualmente.

Analoga carenza motivazionale sarebbe riscontrabile, secondo il ricorrente, con riferimento all'affermata responsabilità per il delitto di falso sulla base della altrettanto apodittica affermazione della non veridicità del formulario e della riconducibilità della sua falsificazione all'imputato.

3. Tale ultimo aspetto viene ulteriormente analizzato nel secondo motivo di ricorso, lamentando che i giudici del merito non avrebbero considerato il fatto, risultante dallo stesso documento, che la firma appostavi sarebbe di soggetto diverso dall'imputato.

4. L.P.G. deduce, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell'art. 47 c.p., comma 3, ed il vizio di motivazione, rilevando che, per ciò che lo riguarda, difetterebbe la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, essendosi egli affidato, per l'espletamento degli incombenti relativi all'attività svolta, a diversi consulenti.

Aggiunge che, con riferimento alla scadenza dell'autorizzazione, avrebbe ricevuto specifiche rassicurazioni dal proprio consulente circa il dies a quo rispetto al quale andavano computati i termini di validità dell'atto e che l'esperto individuava nella data di voltura del titolo e non in quella del rilascio.

Osserva, nell'affermare di essere stato tratto in errore dal professionista da lui incaricato, che le norme relative alla validità del titolo abilitativo non potrebbero ritenersi incorporate nel precetto penale, perchè destinate a regolare rapporti giuridici di carattere diverso, cosicchè detto errore rientrerebbe nell'ipotesi contemplata dall'art. 47 c.p., comma 3.

Rileva, inoltre, che le circostanze addotte risulterebbero dimostrate da plurimi elementi fattuali, che indica nel dettaglio.

Entrambi insistono, pertanto, per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di C.S. è solo in parte fondato, mentre quello di L.P.G. è infondato.

Va ricordato, con riferimento al primo motivo di ricorso del C., come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano già avuto modo di precisare che la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'art. 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008 (dep. 2009), R., Rv. 244118. Conformi, ex pl., Sez. F, n. 38927 del 19/8/2014, P.G. in proc. Rusu, Rv. 261237; Sez. 6^, n. 24059 del 14/5/2014, P.M. in proc. Spigarelli, Rv. 259979; Sez. 6^, n. 26075 del 8/6/2011, B., Rv. 250513; Sez. 3^, n. 9922 del 12/11/2009 (dep. 2010), Ignatiuk, Rv. 246227).

2. Di tali principi ha fatto certamente buon uso la Corte territoriale, la quale, seppure con motivazione connotata da estrema sinteticità, ha richiamato il potere demandato dalla legge al giudice dell'appello, respingendo, conseguentemente, l'eccezione di nullità e specificando, con riferimento all'ipotesi contravvenzionale oggetto di contestazione, che la sussistenza della stessa era dimostrata dall'esercizio dell'attività in assenza di iscrizione all'Albo dei gestori ambientali.

Invero, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, sanziona penalmente chiunque (attualmente al di fuori dei casi sanzionati dall'art. 29 quattordecies, comma 1 del medesimo D.Lgs.), effettui una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216.

Si è peraltro già ricordato che l'autorizzazione al trasporto ha natura personale, basandosi sulla idoneità del soggetto richiedente e sulla sua iscrizione al relativo albo (Sez. 3^, n. 1562 del 15/11/2002 (dep. 2003), Toraldo, Rv. 224737), cosicchè l'attività autorizzata non è delegabile a terzi privi di autorizzazione (Sez. 3^, n. 24723 del 15/5/2007, Campolmi e altro, Rv. 236886).

Alla luce di tali considerazioni appare di tutta evidenza che l'esercizio dell'attività di trasporto di rifiuti implichi in ogni caso, per chi la effettua, la sua iscrizione all'Albo dei gestori ambientali, soggetta alla preventiva verifica della sussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio dell'attività.

Nel caso di specie, dunque, l'imputato non disponeva di titolo abilitante all'esercizio del trasporto di rifiuti e la Corte territoriale, nel valutare tale aspetto della vicenda, ha anche preso in esame la dedotta questione dei rapporti intercorrenti tra l'azienda dell'imputato e quella della moglie, dando atto, sulla base di elementi fattuali non suscettibili di autonoma valutazione in questa sede di legittimità, del fatto che, seppure lo stesso avesse operato per conto della consorte, lo avrebbe comunque fatto in piena autonomia, in forza di specifico rapporto negoziale e che, in ogni caso, per l'anno 2009, risultavano soltanto due conferimenti da parte della società facente capo alla moglie.

Sotto tale profilo, pertanto, la sentenza impugnata è immune da censure.

3. A conclusioni diverse deve pervenirsi, invece, per ciò che concerne le censure in ordine alla sussistenza del delitto di cui all'art. 483 c.p., di cui tratta il secondo motivo di ricorso del C..

L'imputazione, rilevabile dalla decisione di primo grado e non riportata integralmente nella sentenza impugnata, è riferita all'art. 483 c.p., ed ha ad oggetto i formulari di identificazione dei rifiuti (FIR).

La condotta contestata riguarda l'aver attestato falsamente, a personale della Polizia Provinciale di Milano, di aver provveduto al regolare smaltimento di rifiuti, precedentemente rinvenuti come abbandonati, mediante produzione della fotocopia di un FIR, risultato, poi, alterato.

Il giudice di prime cure ha dunque considerato quanto descritto come falsa attestazione a pubblico ufficiale, in un atto pubblico, di fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, errando, tuttavia, nell'individuazione della effettiva natura dei FIR. 4. Date tali premesse, occorre richiamare quanto già osservato da questa Corte, in una precedente pronuncia, relativamente alla natura dei formulari di identificazione dei rifiuti (Sez. 3^, n. 3692 del 17/12/2013 (dep. 2014), La Valle, Rv. 258567, non massimata sul punto).

Si ricordava, nella richiamata decisione, che i formulari di identificazione dei rifiuti sono contemplati dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 193, (disposizione che, come pure si rammentava, ha subito nel tempo diverse e rilevanti modifiche sulle quali la decisione si diffonde, ma che non assumono rilievo ai fini della soluzione della questione in esame) e che il formulario di identificazione è richiesto per il trasporto di rifiuti effettuato da enti o imprese e deve contenere alcuni dati essenziali (nome ed indirizzo del produttore e del detentore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell'instradamento; nome ed indirizzo del destinatario), la cui presenza è imprescindibile, pur non escludendosi, comunque, la possibilità che il formulario contenga ulteriori informazioni, come emerge dal tenore letterale dell'art. 193, il quale prevede anche ulteriori requisiti ed alcune esenzioni per determinate tipologie di trasporto.

Si aggiungeva che, tenendo conto dei contenuti e delle finalità del formulario, dottrina e giurisprudenza hanno individuato le sostanziali differenze tra detto documento ed il certificato, cui fa pure riferimento del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 258, comma 4, che punisce, richiamando l'art. 483 c.p., la predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico - fisiche dei rifiuti medesimi e di uso di certificato falso durante il trasporto.

Si osservava, poi, che, trattandosi, evidentemente, di atti che hanno diversa natura giuridica, poichè, come si è fatto rilevare, sebbene il formulario abbia una sua specifica valenza in ragione dei dati che obbligatoriamente vi sono contenuti e ad essi il legislatore abbia attribuito un rilievo non secondario, in ragione delle finalità di compiuta identificazione del rifiuto, come dimostra anche la previsione delle specifiche sanzioni contemplate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 258, nondimeno esso si concreta in una mera attestazione del privato, avendo, in sostanza, un contenuto essenzialmente dichiarativo. Diversamente, il certificato si distingue dal formulario in ragione del fatto che esso, per definizione, risponde ad una esigenza di certezza pubblica e proviene da soggetto qualificato ed abilitato all'esercizio di una specifica professione che, nel caso previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 258, comporta l'esternazione di dati precedentemente acquisiti attraverso specifiche metodologie concernenti natura, composizione e caratteristiche del rifiuto, tanto che, si è osservato, la specifica violazione prevista dalla disposizione in esame si porrebbe in rapporto di specialità rispetto al reato di cui all'art. 481 c.p..

5. Va quindi nuovamente affermato che il formulario di identificazione dei rifiuti (FIR) non ha alcun valore certificativo della natura e composizione del rifiuto trasportato, trattandosi di documento recante una mera attestazione del privato, avente dunque natura prettamente dichiarativa.

6. Va peraltro ricordato come il richiamo all'art. 483 c.p., contenuto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 258, di cui si è appena detto, è un richiamo esclusivamente quoad poenam, nè può ritenersi che un trasporto di rifiuti effettuato con formulario contenente dati non veritieri configuri autonomamente l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 483 c.p..

A maggior ragione, neppure può ritenersi, attesa la natura dei FIR come sopra individuata, che la mera consegna di una fotocopia di un FIR contenente dati non veritieri a personale di polizia giudiziaria possa integrare il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, difettando, nel formulario, la natura di atto pubblico e la destinazione a provare la verità.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata sul punto senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

Va altresì disposto l'annullamento con rinvio per la rideterminazione della pena per il residuo reato.

7. Quanto al motivo di ricorso di L.P.G. va preliminarmente osservato che deve essere esclusa la sussistenza di una delega di funzioni in capo al consulente indicato dal ricorrente.

A tale istituto, l'applicabilità del quale, come è noto, è sottoposta dalla giurisprudenza di questa Corte a specifici requisiti, non viene fatto alcun cenno in ricorso, limitandosi il ricorrente a rivendicare la mancanza di responsabilità per l'affidamento riposto nelle capacità dell'esperto cui si sarebbe rivolto.

Una simile evenienza, tuttavia, non può costituire valida giustificazione, atteso che, come questa Corte ha avuto modo di osservare, la responsabilità per la attività di gestione non autorizzata di rifiuti, non avendo necessariamente attinenza al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta e potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che, legittimamente, si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda, ben può ascriversi al titolare dell'impresa anche in ragione di un atteggiamento semplicemente negligente (v. Sez. 3^, n. 47432 del 5/11/2003, Bellesini ed altri, Rv. 226868).

Va peraltro esclusa la rilevanza delle assicurazioni che sarebbero state ricevute dal consulente ai fini della sussistenza della buona fede, poichè la posizione professionale dell'imputato gli imponeva una adeguata conoscenza degli obblighi di legge concernenti l'attività svolta.

E' infatti di tutta evidenza che, a fronte di norme dal contenuto inequivocabile, l'imputato non avrebbe potuto fare affidamento sulle mere assicurazioni verbali di altro soggetto, tralasciando ogni obbligo di specifica e completa informazione, specie per quanto concerne un atto autorizzatorio di particolare rilievo quale l'autorizzazione alla gestione di rifiuti.

L'eventuale errore in cui il ricorrente sarebbe incorso sarebbe, pertanto, un irrilevante errore di diritto.

Va infine rilevato che, a sostegno della propria tesi, il ricorrente indica una serie di dati fattuali la cui disamina è sottratta a questo giudice di legittimità.

Il ricorso del L. deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.S. senza rinvio limitatamente al reato di cui all'art. 483 c.p., perchè il fatto non sussiste e con rinvio per la rideterminazione della pena in ordine al residuo reato.

Rigetta nel resto il ricorso del C., nonchè il ricorso di L.P.G. e condanna quest'ultimo al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2015.