Consiglio di Stato Sez. IV n. 5694 del 27 giugno 2024
Rifiuti.Abbandono e responsabilità omissiva
La condotta illecita del terzo, responsabile dell'abbandono di rifiuti in luogo pubblico, non esonera dalla responsabilità il proprietario (rectius il titolare di diritti reali o personali di godimento) che abbia tollerato, per trascuratezza, negligenza e incuria, la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva - ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi - e dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l'evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria) e l’evento stesso, per cui, l'art. 192 d.lgs. 152/2006, in caso di depositi di rifiuti discendenti da fatti illeciti di soggetti ignoti, impone all'amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che - per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche - nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l'abbandono dei rifiuti
Pubblicato il 27/06/2024
N. 05694/2024REG.PROV.COLL.
N. 07868/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7868 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Fabio Eugenio Santopietro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Ticozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), sede di Milano, n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il Cons. Luigi Furno, uditi per le parti gli avvocati e viste le conclusioni delle parti come da verbale.
FATTO
1. Con ricorso collettivo di primo grado i signori -OMISSIS-, comproprietari di un cascinale (Cascina della Ca’) nel Comune di -OMISSIS-, chiedevano l’annullamento dell’ordinanza con cui erano stati loro intimati la rimozione e lo smaltimento dei suddetti rifiuti.
Gli originari ricorrenti deducevano l’illegittimità dell’atto impugnato sul rilievo per cui l’abbandono di rifiuti sarebbe imputabile esclusivamente ad alcuni soggetti di etnia rom, che, dall’anno 2010 in poi, avevano invaso la loro proprietà e all’inerzia delle autorità pubbliche.
2. Il T.a.r. Milano, con la sentenza n. -OMISSIS-, annullava l’ordinanza di rimozione per difetto di motivazione, indicando, sul piano dell’effetto conformativo, la necessità di esplicitare le eventuali “evidenze fattuali” da cui ricavare l’addebito di negligenza degli odierni appellanti.
Non risultava, in particolare, ad avviso della decisione in esame, “da alcuna parte dell’ordinanza in rassegna che i proprietari non avessero provveduto a chiudere il fondo in questione”, mentre, al contrario, nello stesso provvedimento era stato evidenziato che si sarebbe trattato “di un’area ben individuata in un fondo chiuso e recintato”.
3. L’amministrazione comunale riesercitava il suo potere adottando una nuova ordinanza di rimozione dei rifiuti a carico degli odierni appellanti, a supporto della quale indicava le seguenti “evidenze”:
- il sig. -OMISSIS- aveva avuto residenza anagrafica in un’abitazione ubicata all’interno dei terreni oggetto dell’abbandono dei rifiuti dal marzo del 2003 all’aprile del 2009;
- la presenza di soggetti estranei ai proprietari sui terreni incriminati sarebbe stata accertata almeno dal mese marzo del 2008;
- già da quella data in un verbale della polizia locale sarebbe stata rilevata, nell’area di interesse, una situazione di degrado e i “primi episodi di abbandono dei rifiuti”;
- lo sgombero dell’area sarebbe stato promosso dal Comune di -OMISSIS- nel settembre del 2016, stante l’inerzia dei proprietari, che non avrebbero “reagito” a pregresse ordinanze sindacali contingibili e urgenti;
- i proprietari non avrebbero mai provveduto ad impedire adeguatamente l’accesso indiscriminato e incontrollato di terzi nell’area, tramite, ad esempio, la tempestiva collocazione di ostacoli non aggirabili o la riparazione dei varchi esistenti nella recinzione e nei muri perimetrali “ammalorati e fatiscenti”;
- i proprietari non avrebbero mai proposto azioni giudiziarie realmente efficaci per ottenere lo sgombero dell’area, quali, ad esempio, l’esperimento di un’azione possessoria in sede civile;
- il notevole lasso di tempo in cui si sono accumulati i depositi di rifiuti renderebbe non plausibile la tesi dell’inconsapevolezza di tale accumulo da parte dei proprietari.
4. Gli odierni appellanti, dunque, impugnavano dinanzi al T.a.r. Milano anche questa seconda ordinanza.
5. Il T.a.r, con sentenza -OMISSIS-, respingeva il ricorso, ritenendo che le evidenze fattuali poste dal Comune a sostegno della nuova ordinanza di rimozione dei rifiuti avessero sanato il vulnus motivazionale accertato in relazione alla prima ordinanza.
6. I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello avvero quest’ultima decisione.
7. Si è costituito nel presente giudizio il Comune di -OMISSIS-, chiedendo di dichiarare l’infondatezza dell’appello.
8. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 18 aprile 2024.
DIRITTO
1. L’appello non è fondato.
2. Con un primo mezzo di gravame la parte appellante deduce: “error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità della motivazione. violazione di legge. violazione e falsa applicazione dell'art. 192 e ss. d. lgs. n. 152/2006”.
Rileva la parte appellante che, nel 2008, l'intera area della cascina era suddivisa in varie proprietà riconducibili a diversi titolari: l'unico proprietario che ivi vi abitava era, nondimeno, il sig. -OMISSIS-.
Partendo da questa premessa in fatto, la parte appellante contesta quanto indicato nel verbale di sopralluogo della polizia locale del 2008, e segnatamente il fatto che il materiale "abbandonato" fosse presente "sulle pertinenze dell'edificio di proprietà Scanzan”.
In senso contrario la parte appellante rileva che tali pertinenze facevano parte del cortile comune di proprietà non solo di -OMISSIS-, ma anche di altri soggetti, quali i sigg.ri -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS-, i sigg.ri -OMISSIS-, i sigg.ri -OMISSIS- e il sig. -OMISSIS- (quest’ultimo, all'epoca, proprietario del 90% della cascina).
Inoltre, secondo la parte appellante, la polizia locale di -OMISSIS-, in modo del tutto generico, avrebbe identificato la proprietà del sig. -OMISSIS- con il Foglio 38. Map. 32, senza indicare il subalterno.
Da tale diversa ricostruzione discenderebbe che ciò che è stato rivenuto in occasione del riferito sopralluogo non potrebbe essere imputato con certezza alla condotta dello -OMISSIS-, non essendo quest’ultimo l’unico proprietario del luogo in cui i rifiuti sono stati rivenuti.
Inoltre, a giudizio della parte appellante, a differenza di quanto affermato nella sentenza impugnata, la situazione di degrado sarebbe divenuta incontrollabile solo a partire dal “mese di agosto del 2012/2013”, così come comproverebbero le fotografie satellitari prodotte in giudizio.
La sentenza impugnata, ad avviso della parte appellante, risulterebbe inoltre contraddittoria nella parte in cui ha affermato che: " Le circostanze rilevate, pur non essendo chiaramente idonee ad eliminare il dato di fatto rappresentato dall'invasione dei terreni da parte di soggetti estranei (che deve considerarsi quale condotta "primaria" dell'abbandono di rifiuti), hanno dimostrato una grave colpevole assenza di vigilanza da parte dei proprietari, almeno fino al 2013".
Ciò in ragione del fatto che tale rilievo sarebbe riferito ad una cascina di 10.000 mq, in relazione alla quale nel 2008 i detriti, presenti nelle parti comuni, coprivano all'incirca il 3% del terreno.
Dalle suesposte considerazioni si ricaverebbe la prova della mancanza di inerzia e di negligenza da parte degli odierni appellanti, i quali, non appena hanno visto invadere le loro proprietà, avrebbero subito comunicato alla polizia locale e all'amministrazione la grave situazione ambientale dei loro fondi.
3. Con un secondo mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistenti, nella fattispecie in esame, i presupposti per l’emissione, da parte del Comune di -OMISSIS- ed a carico dei signori -OMISSIS-, di un’ordinanza di rimozione dei rifiuti dall’ area di loro proprietà.
Ad avviso della parte appellante, la sentenza impugnata avrebbe, in violazione degli artt. 192 e seguenti, del D.Lgs. n. 152/2006, erroneamente attribuito agli odierni appellanti una diretta responsabilità rispetto all’accertato abbandono di rifiuti nella Cascina della Ca’.
4. I motivi descritti sono sostanzialmente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente. Il Collegio ritiene che essi siano infondati.
4.1. In via generale, il Collegio rileva che, alla stregua del principio "chi inquina paga", l'Amministrazione non può imporre al proprietario di un'area inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di porre in essere le misure di bonifica, di cui all'art. 240, d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall'art. 253, stesso d.lgs. n. 152 del 2006, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare.
Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006 (artt. da 239 a 253) operano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell'inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione" (Cons. Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013, n. 25).
A tal riguardo, il Collegio ricorda che l’impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell’Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n.25). La sentenza della Corte di giustizia, in particolare, ha chiarito che “La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione”.
La successiva giurisprudenza nazionale, nel tentativo di ulteriormente sviluppare l’assunto della Corte di giustizia, è giunta ad affermare l’impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione, traendo principale argomento dalla natura sanzionatoria di questa misura.
In base a tale consolidato orientamento, il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell'inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell'attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è, pertanto, tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale - per una sua condotta commissiva od omissiva - sia imputabile l'inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d'ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un'azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502, e id., Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5604).
4.2. Tali consolidati principi non possono, nondimeno, trovare applicazione al caso in esame, nel quale ai proprietari appellanti è possibile imputare una grave e colpevole assenza di vigilanza, almeno fino all’anno 2013.
A sostegno di questa conclusione depone, in maniera dirimente, la denuncia-querela del 17 ottobre 2013, dalla quale si ricavano le seguenti due circostanze:
- la situazione di degrado nata fin dal 2008 era perfettamente conosciuta dai proprietari coinvolti;
- tale situazione non era stata in alcun modo contrastata, almeno fino al 2013, da nessuno di loro.
Tali evidenze hanno trovato successivamente riscontro nel sopralluogo effettuato dall’ARPA, in data 17 ottobre 2017 , dal quale è emerso che “a cagione sia della natura non subitanea né furtiva, ma stabile e reiterata nel tempo in cui si è generata, sia della natura morfologicamente circoscritta dell’area in questione (avente le caratteristiche a corte di un tipico cascinale lombardo e non certo consistente in una distesa ampia di terreni), non può che essere collegata ad una palese omissione della proprietà rispetto agli obblighi di attenzione e cura rispondenti ai criteri di diligenza ragionevolmente esigibili (dovendosi l’accesso di soggetti estranei all’area e lo stabile insediamento di questi ultimi nel cascinale indubitabilmente collegarsi al pregresso stato di abbandono ed incuria in cui il cascinale stesso era stato abbandonato, mentre l’accesso e l’insediamento medesimi, con le modalità e le conseguenze acclarate, ivi compreso il deposito dei rifiuti, sarebbero stati oggettivamente non possibili ove il compendio fosse stato custodito, vigilato e controllato nei termini e con i criteri di diligenza imposti ai proprietari nel nostro ordinamento giuridico)”.
Sul piano probatorio, tale esito ricostruttivo è corroborato dagli accertamenti contenuti nel verbale di sopralluogo della polizia locale del 2008, le cui risultanze non sono state adeguatamente scalfite dalle generiche prospettazioni di segno contrario formulate dalla parte appellante.
La situazione di protratta inerzia è, infine, ulteriormente riscontrata dal fatto che i lavori di muratura per chiudere gli accessi all’area del cascinale sono stati realizzati (fatta eccezione per la chiusura, peraltro tardiva in quanto avvenuta soltanto nel 2015, da parte del signor -OMISSIS- dei soli locali di una propria singola abitazione) non dagli odierni appellanti, ma dal Comune di -OMISSIS-, all’esito degli interventi di sgombero del 1013 e del 2016.
Sulla base di quanto esposto, rileva il Collegio che l’errore concettuale in cui incorre la parte appellante è quello di non distinguere la fattispecie nella quale si ravvisa una diretta responsabilità del proprietario da quella, ricorrente nel caso in esame, nella quale al proprietario viene fondatamente contestato un omesso controllo.
Tale conclusione trova in primo luogo riscontro nella lettera del menzionato art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006, che chiaramente attribuisce le conseguenze ripristinatorie della condotta lesiva dell’ambiente anche al proprietario colpevole di inidonea vigilanza sui beni interessati dall’abbandono dei rifiuti.
In linea con il chiaro tenore di quest’ultima disposizione è orientata, del resto, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui “la responsabilità, di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 192 può essere” non solo “commissiva, quella a carico dell’autore del fatto inquinamento”, ma anche “omissiva, quella del proprietario o altro titolare di diritto reale cui è ascrivibile l’omessa diligenza, derivante dal fatto di essersi disinteressato a lungo del bene, permettendo colposamente che esso potesse essere scelto dall’autore materiale come luogo di discarica di rifiuti” (v. Cass. Civ. Sez. III, n. 14612/2020).
Ad analoghe conclusioni è giunta anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale “ la a condotta illecita del terzo, responsabile dell'abbandono di rifiuti in luogo pubblico, non esonera dalla responsabilità il proprietario (rectius il titolare di diritti reali o personali di godimento) che abbia tollerato, per trascuratezza, negligenza e incuria, la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva - ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi - e dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l'evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria)” e l’evento stesso, per cui, "l'art. 192 d.lgs. 152/2006”, in caso di depositi di rifiuti discendenti da fatti illeciti di soggetti ignoti, “impone ... all'amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che - per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche - nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l'abbandono dei rifiuti" (Cons. di St., sez. V, 17 luglio 2014, n. 3786).
4.3. Né può rilevare, per giungere a diverse conclusioni, il sub-motivo che fa leva sulle vaste dimensioni dell’area ovvero sulla mancata corretta identificazione dei soggetti passivi destinatari dell’ordinanza sindacale n. 36/2020, in relazione alla individuazione delle titolarità nel tempo dei mappali oggetto del provvedimento.
Anche a volere prescindere dal fatto che tale sub-motivo viola l’art. 104, c.p.a., comma 1, che, come noto, statuisce il divieto di introdurre in appello nuove domande, caratterizzate da un nuovo o mutato petitum oppure da una nuova o mutata causa petendi che determinino una nuova o mutata richiesta giudiziale ovvero nuovi o mutati fatti costitutivi della pretesa azionata, in senso contrario il Collegio ricorda che, secondo un consolidato indirizzo interpretativo, “le esigenze di tutela ambientale sottese alla norma” di cui all’art. 192, d.lgs. n. 152/2006 “rendono evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli - e per ciò stesso imporgli - di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente…(cfr. in termini Cass. SS. UU., sent. n. 14612 del 2020)”.
5. In conclusione, per le suesposte ragioni, l’appello va respinto, con integrale conferma della sentenza di primo grado.
6. La particolarità della questione, e l’articolarsi non esclusivo delle responsabilità, giustificano, nondimeno, l’integrale compensazione delle spese anche in questo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti costituite le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:
Gerardo Mastrandrea, Presidente
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere, Estensore