Corte Costituzionale ord. 463 del 28 dicembre 2007

Giustizia amministrativa -Controversie relative alla legittimità delle ordinanze e dei conseguenziali provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5,comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - Competenza, in via esclusiva, in primo grado, attribuita al T.A.R. del Lazio, sede di Roma - Irragionevole deroga al principio della competenza delT.A.R. della Regione in cui il provvedimento è destinato ad avere incidenza. In via subordinata: Questione di legittimità costituzionale limitatamente all'inciso "e dei conseguenziali provvedimenti commissariali".
ORDINANZA N. 463

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco BILE Presidente

- Giovanni Maria FLICK Giudice

- Francesco AMIRANTE ”

- Ugo DE SIERVO ”

- Paolo MADDALENA ”

- Alfio FINOCCHIARO ”

- Alfonso QUARANTA ”

- Franco GALLO ”

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Maria Rita SAULLE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, promossi con ordinanze dell'8 (nn. 3 ordinanze) e del 10 maggio 2006, del 12 aprile e dell'8 maggio (nn. 3 ordinanze) 2006 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, del 5 giugno 2006 dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli, del 4 ottobre 2006 (nn. 2 ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, del 2 novembre 2006 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, del 5 e del 29 maggio e del 27 luglio 2006 dal Tribunale amministrativo della Campania, del 30 gennaio 2007 dal Tribunale amministrativo regionale per la Regione Siciliana, sezione staccata di Catania, del 12 e del 18 dicembre 2006 dal Tribunale amministrativo regionale della Campania e del 3 aprile 2007 dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, rispettivamente iscritte ai numeri 392, 393, dal 396 a 400 e 670 del registro ordinanze 2006 e ai numeri 95, 217, 218, 250, da 431 a 433, 531, 650, 651 e 655 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 41, prima serie speciale, dell'anno 2006, numeri 5, 11, 16, nell'edizione straordinaria del 26 aprile 2007, e numeri 24, 32 e 38, prima serie speciale, dell'anno 2007.

Visti gli atti di costituzione della Regione Veneto, della Società Cà Dese s.a.s. di Tombacco Giorgio & c. e della Ditta Cantine F.lli Tombacco, di Lupi Walter e dell'E.N.I. s.p.a. – Divisione Refining & Marketing;

udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che, con le ordinanze in epigrafe i Tribunali amministrativi regionali del Veneto, della Campania, sede di Napoli, della Calabria, sede di Catanzaro, della Liguria e della Sicilia, sezione staccata di Catania, hanno sollevato – in riferimento, nel complesso, agli articoli 3, 24, 25, 111, 113 e 125 della Costituzione, e all'articolo 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (parametro, quest'ultimo, evocato solo dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania) – questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater (norma, quest'ultima, censurata da tutti i rimettenti salvo quello calabrese), del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;

che, in particolare, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto dubita della legittimità costituzionale dei predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, ipotizzando che essi violino gli artt. 3, 24, 111, 113 e 125 Cost.;

che il giudice a quo premette, nella prima delle ordinanze di rimessione (r.o. n. 392 del 2006), di essere chiamato a conoscere dell'impugnativa proposta, dal proprietario di alcuni terreni ubicati nel Comune di Magliano Veneto, avverso taluni provvedimenti – ivi compresi, peraltro, gli atti presupposti, nonché quello di occupazione d'urgenza dei suddetti terreni – adottati nell'ambito di un procedimento di espropriazione, finalizzato alla costruzione del cosiddetto passante autostradale di Mestre, posto in essere dal Commissario delegato per l'emergenza socio-ambientale della viabilità di Mestre;

che ciò premesso, il giudice rimettente evidenzia che tale impugnativa dovrebbe essere definita, proprio ai sensi delle censurate disposizioni, mediante una decisione che dichiari «tout court inammissibile il ricorso», ai sensi dell'art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei Tribunali amministrativi regionali);

che la disciplina processuale recata dalle norme censurate (ed applicabile «anche ai processi in corso», come prescritto, in particolare, dal comma 2-quater) comporta – evidenzia il rimettente – lo spostamento di competenza, in favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, di controversie del tipo di quella oggetto del giudizio principale, e cioè di quelle nelle quali si discuta della legittimità delle ordinanze e dei consequenziali provvedimenti commissariali adottati in «tutte» le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile);

che, difatti, sebbene dai lavori preparatori della legge n. 21 del 2006 – la quale, nel convertire in legge il decreto-legge n. 245 del 2005, ha inserito nel testo dell'art. 3 i commi censurati – parrebbe emergere l'intento del Governo di «limitare lo spostamento di competenza giurisdizionale alle sole situazioni emergenziali dei rifiuti in Campania», la formulazione letterale delle censurate disposizioni suggerisce la «valenza generale» della disposta translatio iudicii;

che tanto osservato in via preliminare circa la rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale, quanto invece alla non manifesta infondatezza, assume il rimettente che le disposizioni censurate siano «in contrasto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio del decentramento e dell'articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado», oltre che «col principio di ragionevolezza desumibile dall'art. 3 Cost.»;

che ai sensi, infatti, del primo dei richiamati parametri costituzionali, del quale costituirebbe attuazione il sistema di riparto delle controversie tra i differenti tribunali amministrativi regionali delineato dalla legge n. 1034 del 1971, si dovrebbe ritenere che la sfera di competenza di questi ultimi sia oggetto di garanzia costituzionale, non suscettibile, dunque, di deroga allorquando (come nella specie) «le singole situazioni di emergenza abbiano rilievo esclusivamente locale»;

che, d'altra parte, tale deroga neppure potrebbe essere giustificata «facendo ricorso all'argomento che il tribunale locale sarebbe troppo sensibile ed esposto alle tensioni che possono sorgere presso la popolazione locale, derivanti dagli eventi emergenziali»;

che, difatti, tale esigenza – anche a prescindere dal rilievo secondo cui la soluzione legislativa della translatio iudicii si presenta non idonea a soddisfarla, nell'ipotesi di «situazioni di emergenza riguardanti la Regione Lazio» – dovrebbe poter essere più adeguatamente soddisfatta attraverso «rimedi, di carattere non generale ed assoluto ma da applicarsi caso per caso ed in relazione a situazioni contingenti», come, ad esempio, accadrebbe se lo spostamento di competenza «fosse concepito e disciplinato similmente alla fattispecie di rimessione del processo», previsto dagli artt. 45 e seguenti del codice di procedura penale;

che la ratio delle disciplina censurata non potrebbe neppure ravvisarsi nella volontà «di assicurare un sistema più “rafforzato” di protezione civile», atteso che tale obiettivo sembra essere già efficacemente garantito dall'applicazione, ai processi de quibus, delle «norme di accelerazione» di cui agli artt. 23-bis e seguenti della legge n. 1034 del 1971;

che sarebbe, pertanto, evidente – a dire del giudice a quo – che il sistema delineato dalle norme in contestazione realizza «un'asimmetria» tra il Tribunale amministrativo «centrale» e quelli «periferici», dando vita ad un sistema di distribuzione delle controversie «che va ben oltre l'attuale criterio di riparto delle competenze basato sull'efficacia (regionale o ultraregionale) dei provvedimenti delle autorità centrali dello Stato», presentandosi, così, «irrazionale ed incompatibile con il dettato costituzionale dell'art. 125 Cost.»;

che ulteriori profili di irragionevolezza consisterebbero, poi, nel fatto che «lo spostamento delle competenza su questa materia è irrazionalmente solo parziale», giacché «riguarda le ordinanze ed i consequenziali provvedimenti commissariali, ma non i decreti governativi che dichiarano lo stato di emergenza», e nella circostanza che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (ai sensi del censurato comma 2-quater) «non assume soltanto una nuova competenza funzionale esclusiva di primo grado, ma sembra configurarsi anche come vero e proprio giudice di appello sulle decisioni cautelari di un tribunale periferico, potendo “modificare” o “revocare” le misure cautelari da questo concesse»;

che dubbi, infine, sono avanzati anche in relazione alla scelta di imporre la pronuncia declinatoria di competenza con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'art. 26 della legge n. 1034 del 1971 (rientrando la sua adozione, invece, nella discrezionalità del giudicante), ed in ordine alla permanenza dell'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo regionale dichiaratosi incompetente, allorché il relativo ricorso non venga riproposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio;

che, inoltre, la prevista translatio iudicii recherebbe «grave disagio ai ricorrenti», comportando anche «una violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione», e ciò «per la maggiore difficoltà e i maggiori costi» dagli stessi sopportati, con conseguente riduzione delle «possibilità di tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi»;

che, infine, si ipotizza che la «concentrazione» di tutte le controversie de quibus presso lo stesso giudice «potrebbe influire negativamente sui tempi dei processi», in contrasto con il principio della “durata ragionevole” (art. 111, primo comma, Cost.);

che il medesimo Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con le altre sette ordinanze di rimessione, ha sollevato identiche questioni di legittimità costituzionale, premettendo di essere investito – anche in ciascuno di tali ulteriori giudizi (salvo quello nel corso del quale è stata adottata l'ordinanza r.o. n. 398 del 2006) – delle impugnative proposte avverso taluni provvedimenti – ivi compresi, peraltro, gli atti presupposti – adottati nell'ambito di procedimenti di espropriazione, del pari posti in essere dal Commissario delegato per l'emergenza socio-ambientale della viabilità di Mestre e sempre finalizzati alla realizzazione del cosiddetto passante autostradale di Mestre;

che oggetto, invece, del giudizio principale di cui all'ordinanza r.o. n. 398 del 2006 è l'impugnativa dei decreti emessi dal Commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale relativa ai canali portuali di grande navigazione della laguna di Venezia, nonché degli atti connessi, relativi a procedura negoziata accelerata per il disinquinamento dei canali;

che in tutti questi casi, comunque, venendo in rilievo sempre l'esercizio dei poteri emergenziali di cui all'art. 5, comma 1, del legge n. 225 del 1992, trova applicazione la disciplina processuale oggetto dei censurati commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'art. 3 del d.l. n. 245 del 2005, donde la rilevanza, nei giudizi a quibus, del dubbio di costituzionalità concernente tali norme;

che anche il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli (r.o. nn. 95, 431, 432, 433, 650 e 651 del 2007), censura i predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, ipotizzandone il contrasto, nel complesso, con gli artt. 3, 24, 25, 113 e 125 Cost.;

che nel primo dei provvedimenti da esso pronunciato (r.o. n. 95 del 2007), il rimettente napoletano evidenzia di dover giudicare della legittimità di atti relativi alla esecuzione di interventi di bonifica, adottati dal Commissario delegato a fronteggiare l'emergenza, verificatosi nella Regione Campania, nel settore dei rifiuti, delle bonifiche e della tutela delle acque;

che nelle more del giudizio principale, tuttavia, per effetto della sopravvenienza della disciplina recata dalle censurate disposizioni, competente a conoscere tale controversia è divenuto il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, di talché il giudice a quo – come dallo stesso espressamente riconosciuto – dovrebbe definire il processo pendente innanzi ad esso «con sentenza dichiarativa di incompetenza»;

che reputa, però, il rimettente di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dei predetti commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost.;

che in ordine, in particolare, al primo di tali parametri, viene evidenziato come la nuova disciplina dia luogo – quanto all'identificazione del giudice di primo grado territorialmente competente – ad una «ingiustificata disparità di trattamento tra i destinatari di provvedimenti ad efficacia infraregionale (come quelli oggetto del presente giudizio) emanati dai commissari per l'emergenza delegati localmente», ed «i destinatari di analoghi provvedimenti emanati da altre autorità, che permangono assoggettati agli ordinari criteri di riparto dettati in via generale dagli artt. 2 e 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ancorché assumano carattere di emergenza e siano adottati in situazioni di eccezionale pericolo da altre autorità»;

che sotto il profilo sostanziale, prosegue il rimettente, «la deroga agli ordinari canoni di riparto tra i diversi tribunali amministrativi regionali» si risolverebbe, nella specie, «in una manifesta violazione di quel principio di ragionevolezza che costituisce limite alla discrezionalità legislativa in materia di competenza territoriale»;

che tale deroga non potrebbe essere giustificata in considerazione «della rilevanza degli interessi sottesi alla situazione di emergenza nel cui ambito si iscrivono gli atti commissariali», né tanto meno in ragione di «un presunto sospetto in ordine ad un eventuale condizionamento ambientale del tribunale amministrativo locale»;

che, difatti, problemi come quelli da ultimo evidenziati «trovano soluzione con altri sistemi di spostamento della competenza» (è citato, a titolo di esempio, quello previsto dall'art. 11 del codice di procedura penale) i quali, di regola, «escludono l'accentramento di tutte le controversie innanzi ad un unico organo»;

che un «ulteriore segno sintomatico» della irrazionalità della nuova disciplina sarebbe, infine, costituito dal fatto che estranee alla prevista translatio iudicii sono le controversie «conseguenti la dichiarazione di emergenza e la nomina del Commissario delegato»;

che è ipotizzata, inoltre, la violazione dell'art. 25, primo comma, Cost., atteso che il rimettente – nel premettere come la formula «giudice naturale precostituito per legge» non costituisca «un'endiadi», rendendo, viceversa, necessario «che la precostituzione del giudice ad opera del legislatore avvenga nel rispetto di un principio di naturalità, nel senso di razionale maggiore idoneità del giudice rispetto alla risoluzione di determinate controversie» – esclude che l'evenienza da ultimo descritta ricorra nel caso di specie;

che a suo dire, difatti, la disciplina introdotta dal censurato comma 2-bis dell'art. 3 non sarebbe sorretta da alcuna plausibile giustificazione logica, giacché fondata su «situazioni di emergenza aventi rilievo esclusivamente locale, con riferimento ad interessi sostanziali pure di ambito strettamente locale»;

che la violazione di quegli stessi parametri costituzionali è ipotizzata, inoltre, con riferimento alla scelta del legislatore di estendere la nuova disciplina processuale «anche ai processi in corso», stabilendo che l'incompetenza del tribunale amministrativo regionale originariamente adito debba «essere rilevata d'ufficio»;

che, difatti, con tale scelta il legislatore avrebbe non solo violato, nuovamente, il principio della precostituzione del giudice (il quale esige che «la norma regolatrice della competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia»), ma avrebbe vieppiù palesato «il carattere irragionevole ed ingiustificato» della nuova disciplina, giacché essa «affida alla nuova competenza accentrata anche le cause in corso»;

che con tre successive ordinanze (r.o. numeri 432, 433 e 650 del 2007) il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli, ha proposto questioni di legittimità costituzionale del tutto analoghe a quelle appena illustrate, premettendo di dover conoscere, anche in relazione ai giudizi nel corso dei quali tali provvedimenti di rimessione risultano adottati, dell'esercizio di poteri emergenziali;

che, infatti, nel primo caso, il rimettente è chiamato a giudicare della legittimità degli atti con i quali la ricorrente è stata esclusa dalla gara per l'affidamento dei lavori di completamento della rete fognaria del Comune di San Valentino Torio, gara indetta dal Commissario delegato per l'emergenza economico ambientale del bacino idrografico del fiume Sarno, negli altri due casi risultando investito dalla cognizione di controversie relative a provvedimenti del Commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Campania, dovendo in particolare conoscere dell'impugnativa proposta, nell'un caso, avverso atti con i quali il predetto Commissario aveva diffidato il ricorrente nel giudizio a quo a presentare una proposta di recupero della cava di calcare, sita presso il Comune di San Potito, in conformità alle norme del piano di recupero ambientale approvato con apposita ordinanza commissariale, e, nell'altro, avverso l'atto di retrocessione del fondo di proprietà della ricorrente, già oggetto di occupazione temporanea d'urgenza finalizzata alla realizzazione di una discarica;

che con l'ordinanza r.o. n. 431 del 2007 il medesimo Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli, denuncia l'illegittimità costituzionale dei commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, ipotizzandone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost.;

che chiamato a giudicare della legittimità del provvedimento attributivo delle funzioni di direzione dei lavori per le opere di completamento della rete fognaria del Comune di Corbara, adottato dal Commissario delegato per l'emergenza economico ambientale del bacino idrografico del fiume Sarno, il rimettente ha sollevato d'ufficio l'indicata questione di legittimità costituzionale, ritenendone «palese» la rilevanza, atteso che ai sensi della sopravvenuta disciplina processuale, applicabile anche ai processi in corso, esso dovrebbe «dichiarare la improcedibilità del ricorso con sentenza succintamente motivata, stante la propria incompetenza»;

che il giudice a quo reputa, tuttavia, tale disciplina in contrasto, innanzitutto, con l'art. 3 Cost. «per la disparità di trattamento che la deroga alle ordinarie regole di riparto delle competenze comporta, per la tutela giurisdizionale delle rispettive situazioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali»;

che, difatti, risulterebbero assoggettati ad un trattamento differenziato i «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, eventi efficacia limitata al territorio di una Regione», rispetto ai «destinatari dei provvedimenti, aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria», e posti in essere, in genere, «dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»;

che, in definitiva, osserva il giudice a quo, «mentre l'impugnazione dei provvedimenti adottati nell'esercizio delle ordinarie attribuzioni rientra nella competenza del TAR regionale del luogo ove i provvedimenti hanno incidenza», in caso di dichiarazione della situazione di emergenza ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, la cognizione a conoscere di quegli stessi provvedimenti, sebbene «volti alla cura dei medesimi interessi» e quindi «idonei a produrre le medesime conseguenze, eventualmente a comprimere uguali posizioni soggettive», spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio;

che, d'altra parte, tale diversità non potrebbe essere giustificata «dalla maggiore o minore rilevanza dell'interesse sotteso ai provvedimenti» in questione, in quanto il vigente sistema di giustizia amministrativa non contempla una distribuzione di competenza tra gli organi giurisdizionali di primo grado fondata su un simile criterio, che sarebbe, oltretutto, «in contrasto con le disposizioni costituzionali» (segnatamente con l'art. 125 Cost.) che li «pongono su un piano paritario»;

che, inoltre, decisiva – nella stessa prospettiva – sarebbe la circostanza che le situazioni di emergenza di cui all'art. 5 della legge n. 225 del 1992 «non si caratterizzano per il particolare rilievo dell'interesse considerato», bensì soltanto «per l'urgenza di provvedere»;

che, infine, conclude sul punto il rimettente, le disposizioni censurate non possono, neppure in ipotesi, trovare fondamento nella pretesa maggiore rilevanza dell'interesse curato, come conferma il fatto che il peculiare regime processuale da esse previsto riguarda unicamente le ordinanze e gli atti commissariali adottati in situazioni emergenziali, «ma non i provvedimenti che tali situazioni di emergenza dichiarino», ciò che, pertanto, rivela anche l'irragionevolezza del «disegno complessivo» realizzato dal legislatore;

che a giustificazione della scelta legislativa – e quindi della deroga introdotta all'ordinario criterio di riparto della competenza territoriale tra tribunali amministrativi regionali previsto dagli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971 – neppure potrebbero invocarsi ragioni analoghe a quelle valorizzate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 1992 con riferimento al disposto dell'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74, recante «Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura» (ed individuate nella peculiare posizione costituzionale del Consiglio superiore della magistratura), dovendo, invece, riconoscersi che la disciplina contestata «non appare supportata da alcuna plausibile ragione, dotata di copertura costituzionale»;

che deduce, altresì, il rimettente la violazione dell'art. 24 Cost., «per la evidente maggiore difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti»;

che il rimettente, pur conscio che «la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata pronuncia», richiama, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 123 del 1987, la quale – sul presupposto dell'accertata violazione del «valore costituzionale del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione nel merito senza onerose reiterazioni» – ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale di una disposizione che imponeva l'estinzione ope legis di giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado gli stessi si fossero trovati alla data di entrata in vigore della disposizione stessa;

che, a suo dire, in modo non del tutto dissimile, anche le norme censurate impongono a chi abbia già incardinato il giudizio, «ed addirittura abbia ottenuto una decisione cautelare», di «proseguire altrove la propria iniziativa giudiziaria»;

che assume, inoltre, il rimettente «la violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all'art. 25 della Costituzione», il quale esclude «che vi possa essere una designazione tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta», esigendo, invece, che «la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia»;

che è ipotizzato, da ultimo, anche il contrasto con l'art. 125 Cost., il quale «esprimendo il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa, implica conseguentemente il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza degli stessi», sfera di competenza «che non ha ragione di subire deroghe nella materia di cui trattasi, in cui le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale, con conseguente efficacia territoriale limitata dei relativi provvedimenti adottati da soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali»;

che, infine, sempre il rimettente napoletano, con l'ordinanza r.o. n. 651 del 2007, censura la disciplina processuale in esame assumendone la contrarietà agli artt. 3, 24, 25 113 e 125 Cost.;

che in punto di fatto il giudice a quo deduce di dover conoscere dell'impugnativa proposta avverso l'ordinanza con cui il Sindaco del Comune di Napoli – nella qualità di Commissario delegato per gli interventi di emergenza connessi al consolidamento del sottosuolo e dei versanti della città di Napoli – ha ingiunto alla ricorrente il pagamento di una somma di danaro necessaria per ovviare allo stato di pericolo riscontrato sul costone tufaceo di proprietà della stessa;

che troverebbe pertanto applicazione, nel caso di specie, la disciplina di cui ai censurati commi 2-bis, 2-ter e 2-quater;

che tale disciplina, però, derogherebbe ingiustificatamente «al normale criterio di riparto della competenza per territorio dinnanzi al giudice amministrativo di primo grado stabilito dagli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971», in quanto le situazioni di emergenza, dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «si caratterizzano nella quasi totalità dei casi» (ed in particolare, «pacificamente», in quello oggetto del giudizio a quo) «per essere spazialmente delimitate», di talché anche i provvedimenti emanati nell'esercizio dei poteri extra ordinem, conferiti per fronteggiare tali situazioni, presentano «un ambito di efficacia spaziale territorialmente delimitato a dimensione infraregionale»;

che assume, poi, il rimettente che tale deroga alla ordinaria disciplina sulla competenza «si traduce in un aggravio significativo nella tutela del cittadino» (atteso che lo stesso, per effetto della translatio iudicii, «si vede gravato di oneri economici e logistici sicuramente maggiori» di quelli che deve normalmente affrontare), ponendosi anche «come una differenziazione limitativa del regime ordinario di impugnabilità degli atti» che «ridonda in disparità di trattamento», donde l'ipotizzata violazione anche degli artt. 113 e 3 della Costituzione;

che, inoltre, il censurato comma 2-bis dell'art. 3 violerebbe anche l'art. 25, primo comma, Cost., sebbene essa «sembri obbedire formalmente al criterio della precostituzione per legge del giudice competente»;

che, difatti, la «generalizzazione a priori» di una sorta di «legittima suspicione derogatoria della competenza ordinaria» finirebbe per alterare «la regola fondamentale del diritto processuale per cui il sospetto di condizionamento del giudice va verificato nel singolo caso concreto come eccezione che conferma la regola di competenza territoriale», senza poi trascurare che la formula «giudice naturale precostituito per legge» non costituirebbe «un'endiadi», rendendo, dunque, necessario «che la precostituzione del giudice ad opera del legislatore avvenga nel rispetto di un principio di naturalità, nel senso di razionale maggiore idoneità del giudice rispetto alla risoluzione di determinate controversie»;

che, tuttavia, l'evenienza da ultimo descritta non ricorrerebbe nel caso di specie, atteso che la disciplina introdotta dal censurato comma 2-bis dell'art. 3 «non è sorretta da alcuna plausibile giustificazione logica, né tanto meno appare diretta alla salvaguardia di valori costituzionalmente protetti tali da giustificare la compressione di quelli, sopra enunciati, che ne risultano pregiudicati»;

che nel sistema della giustizia amministrativa – prosegue il rimettente – «non esiste una differenziazione tra i diversi tribunali amministrativi regionali in dipendenza della maggiore o minore rilevanza dell'interesse sotteso al provvedimento impugnato»;

che, per contro, il ricorso al «metodo dall'allontanamento dal territorio delle controversie che in esso si sono generate» – seguito dalla censurata disposizione – si pone in contrasto, oltre che con il principio del «giudice naturale», anche con l'art. 125 della Carta fondamentale, «che esprime un profilo attuativo degli artt. 24 e 113 della Costituzione nel senso dell'apprestamento di organi di giustizia amministrativa di primo grado distribuiti sul territorio secondo un criterio di vicinanza e di accessibilità per il cittadino»;

che anche il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, con tre ordinanze di rimessione censura – in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 125 Cost. – i soli commi 2-bis e 2-ter dell'art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, ipotizzandone l'illegittimità «nella parte in cui prevedono la competenza in primo grado, esclusiva ed inderogabile, estesa anche ai giudizi in corso, del T.A.R. del Lazio, sede di Roma, sui ricorsi giurisdizionali proposti avverso le ordinanze ed i provvedimenti adottati nell'ambito delle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225»;

che, in punto di fatto, il rimettente premette che l'oggetto dei giudizi principali è costituito, nei primi due casi, dall'impugnativa delle ordinanze con le quali il Commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria ha annullato, in via di autotutela, una precedente ordinanza commissariale (r.o. n. 217 del 2007), ovvero ha nominato un commissario ad acta per il recupero della tariffa per il servizio della depurazione delle acque presso il Comune di Cicala, impugnativa questa seconda estesa ad «ogni atto presupposto, connesso o dipendente» (r.o. n. 218 del 2007);

che, invece, nel terzo caso (r.o. n. 655 del 2007) l'impugnativa concerne una nota (e con essa «ogni altro atto prodromico, consequenziale e comunque connesso») emessa dal medesimo Commissario, con la quale si è ingiunto alla ricorrente interventi di messa in sicurezza di emergenza e bonifiche di ripristino ambientale;

che ciò premesso, il rimettente ipotizza, innanzitutto, la violazione dell'art. 3 Cost., «per la disparità di trattamento che la deroga alle ordinarie regole di riparto delle competenze comporta, per la tutela giurisdizionale delle rispettive situazioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali»;

che, difatti, risultano assoggettati ad un trattamento differenziato i «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia limitata al territorio di una Regione», rispetto ai «destinatari dei provvedimenti, aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria», e posti in essere, in genere, «dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»;

che, in definitiva, osserva il giudice a quo, «mentre l'impugnazione dei provvedimenti adottati nell'esercizio delle ordinarie attribuzioni rientra nella competenza del TAR regionale del luogo ove i provvedimenti hanno incidenza», in caso di dichiarazione della situazione di emergenza ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, la cognizione a conoscere di quegli stessi provvedimenti, sebbene «volti alla cura dei medesimi interessi» e quindi «idonei a produrre le medesime conseguenze, eventualmente a comprimere uguali posizioni soggettive», spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio;

che tale diversità non potrebbe essere giustificata «dalla maggiore o minore rilevanza dell'interesse sotteso ai provvedimenti» in questione, in quanto il nostro sistema di giustizia amministrativa non contempla una distribuzione di competenza tra gli organi giurisdizionali di primo grado fondata su un simile criterio, che sarebbe, oltretutto, «in contrasto con le disposizioni costituzionali» (segnatamente con l'art. 125 Cost.) che li «pongono su un piano paritario»;

che, inoltre, decisivo – nella stessa prospettiva – appare il rilievo che le situazioni di emergenza di cui all'art. 5 della legge n. 225 del 1992 «non si caratterizzano per il particolare rilievo dell'interesse considerato», bensì soltanto «per l'urgenza di provvedere»;

che, del resto, conclude sul punto il rimettente, le disposizioni censurate non possono, neppure in ipotesi, trovare fondamento nella pretesa maggiore rilevanza dell'interesse curato, come conferma il fatto che il peculiare regime processuale da esse previsto riguarda unicamente le ordinanze e gli atti commissariali adottati in situazioni emergenziali, «ma non i provvedimenti che tali situazioni di emergenza dichiarino», ciò che, pertanto, rivela anche l'irragionevolezza del «disegno complessivo» realizzato dal legislatore;

che a giustificazione di tale disegno – e quindi della deroga introdotta all'ordinario criterio di riparto della competenza territoriale tra tribunali amministrativi regionali previsto dagli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971 – neppure potrebbero invocarsi ragioni analoghe a quelle valorizzate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 1992 con riferimento al disposto dell'art. 4 della legge n. 74 del 1990 (ed individuate nella peculiare posizione costituzionale del Consiglio superiore della magistratura), dovendo, invece, riconoscersi che la disciplina contestata «non appare supportata da alcuna plausibile ragione, dotata di copertura costituzionale»;

che le norme censurate, per contro, violano sia l'art. 24 Cost., in ragione dell'«ingiustificato aggravio organizzativo e di costi a cui debbono andare incontro i soggetti incisi dai provvedimenti impugnati» a causa della prevista translatio iudicii, sia l'art. 125 della Carta fondamentale che, «in sostanziale coerenza e continuità logica» con il precedente art. 24, enuncia il principio «del decentramento territoriale della giurisdizione amministrativa» con riferimento a tutte le controversie scaturenti dalla contestazione di atti amministrativi «destinati ad esaurire i propri effetti “in loco”»;

che esse, inoltre, creano «una sorta di gerarchia tra i TAR territoriali», realizzando anche «un non irrilevante “vulnus” del principio generale del “giusto processo”, quale desumibile dal testo novellato dall'art. 111 della Costituzione»;

che il Tribunale amministrativo regionale della Liguria censura anch'esso, in riferimento agli artt. 3, 25, 11 e 125 Cost., i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, dell'art. 3 del d.l. n. 245 del 2005;

che il rimettente premette di essere chiamato a giudicare la legittimità di un'ordinanza, emessa dal Presidente del Consiglio dei ministri, nella parte in cui la stessa dispone che al ricorrente nel giudizio a quo subentri il Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, in qualità di attuatore di incarichi in materia di protezione civile;

che ritenendo applicabile anche in relazione a tale controversia la summenzionata disciplina processuale, il rimettente ne ipotizza l'illegittimità costituzionale;

che sarebbe violato, innanzitutto, l'art. 125 Cost., «che prevede l'organizzazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado», dettando una regola generale «poi trasposta», sul piano della legislazione ordinaria, dagli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971, che a loro volta sanciscono criteri «generali e derogabili di distribuzione della competenza tra i tribunali al fine di agevolare il ricorso delle parti alla giustizia amministrativa»;

che è ipotizzato, altresì, il contrasto con l'art. 3 Cost., giacché «l'estrema latitudine delle situazioni di emergenza, lato sensu riconducibili alle ordinanze contingibili ed urgenti» comporterebbe che l'ambito della deroga ai già citati artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971 «sia di fatto rimesso alla valutazione discrezionale che di volta in volta l'amministrazione compia qualificando il provvedimento come ordinanza adottata in situazione di emergenza»;

che le censurate disposizioni, infine, recherebbero un vulnus al principio del giudice naturale precostituito per legge (violando, così, l'art. 25, primo comma, Cost.), contravvenendo anche all'art. 111 Cost. «sul giusto processo», la cui «portata precettiva» mira a salvaguardare anche «l'effettività e la celerità apprestata dalla tutela cautelare», compromessa invece, nel caso di specie, almeno con riferimento al «regime transitorio di cui al comma 2-quater»;

che, infine, anche il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost., e all'art. 23 dello statuto della Regione Siciliana – del medesimo art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 245 del 2005;

che il rimettente premette di essere investito dell'impugnativa di un'ordinanza emessa dal Commissario per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque in Sicilia nella parte in cui approva il progetto proposto dalla società concessionaria per la realizzazione di una stazione cosiddetta di trasferenza dei rifiuti solidi urbani nel Comune di Caltabiano;

che, conseguentemente, il giudice a quo deduce di dover «affrontare d'ufficio la questione relativa alla competenza inderogabile del TAR del Lazio a conoscere la vicenda», in ragione di quanto stabilito dalla sopravvenuta normativa oggetto di censura;

che sulla base, difatti, di tale disciplina il rimettente assume di dover dichiarare il proprio difetto di competenza, esito processuale al quale, tuttavia, reputa di non dover pervenire, ipotizzando l'illegittimità costituzionale delle previsioni legislative suddette per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost. e dell'art. 23 dello statuto regionale di autonomia;

che in proposito il rimettente catanese deduce il contrasto, innanzitutto, con l'art. 125 Cost., «e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado», principio che implica «il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti»;

che, d'altra parte, neppure ricorrono «sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantite», allorché – come nel caso di specie – «le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali»;

che, per contro, la scelta compiuta dal legislatore appare «contraddittoria ed irrazionale», donde l'ipotizzata violazione anche dell'art. 3 Cost., giacché essa «sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra loro»;

che la scelta di radicare la competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, riguarda tutte le ipotesi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, con esclusione dei soli casi di intervento di protezione civile attuabili da singoli enti o amministrazioni competenti in via ordinaria, ovvero attraverso il coordinamento delle loro azioni;

che sebbene il sistema della protezione civile sia «articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale», nonché strutturato in base al principio che esige, «per ogni tipologia territoriale e “qualitativa” della situazione di emergenza», l'intervento del livello di governo «più vicino alla concreta dimensione delle comunità colpite», a tale «multiformità» di azione corrisponde, viceversa, un sistema processuale che, derogando «contraddittoriamente ed immotivatamente» agli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971,«assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile»;

che, in altri termini, osserva ancora il giudice rimettente, «il legislatore, sul semplice presupposto della necessità di interventi di protezione civile extra ordinem», avrebbe «cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale degli stessi», laddove «possiedono rilievo nazionale “solamente” il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo, seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento», ciò che emergerebbe – oltre che dalla giurisprudenza costituzionale (sono menzionate le sentenze n. 82 del 2006 e n. 327 del 2003) – da quanto espressamente stabilito dalla legge n. 225 del 1992 e dall'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59),

che sarebbe, dunque, evidente la irragionevolezza della disciplina censurata, «per contraddittorietà e disparità di trattamento processuale», giacché essa «utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualità degli interessi pubblici coinvolti»;

che il rimettente deduce, altresì, la violazione dell'art. 24 Cost., «per la evidente maggiore difficoltà di esercitare le relative azioni presso il Tar del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti», rilievo che vale identicamente «sia per la disciplina transitoria, sia per le future nuove controversie»;

che viene richiamata, in particolare, quella pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 123 del 1987) che ha riconosciuto «il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni», osservando che, sebbene la fattispecie in esame risulti diversa da quella oggetto della citata sentenza, il principio da essa enunciato sarebbe comunque applicabile nel caso di specie, poiché la disciplina processuale in contestazione fa carico a «chi abbia già un giudizio pendente davanti al TAR locale, ed abbia addirittura ottenuto una decisione cautelare», di dover «proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria»;

che è ipotizzata, poi, l'incostituzionalità della disciplina processuale denunciata per violazione dell'art. 25 Cost., sottolineandosi come, ancora nella più recente giurisprudenza costituzionale, sia stato affermato che «alla nozione di giudice naturale precostituito per legge non è affatto estranea “la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa del tempo anteriore alla istituzione del giudizio”» (sentenza n. 41 del 2006, che richiama le sentenze n. 410 del 2005 e n. 251 del 1986);

che, pertanto, il rispetto del principio costituzionale ex art. 25, primo comma, Cost. escluderebbe che vi possa essere una designazione del giudice «tanto da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta», essendo, viceversa, necessario che «la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia»;

che la sussistenza del denunciato profilo di incostituzionalità sarebbe vieppiù confermata, secondo il rimettente, dalla possibilità – riconosciuta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, dal comma 2-quater del censurato art. 3 – di riforma di provvedimenti cautelari già assunti dal Tribunale locale, giacché l'esercizio di tale potere «ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza» costituirebbe un «rimedio inedito, che non è di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del già espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilità di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo)», con conseguente violazione del principio del ne bis in idem che, «seppur non espressamente contemplato dalla Carta Costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del “giusto processo”»;

che la previsione, inoltre, di tale «anomalo percorso», nella misura in cui «stravolge l'ordinario iter giudiziario», violerebbe anche «il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa» previsto dall'art. 125 Cost. (integrando, così, un'ulteriore violazione di tale parametro), principio che non consente «una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado»;

che quanto, infine, alla dedotta violazione dell'art. 23 dello statuto regionale di autonomia, la stessa risulterebbe evidente richiamando quella interpretazione, fatta propria anche dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui nelle «controversie d'interesse regionale» – devolute dalla norma statutaria suddetta alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (e quindi in primo grado, di riflesso, ai Tribunali amministrativi regionali istituiti in Sicilia) – debbono ritenersi ricomprese quelle «sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorità centrali aventi effetti limitati nel territorio regionale», evenienza che ricorrerebbe nel caso di specie;

che è intervenuto, in ognuno dei giudizi instauratisi all'esito delle diverse ordinanze di rimessione illustrate (tranne che in quello di cui al r.o. n. 431 del 2007), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate;

che assume, in particolare, la difesa erariale l'infondatezza della censura formulata ai sensi dell'art. 3 Cost., essendo, a suo dire, giustificata «la diversità della contestata disciplina» in quanto espressione di una scelta legislativa «non arbitraria», giacché assunta in funzione della ragionevole «esigenza di concentrare in un unico giudice di primo grado, anche nella fase cautelare, la pronta e uniforme cognizione delle controversie» in esame, relative a provvedimenti caratterizzati, per loro natura, dalla finalità di realizzare «interventi miranti a fronteggiare, a protezione della collettività, situazioni di emergenza, con mezzi straordinari»;

che l'Avvocatura generale nega, inoltre, che ricorra una «irragionevole disparità di trattamento (nella individuazione del giudice territorialmente competente) tra provvedimenti adottati in via ordinaria e provvedimenti emanati in situazioni di emergenza», ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «attesa la evidente disomogeneità tra le due situazioni poste a raffronto»;

che la difesa dello Stato, difatti, «giustifica la diversità della contestata disciplina», espressione di una scelta «non arbitraria», giacché assunta in funzione della ragionevole «esigenza di concentrare in un unico giudice di primo grado, anche nella fase cautelare, la pronta e uniforme cognizione delle controversie» in esame, relative a provvedimenti caratterizzati, per loro natura, dalla finalità di realizzare «interventi miranti a fronteggiare situazioni emergenziali»;

che, d'altra parte, neppure si potrebbe ipotizzare che le disposizioni censurate violino l'art. 125 della Carta fondamentale, in quanto questo «non preclude certamente al legislatore statale di individuare non irragionevolmente, per determinate “categorie” di controversie, particolari criteri di riparto della competenza territoriale tra giudici di primo grado», derogando ai criteri di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971;

che l'Avvocatura generale dello Stato esclude, inoltre, l'esistenza del paventato contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost., atteso che il maggior aggravio ed i più rilevanti costi destinati ad essere sopportati dai destinatari dei provvedimenti in questione, oltre a costituire «conseguenze di mero fatto», non integrano l'evenienza della impossibilità o dell'estrema difficoltà dell'esercizio del diritto di difesa, idonea a concretare la violazione degli evocati parametri costituzionali;

che neppure potrebbe ipotizzarsi – osserva ancora la difesa erariale – la violazione dell'art. 111 Cost, atteso che dalla scelta di radicare presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio tutte le controversie relative all'esercizio dei poteri emergenziali non si può far derivare «come conseguenza necessaria una maggiore protrazione della durata del giudizio»;

che, analogamente, sarebbe da escludere anche il contrasto con l'art. 23 dello statuto regionale siciliano, il quale esprime «soltanto la necessità» che in Sicilia sia istituita «una particolare articolazione del giudice amministrativo di secondo grado», e non implica anche il riconoscimento, in suo favore, di una generale «competenza a conoscere ogni tipo di controversia», incluse quelle che – come nella specie – «non hanno alcun rapporto con la materia regionale»;

che, infine, la difesa erariale nega che il comma 2-quater dell'art. 3, nella parte in cui estende la nuova disciplina anche ai processi in corso, violi il principio del giudice naturale, e ciò non solo perché la norma censurata fa in ogni caso (temporaneamente) salva «l'efficacia dei provvedimenti cautelari eventualmente adottati dal giudice già competente», ma soprattutto perché la disposta translatio iudicii «non può intendersi come diretta alla arbitraria successiva indicazione di un giudice diverso “appositamente istituito per quella controversia e per quelle parti, con una scelta idonea ad essere orientata in vista di un determinato giudizio”», evenienza che la giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 460 del 1994) individuerebbe come la sola idonea ad integrare il contrasto con l'art. 25, primo comma, Cost.;

che si è costituita in taluni dei giudizi che traggono origine dalle ordinanze del Tribunale amministrativo regionale del Veneto – salvo quelli scaturiti dalle ordinanze r.o. nn. 398, 400 e 670 del 2006 – anche la Regione Veneto, parte dei giudizi a quibus, per chiedere la declaratoria d'infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale;

che, del pari, si sono costituite, nel giudizio scaturito dall'ordinanza di rimessione r.o. n. 397 del 2006 sempre pronunciata dal rimettente veneto, la società Cà Dese s.a.s. e la Ditta Cantine F.lli Tombacco ricorrenti del giudizio principale, chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale delle censurate disposizioni;

che si sono costituiti nei giudizi conseguenti all'ordinanze r.o. n. 250 e n. 655 del 2007 (pronunciate, rispettivamente, dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria e da quello della Calabria, sede di Catanzaro), il Signor Maurizio Lupi e la società Eni s.p.a., entrambi ricorrenti dei giudizi principali, chiedendo l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

Considerato che i Tribunali amministrativi regionali del Veneto, della Campania, sede di Napoli, della Calabria, sede di Catanzaro, della Liguria e della Sicilia, sezione staccata di Catania, hanno sollevato – in riferimento, nel complesso, agli articoli 3, 24, 25, 111, 113 e 125 della Costituzione, e all'articolo 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (parametro, quest'ultimo, evocato solo dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania) – questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater (norma, quest'ultima, censurata da tutti i rimettenti salvo quello calabrese), del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;

che, in via preliminare, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro comunanza di oggetto ne giustifica l'unitaria trattazione;

che, quanto al merito delle censure formulate dal giudice rimettente, deve osservarsi come questa Corte, con sentenza n. 237 del 2007, abbia già escluso la fondatezza di analoghi dubbi di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la disciplina processuale in contestazione;

che, in primo luogo, le motivazioni della citata sentenza n. 237 del 2007 possono essere qui richiamate in relazione all'ipotizzata violazione dell'art. 3 Cost., prospettata, adducendo tanto l'esistenza di una supposta «disparità di trattamento che la deroga alle ordinarie regole di riparto delle competenze comporta, per la tutela delle rispettive posizioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali» (giacché le disposizioni censurate riserverebbero un trattamento ingiustificatamente differenziato ai «destinatari delle ordinanze adottate dagli organi governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia limitata al territorio di una regione, rispetto ai destinatari dei provvedimenti aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via ordinaria, dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o sub regionali»), quanto l'irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore, e ciò, in definitiva, sotto un duplice profilo, e cioè adducendo che «lo spostamento della competenza su questa materia è irrazionalmente solo parziale», giacché riguarderebbe unicamente «le ordinanze ed i consequenziali provvedimenti commissariali, ma non i decreti governativi che dichiarano lo stato di emergenza», ovvero rilevando che il Tribunale regionale amministrativo del Lazio (ai sensi, in particolare, del censurato comma 2-quater) «non assume soltanto una nuova competenza funzionale esclusiva di primo grado, ma sembra configurarsi anche come vero e proprio giudice di appello sulle decisioni cautelari di un tribunale periferico, potendo “modificare” o “revocare” le misure cautelari da questo concesse»;

che, tuttavia, in ordine alla presunta disparità di trattamento alla quale le norme in contestazione sottoporrebbero «situazioni eguali di fronte alla tutela giurisdizionale», può in questa sede ribadirsi come sia «proprio l'avvenuta dichiarazione della situazione di emergenza, ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992», a costituire «l'elemento caratterizzante la fattispecie oggetto della censurata disciplina, impedendo, così, di ravvisare quel profilo di omogeneità tra tale ipotesi e quella – con cui essa viene posta a confronto – dell'ordinario esercizio dei poteri amministrativi», profilo che rappresenta, invece, «il presupposto indispensabile ai fini della loro valutazione comparativa» (così la sentenza n. 237 del 2007);

che in relazione, invece, al primo dei profili in base ai quali si ipotizza il difetto di ragionevolezza della contestata disciplina, questa Corte ha rilevato come i giudici rimettenti «non si sono posti alla ricerca di una differente interpretazione» che – «sulla base, peraltro, della semplice lettera della norma» – consenta di ritenere sottoposta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio «anche l'impugnativa dei provvedimenti dichiarativi dello stato di emergenza, qualunque sia il loro ambito territoriale di efficacia, attesa, tra l'altro, la loro natura di atti presupposti» (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007);

che, d'altra parte, quanto al secondo profilo dal quale dovrebbe desumersi, per taluno dei rimettenti, l'irragionevolezza delle norme censurate, è sufficiente rammentare come questa Corte abbia già evidenziato la possibilità di interpretare le stesse «in conformità con quanto previsto dall'art. 21, tredicesimo comma, della legge n. 1034 del 1971; nel senso cioè che l'efficacia del provvedimento cautelare adottato dal Tribunale locale sia destinata a venire meno, in tutto o in parte, non in forza di una revisione da compiersi necessariamente da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il quale in tal modo assumerebbe una anomala funzione di giudice di secondo grado rispetto a provvedimenti emessi da un organo giurisdizionale equiordinato, bensì in forza di una decisione da prendere sulla base degli ordinari presupposti previsti dall'ordinamento del processo amministrativo per la modificazione o revoca di precedenti misure cautelari già concesse» (sentenza n. 237 del 2007);

che, del pari, manifestamente infondata è la censura sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. e motivata, sostanzialmente da tutti i rimettenti, in base all'assunto che la translatio iudicii in favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio violerebbe «il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni»;

che, difatti, la sentenza n. 237 del 2007 ha osservato come il denunciato inconveniente non costituisca un «grave ostacolo» al conseguimento della tutela giurisdizionale, non concretizzando quella condizione di «sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 della Costituzione» suscettibile «di integrare la violazione del citato parametro costituzionale»;

che neppure può accogliersi la censura fondata sulla pretesa violazione dell'art. 25, primo comma, Cost., anch'essa articolata sulla base di diversi e concorrenti argomenti;

che, in proposito, premessa la necessità di riaffermare che la nozione di giudice naturale «corrisponde a quella di “giudice precostituito per legge”» (così la sentenza n. 237 del 2007, che richiama, ex multis, la sentenza n. 460 del 1994), per quanto attiene, in particolare, all'argomento secondo cui «la ripartizione della competenza territoriale tra giudici» deve essere «dettata da normativa del tempo anteriore alla istituzione del giudizio», è sufficiente ribadire che il principio costituzionale del giudice naturale «viene rispettato» allorché «la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall'uno all'altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice “naturale” – che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (sentenza n. 237 del 2007);

che manifestamente privo di fondamento risulta anche il rilievo secondo cui la riforma dei provvedimenti cautelari già assunti, «ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza» – nel rappresentare un «rimedio inedito, che non è di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del già espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilità di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo)» – darebbe luogo ad «un anomalo percorso» che, nella misura in cui «stravolge l'ordinario iter giudiziario», viola il principio del “giudice naturale”;

che, in proposito, è sufficiente ribadire quanto già sopra osservato, e cioè la possibilità di interpretare il testo del censurato comma 2-quater – laddove prevede la modifica o la revoca, da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, del già concesso provvedimento cautelare – «in conformità con quanto previsto dall'art. 21, tredicesimo comma, della legge n. 1034 del 1971»;

che, del pari, è manifestamente infondata la censura concernente la presunta violazione dell'art. 111 Cost., motivata in base all'argomento che le disposizioni censurate, creando «una sorta di gerarchia» tra il Tribunale amministrativo regionale del Lazio e gli altri tribunali, recherebbero un vulnus al principio del “giusto processo”, nonché contravverrebbero alla regola generale applicabile ad ogni giudizio, compreso quello cautelare, secondo cui, ad una sua prima fase, deve seguirne una d'appello, e non già «una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado»;

che in ordine a tale doglianza – a parte, evidentemente, il rilievo che valgono qui le stesse considerazioni svolte circa l'asserita violazione dell'art. 24 Cost. – può ribadirsi, ancora una volta, quanto osservato nella sentenza n. 237 del 2007, ovvero «che tali censure non sono dotate di una propria autonomia rispetto all'ipotizzata violazione dell'art. 125 della Carta fondamentale»;

che neppure può sostenersi – come ipotizzato, in particolare, dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria – che il regime transitorio prefigurato dal censurato comma 2-quater si porrebbe in contrasto con la «portata precettiva» della norma costituzionale suddetta, che mira a salvaguardare anche «l'effettività e la celerità apprestata dalla tutela cautelare»;

che, difatti, tale doglianza (a prescindere dai profili di oscurità che potrebbero indurre a dubitare della sua stessa ammissibilità), nella misura in cui appare diretta a nuovamente censurare – alla stregua di un parametro differente da quelli evocati (art. 3 e 25 Cost.) da altri giudici a quibus – l'asserita “duplicazione” di attività processuali in ordine all'istanza cautelare, trova risposta nella già evidenziata possibilità di interpretare il testo del contestato comma 2-quater «in conformità con quanto previsto dall'art. 21, tredicesimo comma, della legge n. 1034 del 1971»;

che circa, invece, l'ipotizzata violazione dell'art. 113 Cost., è sufficiente ribadire che la «concentrazione presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio del contenzioso de quo neppure ha l'effetto di rendere “oltremodo difficoltosa” la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, evenienza che potrebbe dar luogo al contrasto con l'art. 113 Cost.», articolo, oltretutto, che «interpretato nel suo complesso» non implica affatto che si debba «assicurare in ogni caso contro l'atto amministrativo una tutela giurisdizionale illimitata e invariabile, essendo invece rimesso al legislatore ordinario, per l'esplicito disposto del terzo comma, di regolare i modi e l'efficacia di detta tutela»;

che in relazione, poi, al dedotto contrasto con l'art. 125 Cost., non può che tornarsi a sottolineare che «l'attribuzione della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale, non altera il sistema di giustizia amministrativa», esistendo, nella specie, «ragioni idonee a giustificare la deroga agli ordinari criteri di ripartizione della competenza tra gli organi di primo grado della giustizia amministrativa» (sentenza n. 237 del 2007);

che, difatti, tali ragioni sono state individuate – sempre nella citata sentenza – «nel peculiare regime che connota le situazioni di emergenza – e particolarmente quelle di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992», atteso che, ricorrendo tale evenienza, «i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati sono atti dell'amministrazione centrale dello Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del Governo) finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, e ciò in ragione tanto della rilevanza delle stesse, quanto della straordinarietà dei poteri necessari per farvi fronte»;

che, infine, neppure può ravvisarsi la denunciata violazione dell'art. 23 dello statuto della Regione Siciliana, dedotta dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, in base all'assunto che l'impugnativa dei «provvedimenti adottati da organi dello Stato centrale, nelle situazioni di emergenza» rientra certamente tra quegli «affari concernenti la Regione» che, ai sensi della predetta disposizione statutaria, sarebbero devoluti, in sede di appello, alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa;

che, difatti, la già più volte citata sentenza n. 237 del 2007 ha chiarito che la predetta norma statutaria «stabilisce soltanto che gli organi giurisdizionali centrali debbano avere in Sicilia le sezioni per gli affari concernenti la regione», sicché «l'attribuzione della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale, non viola l'art. 23 dello statuto siciliano»;

che, pertanto, non essendo state prospettate – in relazione a nessuna delle censure formulate dai giudici rimettenti – argomentazioni nuove, rispetto a quelle già esaminate da questa Corte, si impone, nel caso di specie, la declaratoria di manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater (norma, quest'ultima, censurata da tutti i rimettenti salvo quello calabrese), del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi inseriti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, sollevate – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 24, 25, 111, 113 e 125 della Costituzione, e all'art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (parametro, quest'ultimo, evocato solo dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania) – dai Tribunali amministrativi regionali del Veneto, della Campania, sede di Napoli, della Calabria, sede di Catanzaro, della Liguria e della Sicilia, sezione staccata di Catania, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2007.

Il Cancelliere

F.to: MILANA