Oneri di bonifica del subentrante
(nota a TAR Veneto 1599\2022)

di Maurizio LUCCA

Massima

La sez. III del TAR Veneto, con la sentenza del 19 ottobre 2022 n. 1599, interviene per ribadire che l’onere di bonifica incombe sul responsabile dell’inquinamento, anche in caso di cessione della titolarità (subentro) nell’esercizio dell’attività che ha prodotto la contaminazione del suolo.

Il ricorso

Il ricorso, nella sua essenzialità, viene promosso contro una determinazione della Provincia nella parte in cui attribuisce alla società ricorrente (che era subentrata ad un precedente assegnatario) la responsabilità della contaminazione di un’area, già oggetto di concessione (produzione di gas da carbone), rientrata nella disponibilità di un Ente locale e successivamente dismessa mediante asta pubblica.

L’aggiudicatario del bene segnalava un presunto inquinamento ambientale dell’area, seguiva procedimento di identificazione del responsabile (appurato l’inquinamento) e sua messa in mora per la bonifica (una serie di attività con effetto immediato e a predisporre entro trenta giorni un piano di caratterizzazione) 1 attribuibile al soggetto già concessionario dell’area pubblica (ossia, del titolare della produzione di gas da carbone fossile).

La parte ricorrente tra le diverse illegittimità segnalate rileva:

  • un difetto di un’approfondita istruttoria volta a individuare il responsabile dell’inquinamento 2, che è il soggetto a cui possono essere imposti gli oneri connessi con la bonifica (ricadendo, pertanto, nel precedente concessionario) 3;

  • la non corretta determinazione dei parametri propri delle aree residenziali, nonostante l’area utilizzata avesse destinazione industriale, non potendo essere chiamata a sostenere i costi per l’eliminazione dell’inquinamento nel rispetto dei parametri di un’area residenziale.

La difesa

Dal quadro e dai diversi ricorsi connessi, il GA si dovrebbe soffermare sulla declaratoria di illegittimità dei provvedimenti impugnati in ragione dell’imputazione degli oneri di bonifica alla sola società concessionaria (l’ultimo concessionario), in relazione a un inquinamento che può ragionevolmente derivare anche dall’esercizio dell’attività di produzione del gas da carbone fossile svolta da un soggetto diverso (il precedente concessionario) e prima dell’entrata in vigore del codice dell’ambiente.

In termini diversi, se il precedente concessionario (non la parte ricorrente) risulta responsabile dell’inquinamento ne deriva l’impossibilità di ogni addebito in quanto l’attività risulterebbe cessata molto prima dell’entrata in vigore della normativa sull’inquinamento dettata dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e, quindi, non avrebbe potuto trasferire una responsabilità che non è mai sorta in capo alla stessa 4.

La responsabilità del subentrante

Ciò posto, il Tribunale viene chiamato a decidere « unicamente con riferimento all’impugnazione degli atti nella parte in cui le Amministrazioni resistenti hanno identificato … (la ricorrente) quale unico soggetto responsabile della contaminazione del sito …, diffidandola a porre in essere una serie di attività », meglio illustrate nel ricorso.

Il GA disattende le motivazioni del ricorso respingendolo, con condanna alle spese, sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • in via di fatto, il primo concessionario del bene è stato incorporato dall’ultimo concessionario, ossia è subentrato in tutti i rapporti, compresa la responsabilità per l’inquinamento dell’area;

  • la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma « che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento »5;

  • gli effetti giuridici e gli obblighi di bonifica si trasmettono alla società costituitasi per fusione o incorporazione, che è successore universale della società estinta;

  • la conseguenza pratica impone di affermare che « nemmeno la risalenza nel tempo delle condotte potenzialmente inquinanti può esimere dall’obbligo, attuale, di rimozione dell’inquinamento che supera i limiti dell’accettabilità in relazione al tipo di area » interessata.

Le contaminazioni storiche

In proposito, non sfugge che il pronunciamento si allinea al principio “chi inquina paga6, sotteso alla disciplina nazionale dettata in tema di distribuzione degli oneri conseguenti alla contaminazione di aree (si tratta, in particolare, della Parte IV - Titolo V del codice dell’ambiente, ossia gli artt. 240 e ss.), deve essere riconosciuta, anche in ragione della derivazione euro-unitaria del principio medesimo (artt. 191 e 192 del TFUE), valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio 7.

La sentenza rimarca, richiamando una serie di precedenti 8, che le norme in materia di obblighi di bonifica non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente (neutra) a fronte del permanere dell’inquinamento 9: deve ribadirsi che il comma 1, dell’art. 242,Procedure operative ed amministrative, del codice dell’ambiente ( ex d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152), nel fare riferimento specifico anche alle “contaminazioni storiche” (« che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione »), ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (recte, conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di “ aggravamento della situazione” sia ancora attuale (il comma 2, del cit. art., in questo senso prevede che « i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo »)10.

In effetti, in presenza delle c.d. “contaminazioni storiche”, il Tribunale ammette l’incongruenza se non l’arbitrarietà nel limitare l’applicazione della norma alle sole contaminazioni che si siano verificate dopo l’entrata in vigore del codice dell’ambiente, o dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 1997, visto che per primo disciplinò gli obblighi di bonifica; d’altronde, viene osservato, che l’aggettivo “storiche” rimanda, anche da un punto di vista semantico, a contaminazioni verificatesi in epoca remota, tali appunto da appartenere non all’attualità, ma alla storia Patria.

Risponde a queste valutazioni la piena legittimità di una ordinanza comunale per la rimozione, smaltimento e recupero di rifiuti depositati in un’area di un complesso industriale che sia stata emessa nei confronti del proprietario acquirente del medesimo complesso, a nulla rilevando la preesistenza dei rifiuti rispetto all’acquisto dell’immobile poiché non si tratta, in tal caso, del proprietario del terreno sul quale siano stati abbandonati rifiuti di proprietà di terzi, ma del proprietario degli stessi rifiuti, acquistati unitamente al compendio aziendale, e che in tale qualità diviene responsabile dell’ulteriore protrazione dello stato di abbandono dei medesimi, e sul quale, pertanto, grava l’obbligo legale previsto dall’art. 192 d.lgs. 152/2006 di provvedere alla loro rimozione e smaltimento in qualità sia di “proprietario” degli stessi che di “(cor)responsabile” del loro abbandono 11.

Brevi osservazioni

A ben vedere, il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali, si potrebbe argomentare, configurava già all’epoca un illecito: il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione di gas su scala industriale (ex art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione (di fatto non avvenuta).

Si deve, inoltre, rilevare che la tutela del paesaggio e dell’ambiente è affidata in primis al primo livello di “ Governo del territorio”, ovvero al Comune, esprimendo un collegamento diretto tra popolazione insediata e il suo spazio vitale, dove la nuova versione (con l’aggiunto comma) dell’art. 9 Cost. 12, esprime al meglio questa proiezione “ecologica”, in chiave di massima tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, « anche nell’interesse delle future generazioni», proiettando questa visione (quasi etica) in un sistema che produce “valore pubblico” nelle sue più estese formulazioni di tutela, da includere quella di diritto fondamentale della persona (in coordinamento con l’art. 32 Cost.) 13.

In dipendenza di ciò, l’ambiente oggetto di protezione costituzionale diretta (ex art. 9) ed indiretta (ex art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che impongono l’ascrizione all’area dell’illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere nello svolgimento di attività già per loro natura intrinsecamente pericolose e nell’ambito di un’iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della “utilità sociale” (ex art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell’ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla “ utilità sociale”.

Ne consegue che il danno all’ambiente (inteso quale diminuzione della relativa integrità, anche mediante l’immissione, il rilascio o l’abbandono di sostanze non bio-degradabili) era ab imis ed ab origine ingiusto: l’obbligo di bonifica (nel caso di specie) viene confermato non potendo giustificarsi in ragione di una diversa formulazione giuridica del soggetto subentrante in linea di continuità con il responsabile (quasi una inaspettata banalità di pensiero).

Giova allora rammentare che in materia di responsabilità penale per contaminazioni ambientali, in quanto in materia penale i principi di irretroattività del reato e della pena si impongono in termini assoluti e stringenti, mentre gli obblighi di bonifica previsti dal Titolo IV del Codice dell’ambiente non hanno finalità sanzionatoria di una condotta pregressa, bensì natura riparatoria e ripristinatoria in relazione ad una situazione di (ancora) attuale inquinamento 14.

1 La preliminare messa in sicurezza del sito inquinato costituisce una misura idonea ad evitare ulteriori danni e la diffusione dei fenomeni di inquinamento ambientale e rientra pertanto nel genus delle misure precauzionali: non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, tale misura, data la sua sostanziale natura di atto urgente, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile, TAR Campania, Napoli, sez. V, 4 giugno 2020, n. 2203.

2 Vedi, LUCCA, Ordinanza di bonifica sito inquinato e obblighi partecipativi, segretaricomunalivighenzi.it, 25 agosto 2020, dove si osserva che in carenza di urgenza, che ne giustifichi l’omissione, il contradittorio è richiesto proprio per il profilo soggettivo della responsabilità solidale, a titolo di dolo o di colpa, non essendo sufficiente a tal fine un mero scambio epistolare tra le parti, TAR Puglia, Lecce, sez. II, 20 febbraio 2020, n. 246.

3 Viene richiamata la sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, 28 gennaio 2008, n. 89, dove si sottolinea l’assoluta inconferenza di eventuali accordi transattivi per la ripartizione di costi ed obblighi relativamente alla contaminazione di un’area ceduta; accordi con i quali una parte si sarebbe assunta gli oneri dell’eventuale bonifica dell’area stessa, posto che l’ambito privatistico delle relazioni tra due soggetti è insuscettibile di interagire con lo speciale procedimento di bonifica ambientale: l’obbligo di bonifica è posto, dunque, in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare, mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera «facoltà» di effettuare interventi di bonifica.

4 L’individuazione della responsabilità per l’inquinamento di un sito si basa sul criterio causale del “più probabile che non”; è sufficiente che l’effettiva esistenza del nesso ipotizzato dall’Amministrazione sia più probabile della sua negazione: in altre parole, è sufficiente che la validità dell’ipotesi eziologica formulata dall’Amministrazione sia superiore al cinquanta per cento, Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668 e 18 dicembre 2018, n. 7121.

5 Cons. Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 10 del 2019.

6 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2021, n. 5542, tale principio è mitigato, ai sensi dell’art. 245, Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione , del d.lgs. n. 152/2006, nell’ipotesi di assunzione volontaria degli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale. In questo caso, il proprietario, seppur non obbligato, assume spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, presumibilmente motivato dalla necessità di evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area (inquinata) di onere reale e di privilegio speciale immobiliare ovvero, più in generale, di tutelarsi contro una situazione di incertezza giuridica, prevenendo eventuali responsabilità penali o risarcitorie. Ad ogni modo, nel caso di bonifica spontanea di un sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute, « a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall’identificazione del responsabile dell’inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà ».

7 Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225.

8 TAR Veneto, sez. III, sentenze n. 255/2014 e n. 313/2017; Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 2020, n. 2195; sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; sez. IV, 7 maggio 2019, n. 2926; Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32142.

9 Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 2021, n. 7709.

10 Cons. Stato, sez. IV, 1° febbraio 2022, n. 677.

11 TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 8 settembre 2022, n. 829.

12 Legge Cost., 11 febbraio 2022, n. 1, Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente . L’art. 9 Cost. esprime un forte collegamento funzionale tra la tutela dell’ambiente e la pianificazione paesaggistica e territoriale, esercitate di concerto da Stato e Regione, al fine di assicurare un impiego del bene a beneficio della collettività locale che ne rimane intestataria e titolare, Corte Cost., sentenza n. 210 del 2014

13 Vedi, per un attento commento, PIEROBON, Le modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione: tra nobiltà dei fini e pateracchi , Comuni d’Italia, 2022, n. 3, ove si conclude osservando i toni del bilanciamento dello sviluppo sostenibile e durevole: un «Green New Deal la nuova economia di mercato, dove la possenza dell’ambiente, nella sua dimensione intergenerazionale e nella sua limitazione di mercato, assume un diverso modello di sviluppo – progresso ».

14 Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668.



Pubblicato il 19/10/2022

N. 01599/2022 REG.PROV.COLL.

N. 01604/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1604 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Italgas - Società Italiana per il Gas P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luca Raffaello Perfetti, Domenico Ielo, Alessio Minutoli e Marco Reggiani, con domicilio eletto presso lo studio Mariagrazia Romeo in Venezia, viale Ancona 17;

contro

Provincia di Verona, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Sartori e Isabella Sorio, con domicilio eletto presso lo studio Antonio Sartori in Venezia, San Polo, 2988;
Comune di Legnago, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Prati, con domicilio eletto presso lo studio Federica Ostan in Marghera, via delle Industrie, 19/C Palazzo L;
Azienda Ulss n. 21 Legnago, Arpa - Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Veneto - Vr, Regione Veneto, U.T.G. - Prefettura di Verona, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Società D.M.D. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gian Paolo Sardos Albertini, Nicoletta Scaglia e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio Franco Zambelli in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;

per l'annullamento

per quanto attiene al ricorso introduttivo:

- della determinazione del settore ambiente della Provincia di Verona del 2 agosto 2013, n. 3539, nella parte in cui attribuisce alla società ricorrente la responsabilità della contaminazione dell'area (denominata “ex Italgas”) in Comune di Legnago;

ove occorrer possa:

- della nota della Provincia di Verona prot. n. 40387 del 16 aprile 2013, di avvio del procedimento;

- della Determinazione dirigenziale del Comune di Legnago n. 226 del 14 ottobre 2013, di presa d’atto degli esiti della conferenza di servizi del 30 settembre 2013;

- della nota del Comune di Legnano prot. n. 30723 del 23 ottobre 2013, di avvio del procedimento amministrativo per gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dell’area “ex Italgas”;

- di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque collegato a quello impugnato;

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti:

- della determinazione n. 79/2014, del 25 marzo 2014, nella parte in cui ha disposto che l’Analisi di rischio verifichi gli scenari di esposizione in essa definiti e il modello concettuale definitivo includa i percorsi di migrazione delle sorgenti di contaminazione ai bersagli individuati nello scenario attuale (sito in esercizio) e nello scenario futuro (in caso di riqualificazione dell'area) previsto nella variante al P.r.g.;

ove occorre:

-- della nota del Comune di Legnago del 28 marzo 2014, di trasmissione della determinazione dirigenziale n. 79 del 25 marzo 2014, ricevuta il 15 aprile 2014, contenente le medesime prescrizioni;

- del verbale della conferenza di servizi del 26 febbraio 2014, allegato alla determinazione dirigenziale n. 79 del 25 marzo 2014, avente ad oggetto l'esame e la formulazione del parere sul piano della caratterizzazione presentato da Italgas;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti:

- della determinazione dirigenziale n. 170/2014 dell’1 luglio 2014, nella parte in cui ha chiesto di determinare e presentare agli enti competenti le c.d. Concentrazioni soglia di rischio per lo scenario attuale sulla base delle ipotesi fatte nella modalità più cautelativa (senza pavimentazione) e valutato secondo il PRG comunale vigente;

ove occorrer possa:

- della nota del Comune di Legnago del 7 luglio 2014 di trasmissione della suddetta determinazione;

- del verbale della conferenza di servizi del 27 giugno 2014, avente ad oggetto l’esame e la formulazione del parere sull’analisi di rischio;

- di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque collegato a quello impugnato;

per quanto attiene al terzo ricorso per motivi aggiunti:

- della determinazione dirigenziale n. 298/2014 del 25 novembre 2014, nella parte in cui ha approvato il documento di analisi di rischio per la parte relativa allo scenario attuale (sito in esercizio) sulla base delle ipotesi fatte nella modalità più cautelativa (senza pavimentazione) e valutato secondo il PRG comunale vigente;

ove occorrer possa:

- della nota del Comune di Legnago del 16 dicembre 2014 di trasmissione della suddetta determinazione;

- del verbale della conferenza di servizi del 11 novembre 2014, avente ad oggetto l’esame e la formulazione del parere sull’analisi di rischio;

- di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque collegato a quello impugnato;

quanto al quarto ricorso per motivi aggiunti:

- della determinazione dirigenziale n. 829/2015 del 16 ottobre 2015, nella parte in cui ha approvato il progetto di bonifica proposto da Italgas per l’area di viale dei Caduti di Legnano;

ove occorrer possa:

- della nota del Comune di Legnago del 26 ottobre 2015, di trasmissione della suddetta determinazione;

- del verbale della conferenza di servizi del 1 settembre 2015, avente ad oggetto l’esame e la formulazione del parere sull’analisi di rischio;

- di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque collegato a quello impugnato.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Verona, del Comune di Legnago e della Società D.M.D. S.r.l.;

Visti gli artt. 35, co. 1, lett. c, e 85, co. 9, cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2022 la dott.ssa Mara Bertagnolli, lette le note d’udienza di parte ricorrente, della Provincia di Verona e della Società DMD s.r.l. e udito il procuratore del Comune resistente, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Italgas Società Italiana per il gas p.a. (di seguito solo Italgas) è subentrata, a metà degli anni ’30 del secolo XX, nella concessione per lo sfruttamento di un’area di proprietà del Comune di Legnago su cui, sin dal 1899, la società Carlo Camuzzi di Milano ha realizzato un impianto per la produzione di gas da carbone. Attività che Italgas ha proseguito fino al 1960.

Nel 2003, scaduta la concessione, l’area è ritornata nella disponibilità del Comune che, dopo aver realizzato un parcheggio pubblico sulle aree libere e aver modificato la destinazione urbanistica dell’intero compendio in residenziale, l’ha messa sul mercato nell’ambito di un’operazione di dismissione di beni pubblici.

La società D.M.D. s.r.l. che si è aggiudicata l’asta ha evidenziato possibili problemi di inquinamento dell’area stessa, che hanno indotto il Comune a rappresentare alla Provincia che la sopra descritta attività di produzione di gas da carbone fossile potrebbe essere stata la causa della presunta contaminazione del terreno, peraltro “storica” e, dunque, non necessitante dell’adozione di misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’urgenza.

La Provincia ha dato avvio a un procedimento per l’identificazione del responsabile del potenziale inquinamento ai sensi degli artt. 244 e 245 del d. lgs. 152 del 2006, comunicando l’avvio del procedimento stesso a Italgas.

A conclusione dell’attività istruttoria, con la determinazione n. 3539 del 2013, impugnata con il ricorso introduttivo, la Provincia di Verona ha ritenuto che il rilevato inquinamento dovuto al superamento dei livelli di concentrazione degli inquinanti per i parametri relativi agli idrocarburi fosse ascrivibile all’attività di produzione di gas da carbone e che il responsabile della potenziale contaminazione fosse Italgas, che è stata, quindi, diffidata a porre in essere una serie di attività con effetto immediato e a predisporre entro trenta giorni un piano di caratterizzazione.

Italgas ha immediatamente rappresentato come tale provvedimento fosse, a suo parere, illegittimo, in quanto non avrebbe tenuto conto della corresponsabilità della società Camuzzi, avrebbe effettuato la valutazione assumendo a riferimento i parametri previsti per le aree residenziali e non per quelle industriali e avrebbe prescritto l’immediata adozione di misure di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza nonostante l’acclarata natura storica della contaminazione.

Tali osservazioni sono state in parte accolte dalla conferenza di servizi all’uopo convocata, in particolare ritirando la prescrizione dell’adozione di misure di prevenzione e messa in sicurezza, ma in assenza di un nuovo provvedimento, Italgas ha, in via cautelativa impugnato la determinazione n. 3539/2013 deducendo:

1. violazione e falsa applicazione degli articoli 240 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonché dell’art. 3 ter dello stesso d. lgs. e dell’art. 174 del Trattato CE e conseguente difetto di istruttoria e motivazione: norme che impongono un’approfondita istruttoria volta a individuare il responsabile dell’inquinamento, che è il soggetto a cui possono essere imposti gli oneri connessi con la bonifica. Nella fattispecie in esame sarebbe totalmente mancata la considerazione della corresponsabilità della società Camuzzi, la quale non avrebbe potuto essere esclusa nemmeno laddove vi fosse stato un accordo contrattuale in tale senso (TAR Friuli Venezia Giulia, 89/2008). Peraltro, poiché la società Camuzzi si è estinta negli anni ’30 e, dunque, prima dell’entrata in vigore del d. lgs 22/1997, non poteva essere ritenuta responsabile della violazione della normativa che sanziona l’inquinamento entrata in vigore solo dopo la sua estinzione. Conseguentemente non poteva essere trasferita a Italgas una responsabilità che non esisteva in capo alla dante causa;

2. eccesso di potere per contraddittorietà tra varie parti del provvedimento, dal momento che si dà conto dell’attività svolta da Camuzzi, ma si individua come unico responsabile Italgas;

3. violazione e falsa applicazione degli articoli 240 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonché degli allegati 2 e 5 alla parte IV dello stesso d. lgs. e dell’art. 3 ter dello stesso d. lgs. e dell’art. 174 del Trattato CE e dell’art. 11 delle preleggi e 1 della legge n. 689 del 1981. La Provincia avrebbe illegittimamente imposto di utilizzare, nel condurre l’indagine ambientale, il riferimento ai parametri propri delle aree residenziali, nonostante l’area utilizzata da Italgas avesse destinazione industriale e, dunque, la responsabilità della stessa dovrebbe essere valutata verificando se l’attività svolta abbia determinato un inquinamento delle aree che supera le soglie di concentrazione previste per tale tipologia di area e non per la destinazione dell’area futura, impressa all’area dal Comune solo dopo la cessazione dell’attività produttiva, pena la violazione del principio di irretroattività della legge più sfavorevole;

4. violazione e falsa applicazione degli articoli 240 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e travisamento dei fatti e incongruenza della motivazione in relazione alla prescrizione della adozione immediata di non meglio precisate misure di prevenzione e messa in sicurezza nonostante l’eventuale contaminazione sia di tipo “storico” e non sia stato evidenziato alcun pericolo di ulteriore inquinamento.

Il 27 giugno 2014, Italgas ha depositato il primo ricorso per motivi aggiunti, con cui sono stati impugnati i provvedimenti adottati successivamente al compimento, pur senza prestare acquiescenza, degli incombenti relativi alla presentazione di una relazione tecnico-descrittiva delle indagini ambientali proposte, finalizzata a definire l’eventuale estensione e il livello di inquinamento nelle matrici ambientali e a ottenere i necessari parametri per elaborare la Analisi di rischio per le sorgenti di potenziale inquinamento individuate. Relazione che ha individuato un superamento dei limiti sia per le aree residenziali, che per quelle industriali.

Con la nuova determinazione, infatti, il Comune, nel ribadire quanto prescritto nel precedente ordine, ha imposto di riferire l’Analisi di rischio al progetto di sviluppo immobiliare dell’area medio tempore approvato con variante al PRG.

Italgas ha, quindi, in attesa di definire i termini della questione, proposto sia la soluzione conforme al Codice ambiente (rectius: l'unica soluzione legittima, ossia il confronto con i limiti per le aree industriali) sia l'ipotesi richiesta dal Comune (la futura esecuzione degli interventi edilizi): nel primo caso i volumi di terreno da scavare sono stati individuati in misura pari a circa 3.000 metri cubi, mentre nel secondo sono stati stimabili in circa 12.000 metri cubi.

La società ha, pertanto, proposto alla conferenza di servizi un’Analisi di rischio basata sui parametri previsti per le aree industriali, ma non avendo ottenuto riscontro sull’adeguatezza di tale metodo, prima dello spirare dei termini per l’impugnazione della determina n. 79/2014 e dei relativi atti presupposti, ha notificato il primo ricorso per motivi aggiunti deducendo:

1.1. violazione e falsa applicazione degli articoli 240 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, degli allegati 1 e 2 alla parte IV dello stesso d. lgs., nonché dell’art. 3 ter dello stesso d. lgs. e dell’art. 174 del Trattato CE. Il provvedimento avrebbe un contenuto del tutto indeterminato. Esso, infatti, impone che l'Analisi di rischio verifichi "gli scenari di esposizione in essa definiti" e il modello concettuale definitivo includa "i percorsi di migrazione delle sorgenti di contaminazione ai bersagli individuati nello scenario attuale (sito in esercizio) e nello scenario futuro (in caso di riqualificazione dell’area) previsto nella variante n. 28 al Piano regolatore”, senza però definire cosa debba intendersi per scenario attuale e per scenario futuro. Nel 2014, infatti, l’area, pur avendo una destinazione urbanistica residenziale era però utilizzata come parcheggio con edifici ad uso ufficio e, dunque, aveva una destinazione commerciale. Il riferimento alla destinazione residenziale, invece, sembrerebbe operare una sovrapposizione con lo scenario futuro. Ne deriva la genericità e l’indeterminatezza che comportano l’illegittimità dell’ordine;

1.2. violazione e falsa applicazione degli articoli 240 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, degli allegati 2 e 5 alla parte IV dello stesso d. lgs., nonché dell’art. 3 ter dello stesso d. lgs. e dell’art. 174 del Trattato CE. Secondo parte ricorrente sarebbe del tutto errato il richiamo all'allegato 2 alla parte IV del Codice ambiente operato dagli enti nella conferenza di servizi – il quale impone di includere nell’Analisi di rischio "i percorsi di migrazione dalle sorgenti di contaminazione ai bersagli individuati nello scenario attuale (siti in esercizio) o nello scenario futuro (in caso di riqualificazione dell'area)" -, in quanto applicabile solo in relazioni a un sito nel quale sia in corso un'attività produttiva industriale e/o commerciale oppure in caso di riqualificazione dello stesso. L’imposizione del rispetto dei limiti rispetto a una destinazione futura da parte di un terzo risulterebbe del tutto sproporzionata e illogica.

Italgas ha comunque provveduto alla predisposizione della richiesta Analisi di rischio che è stata sottoposta all’esame della conferenza di servizi il cui esito è stato poi recepito nella determinazione dirigenziale n. 170 dell’1 luglio 2014, che ha nuovamente imposto a Italgas di integrare l’Analisi stessa considerando come scenario attuale la destinazione residenziale prevista dallo strumento urbanistico.

Italgas, pur procedendo alla suddetta integrazione, ha impugnato (secondo ricorso per motivi aggiunti) anche tale determinazione, in quanto prescrittiva di un obbligo non previsto dalla legge, attesa l’attuale utilizzo dell’area come parcheggio asfaltato (mentre gli edifici sono abbandonati).

Parte ricorrente, dunque, nel ribadire quanto già dedotto con il ricorso introduttivo ha precisato che l’illegittimità dell’ulteriore atto impositivo deriva dalla:

2.1. violazione e falsa applicazione degli articoli 239 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, degli allegati 2 e 5 alla parte IV dello stesso d. lgs., nonché dell’art. 3 ter dello stesso d. lgs. e dell’art. 174 del Trattato CE, in quanto Italgas ha svolto sull’area un’attività industriale e, dunque, non può essere chiamata a sostenere i costi per l’eliminazione dell’inquinamento nel rispetto dei parametri di un’area residenziale e, dunque, per operare una bonifica che consenta l’utilizzo dell’area già industriale a scopo residenziale. In ogni caso l’analisi di rischio avrebbe dovuto essere richiesta con riferimento o allo scenario attuale o a quello futuro e non rispetto a entrambi;

2.2. violazione e falsa applicazione degli articoli 240 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, dell’allegato 2 alla parte IV dello stesso d. lgs. laddove il Comune ha chiesto di elaborare l’Analisi di rischio per lo scenario attuale secondo la modalità più cautelativa e cioè senza pavimentazione, mentre, allo stato attuale la zona è asfaltata o pavimentata. Ne risulterebbe violato il principio di proporzionalità che imporrebbe il bilanciamento tra tutela della salute e dell’ambiente e adeguatezza dell’onere imposto e il provvedimento sarebbe comunque privo di adeguata motivazione. Ciò, in particolare, considerando che, secondo parte ricorrente, nessuna bonifica sarebbe dovuta, dal momento che i livelli di contaminazione residua (Csr) risultano essere addirittura inferiori alle soglie di Csc (e cioè di inquinamento ritenuto accettabile).

Avendo, come già anticipato, Italgas adempiuto alla richiesta di presentare un’Analisi di rischio che considerasse come scenario attuale la destinazione residenziale nell’ipotesi più cautelativa e cioè senza pavimentazione, è stata convocata un’ulteriore Conferenza di servizi, all’esito della quale è stata notificata la determinazione n. 298 del 25 novembre 2014, con cui è stato chiesto a Italgas di procedere alla presentazione, entro 180 giorni, del progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa e permanente, e ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito.

Nel fare ciò il Comune sarebbe incorso in contraddizione perché, pur dando conto del fatto che l’obiettivo è il rispetto delle CSC, impone il rispetto delle CSR.

Italgas ha, dunque, impugnato l’ulteriore provvedimento, deducendo:

3.1. la reiterazione del primo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti, in relazione a quella parte del provvedimento che impone di considerare i limiti di concentrazione previsti per le zone residenziali;

3.2. la reiterazione del secondo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti e, dunque, per la sproporzione nell’imporre quale parametro di riferimento il limite previsto con riferimento alla situazione più cautelativa e cioè in assenza di pavimentazione.

Pur ribadendo per l’ennesima volta di non intendere prestare acquiescenza, Italgas ha presentato un progetto di bonifica recante la differenziazione dell’area di proprietà comunale (attualmente adibita a parcheggio e più inquinata) da quella di proprietà privata (attualmente occupata da edifici abbandonati e meno inquinata) e propositivo di un intervento di bonifica per fasi successive: la prima da attuarsi mediante scavo e smaltimento off-side e relativa all’area di proprietà comunale, la seconda, riguardante l’area di proprietà privata su cui insistono degli edifici abbandonati (meno inquinata) e consistente nell’eseguire una prova pilota di campo/laboratorio per verificare se e quale tecnologia di intervento sia applicabile al caso di specie.

Ancora una volta, però, il Comune ha approvato (recependo l’esito della Conferenza di servizi) il piano presentato, ma ha imposto a Italgas di procedere, dopo la prova pilota, alla redazione del progetto operativo di bonifica, assumendo a riferimento comunque, quale scenario attuale, la destinazione residenziale e i relativi limiti di concentrazione, adottando l’ipotesi più cautelativa e cioè l’assenza di pavimentazione dell’intero sito.

Anche questo provvedimento è stato impugnato (quarto ricorso per motivi aggiunti) reiterando il primo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti e il secondo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti.

In vista dell’udienza pubblica fissata per il 12 gennaio 2022, tutte le parti si sono scambiate memorie, salvo poi chiedere il rinvio della trattazione, che è stata rimandata all’udienza pubblica del 12 ottobre 2022, per la quale solo la Provincia di Verona ha depositato una memoria.

Le altre parti costituite hanno depositato solo note d’udienza con cui hanno chiesto che la controversia fosse trattenuta in decisione.

Solo alla vigilia della celebrazione dell’udienza Italgas ha precisato che l’interesse della stessa alla decisione “permane unicamente con riferimento all’impugnazione degli atti nella parte in cui le Amministrazioni resistenti hanno identificato Italgas quale unico soggetto responsabile della contaminazione del sito di Legnago, diffidandola a porre in essere una serie di attività (come illustrato nei primi 2 motivi di ricorso)”.

Preso atto di tali precisazioni, la controversia è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Deve essere preliminarmente definito in rito il perimetro della decisione chiesta a questo Tribunale.

A seguito del, pur intempestivo, deposito effettuato da parte ricorrente, il Collegio deve, innanzitutto, determinare gli effetti della dichiarazione di Italgas in ordine alla asserita cessazione della materia del contendere, quale conseguenza del fatto che le Amministrazioni resistenti avrebbero adottato specifici atti che avrebbero fatto venir meno l’interesse della società ricorrente alle doglianze.

Invero, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, non può ritenersi cessata la materia del contendere con riferimento a tutte le censure aventi a oggetto l’imposizione del rispetto delle CSC previste per le aree residenziali (contenute nei motivi 3 e 4 del ricorso introduttivo e nei successivi ricorsi per motivi aggiunti), in quanto la deliberazione 17 dicembre 2021 n. 86, richiamata nella determinazione comunale 18 febbraio 2022 n. 124, impugnata con il secondo ricorso per motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 761/2021 e che avrebbe soddisfatto le pretese fatte valere da Italgas, non riguarda la classificazione delle aree oggetto dei provvedimenti impugnati con i ricorsi in esame, bensì le limitrofe superfici destinate a viabilità all’esterno delle stesse, le quali sono state, effettivamente, classificate dal Comune come di tipo industriale/commerciale ai fini della bonifica.

Del resto, se così non fosse, non avrebbe avuto alcun senso la proposizione di ben quattro ricorsi per motivi aggiunti tutti tesi a ottenere la parametrazione degli oneri di bonifica alle concentrazioni previste in relazione alle aree industriali/commerciali per il sito industriale dismesso.

Cionondimeno, il Collegio non può esimersi dal prendere atto del fatto che comunque parte ricorrente ha attestato di non avere più interesse alla decisione su tali punti, per cui il terzo e il quarto motivo del ricorso introduttivo e i successivi quattro ricorsi per motivi aggiunti debbono essere dichiarati improcedibili.

Si può, quindi, passare all’esame del primo e del secondo motivo del ricorso introduttivo, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto complessivamente volti a ottenere la declaratoria di illegittimità dei provvedimenti impugnati in ragione dell’imputazione degli oneri di bonifica alla sola società Italgas in relazione a un inquinamento che può ragionevolmente derivare anche dall’esercizio dell’attività di produzione del gas da carbone fossile svolta da un soggetto diverso (la società Camuzzi) e prima dell’entrata in vigore del codice dell’ambiente.

Secondo Italgas, dunque, la società sarebbe stata illegittimamente chiamata a rispondere anche dell’inquinamento prodotto dalla Camuzzi e, comunque, la Camuzzi non avrebbe potuto essere ritenuta responsabile di inquinamento, perché essa ha cessato l’attività molto prima dell’entrata in vigore della normativa sull’inquinamento dettata dal codice dell’ambiente e, quindi, non avrebbe potuto trasferire una responsabilità che non è mai sorta in capo alla stessa.

La tesi non può essere condivisa.

In primo luogo deve darsi atto che la società Camuzzi, così come rappresentato dalla Provincia di Verona e non smentito da parte ricorrente, è stata incorporata dalla Italgas che, dunque, è subentrata alla stessa in tutti i rapporti, compresa la responsabilità per l’inquinamento del compendio in questione.

Sul punto si è recentemente espressa l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che, nella pronuncia n. 10 del 2019, ha affermato il principio secondo cui “la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento.”.

Dunque, non vi è dubbio che l’obbligo di bonifica si trasmette alla società costituitasi per fusione o incorporazione, che è successore universale della società estinta (cfr. sul punto anche T.A.R.

Veneto, sezione terza, n. 255/2014 e n. 313/2017), così come è ormai costante l’orientamento ribadito nella sentenza 1 aprile 2020, n. 2195, con cui il Consiglio di Stato ha richiamato le proprie precedenti sentenze (Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225; Sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; Sez. IV, 7 maggio 2019, n. 2926 e, per l’appunto, Adunanza Plenaria, 22 ottobre 2019, n. 10) e la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32142), chiarendo che le norme in materia di obblighi di bonifica “non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente […]. (…). Il riferimento alle “contaminazioni storiche” è, del resto, indistinto, cosicché sarebbe arbitrario limitare l’applicazione della norma alle sole contaminazioni che si siano verificate dopo l’entrata in vigore del codice dell’ambiente o dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo numero 22 del 1997, che per primo disciplinò gli obblighi di bonifica; in senso contrario può, anzi, osservarsi che l’aggettivo “storiche” rimanda, anche da un punto di vista semantico, a contaminazioni verificatesi in epoca remota, tali appunto da appartenere non all’attualità, ma alla storia del Paese”.

Dunque, nemmeno la risalenza nel tempo delle condotte potenzialmente inquinanti può esimere dall’obbligo, attuale, di rimozione dell’inquinamento che supera i limiti dell’accettabilità in relazione al tipo di area in questione.

Ne risulta che i provvedimenti impugnati debbono essere ritenuti immuni dai vizi dedotti e oggetto di esame.

Conseguentemente le spese del giudizio debbono seguire l’ordinaria regola della soccombenza, salva la loro compensazione nei confronti della controinteressata, la cui costituzione in giudizio è stata solo formale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:

- dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione i motivi 3 e 4 del ricorso introduttivo e tutti i successivi ricorsi per motivi aggiunti;

- respinge il ricorso introduttivo nella parte restante;

- condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, a favore del Comune di Legnago e della Provincia di Verona, in euro 5.000,00 (cinquemila/00) ciascuno, per un totale di euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre ad accessori di legge, se dovuti;

- dispone la compensazione delle spese del giudizio nei confronti della controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Alessandra Farina, Presidente

Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

Paolo Nasini, Primo Referendario