Cass. Sez. III n. 21785 del 31 maggio 2011 (UD. 28 apr. 2011) 
Pres. De Maio Est.Teresi Ric.Corbelli
Rifiuti.Rifiuti allo stato liquido
Integra il reato di deposito incontrollato di rifiuti allo stato liquido lo spandimento, alla rinfusa ed a tempo indeterminato, dei fanghi di sedimentazione derivanti da attività di allevamento raccolti in vasche fuori terra, non rilevandone il legittimo, ma parziale, impiego nell'attività di fertirrigazione. (Nella specie i reflui in eccedenza, tracimando dai bordi delle vasche, si riversavano e venivano assorbiti nel terreno circostante, dando luogo a ruscellamenti e ad infiltrazioni in profondità).
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. DE MAIO   Guido            - Presidente  - del 28/04/2011
 Dott. PETTI     Ciro             - Consigliere - SENTENZA
 Dott. TERESI    Alfredo     - rel. Consigliere - N. 946
 Dott. AMORESANO Silvio           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. GAZZARA   Santi            - Consigliere - N. 29991/2010
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 Corbelli Orlando, nato a Cortona il 15.12.1943;
 avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Frosinone in data  			30.09.2009 che lo ha condannato alla pena di Euro 22.000 d'ammenda  			per i reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 e art. 674  			cod. pen.;
 Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
 Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. TERESI  			Alfredo;
 Sentito il PM nella persona del PG Dott. MONTAGNA Alfredo, che ha  			chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza per essere i reati  			estinti per prescrizione;
 Sentito il difensore del ricorrente, avv. SCACCHI Francesco, che ha  			chiesto l'accoglimento del ricorso.
 OSSERVA
 Con sentenza in data 30.09.2009 il Tribunale di Frosinone condannava  			Corbelli Orlando, in qualità di legale rappresentante  			dell'Allevamenti suini Patrica s.r.l., alla pena di Euro 22.000  			d'ammenda quale colpevole di avere stoccato in due vasche fuori  			terra, circa 25.000 mc di fanghi di sedimentazione con superamento  			dei limiti massimi per deposito temporaneo dei fanghi derivanti da  			trattamento di depurazione e di avere provocato emissione di gas e di  			vapori con esalazione di odori nauseabondi, offendendo e molestando  			le persone.
 In particolare, era stato accertato che le due grandi vasche, della  			capacità di circa 25.000 ciascuna, per lunghi periodi erano sempre  			pressoché piene (secondo la consulenza del CT del PM la ditta  			utilizzatrice dei fanghi per finalità agronomiche prelevava  			giornalmente dai vasconi una media di 30 mc. a fronte di una  			produzione giornaliera di 600 mc), sicché l'effluente in esubero  			rispetto all'esigenza agronomica doveva qualificarsi rifiuto specie  			considerando che, essendo stati effettuati scavi fino alla  			profondità di tre metri nelle adiacenze delle vasche, le trincee  			contestualmente si riempivano di un liquame rossastro della stessa  			composizione di quello contenuto nelle vasche che si spandeva sul  			terreno senza alcuna funzione irrigativa.
 Era, quindi, configurabile un deposito incontrollato di rifiuti che  			doveva essere autorizzato e rispettare i termini di smaltimento del  			D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6.
 Quanto all'emissione di gas e vapori nauseabondi, il tribunale  			inferiva dallo stoccaggio a tempo pressoché indeterminato di  			quantità enormi di fanghi e di affluenti d'allevamento in  			contenitori, completamente privi di copertura, la produzione degli  			odori molesti riferiti dai testi in dibattimento.
 Proponeva ricorso per cassazione l'imputato sollevando questione di  			legittimità costituzionale dell'art. 593 c.p.p., comma 3, nella  			parte in cui prevede l'inappellabilità delle sentenze di condanna  			per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda avendo la  			difesa concreto interesse a impugnare la sentenza de qua nel merito  			e, in tale prospettiva, esponeva una serie di doglianze meramente  			fattuali e denunciando:
 - inosservanza e/o non corretta interpretazione e applicazione del  			D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 e D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 22;
 illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in tema di  			configurazione dei fanghi di sedimentazione come rifiuti. I fanghi  			erano stati accumulati per l'impiego nella fertirrigazione e non era,  			quindi, sostenibile in diritto l'irrazionale distinguo tra quanto  			stoccato e quanto smaltito. La produzione giornaliera aziendale di  			fanghi, secondo il teste Guercini, non superava i 200 mc e ciò  			smentiva l'asserzione dell'altro teste Mastracci che aveva indicato  			una produzione di 600 me. giornalieri;
 - violazione dell'art. 674 c.p. perché il cattivo odore, che era  			prodotto dall'allevamento e non dai fanghi, non aveva arrecato alcun  			effettivo pregiudizio all'ambiente, alla salute e alle persone.  			Inoltre, erroneamente era stato ritenuto che detto cattivo odore  			fosse stato prodotto in un caso non consentito dalla legge dato che  			l'allevamento, situato all'interno di un consorzio industriale, era  			in regola con ogni normativa amministrativa. La sentenza, impugnata,  			infine, non era stata emessa sulla base di prove certe inidonee a  			fornire un convincimento al di là di ogni ragionevole dubbio, ma su  			un mero giudizio di verosimiglianza.
 Chiedeva l'annullamento della sentenza.
 Sulla sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art.  			593 c.p.p., comma 3, come modificato dalla L. 24 novembre 1999, n.  			468, art. 18 (il quale ha previsto, tra l'altro, l'inappellabilità  			delle sentenze di condanna in relazione alle quali sia stata  			applicata la sola pena pecuniaria) per contrasto con gli artt. 3, 24  			e 111 Cost., questa Corte si è pronunciata (Sezione 5, n. 41136/2001  			RV. 220279; Sezione 3, n. 1552/2002 RV. 223269) rilevando che  			"l'impossibitità di appellare siffatte sentenze: 1) non viola il  			principio di ragionevolezza, dal momento che le situazioni prese in  			esame sono radicalmente diverse proprio in ragione della "qualità"  			della pena, in quanto, in caso di condanna a pena detentiva, un  			secondo giudizio di merito trova giustificazione nella maggiore  			affittività della sanzione, derivante da una diversa valutazione di  			gravità del reato, effettuata dal legislatore e, quindi, in  			definitiva, in ragioni di politica giudiziaria, 2) non lede il  			diritto di difesa ne' il principio di parità di trattamento  			dell'imputato, in quanto, mentre non è "costituzionalizzato"  			l'obbligo di un secondo grado di merito, è comunque garantito - con  			il ricorso per cassazione - il riesame della vicenda processuale ed  			in quanto eguale trattamento è riservato a situazioni similari, 3)  			non contrasta con il principio di eguaglianza, con particolare  			riferimento alla nuova formulazione dell'art. 443 c.p.p. (che, a  			seguito della modifica apportata dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479,  			consente al soggetto condannato, con rito abbreviato, alla sola pena  			pecuniaria, di proporre appello), in quanto il carattere più  			"snello", anche m secondo grado, del giudizio abbreviato giustifica  			tale diversità di trattamento, 4) non determina disparità di  			trattamento tra coloro che siano stati condannati dal giudice di  			pace, genericamente, al risarcimento del danno (soggetti ai quali è  			consentito appellare) e coloro che siano stati condannati dal  			Tribunale, non solo al risarcimento del danno, ma anche al pagamento  			di una provvisionale. In quanto trattasi di diverse procedure, come  			reso evidente del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 38, che  			estende, agli effetti penali, l'impugnazione - nella ipotesi in cui  			la legge prevede il ricorso immediato al giudice (art. 21) - a  			situazioni diverse da quelle contemplate dall'art. 577 c.p.p. (il  			quale consente l'impugnazione, anche agli effetti penali, di chi sia  			costituto parte civile in relazione ai reati di ingiuria e  			diffamazione), ne' determina disparità tra l'imputato e la parte  			civile, in quanto, neanche la parte civile può appellare, agli  			effetti civili e penali, le sentenze di condanna alla sola pena  			pecuniaria".
 Inoltre, la Corte Costituzionale (nella sentenza n. 8/2008, massima  			n. 32240) ha affermato che dalla declaratoria d'incostituzionalità  			della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 1 vanno escluse le sentenze di  			proscioglimento relative a contravvenzioni per le quali potrebbe  			essere inflitta la sola ammenda.
 Il ricorso, nel resto, è manifestamente infondato e deve essere  			dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.  			È stato accertato, in fatto, che i reflui di allevamento, raccolti  			in grandi vasche, solo in minima parte venivano prelevati per il  			legittimo impiego nella fertirrigazione, sicché per la parte  			stoccata e per quella tracimante dai bordi, che si riversava e veniva  			assorbita nel terreno circostante, corretta è la qualifica di  			rifiuto operata dal tribunale che si è uniformato all'orientamento  			che questa corte ha espresso nella sentenza n. 27071/2008 RV 240264,  			alla cui motivazione si rimanda, secondo cui "integrano il reato di  			deposito di rifiuti allo stato liquido (art. 51, comma 2, del D.Lgs.  			5 febbraio 1997, n. 22) la raccolta in una vasca e il successivo  			spandimento incontrollato sul suolo degli effluenti derivanti da  			attività agricola o di allevamento del bestiame, non ricadendo tale  			condotta nella disciplina sugli scarichi, giacché le assimilazione  			alle acque reflue domestiche dei reflui delle imprese agricole o da  			allevamento di bestiame è subordinata all'esistenza di uno scarico  			diretto tramite condotta, e non escludendo l'eventuale utilizzazione  			agronomica dei reflui l'autorizzazione per lo stoccaggio").  			Irrilevante è quindi l'assunto difensivo per cui la parziale  			destinazione dei reflui alla fertirrigazione rendeva lecito lo  			stoccaggio incontrollato e a tempo indeterminato della rimanente e  			ben più consistente parte, accumulata alla rinfusa, che, tracimando  			dai bordi, si riversava, come accertato in fatto, nel terreno  			circostante dando luogo a ruscellamenti e a infiltrazioni in  			profondità.
 Pertanto la raccolta nelle vasche costituiva raccolta di rifiuti che  			doveva essere autorizzata non ricorrendo, nella specie, un deposito  			temporaneo di rifiuti che "ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.  			22, art. 6, punto m) (ora D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183,  			come sostituito dal D.Lgs. n. 4 del 2008) e legittimo soltanto ove  			sussistano alcune precise condizioni temporanee, quantitative e  			qualitative; in assenza di tali condizioni, il deposito di rifiuti  			nel luogo in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente  			all'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come  			reato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51" (Cassazione Sezione 3, n.  			7140, 21.03.2000, Eterno, RV 216977 e Cassazione Sezione 3 n.  			39544/2006, Tresolat RV. 235703).
 Va, poi, esaminato il motivo attinente alla violazione dell'art. 674  			cod. pen. alla luce dei più recenti approdi giurisprudenziali di  			questa Corte secondo cui la clausola "nei casi non consentiti dalla  			legge", propriamente riservata all'emissione di gas, vapori o fumi  			prevista nella seconda parte della norma, va intesa nel senso che,  			quando la diffusione provenga da un'attività economica socialmente  			utile e, come tale, legislativamente disciplinata, esula il reato se  			la diffusione è consentita dalla legge, ovverosia non supera i  			limiti tabellari previsti dalla legge speciale vigente nella soggetta  			materia (Cassazione Sezione 3, n. 36845/2008, PG. e P.C. in proc.  			Tucci e altri).
 In tal caso non può intervenire condanna penale per un'emissione in  			atmosfera che la legge speciale consente e valuta come tipicamente  			non pericolosa.
 Tuttavia, la predetta clausola esclude il reato non per tutte le  			emissioni provocate dall'attività industriale regolamentata e  			autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono specificamente  			consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate  			disposizioni amministrative potendosi solo queste ultime emissioni  			presumersi legittime (Sezione 3, n. 16286/2008, RV. 243456: "La  			clausola nei casi non consentiti dalla legge, contemplata nell'art.  			674 c.p., non è riferibile alla condotta di getto o versamento  			pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, ma  			esclude il reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono  			specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre  			determinate disposizioni amministrative. (Fattispecie nella quale è  			stata esclusa l'applicabilità di tale clausola in un caso di  			diffusione di polveri nell'atmosfera provocate nel corso di  			un'attività produttiva, emissioni vietata dal D.M. 12 luglio 1990,  			impositivo di misure di cautela e prevenzione molto rigorose)".  			Invece, non possono presumersi come legittime le altre emissioni,  			connesse più o meno direttamente all'attività produttiva  			regolamentata, che il legislatore non disciplina specificamente o che  			addirittura considera pericolose perché superiori ai limiti  			tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di  			prevenzione e di cautela imposte all'imprenditore (Cassazione Sezione  			3 n. 40191/2007, Schembri, RV. 238054; Sezione 3 n. 2475/2007,  			Alghisi, RV. 238447).
 Muovendo da tali premesse, è sicuramente corretta la valutazione  			giuridica del tribunale aderente all'esegesi normativa dominante.  			Nel caso di specie, le emissioni in atmosfera specificamente  			provocate dai fanghi di sedimentazione riversati nelle vasche a causa  			della mancata adozione di accorgimenti diretti ad assicurare la  			corretta captazione e il razionale convogliamento delle esalazioni  			nauseabonde non erano certamente consentite da alcuna disposizione  			normativa, sicché era compito del giudice valutare la stretta  			tollerabilità delle esalazioni, valutazione che è stata  			correttamente effettuata con riferimento, in termini di assoluta  			certezza, a quanto direttamente costatato dai testi escussi (Florio  			aveva riferito che l'indagine aveva avuto origine a causa dei cattivi  			odori promananti dalla ditta Corbelli e che numerose erano le  			segnalazioni della popolazione residente nelle zone circostanti e dei  			clienti di un vicino centro commerciale; Sacchetti aveva affermato  			che "a 550 metri, un kilometro da lì" già si avvertiva l'odore  			delle deiezioni).
 La corrispondenza tra la gestione dell'azienda e le emissioni  			maleodoranti oggetto delle lamentele emerse dalle testimonianze è  			stata ritenuta dalla sentenza impugnata con una motivazione  			improntata a correttezza logica e giuridica in ordine ai ravvisati  			profili di colpa a carico dell'imputato.
 La manifesta infondatezza del ricorso, che preclude la possibilità  			di rilevare e dichiarare sopravvenute cause d'estinzione del reato  			(Cassazione SU n. 32/2000, De Luca, RV. 217266), comporta l'onere  			delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle  			ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000.  			P.Q.M.
 La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente  			al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000  			in favore della Cassa delle ammende.
 Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 28 aprile 2011.  			Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011
                    



