Cass. Sez. III n. 9496 del 3 marzo 2009 (Ud. 29 gen. 2009)
Pres. Onorato Est. Marini Ric. Italiano.
Rifiuti. Trasporto non autorizzato di rifiuti propri non pericolosi

In tema di gestione dei rifiuti, a seguito delle modifiche introdotte dall\'art. 1, comma diciannovesimo, della l. 9 dicembre 1998, n. 426, non è configurabile il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti non pericolosi prodotti in proprio, commesso sotto la vigenza del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. (v. Corte Cost, ordinanze n. 413 del 2008 e n. 126 del 2007).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 29/01/2009
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 250
Dott. MULLIRI Guicla Immacolata - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARINI Luigi - est. Consigliere - N. 30031/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ITALIANO Antonino, nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 20 Maggio 1961;
Avverso la sentenza emessa in data 21 Novembre 2007 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, che lo ha condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di 6.000,00 Euro di Ammenda, oltre alla confisca dell\'automezzo in sequestro, per il reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a), così qualificata l\'originaria imputazione D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ex art. 51, comma 1.
Fatto accertato il 24 Maggio 2005;
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dott. MARINI Luigi;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RILEVA IN FATTO
In data 24 Maggio 2005 il Sig. Italiano fu oggetto di controllo da parte della polizia giudiziaria mentre alla guida di una autocarro di sua proprietà effettuava il trasporto di materiale inerte vario, qualificato come rifiuto speciale non pericoloso, senza essere in possesso delle necessarie autorizzazioni.
Il mezzo di trasporto fu sottoposto a sequestro con provvedimento che è stato oggetto di richiesta di riesame e di successivo ricorso per cassazione, come sarà in seguito esposto per le parti che assumono rilievo ai fini della presente decisione.
Il Sig. Italiano fu quindi tratto a giudizio con citazione diretta emessa in data 8 Novembre 2008 dalla competente Procura della Repubblica per rispondere del reato previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1.
In esito all\'istruttoria dibattimentale il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha ritenuto sussistere la responsabilità penale dell\'imputato. Affermato che la disposizione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, e la corrispondente disposizione contenuta nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e cioè l\'art. 256, impongono di considerare il materiale inerte da demolizione edilizia quale rifiuto speciale, come tale soggetto agli obblighi di autorizzazione con esclusione dei casi in cui esso venga interamente destinato al reimpiego nei limiti e nel rispetto delle condizioni previste dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 14. Tali condizioni non risultano rispettate dal Sig. Italiano, che non ha fornito indicazioni certe sulla provenienza e sulla destinazione dei materiali, così che la fattispecie di reato risulta, secondo il Tribunale, integrata. Avverso tale decisione la Difesa del Sig. Italiano ha presentato ricorso per cassazione censurando sotto plurimi profili le conclusioni cui è giunto il Tribunale.
Con primo motivo lamenta errata applicazione della legge penale per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che la condotta contestata (trasporto di rifiuti speciali senza autorizzazione) sia ricompresa nella previsione contenuta negli artt. 51 e 256 sopra richiamati, e così violato il principio contenuto nell\'art. 25 Cost.. In particolare, nessuna delle disposizioni richiamate dall\'art. 256 (artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 della stessa legge) include la condotta contestata, dovendosi quanto all\'art.212 (corrispondente al previgente D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 30) rilevare che nel caso in esame sussisteva l\'obbligo di iscrizione all\'Albo nazionale delle imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, ma non quello di ottenere specifiche autorizzazioni.
Con secondo motivo lamenta un diverso profilo di errore nell\'applicazione della legge. L\'originaria disposizione contenuta nel D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 30, è stato modificato dalla L. n. 426 del 1998, \'art. 1, comma 19, con la conseguenza che hanno perso rilevanza penale le condotte come quelle contestate al Sig. Italiano, e cioe\' il trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti in proprio.
In particolare, il ricorrente richiama sul punto alcune decisioni. Innanzitutto la sentenza della Corte Europea di Giustizia (n. 270 del 2005), che ha censurato lo Stato italiano proprio per non prevedere cautele in caso di trasporto di rifiuti non pericolosi da parte del soggetto che quei rifiuti ha prodotto e che li trasporta nell\'ambito della propria attività. In secondo luogo le decisioni assunte nell\'ambito del procedimento a carico del ricorrente stesso dalla Corte Suprema di Cassazione (ordinanza n. 1317 del 2006), che rimise gli atti alla Corte costituzionale per il rilevato contrasto tra il citato art. 30 e gli artt. 11 e 117 Cost., e dalla Corte
Costituzionale (ord. 126 del 2007) che restituì gli atti al giudice di legittimità per ulteriore valutazione della materia a seguito dell\'entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. In sostanza, il ricorrente ritiene che la successione delle norme penali nel tempo abbia privato di rilevanza penale le condotte di trasporto non autorizzato di rifiuti "propri" commesse successivamente all\'entrata in vigore della L. n. 426 del 1998 ma anteriormente alla modifica apportata alla materia dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 212. Tale conclusione trova conferma nell\'ordinanza con cui la Corte di Cassazione in data 21 Giugno 2007 ha nuovamente rimesso gli atti alla Corte costituzionale. Con terzo motivo si censura la confisca dell\'automezzo in sequestro, confisca che non può essere disposta una volta escluso che la condotta contestata abbia rilevanza penale.
Con quarto motivo si chiede la riduzione della pena inflitta. OSSERVA IN DIRITTO
A) Premesso che il quarto motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile in considerazione della sua assoluta genericità, in ossequio al disposto dell\'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), la Corte ritiene che il ricorso meriti accoglimento con riferimento ai restanti motivi.
B) Su quale fosse il regime giuridico da applicare alla condotta tenuta dal Sig. Italiano questa Corte, come ricordato, ha avuto modo di esprimersi con le due ordinanze di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale emesse in sede di ricorso avverso il provvedimento di sequestro adottato dal Giudice di Barcellona Pozzo di Gotto.
Sul punto è sufficiente richiamare parte dell\'ampia motivazione con cui in data 21 Giugno 2007 questa Sezione tornava ad investire il giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale della normativa in tema di trasporto di rifiuti propri vigente al momento del fatto.
Si osservava in quella sede, richiamando l\'ordinanza del 24 Novembre 2005 e ritenendo sussistente il "fumus" del reato di illecito trasporto di rifiuti consistenti in materiale edile di risulta proveniente da attività di demolizione effettuata in proprio:
"... Al riguardo bisogna osservare che l\'art. 30, comma 4, così come modificato dalla L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 1, comma 19, impone l\'obbligo dell\'iscrizione solo per "le imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi" (escluse per queste ultime i trasporti inferiori a una determinata soglia quantitativa giornaliera).
Poiché non risulta che Antonino Italiano trasportasse rifiuti prodotti da terzi, ma risulta anzi che trasportava rifiuti derivanti dalla sua stessa attività d\'imprenditore edile, egli non sarebbe obbligato alla iscrizione all\'Albo nazionale e non avrebbe commesso il reato di cui al più volte citato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1.
"5 - Sennonché la predetta disposizione del comma 4 dell\'ari 30, così come modificato dalla citata L. n. 426 del 1998, appare in contrasto con la direttiva 91/156/CEE che, nel suo art. 12, stabilisce che gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al recupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari) devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione". Invero, le imprese che provvedono professionalmente al trasporto di rifiuti, contemplate dalla direttiva, comprendono anche quelle che professionalmente trasportano rifiuti da esse stesse prodotte, che invece la disposizione di legge italiana esclude.
Nel dare attuazione a questa direttiva comunitaria col D.Lgs. n. 22 del 1997, il legislatore nazionale in un primo tempo si era perfettamente adeguato all\'art. 12 della direttiva, stabilendo testualmente che "le imprese che svolgono a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, anche se da esse prodotti (...) devono essere iscritte all\'Albo". Ma in un secondo tempo, novellando la disposizione mediante la L. n. 426 del 1998, art. 1, comma 19, ha violato l\'art. 12, laddove ha escluso dall\'obbligo d\'iscrizione all\'Albo nazionale l\'imprenditore che a titolo professionale trasporti rifiuti (non pericolosi) per conto proprio, cioè rifiuti da lui stesso prodotti.
Questa conclusione è ora consacrata, con effetti vincolanti per l\'ordinamento italiano, dalla recente sentenza 9.6.2005 della Corte di Giustizia Europea (Terza Sezione), che, pronunciando ex art. 226 (già 169) Trattato CE in una procedura d\'infrazione promossa dalla Commissione della Comunità contro la Repubblica italiana, ha testualmente statuito che "la Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in forza del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 30, comma 4, (...) come modificato dalla L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 1, comma 19, (...) di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare senza obbligo di essere iscritte all\'Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti (...) è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell\'art. 12 della direttiva del Consiglio 15.7.19975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18.3.1991, 91/156/CEE".
Poiché non v\'è dubbio che la direttiva 91/156/CEE, e in particolare il suo art. 12, non ha efficacia diretta nel ordinamento italiano, e poiché la sentenza dichiarativa della Corte di giustizia Europea ha la stessa immediata efficacia della disposizione comunitaria interpretata (v. per tutte Corte costituzionale, 11.7.1989 n. 389), il giudice italiano, che è soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost., comma 2), dovendo applicare una disposizione legislativa nazionale chiaramente incompatibile con una norma di diritto comunitario non self executing, non ha altro rimedio che sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione nazionale con riferimento all\'art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, alfine di sentirne dichiarare l\'abrogazione.
Nell\'inerzia del legislatore, la dichiarazione d\'incostituzionalità da parte del giudice delle leggi è il mezzo attraverso cui lo Stato italiano può dare esecuzione alla menzionata sentenza della Corte di giustizia Europea.
Si prendeva atto, quindi, che:
"... Con ordinanza n. 126 del 7 marzo - 19 aprile 2007, la Corte costituzionale ha deciso la questione sollevata, restituendo gli atti alla Corte di cassazione perché valuti se la questione stessa conserva o meno attualità alla luce dello jus superveniens rappresentato dall\'entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 che, nella parte quarta, reca in tema di rifiuti una disciplina integralmente sostitutiva di quella contenuta nel citato D.Lgs. n. 22 del 1997. In particolare, il Giudice delle leggi evidenzia che l\'art. 212, comma 8, fissa, con il presidio della sanzione penale prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, l\'obbligo
dell\'iscrizione all\'Albo nazionale anche per le imprese che esercitano la raccolta e il trasporto dei propri rifiniti non pericolosi come "attività ordinaria e regolare", sia pure prefigurando un registro sensibilmente agevolato (che esclude la necessita di garanzie finanziarie e prevede l\'iscrizione a seguito di semplice richiesta scritta da parte dell\'impresa)". C) Considerate le ragioni con cui la Corte costituzionale aveva invitato la Corte di cassazione ad un nuovo esame, l\'ordinanza 21 Giugno 2007 proseguiva affermando:
1. Le condotte contestate al Sig. Italiano risalgono all\'anno 2005 e, come evidenziato nell\'ordinanza di questa Corte n. 10328/2006, sono successive alla modifica apportata al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 30, comma 4, dalla L. n. 426 del 1998, art. 1, comma 19. Tale modifica escludeva dal. novero delle condotte punibili il trasporto operato senza iscrizione all\'Albo nazionale di rifiuti non pericolosi prodotti nell\'ambito della propria attività di impresa. Deve concludersi che la condotta di trasporto di rifiuti effettuata dal Sig. Italiano, correttamente qualificata ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, dalla citata ordinanza, non risultava penalmente rilevante secondo la normativa in vigore. 2. L\'esclusione delle condotte di trasporti dei propri rifiuti non pericolosi dal novero dei comportamenti vietati contrastava con le disposizioni comunitarie, giusta la chiara lettera dell\'art. 12 della direttiva 91/156/CE e l\'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia con la citata sentenza del 9 Giugno 2005. Di qui la questione di legittimità costituzionale sollevata con l\'ordinanza n. 10328 del 2006.
3. L\'ordinanza della Corte costituzionale n. 126 del 2007 non ha considerato detta questione inammissibile, ma ha preso atto dell\'emanazione da parte del legislatore italiano di una nuova e complessiva normativa in tema di rifiuti, circostanza che ha indotto a restituire gli atti a questa Corte perché valuti il permanere della rilevanza della questione alla luce dello jus superveniens. 4. Ritiene la Corte di dover rilevare a tale proposito anche la circostanza che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 264, comma 1, lett. i) include espressamente il D.Lgs. n. 22 del 1997 tra le disposizioni di legge abrogate a seguito dell\'entrata in vigore della nuova disciplina.
5. Con riferimento alla materia oggetto del presente giudizio e con riferimento alla indicazione fornita dal Giudice delle leggi, si deve evidenziare che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212, prevede una nuova disciplina dell\'Albo nazionale dei gestori ambientali, ed in particolare stabilisce:
- al comma 5 che "L\'iscrizione ali \'Albo e\' requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi, di bonifica di siti, di bonifica ... ";
- al comma 7 che "le imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto dei rifiuti ... devono prestare idonee garanzie finanziarie a favore dello Stato ...";
- al comma 8 che "le imprese che esercitano la raccolta e il trasporto di propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare nonché le imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano ... non sono sottoposte alle garanzie finanziarie di cui al comma 7 e sono iscritte all\'Albo regionale territorialmente competente senza che la richiesta stessa sia soggetta a valutazione ... e senza che vi sia l\'obbligo di nomina del responsabile tecnico ... "
6. Può, dunque, affermarsi che la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, reintroduce un obbligo di iscrizione all\'Albo, seppure secondo formalità e requisiti semplificati, per le imprese che trasportano in proprio i rifiuti non pericolosi da esse stesse prodotti, così che risulta superato il contrasto con la disciplina comunitaria che aveva costituito oggetto della questione di costituzionalità sollevata con l\'ordinanza 10328/2006. 7. Può affermarsi, altresì, che sotto un profilo di ordine generale l\'abrogazione dell\'intero D.Lgs. n. 22 del 1997, rende, anche sotto questo aspetto, non più attuale il contrasto della disciplina nazionale con quella comunitaria.
8. Va, peraltro, osservato, che il D.Lgs. n. 152 del 2006, ha avuto cura di evitare problemi di coordinamento e di continuità rispetto al regime degli atti amministrativi e delle posizioni giuridiche formatesi sotto la vigenza del D.Lgs. n. 22 del 1997 (si veda il citato art. 264, lett. i), ma non ha inteso intervenire sul tema della successione delle leggi penali nel tempo, così che devono ritenersi applicabili gli ordinari principi fissati dell\'art. 2 c.p., e prima ancora quanto stabilito dall\'art. 25 Cost., comma 2. 9. Ciò significa che le condotte poste in essere nel periodo ricompreso tra la modifica introdotta con la L. n. 426 del 1998, art. 1, comma 19, e la data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, e pertanto anche quelle contestate all\'odierno ricorrente, restano disciplinate dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 30, comma 4, nel testo ritenuto non conforme alla normativa comunitaria. E \' pacifico, infatti, che la normativa introdotta nel 2006 risulta per il Sig. Italiano meno favorevole, con la conseguenza che questa Corte dovrebbe esaminare il presente ricorso applicando la normativa in vigore al momento del fatto. Tale conclusione sembra conservare attualita\' alla questione di legittimità sollevata con la citata ordinanza n. 10328/2006.
10. A tal proposito si deve considerare che con sentenza n. 394 del 2006 la Corte costituzionale ha affrontato esplicitamente il tema delle pronunce che rimuovono una normativa sopravvenuta e restituiscono vigenza a disposizioni aventi, sul piano penale, effetti meno favorevoli per la parte privata. Premessa la centralità del principio fissato dall\'art. 25 Cost., comma 2, il giudice delle leggi ha ribadito (in linea con la giurisprudenza formatasi a partire dalla sentenza n. 148 del 1983) che "lo scrutinio di
costituzionalità anche in malam partem, delle c.d. norme penali di favore ... si connette all\'ineludibile esigenza di evitare la creazione di zone franche dell\'ordinamento ... sottratte al controllo di costituzionalità". La sentenza prosegue evidenziando che "il principio di legalità impedisce certamente alla Corte di configurare nuove norme penali; ma non le preclude decisioni ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque più generale, accordando loro un trattamento più benevolo"; in tali casi, infatti, "l\'effetto in malam partem non discende dall\'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte, la quale si limita a rimuovere la disposizione giudicata lesiva dei parametri costituzionali; esso rappresenta, invece, una conseguenza dell\'automatica riespansione della norma generale o comune ...". Il Giudice delle leggi, nella sentenza citata, ha avuto modo di chiarire che le norme penali di favore non sono quelle che "delimitano" l\'area di intervento di una norma incriminatrice e in tal modo "concorrono alla definizione della fattispecie di reato", bensì "quelle che sottraggono una certa classe di soggetti o di condotte all\'ambito di applicazione di altra norma, maggiormente comprensiva".
11. Ritiene questo Giudice che i principi così affermati dalla Corte costituzionale consentano di concludere che, nel caso in esame, il controllo di legittimità ben potrebbe dirigersi verso la disposizione introdotta nel 1998 che, escludendo la disciplina di rigore nei confronti di una specifica tipologia di trasporti di rifiuti, ha "sottratto" quelle e solo quelle condotte all\'ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice e si è posta in contrasto con la disciplina comunitaria, meritando con ciò le in equivoche censure della Corte di Giustizia.
12. Ritiene inoltre che l\'attualità della questione di legittimità non possa essere esclusa con l\'argomento che l\'intera normativa contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997 è stata abrogata dal D.Lgs. n. 152 del 2006. Infatti, per quanto esposto in precedenza, l\'applicazione al caso in esame delle regole fissate da quest\'ultimo provvedimento legislativo deve essere ritenuta non percorribile in quanto meno favorevole (art. 2 c.p., comma 4) e potenzialmente contrastante con i principi fissati dall\'art. 25 Cost.. Da ciò consegue che la posizione del Sig. Italiano) va ancora esaminata alla luce della disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 30, comma 4, come modificato dalla citata L. n. 426 del 1998, e quindi nella formulazione oggetto dei rilievi di legittimità sollevati da questa Corte con l\'ordinanza n. 10328 del 2006. In altri termini, preso atto che la motivazione e le conclusioni dell\'ordinanza n. 126 dal 2006 della Corte Costituzionale sembrano presupporre la rilevanza della questione sollevata da questa Corte con l\'ordinanza n. 10328/2006, deve ritenersi che tale rilevanza conservi nel caso in esame la propria attualità in quanto non risulta in concreto applicabile lo jus superveniens che ha costituito, secondo le indicazioni della Corte Costituzionale, l\'oggetto del nuovo esame di questo Giudice.
13. Va ritenuto, infine, che la questione conservi il carattere di non manifesta infondatezza nei termini ampiamente illustrati con la citata ordinanza n. 10328/2006 di questa Corte, che è stata in precedenza integralmente riportata nella sua parte motiva. Sulla base di tali motivazione gli atti sono stati trasmessi alla Corte costituzionale.
D) Con ordinanza n. 413 depositata il 17 Dicembre 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata. fa sintesi, la Corte ha ritenuto che il regime "di favore" introdotto per la condotta di trasporto in proprio di rifiuti prodotti nel corso di attività d\'impresa dalla L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 1, comma 19, non possa essere oggetto di intervento abrogativo da parte del giudice delle leggi. La motivazione dell\'ordinanza n. 413/2008 evidenzia che la questione sollevata dalla Corte di Cassazione comporterebbe un "intervento in malam partem" che "eccede i compiti" della Corte costituzionale, posto che, secondo i principi affermati con le sentenze n. 328 del 2008 e 396 del 2006, nel caso in esame non si sarebbe in presenza di "norma penale di favore" e che una pronuncia eventuale di illegittimità della disposizione sottoposta a controllo "non potrebbe mai determinare il ripristino della previsione incriminatrice indicata dalla Corte rimettente, giacché l\'intero D.Lgs. n. 22 del 1997 è stato espressamente abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 264, comma 1, lett. i)".
E) Alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale ora richiamata, questa Corte ritiene che non possa che darsi piena applicazione, nel caso in esame, al regime introdotto con la L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 1, comma 19, e che il reato contestato al Sig. Italiano debba essere escluso perché il fatto non era all\'epoca previsto come reato.
La sentenza impugnata deve quindi essere annullata, con conseguente caducazione anche della misura cautelare reale del sequestro dell\'automezzo, ove ancora in corso, così accogliendosi il terzo motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non era previsto dalla legge come reato.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2009