Le nostre riforme costituzionali
dell\'Avv. Stefano Palmisano
dell\'Avv. Stefano Palmisano
La recentissima sentenza della Corte Costituzionale (n. 10\\2009) con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima l’intera legge della Regione Puglia n. 31/10/2007, n. 29, in materia di “Disciplina per lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, prodotti al di fuori della Regione Puglia, che transitano nel territorio regionale e sono destinati a impianti di smaltimento siti nella Regione Puglia”, abbatte uno strumento di difesa delle popolazioni pugliesi dall’invasione della spazzatura “speciale, pericolosa e non pericolosa,” prodotta in ogni parte d’Italia.
Tra le motivazioni giuridiche del provvedimento in questione spicca quella per cui, in giurisprudenza, “mentre da un lato si è statuito che, alla stregua del principio di autosufficienza stabilito espressamente, ora, dall\'art. 182, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006 [….] il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale è applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi, dall\'altro, invece, si è affermato che il principio dell\'autosufficienza locale ed il connesso divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale non possono valere né per quelli speciali pericolosi [….], né per quelli speciali non pericolosi [….]. Si è, infatti, rilevato che per tali tipologie di rifiuti non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile ‘individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l\'obiettivo della autosufficienza nello smaltimento.’”
Ma, l’aspetto più preoccupante di questa sentenza è il corollario di questo assunto: quello per il quale “con particolare riguardo al trasporto dei rifiuti, poi, questa Corte ha escluso che le Regioni, sia ad autonomia ordinaria, sia ad autonomia speciale, possano adottare misure volte ad ostacolare ‘in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni’ [….] e ha reiteratamente ribadito ‘il vincolo generale imposto alle Regioni dall\'art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura atta ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le Regioni’”.
L’elemento di maggiore preoccupazione suscitato da questa parte del provvedimento sta nel considerare pacificamente “rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi” come normali “cose”, alla stregua, cioè, di qualsiasi altra merce.
In tal senso, infatti, non occorre una particolare immaginazione per prevedere che la pur apparentemente ragionevole osservazione della Corte sopra riportata, per la quale i rifiuti speciali, pericolosi e non, non possono esser confinati in “un ambito territoriale ottimale….” è destinata, nei fatti, a far ripartire colonne di autocarri provenienti da ogni parte dello Stivale (tendenzialmente, però, dalla parte alta dello stesso) e carichi di ogni bendiddio da discarica alla volta di questa regione.
Viaggi, com’è anche in tal caso agevolmente ricavabile da chiunque, che costituiscono un rischio non solo per i territori meta del carico di spazzatura speciale, pericolosa e non, ma anche, potenzialmente, per quelli di transito dello stesso.
Insomma, dopo la breve speranza di difesa della dignità e della salute pubblica di questa regione, almeno sul fronte rifiuti speciali “esogeni”, costituita dall’entrata in vigore della legge 29\\2007 (che, peraltro, non introduceva affatto un divieto assoluto all’ingresso sul territorio regionale delle “cose” in questione, ma solo un principio di assoluto buon senso per il quale era consentito lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi extraregionali “a condizione che quelli siti nella regione Puglia” fossero “gli impianti di smaltimento appropriati più vicini al luogo di produzione dei medesimi rifiuti speciali”), oggi vasti territori pugliesi si accingono a tornare potenziali immondezzai d’Italia.
Sarebbe interessante, in tal senso, laddove mai fosse possibile, verificare se il legislatore costituente avrebbe effettivamente voluto dare all’art. 120, 1° c., Cost un ambito di applicabilità così esteso, se avesse potuto immaginare che quella interpretazione avrebbe finito per avallare oggettivamente un uso di ampie parti di territorio nazionale (più o meno regolarmente collocate nella parte bassa dello stesso) come vero e proprio tappeto sotto il quale buttare l’immondizia, peraltro “speciale pericolosa e non pericolosa”, di altri pezzi d’Italia.
Comunque, il caso specifico che ci occupa, risolto dalla Consulta, condivisibilmente o meno, nel modo sopra illustrato sulla scorta dell’art. 120, 1° c., Cost., costituisce un ottimo esempio di necessità di riforme costituzionali “sane”, perché utili effettivamente alla tutela della salute e della (qualità della) vita della stragrande maggioranza degli abitanti (cittadini o no) di questo Paese, e non, more solito, a quella degli interessi (di regola abbastanza sporchi) di lorsignori e dei loro stretti sodali.
Quando gli intellettuali e le persone “Costituzionalmente orientate” affermano che la Costituzione non abbisogna di presunte “riforme” (di chiara ispirazione piduista, o comunque sabotatrice), ma solo di aggiornamenti – integrazioni anche del catalogo dei diritti inalienabili, che servano a completare e ad attualizzare quelli già mirabilmente contenuti nei “principi fondamentali” della Carta, innanzitutto a questo ambito si riferiscono: alla tutela dell’ambiente assunta come valore fondativo e prioritario dello Stato e della società italiana.
Nella nostra Carta costituzionale, infatti, la stessa parola “ambiente” non compare mai, ma, al massimo, si parla di “tutela del paesaggio” (art. 9, 2° c). E, per quanto, apprezzabilmente la giurisprudenza, anche quella costituzionale, abbia ormai creato il “diritto all’ambiente”, ancorandolo saldamente anzitutto all’art. 32 che statuisce la “tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, è di tutta evidenza che un formale inserimento, per la principale via legislativa, di quel diritto nella griglia di quelli fondamentali otterrebbe un notevole, tonificante effetto di maggiore tutela, a tutti i livelli, del bene ambiente stesso.
Siccome, nel “dibattito sulle riforme” fra i cosiddetti “addetti ai lavori” fa molta tendenza indicare un modello costituzionale di riferimento tra quelli vigenti nei Paesi esteri, assai modestamente chi scrive si permette di segnalarne uno assolutamente illuminato ed illuminante in tal senso: la nuova costituzione dell’Ecuador votata il 28 settembre 2008 a larga maggioranza dalla popolazione ecuadoriana.
Una Costituzione, la prima nella storia, in cui vengono riconosciuti i diritti della natura insieme a quelli delle persone e della collettività.
Diritti della natura affermati come uno dei presupposti per il «buen vivir»: un concetto chiave, nel testo costituzionale ecuadoriano.
Forse, una riforma costituzionale “all’ecuadoriana” (che riguardasse, per l’appunto, tra gli altri, l’art. 120, 1° c., Cost.) non avrebbe lo stesso appeal nel su citato, più o meno autorevole, “dibattito sulle riforme”.
Di sicuro, per i territori e le popolazioni di questo Paese (a partire, come nel caso in questione, da quelle meridionali) avrebbe una maggiore utilità.
Fasano, 16\\2\\2009
Stefano Palmisano
Tra le motivazioni giuridiche del provvedimento in questione spicca quella per cui, in giurisprudenza, “mentre da un lato si è statuito che, alla stregua del principio di autosufficienza stabilito espressamente, ora, dall\'art. 182, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006 [….] il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale è applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi, dall\'altro, invece, si è affermato che il principio dell\'autosufficienza locale ed il connesso divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale non possono valere né per quelli speciali pericolosi [….], né per quelli speciali non pericolosi [….]. Si è, infatti, rilevato che per tali tipologie di rifiuti non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile ‘individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l\'obiettivo della autosufficienza nello smaltimento.’”
Ma, l’aspetto più preoccupante di questa sentenza è il corollario di questo assunto: quello per il quale “con particolare riguardo al trasporto dei rifiuti, poi, questa Corte ha escluso che le Regioni, sia ad autonomia ordinaria, sia ad autonomia speciale, possano adottare misure volte ad ostacolare ‘in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni’ [….] e ha reiteratamente ribadito ‘il vincolo generale imposto alle Regioni dall\'art. 120, primo comma, della Costituzione, che vieta ogni misura atta ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le Regioni’”.
L’elemento di maggiore preoccupazione suscitato da questa parte del provvedimento sta nel considerare pacificamente “rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi” come normali “cose”, alla stregua, cioè, di qualsiasi altra merce.
In tal senso, infatti, non occorre una particolare immaginazione per prevedere che la pur apparentemente ragionevole osservazione della Corte sopra riportata, per la quale i rifiuti speciali, pericolosi e non, non possono esser confinati in “un ambito territoriale ottimale….” è destinata, nei fatti, a far ripartire colonne di autocarri provenienti da ogni parte dello Stivale (tendenzialmente, però, dalla parte alta dello stesso) e carichi di ogni bendiddio da discarica alla volta di questa regione.
Viaggi, com’è anche in tal caso agevolmente ricavabile da chiunque, che costituiscono un rischio non solo per i territori meta del carico di spazzatura speciale, pericolosa e non, ma anche, potenzialmente, per quelli di transito dello stesso.
Insomma, dopo la breve speranza di difesa della dignità e della salute pubblica di questa regione, almeno sul fronte rifiuti speciali “esogeni”, costituita dall’entrata in vigore della legge 29\\2007 (che, peraltro, non introduceva affatto un divieto assoluto all’ingresso sul territorio regionale delle “cose” in questione, ma solo un principio di assoluto buon senso per il quale era consentito lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi extraregionali “a condizione che quelli siti nella regione Puglia” fossero “gli impianti di smaltimento appropriati più vicini al luogo di produzione dei medesimi rifiuti speciali”), oggi vasti territori pugliesi si accingono a tornare potenziali immondezzai d’Italia.
Sarebbe interessante, in tal senso, laddove mai fosse possibile, verificare se il legislatore costituente avrebbe effettivamente voluto dare all’art. 120, 1° c., Cost un ambito di applicabilità così esteso, se avesse potuto immaginare che quella interpretazione avrebbe finito per avallare oggettivamente un uso di ampie parti di territorio nazionale (più o meno regolarmente collocate nella parte bassa dello stesso) come vero e proprio tappeto sotto il quale buttare l’immondizia, peraltro “speciale pericolosa e non pericolosa”, di altri pezzi d’Italia.
Comunque, il caso specifico che ci occupa, risolto dalla Consulta, condivisibilmente o meno, nel modo sopra illustrato sulla scorta dell’art. 120, 1° c., Cost., costituisce un ottimo esempio di necessità di riforme costituzionali “sane”, perché utili effettivamente alla tutela della salute e della (qualità della) vita della stragrande maggioranza degli abitanti (cittadini o no) di questo Paese, e non, more solito, a quella degli interessi (di regola abbastanza sporchi) di lorsignori e dei loro stretti sodali.
Quando gli intellettuali e le persone “Costituzionalmente orientate” affermano che la Costituzione non abbisogna di presunte “riforme” (di chiara ispirazione piduista, o comunque sabotatrice), ma solo di aggiornamenti – integrazioni anche del catalogo dei diritti inalienabili, che servano a completare e ad attualizzare quelli già mirabilmente contenuti nei “principi fondamentali” della Carta, innanzitutto a questo ambito si riferiscono: alla tutela dell’ambiente assunta come valore fondativo e prioritario dello Stato e della società italiana.
Nella nostra Carta costituzionale, infatti, la stessa parola “ambiente” non compare mai, ma, al massimo, si parla di “tutela del paesaggio” (art. 9, 2° c). E, per quanto, apprezzabilmente la giurisprudenza, anche quella costituzionale, abbia ormai creato il “diritto all’ambiente”, ancorandolo saldamente anzitutto all’art. 32 che statuisce la “tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, è di tutta evidenza che un formale inserimento, per la principale via legislativa, di quel diritto nella griglia di quelli fondamentali otterrebbe un notevole, tonificante effetto di maggiore tutela, a tutti i livelli, del bene ambiente stesso.
Siccome, nel “dibattito sulle riforme” fra i cosiddetti “addetti ai lavori” fa molta tendenza indicare un modello costituzionale di riferimento tra quelli vigenti nei Paesi esteri, assai modestamente chi scrive si permette di segnalarne uno assolutamente illuminato ed illuminante in tal senso: la nuova costituzione dell’Ecuador votata il 28 settembre 2008 a larga maggioranza dalla popolazione ecuadoriana.
Una Costituzione, la prima nella storia, in cui vengono riconosciuti i diritti della natura insieme a quelli delle persone e della collettività.
Diritti della natura affermati come uno dei presupposti per il «buen vivir»: un concetto chiave, nel testo costituzionale ecuadoriano.
Forse, una riforma costituzionale “all’ecuadoriana” (che riguardasse, per l’appunto, tra gli altri, l’art. 120, 1° c., Cost.) non avrebbe lo stesso appeal nel su citato, più o meno autorevole, “dibattito sulle riforme”.
Di sicuro, per i territori e le popolazioni di questo Paese (a partire, come nel caso in questione, da quelle meridionali) avrebbe una maggiore utilità.
Fasano, 16\\2\\2009
Stefano Palmisano