Illeciti in materia di gestione di rifiuti: tecniche investigative e protocolli di indagine.

di Renato NITTI

Relazione tenuta all'incontro di studio "Gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti" presso la Scuola Superiore della Magistratura il 26 ottobre 2022

Incontro di studi P22078

GLI ILLECITI CONNESSI AL CICLO DEI RIFIUTI

Illeciti in materia di gestione di rifiuti:

tecniche investigative e protocolli di indagine.

Renato Nitti

Procuratore della Repubblica

presso il Tribunale di TRANI

Villa Castel Pulci –Scandicci –FI- 26 ottobre 2022

1Premessa: diritto penale e gestione dei rifiuti

La molteplicità di previsioni incriminatrici di illeciti penali ambientali e la diversa fenomenologia di ogni specifica ipotesi di illecito non consente di tracciare un unico percorso investigativo o ricostruire un esaustivo quadro dei possibili percorsi nel breve tempo concesso ad una relazione.

In via generale, la reazione punitiva dello Stato alle violazioni ambientali in materia di rifiuti si muove su quattro principali assi.

A) Il primo, e più tradizionale, è costituito dagli illeciti penali, in particolare contravvenzionali, previsti dalla parte quarta del testo unico.

B) Il secondo è costituito dal delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., che costituisce un modello di reazione nettamente distinto dalle altre fattispecie non già semplicemente in ragione dei limiti edittali della pena [che, essendo propri di un delitto e più elevati comportano di per sé la applicazione di strumenti processuali diversi], ma soprattutto perché attratta nel binario dei reati di competenza della DDA.

C) Il terzo è costituito dagli illeciti originariamente previsti in altri ambiti, ma applicabili al settore ambientale in virtù di specifici richiami contenuti nella disciplina ambientale.

Ad essi vanno ad aggiungersi gli illeciti comuni, soprattutto in materia di pubblica amministrazione e contro il patrimonio, concretamente applicabili.

Non soltanto la singola operazione di gestione, ma l’intervento sulla politica di gestione, di per sé non oggetto di alcuna specifica previsione, viene ad essere considerato.

D) Il quarto è quello della responsabilità degli enti per illecito amministrativo dipendente da reato a sèguito del dlgs 121/2011.

Non sono analizzate in questa sede le tecniche investigative relative ai reati contro l’ambiente di cui agli artt. 452 bis ss c.p.

***

Da alcuni fattori può dipendere la speciale complessità dell’indagine ambientale anche nel primo dei quattro quadranti sopra menzionati.

1.1L’identificazione del rifiuto

Il primo ordine di complessità attiene all’ identificazione dell’oggetto della disciplina , identificazione che può non essere agevole e può risultare, anzi, di difficile attuazione, dubbia, controversa.

Occorre premettere che -perché possa valutarsi la sussistenza di un illecito penale in materia di rifiuti- deve essere seguito un iter logico costituito da sei passaggi che, per le ragioni che saranno esposte, difficilmente ammettono alterazione dell’ordine.

  1. In primo luogo, si deve accertare che la sostanza sia un rifiuto, ovvero, come si dirà, che di essa il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. In particolare, potrà rendersi necessario stabilire se un residuo di produzione sia un rifiuto oppure un sottoprodotto. Oppure potrà essere necessario stabilire se una sostanza qualificabile senz’altro rifiuto sia da considerarsi materia prima secondaria per essere stata sottoposta ad una operazione di recupero. Ove di rifiuto possa trattarsi, dovrà verificare che non si versi in un caso di esclusione espressa dalla disciplina della parte quarta del t.u.

  2. In secondo luogo, una volta individuata la natura di rifiuto, dovrà esserne effettuata la classificazione per stabilire, in via generale, se si tratti di rifiuto urbano o speciale, pericoloso o non pericoloso. In ambito di spedizione transfrontaliera di rifiuti, l’operatore dovrà, inoltre, classificare il rifiuto verificando in quale elenco esso rientri: se nel c.d. elenco ambra ovvero nell’elenco verde. Oltre alla classificazione, normalmente si rende necessario effettuare la codificazione, ovvero la attribuzione di un codice a sei cifre (del tipo numerico ma corrispondente allo schema letterale AB CD EF).

  3. Rispetto alla sostanza così qualificata come rifiuto e, quindi, classificata e codificata, l’interprete deve accertare a quale operazione è soggetto in quel momento il rifiuto, ed in particolare:

    1. se si tratti di operazione di produzione, ovvero di deposito temporaneo, oppure, in generale

    2. di gestione di rifiuti, la quale a sua volta si articola in numerose possibili operazioni,

  4. Una volta accertata quale sia l’operazione cui è soggetto quel rifiuto, così codificato e così classificato, potrà finalmente individuarsi la disciplina che si applica a quella specifica operazione che riguarda quello specifico rifiuto cioè quel rifiuto con quella classificazione e quel codice. E in estrema sintesi questo significherà verificare in primo luogo quali titoli abilitativi (autorizzazioni o altri) siano necessari per lo svolgimento di quella operazione (sempre che non si tratti di una operazione radicalmente vietata)

  5. Della stessa operazione, deve quindi essere individuata la disciplina documentale (e quindi quale documentazione deve “assistere” quella operazione).

Soltanto la ricostruzione del quadro così compiuta, consente, infine, di accertare se vi sia stata violazione della disciplina nello svolgimento della specifica operazione avente ad oggetto quel rifiuto qualificato, classificato e codificato nei termini sopra descritti.

Va evidenziato che -mentre la violazione di alcune previsioni assume diretta rilevanza penale (come per la gestione di rifiuti in assenza di titoli abilitativi)- la violazione di altre previsioni può avere rilevanza penale soltanto indiretta (per essere normalmente magari sanzionata sul piano amministrativo): la analisi di queste ultime si rende, tuttavia, necessaria sia in quanto spesso indicativa di altre violazioni penalmente rilevanti, sia in quanto suscettibile di rendere abusiva l’intera attività di gestione e quindi, potenzialmente, di assumere rilevanza nella fattispecie delittuosa di traffico illecito di rifiuti.

In altri termini -perché sia contestata una violazione della disciplina della gestione dei rifiuti- la sostanza oggetto della gestione deve, in primo luogo, essere qualificata come un rifiuto ai sensi dell’art. 183 lett. a) d.lgs. 152/2006 1 .

A questa qualificazione devono far seguito in una scansione logica che non ammette anticipazioni) la classificazione ai sensi dell’art. 184 t.u.amb. e la codificazione ai sensi dell’allegato D alla parte IV del testo unico ambientale.

E’ noto che, in questa materia, è particolarmente complesso non soltanto individuare chiaramente la nozione di rifiuto, ma soprattutto stabilire in concreto cosa sia rifiuto, in particolare rispetto ai casi di residui di produzione riutilizzabili oppure oggetto di negozi giuridici: un confine difficile da tracciare separa la nozione di rifiuto dalla nozione di sottoprodotto. La categoria dei residui della produzione si compone infatti non soltanto del rifiuto, ma anche del sottoprodotto.

Peraltro, altrettanto complesso può essere stabilire quando una sostanza – della cui natura di rifiuto non si dubiti –cessi (per via dei trattamenti cui è sottoposta) di essere rifiuto per diventare materia secondaria: quando cioè vi è cessazione del rifiuto, ovvero end of waste.

Si intende, cioè, evidenziare che

la nozione di rifiuto è per sua stessa natura delimitata dalle nozioni di sottoprodotto e di materia secondaria.

Se, quindi, è vero che la nozione di rifiuto confina normativamente con la nozione di sottoprodotto e quella di materia, sostanza, prodotto secondari, la prima caratteristica della indagini in materia di rifiuti può essere –perché, come si dirà, vi sono casi in cui certamente non è- quella di acquisire elementi che consentano di affermare che le sostanze gestite siano, appunto, rifiuti e non sottoprodotti o materie prime secondarie.

1.2

Il secondo ordine di complessità , comune in generale al tema del diritto penale dell’ambiente ma non estraneo ad altri settori del diritto penale, è quello della incidenza sulla sussistenza della fattispecie penale ambientale di atti amministrativi : il giudice penale deve spesso valutare una condotta alla luce di un atto, in senso lato, della pubblica amministrazione che quella condotta consente, prescrive, condiziona o vieta.

Occorrerà allora – dopo aver dato conto in via del tutto preliminare di alcune delle problematiche che si pongono in relazione alla più classica delle indagini in materia ambientale (ovvero quella in tema di abbandono di rifiuti)- considerare i due ordini di complessità delle indagini ambientali appena citati con specifico riferimento ad alcuni aspetti salienti.

2L’abbandono di rifiuti

Dalla premessa appena enunciata discende che minore grado di complessità presentano normalmente i casi di violazione della disciplina dei rifiuti in cui non vengano in rilievo né la questione della natura delle sostanze (perché pacificamente rifiuti) né la questione di eventuali titolo abilitativi o atti della p.a.

Ci si riferisce al caso dell’abbandono di rifiuti.

Infatti, in caso di abbandono di sostanze:

  1. non vi è controversia sulla natura della sostanza poiché l’abbandono è ipotesi in cui un soggetto si disfa della sostanza 2 e quindi la sostanza abbandonata è senz’altro rifiuto;

  2. non vi è questione di titolo abilitativo [perché la disciplina dell’abbandono di rifiuti si risolve in un divieto assoluto (art. 192, 1° comma: « L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati »; così come: « È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee »)].

Ne discende che i problemi che l’accertamento dell’abbandono pone sono in larga parte comuni ad altri settori investigativi.

2.1La disciplina penale applicabile

Le conseguenze della violazione del divieto sono, secondo la disciplina vigente, molteplici, sicché occorre soffermarsi sull’inquadramento giuridico della fattispecie concreta.

Infatti all’abbandono consegue, in primo luogo, l’obbligo dell’autore dell’abbandono di « procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo » (art. 192, 3° comma).

A carico dei soggetti appena indicati deve poi essere adottata dal Sindaco 3 un’ordinanza che dispone l’effettuazione delle operazioni necessarie al fine di conseguire la rimozione, l’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi ed il termine entro cui provvedere.

Decorso il termine fissato nell’ordinanza, l’amministrazione comunale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.

L’abbandono di rifiuti può, altresì, integrare, a seconda del soggetto responsabile, l’illecito amministrativo previsto e sanzionato dall’art. 255, 1° comma, oppure l’illecito penale previsto e punito dall’art. 256, 2° comma.

Invece, l’inottemperanza alla ordinanza sopra richiamata integra gli estremi dell’illecito penale di cui al 3° comma dell’art. 255.

In sostanza potrebbero essere applicate alternativamente:

  • la sanzione di cui all’art. 255, 1° comma;

  • la sanzione di cui all’art. 256, 2° comma;

  • la sanzione di cui all’art. 256, 3° comma.

E, anche cumulativamente rispetto ad una di esse, la sanzione di cui all’art. 255, 3° comma.

2.1.1L’illecito amministrativo ex art. 255

a ) L’illecito amministrativo di abbandono di rifiuti. Ai sensi del 1° comma 4 dell’art. 255: « Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro. Se l'abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa e' aumentata fino al doppio ».

La clausola che apre il comma appena riportato (“F atto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2”) consente di escludere dall’ambito soggettivo della fattispecie i casi (disciplinati appunto dall’art. 256, 2° comma) in cui il fatto è commesso da titolari di imprese e responsabili di enti: autore dell’illecito amministrativo in esame è conseguentemente la persona fisica che non sia imprenditore o responsabile di enti.

È compreso, pertanto, nell’ambito di applicazione della disposizione in esame il soggetto che effettui l’abbandono o l’immissione al di fuori di una attività imprenditoriale di gestione di rifiuti ovvero nell’ambito dell’ attività di un ente.

2.1.2

b ) L’illecito penale di inottemperanza alla ordinanza del sindaco. Ai sensi dell’art. 255, 3° comma: «3. Chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco, di cui all'articolo 192, comma 3, o non adempie all'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell'arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all'articolo 192, comma 3, ovvero all'adempimento dell'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3 .».Trattasi di fattispecie che si pone in continuità normativa con quella previgente di cui all’art. 50 comma 2 dlgs. 22/97.

Come detto, l’ordinanza citata è quella con la quale il Sindaco – ex art. 192, 2° comma, ultima parte – dispone le operazioni necessarie al fine di procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi allorquando accerti l’abbandono o deposito incontrollati di rifiuti su suolo e nel suolo ovvero l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.

Destinatari dell’ordinanza sono gli autori dell’abbandono, del deposito o dell’immissione, nonché il proprietario e i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.

Si tratta di reato proprio, il cui soggetto attivo non può che essere il destinatario formale dell’ordinanza del sindaco. La norma non richiede espressamente che il destinatario dell’ordinanza sia anche soggetto responsabile del fatto.

Deve, tuttavia, ritenersi che il sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo in questo caso non involgerebbe un atto-elemento costitutivo del reato e non sarebbe in peius, ma riguarderebbe un atto-presupposto: perché, pertanto, possa affermarsi la penale responsabilità del destinatario inottemperante dovrà preliminarmente essere ravvisata la legittimità dell’atto, con riferimento a tutti e tre i relativi vizi, con la conseguenza che se il provvedimento è illegittimo, il giudice dovrà procedere a disapplicazione in melius dell’atto. 5

Il reato di inottemperanza alla ordinanza del sindaco è reato omissivo puro, di mera condotta, formale.

Quanto al tempus commissi delicti, dalla mera inottemperanza dell’ordinanza il reato si perfeziona e permane per tutta la durata dell’inadempimento, essendo consumata la fattispecie soltanto con la revoca dell’ordinanza, con l’ottemperanza o con l’impossibilità di procedervi (ad es. per avervi proceduto coattivamente il Comune).

Secondo Cassazione penale sez. III -14/02/2013- Numero: 19461, “ Il reato di mancata ottemperanza all'ordine sindacale di rimozione dei rifiuti, di cui all'art. 255, comma 3, d.lg. n. 152 del 2006, ha natura di reato permanente, nel quale la scadenza del termine per l'adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell'ottemperanza all'ordine ricevuto .”

In questo senso, anche Cass. pen., Sez. III, 18/05/2006, n.23489, M.P., CED Cassazione, 2006,Riv. Pen., 2007, 5, 570 con riguardo alla previgente e corrispondente previsione incriminatrice del decreto Ronchi ha evidenziato: “ In tema di gestione dei rifiuti, il reato di mancata ottemperanza all'ordine sindacale di rimozione dei rifiuti, di cui all'art. 50, comma secondo, D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora sostituito dall'art. 255, comma terzo, D.Lgs. n. 152 del 2006), ha natura di reato permanente, nel quale la scadenza del termine per l'adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell'ottemperanza all'ordine ricevuto .

Sul punto anche Cass. pen. sez. III 11 novembre 2004, n. 48402 6 ha ritenuto che: « Il reato di cui all’art. 50 comma secondo del d.lgs. 22/97 si perfeziona con la scadenza dei termini previsti nell’ordinanza sindacale e tali termini devono considerarsi perentori in quanto alla scadenza di essi si collega l’obbligo per il Comune di procedere alla esecuzione in danno. Dall’inizio effettivo di tale esecuzione (cui si correla il recupero delle somme anticipate) la condotta dell’agente non è più necessaria affinché venga rimossa la situazione antigiuridica ».

2.1.3

  1. L’illecito penale di abbandono di rifiuti.

Ai sensi del 2° comma dell’art. 256: « 2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'articolo 192, commi 1 e 2. ».

Come già detto, soggetti attivi del reato sono i titolari di imprese e i responsabili di enti.

Si è discusso se si tratti di reato comune 7 o, come sembra preferibile, reato proprio 8 non esclusivo, in cui i soggetti intranei possono essere gli imprenditori individuali, la persona o le persone che hanno potere decisionale negli enti di natura pubblica o privata, lucrativa o mutualistica, incluso quindi anche il soggetto responsabile (c.d.a., a.u. ecc.) di imprese collettive.

La norma non richiede che vi sia uno specifico grado di correlazione tra l’impresa e la gestione dei rifiuti, ammettendo quindi che soggetto attivo del reato possa essere anche l’impresa che non svolga professionalmente attività di gestione dei rifiuti, e che quindi svolga attività primaria diversa 9 , cui la detenzione di rifiuti si correli in modo secondario e consequenziale 10 .

La fattispecie è integrata anche con un singolo atto di abbandono.

Controverso è, invece, il significato da attribuire al deposito incontrollato, se cioè si tratti:

a ) di tutte le condotte sia deposito non assentito da parte del gestore 11 sia di deposito temporaneo da parte del produttore non conforme ai limiti dettati dall’art. 183 lett.bb);

b ) soltanto dei casi di deposito da parte del produttore dei rifiuti e, quindi, di deposito temporaneo fuori dei presupposti e limiti previsti dall’art. 183 lett.bb) ma,comunque, entro il termine di un anno.

Secondo l’orientamento preferibile [Cass. pen. sez. III 27 gennaio 2004 (ud. 15 gennaio 2004, n. 25), n. 2662, Zanoni, in Ragiusan, 2004, 247, 209; Riv. Pen., 2004, 1255)] è non controllato il deposito effettuato dal produttore, ove non risponda ai limiti di cui all’art. 183 lett. bb) del c.d. deposito temporaneo; ed invece è sanzionato dal 1° comma dell’art. 256 il deposito del gestore dei rifiuti, sia quale deposito preliminare (operazione di smaltimento) non autorizzato sia quale messa in riserva (operazione di recupero) non autorizzata.

Anche l’ipotesi in esame è di natura contravvenzionale, come tale punita sia a titolo di dolo che a titolo di colpa, potendosi escludere la sussistenza di profili di colpa ove emerga che l’autore non potesse agire diversamente per la presenza di una situazione di caso fortuito o forza maggiore. Ciò comporta ovviamente che anche la mera negligenza, imperizia o imprudenza può fondare la sussistenza dell’elemento soggettivo necessario.

2.1.4

  1. La contravvenzione di cui all’art. 256, 3° comma: discarica abusiva.

Va considerata anche la possibilità che atti di abbandono di rifiuti determinino la realizzazione di una discarica.

Il 3° comma richiamato prevede che: « 3. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi ».

La discarica è, secondo l’allegato B alla parte IV del d.l.g. n. 152/2006, una forma di smaltimento mediante deposito di rifiuti su/nel suolo. Non ogni forma di deposito o di abbandono su suolo costituisce, tuttavia, discarica. Se nel t.u., così come nel decreto Ronchi, non è dettata una nozione specifica di discarica 12 da cui poter poi desumere elementi utili per definire la “discarica abusiva”, il d.lg. n. 36/2003, invece, espressamente considera la prospettiva statica definendo la discarica come «g) (…) area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo » aggiungendo ed escludendo poi da tale definizione specifici casi. Prescindendo da questi ultimi casi, appunto, per la propria specificità, v’è che la discarica ne risulta definita come particolare operazione di deposito su/nel suolo su area che risulti a tanto adibita.

La norma incriminatrice non distingue tra la condotta di “adibizione” consistente nella previa predisposizione dell’area e la “adibizione” di fatto conseguente alle condotte di deposito/abbandono.

La giurisprudenza non ha elaborato una definizione omogenea di discarica, essendo in taluni casi 13 messo in rilievo il degrado del territorio 14 , in altri 15 la reiterazione di atti di abbandono o di deposito 16 , in altri ancora la clandestinità della realizzazione o della gestione 17 .

Neppure dal t.u. (così come, prima, dal decreto Ronchi) sono definite le condotte (alternative secondo la previsione normativa) di realizzazione e gestione.

Ancora attuale è il richiamo della descrizione di tali condotte elaborata dalle sezioni unite della Suprema Corte 18 :

a ) la realizzazione di discarica senza autorizzazione consiste nella destinazione ed allestimento a discarica di una determinata area, con l’effettuazione, di norma, di opere a tal fine occorrenti;

b) la gestione di discarica senza autorizzazione presuppone che un sito sia stato già apprestato per raccogliervi rifiuti e consiste nell’attivazione di un’organizzazione anche rudimentale, di persone, cose e/o macchine diretta al funzionamento della discarica stessa.

La Suprema Corte ha nuovamente evidenziato che : “ Perché sia configurabile il reato di realizzazione e gestione di discarica abusiva, sono necessari: l'accumulo ripetuto e non occasionale di rifiuti in area determinata; l'eterogeneità della massa di materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado, anche solo tendenziale dello stato dei luoghi. Tali elementi non ricorrono quando l'abbandono di rifiuti abbia avuto carattere occasionale ed abbia avuto per oggetto materiali in gran parte omogenei e non abbia cagionato un degrado dell'area, con la conseguenza che la condotta deve essere in tal caso sussunta nella diversa fattispecie dello smaltimento abusivo di rifiuti, che costituisce, quanto alla condotta, una fattispecie sovrapponibile a quella di discarica abusiva, salvo che per la mancanza dei presupposti sopra elencati. “ [Cass. Sez. III n. 36021 del 20 settembre 2012 (Ud. 26 giu. 2012)
Pres. Franco Est. Andronio Ric. Di Gangi ed altro-]

La nozione di gestione di discarica include non soltanto la gestione operativa, ma anche la c.d. gestione post-operativa.

La gestione c.d. post-operativa della discarica è obbligo che grava su chi gestisce la discarica ed oggetto di specifici adempimenti ai sensi del d.lg. n. 36/2003.

Questa ricostruzione incide anche sul tempus commissi delicti, poiché, se la realizzazione di discarica permane fino all’ultimazione dell’opera (o al conseguimento dell’autorizzazione), la gestione di discarica, invece, include non soltanto la gestione operativa ma anche la gestione post-operativa, la cui durata non va predeterminata ma correlata a tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi per l’ambiente.

Deve, tuttavia, darsi atto che l’orientamento giurisprudenziale prevalente è di segno diverso, ritenendosi in sostanza che il reato di discarica abusiva sia normalmente reato commissivo. Ciò non esclude che –ove sussistano p.es. specifici obblighi di fare a carico di un soggetto (p.es. di recintare un’area)- si possa configurare il concorso per omissione nel reato commissivo, anche quando quest’ultimo sia commesso in ipotesi da persone ignote.

La abusività può consistere sia nella radicale ed assoluta mancanza di autorizzazione sia nella violazione della localizzazione o tipologia di rifiuti previste dalla autorizzazione 19 .

La sanzione indicata dal 3° comma si applica non soltanto alle condotte espressamente previste dallo stesso 3° comma, ma anche alle condotte per le quali l’art. 16 d.lg. n. 36/2003 espressamente prevede il rinvio alla disciplina generale dei rifiuti

Si tratta delle condotte di violazione dei « divieti di cui all’articolo 7, commi 1, 2 e 3, e delle procedure di ammissione dei rifiuti in discarica di cui all’articolo 11 »:

1) collocazione in discarica senza trattamento di rifiuti utilmente trattabili;

2) illecita ammissione in “discarica per rifiuti inerti” di rifiuti diversi dagli inerti che soddisfano i criteri della normativa vigente;

3) illecita ammissione in discarica per rifiuti non pericolosi di rifiuti diversi da rifiuti urbani; rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine che soddisfano i criteri di ammissione dei rifiuti previsti dalla normativa vigente; rifiuti pericolosi stabili e non reattivi che soddisfano i criteri di ammissione previsti con decreto;

4) ammissione in discarica in violazione delle procedure di ammissione.

2.2Qualificazione della condotta

La condotta di abbandono va tenuta distinta da altre operazioni -pur nell’apparenza simili- relative ai rifiuti ed, in particolare - ancorché essa può risolversi p.es. nell’atto di depositare una sostanza su suolo- non può essere classificata come deposito su suolo.

Uno dei ricorrenti problemi affrontati già in fase di prima applicazione del decreto Ronchi è stato quello della distinzione tra alcune categorie soltanto apparentemente comparabili ma normativamente diverse l’una dell’altra.

Si tratta delle categorie dello stoccaggio [e cioè della messa in riserva e del deposito preliminare] e del deposito temporaneo.

Il dato normativo agevolmente consente di svolgere una prima distinzione tecnica.

L’allegato B, che considera tutte le ipotesi di attività di smaltimento di rifiuti, include sotto la categoria D 15 il “ deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti) ”.

Ovviamente, in base ai principi generali, l’attività di deposito preliminare in quanto attività di smaltimento richiede in ogni caso la espressa autorizzazione.

L’allegato C, che, come si è detto, raggruppa tutte le attività di recupero dei rifiuti, include sotto la voce R13, la “ messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti) ”.

La messa in riserva potrà essere oggetto di procedura semplificata e potrà in alcuni casi richiedere anche specifiche attività di preparazione al successivo trattamento.

Resta chiaro che tuttavia la attività di messa in riserva può essere svolta in regime ordinario, chiedendo e conseguendo, quindi, una espressa autorizzazione.

Entrambe le attività sopra menzionate (R13 e D15, normalmente quindi sottoposte ad un regime giuridico chiaramente diverso) costituiscono il genus dello stoccaggio, così come definito dall’art. 183 e già sopra richiamato.

Non rientra, invece, in tale categoria (ed è, peraltro, espressamente esclusa dall’ambito di quelle sub D15 ed R13) l’attività di deposito temporaneo che la lettera bb) dello stesso art. 6 definisce come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti alle seguenti condizioni, facendo quindi seguire un elenco delle condizioni in presenza delle quali il deposito temporaneo può essere effettuato peraltro in un regime giuridico di eccezione, così da dover essere provate da chi l’invoca.

Ovviamente nessuna delle tre attività menzionate, essenzialmente dirette a precedere una fase di gestione di rifiuti (essendo già gestione nel caso dello stoccaggio) determina una variazione definitiva nella natura giuridica del rifiuto che resta tale e non diviene pertanto mai, all’esito di esse sole, prodotto. Ciò ovviamente vale anche se la messa in riserva o il deposito preliminare richiedono una attività “qualificata”. Ne discende che non rientra nella nozione di alcuna delle categorie sopra menzionate la “definitività”, trattandosi in ogni caso di operazioni provvisorie, preliminari ad altre operazioni, connotate invece da definitività.

Va ovviamente elevata la soglia di attenzione rispetto a tali tipologie di depositi ed alla rispettiva disciplina, esposta a possibili strumentalizzazioni. Infatti, non essendo normalmente identificato il rifiuto nella sua individualità fisica, ma nella sua natura e quantità, il carattere temporaneo della presenza di accumuli di rifiuti si presta ad essere agevolmente sottratto alla effettiva cognizione di chi deve controllare e che svolge una attività che non è, né può essere per sua stessa natura, di carattere permanente, poiché si risolve in singoli atti di accertamenti.

Il deposito temporaneo presso il produttore è consentito e non è soggetto ad autorizzazione ove siano rispettate le qualitative, quantitative, di tempo e di condizioni di deposito indicate dall’art. 183 lett. bb)

La messa in riserva ed il deposito preliminare sono soggetti rispettivamente alla disciplina del recupero e dello smaltimento alla quale si rinvia.

2.3Accertamento dell’abbandono

Si è detto che le indagini relative a questa tipologia di illecito sono tra le più frequenti, di più agevole avvìo (si fondano spesso su rinvenimenti casuali; soltanto in alcuni casi si fondano su controlli di carattere sistematico, anche con l’utilizzo di particolare strumentazione tecnica) e di immediata –sovente comunque precoce- conclusione, poiché normalmente si limitano a dare contezza dell’esistenza di un accumulo di rifiuti su un suolo senza neppure porsi il problema, se non della corretta classificazione, almeno della precisa codificazione, della articolata enunciazione della condotta (abbandono? deposito su suolo? discarica?) e della corretta identificazione del soggetto responsabile.

Evidenziato che il fatto che vi sia un deposito su suolo non consente di qualificare le sostanze oggetto di deposito come abbandonate, alcuni problemi tuttavia richiedono anche in questi casi un diverso sforzo investigativo.

2.4Il problema della prova del tempo dell’abbandono:

Se si esclude l’orientamento riferibile alla articolata e citata sentenza 15.1.2004, Zanoni 20 in tema di discarica, la giurisprudenza prevalente è nel senso che il reato di discarica abusiva sia reato commissivo.

L’accertamento della data dell’ultimo atto di abbandono diventa così questione di particolare rilevanza pratica ove il fatto non sia accertato nella flagranza.

La prassi ha dimostrato l’utilità in concreto di:

  1. rilievi aerofotogrammetrici che consentano di stabilire e datare le variazioni morfologiche della superficie;

  2. accertamenti sulla specie vegetali esistenti con particolare riferimento a quelle specie stagionali, che consentono di datare gli accumuli di rifiuti in ragione della determinazione della stagione della vegetazione spontanea formatasi dopo l’accumulo e p.es. di escludere p.es. che vi siano tracce di specie stagionali risalenti a oltre una stagione precedente;

  3. accertamenti sulle caratteristiche dei rifiuti, con specifico riferimento a quelle che consentano di stabilire che il fatto non può essersi verificato prima di una determinata data. P.es.: data di produzione di un stock di beni

    1. specifici perché non prodotti affatto prima, o

    2. specifici perché prodotti prima con caratteristiche diverse,

    3. recanti data di produzione

    4. o recanti data di scadenza da cui sia possibile desumere quella di produzione

    5. recanti codici a barre,

    6. recanti comunque indicazioni dalle quale sia possibile risalire all’acquirente all’ingrosso.

3Primo fattore di complessità: l’accertamento sui residui di produzione.

3.1La nozione di rifiuto

3.1.1Definizione di rifiuto

La disciplina dei rifiuti ruota intorno a due categorie di carattere generale: quella di rifiuto e quella di gestione dei rifiuti.

Il presupposto perché questa disciplina trovi applicazione è, in primo luogo, l’esistenza di un rifiuto, la cui nozione deve essere analizzata sia con riferimento alla normativa comunitaria sia con riferimento alla normativa nazionale.

Limitando in questa sede la analisi alla disciplina nazionale, certamente centrale è, in primo luogo, la definizione dettata dall’a rt. 183 (Definizioni) del decreto lgs.152/06: “ a) “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi

Il legislatore italiano -sia nel decreto Ronchi che nel testo unico ambientale, rispettivamente negli artt. 6 e 183- ha espressamente richiamato, tra le definizioni, quella di rifiuto dettata dalla direttiva comunitaria.

Con uno sforzo di rigore teorico, il legislatore del testo unico, prima ancora della attuazione della direttiva del 2008, partiva dal presupposto della connessione esistente tra le nozioni di rifiuto, recupero, e materia secondaria e le collegava anche formalmente l’una all’altra: con il recupero il rifiuto cessa di essere tale divenendo materia secondaria; quindi la materia secondaria deriva dal recupero del rifiuto; quindi il recupero è quella operazione di trattamento dei rifiuti che li trasforma in materia secondaria.

Di questo rigore teorico della prima formulazione del testo unico s’è perso qualche passaggio, sul piano formale, nel corso delle modifiche apportate con i vari correttivi; la sostanza della correlazione tra le tre nozioni resta.

3.1.2La nozione di sottoprodotto

Ai sensi della lett. qq) dell’art. 183, si intende, invece, per “sottoprodotto” “ qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all'articolo 184-bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all'articolo 184-bis, comma 2 ” . L’attuale formulazione della lett. qq) è il risultato di sostituzione sia da parte dell'articolo 2, comma 20, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 che da parte dell'articolo 10 del D.Lgs 3 dicembre 2010, n. 205

L’originaria formulazione, precedente anche alla modifica del secondo correttivo, è stata, peraltro, anche oggetto di specifica pronunzia della Corte Costituzionale. 21

La norma quindi nella formulazione vigente richiama l’art.184 bis 22 , avente rubrica Sottoprodotto, e chiaramente ispirato alla corrispondente previsione dell’art. 5 direttiva del 2008.

Vi si prevede che costituisce un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa quattro condizioni le quali devono sussistere non alternativamente ma cumulativamente:

a) la sostanza o l'oggetto e' originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) e' certo che la sostanza o l'oggetto sara' utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l'oggetto puo' essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l'ulteriore utilizzo e' legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.

Ripercorrendo le condizioni prescritte dalla omologa disposizione sovranazionale si ha che anche per la normativa nazionale :

A) quanto al ciclo di provenienza

  • deve derivare una un ciclo di produzione e non di ciclo di consumo

  • la sua produzione non è lo scopo primario di quel ciclo, ma ne è comunque parte integrante

B) quanto ad eventuali fasi intermedie

tra il ciclo di produzione e l’utilizzo sono ammessi soltanto trattamenti intermedi conformi alla normale pratica industriale

C) quanto all’ulteriore utilizzo

  • l’ulteriore utilizzo deve avere carattere di certezza;

  • l’ulteriore utilizzo deve essere -sotto il profilo formale- legale perché deve soddisfare le condizioni dei prodotti, della salute e dell’ambiente;

  • l’ulteriore utilizzo, sotto il profilo sostanziale, non deve portare a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

La disciplina nazionale espressamente considera la possibilità di utilizzo anche da parte di terzi.

Anche il secondo comma dell’art. 184 bis prevede la possibilità di tipizzazione di sostanze o oggetti quali sottoprodotti

Il requisito della certezza dell’ulteriore utilizzo –che comporta che non sia consentito l’accumulo delle sostanze per la eventualità del loro utilizzo sia totale che parziale- richiede sul piano probatorio che l’utilizzo nel medesimo ciclo produttivo sia documentato sin dalla fase della produzione oppure che, nel caso in cui sia prevista la cessione a terzi per la utilizzazione in altro ciclo produttivo, la cessione per detta finalità e la successiva utilizzazione risulti appunto in modo certo dalla fase della produzione.

Il dibattuto problema dell’individuazione di quali trattamenti sono necessari per ritenere che la sostanza sia ancora un rifiuto – e non più sottoprodotto – viene qui affrontato ponendo attenzione anche alle conseguenze ambientali: la norma va intesa nel senso che -ove la utilizzazione delle sostanze o dei materiali determini impatti ambientali- dette sostanze e detti materiali debbano essere considerati rifiuti e non sottoprodotti e l’operazione di trattamento sia considerata una operazione di recupero. Va evidenziato che sulla Gazzetta ufficiale del 15 febbraio 2017 è stato pubblicato il decreto ministeriale 13 ottobre 2016, n. 264, Regolamento recante Criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti. Il Regolamento intende indicare alcune modalità con le quali il detentore può dimostrare che sono soddisfatte le condizioni generali di cui all'articolo 184-bis citato e quindi la sussistenza dei requisiti sostanziali per la qualificabilità di un residuo come sottoprodotto e non come rifiuto. L’art. 2 detta le definizioni di prodotto, sottoprodotto, residuo di produzione 23 . L’art. 4 detta le condizioni generali e l’art. 5 fissa i presupposti perché sia ritenuta la certezza dell’utilizzo 24. Di particolare rilievo la defnizione dettata dall’art. 5 della normale pratica industriale 25.

Il Ministero dell'Ambiente ha poi emanato una circolare esplicativa del Regolamento 264 in materia di sottoprodotti.

E’ utile in questa sede richiamare alcuni passaggi fondamentali:

  1. il Regolamento non ha compiuto la scelta di prevedere strumenti probatori “necessari” per dimostrare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la qualifica di “sottoprodotto”. Le disposizioni del Decreto sono infatti esplicite nell’escludere l’effetto vincolante del sistema ivi disciplinato, precisando che le modalità di prova nello stesso indicate non vanno in alcun modo intese come esclusive. E’ lasciata all’operatore la possibilità di scegliere mezzi di prova individuati in autonomia, e diversi da quelli previsti dal Regolamento. Rimane, quindi, ferma la libertà di dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti con ogni mezzo e con riferimento a materiali o sostanze diversi da quelli espressamente disciplinati negli allegati, anche mantenendo i sistemi e le procedure aziendali adottati prima dell’entrata in vigore del Decreto o scegliendone di diversi, ferma restando la vincolante applicazione delle pertinenti norme di settore. Solo laddove il Regolamento contiene elementi di chiarimento sull’applicazione di vigenti disposizioni normative a carattere cogente, tali previsioni devono ritenersi vincolanti. “

  2. la qualifica di sottoprodotto non potrà mai essere acquisita in un tempo successivo alla generazione del residuo , non potendo un materiale inizialmente qualificato come rifiuto poi divenire sottoprodotto. Il possesso dei requisiti deve sussistere, dunque, sin dal momento in cui il residuo viene generato.”

  3. l’intendimento del Decreto è quello di offrire agli operatori una “guida” dettagliata di tutti i punti che è necessario provare al fine di ritenere che un residuo di produzione soddisfi i requisiti di cui all’art. 184- bis , comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006. Nella specie, gli strumenti probatori indicati dal decreto sono la documentazione contrattuale e la scheda tecnica. La prima contribuisce soprattutto alla dimostrazione della sussistenza del requisito della certezza dell’utilizzo. La possibilità di fornire la prova della sussistenza anche degli altri requisiti tramite la documentazione indicata è invece condizionata dallo specifico contenuto della stessa. Una adeguata compilazione 26 della scheda tecnica – peraltro non obbligatoria, ma facoltativa, come già evidenziato – consente agli operatori di fornire la dimostrazione della sussistenza di tutti i requisiti richiesti. Di tale strumento, quindi, ben potrebbe giovarsi anche l’operatore che disponga di una documentazione contrattuale. La scheda tecnica rappresenta, dunque, un elemento di ausilio sotto il profilo probatorio per coloro che intendano avvalersi delle procedure previste dal Regolamento.

  4. In ordine all’articolo 10 del Decreto, rubricato « Piattaforma di scambio tra domanda e offerta », appare utile precisare che lo stesso non introduce un requisito abilitante per i produttori e gli utilizzatori di sottoprodotti, ma prevede la realizzazione di un elenco contenente le generalità degli operatori interessati a cedere o acquistare residui produttivi da impiegare, utilmente e legalmente, nell’ambito della propria attività, con finalità conoscitiva e di mera facilitazione degli scambi. La qualifica di un materiale come sottoprodotto, dunque non quale rifiuto, prescinde dalla iscrizione del produttore o dell’utilizzatore nel suddetto elenco , essendo di carattere oggettivo e legata alla dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dall’articolo 184- bis del d. lgs. n. 152 del 2006. Pertanto, l’iscrizione nell’elenco del produttore o dell’utilizzatore, di per sé, non è sufficiente a qualificare un residuo come sottoprodotto e, d’altra parte, la mancata iscrizione non comporta l’immediata inclusione del residuo nel novero dei rifiuti.

L’interprete deve comunque avere presente sia il quadro normativo generale sia le singole norme di settore che possono diversamente disciplinare alcune categorie di sottoprodotti.

Le terre e rocce da scavo, il materiale derivante dalla estrazione di marmi e lapidei , il cd digestato ottenuti in impianti dalla digestione anaerobica di effluenti di allevamento o altre tipologie di residui anche di origine vegetale, le sostanze prodotte dalla lavorazione degli agrumi (p.es. cd pastazzo), materiale di escavo o di lavorazione di fondali, materiale derivante dalla attività di pesca e innumerevoli altre sostanze o materiali possono trovare autonoma disciplina in termini di qualificazione come sottoprodotto o di esclusione dallo stesso ambito di applicazione della parte quarte del testo unico (art. 185, che contiene anche esclusioni non riconducibili a questa ratio).

L’art. 184-quater detta poi una autonoma disciplina dell’Utilizzo dei materiali di dragaggio.

3.1.3La nozione di cessazione della qualifica di rifiuto

Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo ”. È questa la previsione della prima parte del comma 1 dell’art.184 ter (Cessazione della qualifica di rifiuto), articolo che, coerentemente, chiude il cerchio della ricostruzione del ciclo di gestione con la previsione del quinto comma secondo cui “ 5. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto ”.

Non è sufficiente che un qualsiasi trattamento di recupero sia svolto, ma è necessario che esso abbia conseguito il risultato previsto (alla medesima ratio è ispirato il c.d. principio di effettività che si applica anche nella valutazione della natura del trattamento svolto effettivamente dal gestore dei rifiuti) . Infatti, coerentemente, la seconda parte dello stesso primo comma dell’art. 184 ter condiziona la cessazione della qualifica di rifiuto all’ulteriore presupposto che il recupero abbia conseguito il risultato previsto e che quindi il rifiuto “ soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto e' comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana .”

Ripercorrendo le condizioni prescritte dalla omologa disposizione sovranazionale si ha che anche per la normativa nazionale :

  1. occorre la sottoposizione a un’operazione di recupero,

  2. deve ricorrere il soddisfacimento di criteri specifici da elaborare conformemente a condizioni che testualmente richiamano il dato normativo della direttiva

L’opzione del legislatore nazionale è comunque meno rigorosa rispetto a quella precedentemente prevista dal previgente art. 181 bis [Materie, sostanze e prodotti secondari], articolo aggiunto dall'articolo 2, comma 18-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 e successivamente abrogato dall'articolo 39, comma 3, del Dlgs. 3 dicembre 2010, n. 205

In quella disposizione, s’imponeva che fossero previsti nella disciplina attuativa analiticamente:

a ) caratteristiche del rifiuto originario (più precisamente, provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre);

b ) caratteristiche del trattamento intermedio (una operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti della quale dovevano essere precisate «modalità e condizioni di esercizio»);

c) caratteristiche della materia prima secondaria ovvero – secondo la formulazione dell’abrogato art. 181 bis- del prodotto, materia, sostanza secondari; si imponevano « criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario); deve trattarsi in ogni caso di sostanza con “effettivo valore economico di scambio sul mercato »).

Come è evidente, l’attuale formulazione dell’art. 184 ter rispetto alla precedente dell’art. 181 bis si sofferma prevalentemente sulle caratteristiche della materia prima secondaria, con un marcato affievolimento della incisività della tutela ambientale.

Quid iuris se il rifiuto possiede già, prima di qualsiasi trattamento, le caratteristiche che ne consentono il successivo utilizzo?

Il recupero si articolerà in questo caso proprio nella verifica delle condizioni sopra menzionate.

È l’incipit del secondo comma dell’art. 184 ter ad affrontare espressamente la questione:

2. L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni.

Posto che la norma è chiaramente programmatica [co. 1 “soddisfi i criteri specifici, da adottare ”] e richiede di essere attuata [co.2 “ attraverso uno o piu' decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 ”], deve darsi atto che ad oggi i DDMM menzionati non sono stati attuati se non per limitati ambiti 27.

L’art. 184 ter detta tuttavia una disciplina temporanea:

a) mediante il richiamo delle “disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998 28 , 12 giugno 2002, n. 161 29 , e 17 novembre 2005, n. 269 30 ”;

b) mediante il rinvio all’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210.

c) mediante la previsione di applicazione [“fino a sei mesi dall'entrata in vigore della presente disposizione”] della circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN.

I tre dd.mm. citati sub a) sono attuativi del decreto Ronchi. Essi avevano la funzione di individuare i casi in cui il gestore dei rifiuti poteva svolgere in regime cd semplificato operazioni di recupero rispettivamente di rifiuti non pericolosi [il d.m. 5 febbraio 1998], di rifiuti pericolosi [12 giugno 2002, n. 161], di rifiuti pericolosi provenienti dalle navi [il d.m. 269 del 2005]. Sul regime semplificato si tornerà più avanti, e così sui tre dd.mm. Preme qui evidenziare che -poiché i tre dd.mm. nascono con la funzione di individuare quali specifiche tipologie di rifiuti possano essere sottoposti a predeterminate operazioni di recupero per conseguire ben individuate categorie di materie secondarie, aventi specificate caratteristiche- il rinvio, pertanto, intende affermare che un rifiuto, espressamente richiamato in uno dei tre citati decreti -ove sia sottoposto alle procedure di recupero per esso specificamente previste negli stessi decreti e abbia assunto le caratteristiche menzionate negli stessi- cessi la propria qualifica di rifiuto [secondo la nuova previsione dell’art. 184 ter] ovvero sia da considerarsi materia prima secondaria o “materia, sostanza, prodotto” secondario, secondo la previsione del previgente novellato art. 181 bis.

Sebbene, infatti, la norma non preveda esplicitamente un’automatica equiparazione alle materie secondarie di tutte le sostanze indicate nei dd.mm. menzionati come esito delle procedure di recupero in regime semplificato, questa sembra essere l’intenzione del legislatore, anche alla luce del richiamo (sopra riportato sub c) alla persistente (per quanto temporanea) vigenza della circ. 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN del Ministero dell’ambiente. Secondo la menzionata circolare: « b) i materiali, le sostanze e gli oggetti originati da cicli produttivi o di preconsumo, dei quali il detentore non si disfi, non abbia l’obbligo o l’intenzione di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto dei rifiuti, di gestione di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, purché abbiano le caratteristiche delle materie prime secondarie indicate dal D.M. 5 febbraio 1998 e siano direttamente destinate in modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo, sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti ».

L’operatore dovrà dunque avere presente, nel quadro di riferimento nazionale, sia la norma generale di cui all’art. 184 ter sia le norme di dettaglio eventualmente adottate dal Ministero, sia, in difetto di decreti ministeriali ad hoc, il quadro normativo appena ricostruito.

Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella cornice della previsione di cui all’art. 184 ter, ha adottato i seguenti decreti:

  1. D.M. 22 settembre 2020, n. 188 (in gazz. uff., 9 febbraio 2021, n. 33). - regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto da carta e cartone, (…) ;

  2. D.M. 31 marzo 2020, n. 78 (in gazz. uff., 21 luglio 2020, n. 182). - regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto della gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso, (…) ;

  3. D.M. 15 maggio 2019, n. 62 (in gazz. uff., 8 luglio 2019, n. 158) - regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto da prodotti assorbenti per la persona (PAP) (…) ;

  4. D.M. 28 marzo 2018 n.69 (in gazz. uff., 18 giugno 2018, n. 139). - regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso (…) ;

  5. D.M. 14 febbraio 2013, n. 22 (in gazz. uff., 14 marzo 2013, n. 62). - regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (C.S.S.) (…).

3.2La distinzione in concreto del rifiuto dal sottoprodotto e dall’end of waste

Alla luce delle considerazioni finora esposte deve concludersi che la nozione di rifiuto è sostanziale e non formale.

A meno che non si tratti di sostanze per le quali sia previsto un obbligo di disfarsi, non può desumersi dalla inclusione in un elenco la circostanza che una sostanza sia un rifiuto.

A tale proposito, neppure la inclusione di una sostanza nell’elenco di cui all’allegato D alla parte quarta del testo unico [Elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000] esime l’operatore dalla concreta verifica della sua natura di rifiuto e consente di affermare sic et simpliciter che si tratti di rifiuto. L’introduzione dell’allegato D comprende nel cappello iniziale la precisazione: “ L'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi. Una sostanza o un oggetto e' considerato un rifiuto solo se rientra nella definizione di cui all'articolo 3, punto 1 della direttiva 2008/98/CE.

L’art. 184 al quinto comma prevede parimenti che “ L'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all'articolo 183 .”

3.2.1Distinzione tra rifiuto, sottoprodotto e materia secondaria: rilevanza delle analisi.

Ne discende che quando un residuo di produzione non è abbandonato ma è oggetto di trattamento ovvero di utilizzazione in un ciclo produttivo ovvero oggetto di negozi giuridici occorrerà stabilire, in primo luogo, se quel residuo è un rifiuto (e quale ne sia la classificazione e la codificazione) oppure se è un sottoprodotto o, ancora, se è una materia, sostanza, prodotto secondario.

In sostanza l’accertamento del reato passa in questi casi attraverso l’individuazione dell’effettiva natura delle sostanze.

La diffusa propensione illecita di chi produce e gestisce sostanze qualificabili come rifiuti è quella di qualificare le sostanze e le operazioni cui esse sono state e sono sottoposte in modo tale da evitare l’applicazione della disciplina dei rifiuti o quanto meno evitare di applicarne le disposizioni più rigorose.

A questa propensione –che non necessariamente si traduce in intenzione di violare la disciplina- consegue una serie di possibili condotte rispetto alle quali possono essere adottate idonee strategie e protocolli investigativi.

Fatto rinvio per ciò che attiene alla disciplina dettata in tema di sottoprodotti e materie secondarie ai paragrafi precedenti, occorre qui evidenziare che l’indagine sulla effettiva natura delle sostanze non è semplicemente né necessariamente una indagine sulle caratteristiche chimiche e fisiche della sostanza.

La disciplina della gestione di rifiuti, infatti, consente p.es.che una sostanza sia qualificata come rifiuto per la stessa intenzione della parte di disfarsene, ammette che la medesima sostanza sia diversamente codificata a seconda della attività dalla quale proviene, conosce forme di classificazione che considerano non la natura della sostanza ma ancora una volta la attività dalla quale essa proviene.

Si può, pertanto, dire che è piuttosto vero il contrario: soltanto in casi specifici in cui è il legislatore primario o secondario a indicare precisi parametri o dati qualitativi a rilevanza analitica (p.es. fissandone conseguenzialmente il divieto di commercializzazione, ovvero correlandovi la possibilità che quella sostanza, già qualificata rifiuto, sia invece qualificata come prodotto secondario, etc) la verifica analitica può assumere rilevanza dirimente.

La diffusa opinione secondo cui le indagini in materia di rifiuti richiedano necessariamente l’apporto di un chimico è, pertanto, erronea, potendosi rivelare anzi l’approccio analitico del tutto inconcludente se non rischioso per la complessità della disciplina che viene seguita. Spesso è la difesa che può avere interesse a spostare sul piano delle analisi un accertamento che dalle analisi potrebbe non avere alcuna risposta significativa. Tuttavia, una volta accettato da parte del Giudice (mediante l’ammissione dell’incidente probatorio o mediante la nomina di perito ex art. 507 c.p.p.) il presupposto secondo cui le analisi chimiche sono indispensabili per decidere (nel caso della ordinanza ex art. 507 c.p.p.) ovvero comunque rilevanti per la decisione (nel caso della ordinanza di ammissione dell’incidente probatorio) può essere difficile rendersi conto che in effetti l’approccio chimico-analitico non era necessario e può essere persino fuorviante, soprattutto se il perito si è limitato ad un approccio meramente chimico analitico.

Vero è peraltro che proprio tra i chimici vi sono alcune professionalità ormai formate allo svolgimento di accertamenti in materia ambientale che comprendono anche profili non strettamente tecnico analitici.

Nei successivi paragrafi saranno pertanto considerate alcune delle tecniche investigative in materia ambientale connotate da caratteristiche di specificità. 31

3.2.2La ricostruzione del ciclo

Al fine di correttamente qualificare una sostanza come rifiuto e quindi classificarla e codificarla è centrale che sia curata:

  1. la ricostruzione del ciclo produttivo dal quale il residuo deriva e,

  2. ove si assuma che esso sia riutilizzato quale sottoprodotto,

    • del ciclo di riutilizzo

    • dell’eventuale fase intercorrente tra la produzione del residuo ed il suo riutilizzo

    1. ove si assuma che esso sia oggetto di una operazione di recupero e che sia esitato in materia prodotto e sostanza secondari,

      • del ciclo di recupero, incluse le fasi intermedie che possono essere di raccolta, di trasporto, di recupero non definitivo;

      • della successiva fase di utilizzazione, poiché, come si dirà, ove anche un rifiuto sia effettivamente sottoposto a efficace trattamento di recupero, l’eventuale difetto di obiettiva destinazione al recupero dell’intero ciclo assume rilevanza ai fini della applicazione della clausola di cui al comma 7 dell’art. 216 32 .

      La ricostruzione del ciclo con l’accertamento dell’intera filiera sia con riguardo ai profili strumentali e tecnologici, sia con riguardo alla sussistenza e operatività di segmenti funzionali di trattamento consente di stabilire, una volta date le caratteristiche delle sostanze in ingresso (se del caso accertandole ancora a monte), la natura della sostanza in uscita.

      Si consideri ad esempio il tema di residui di produzione dei quali debba stabilirsi se si tratta di sottoprodotti o rifiuti: la ricostruzione del ciclo può consentire di stabilire in quale stato, dimensioni, quantità e, in definitiva, caratteristiche essi siano esitati dal processo di produzione. Occorrerà poi conoscere il contesto in cui si assume che debbano essere riutilizzate per stabilire se il riutilizzo nello stesso (o in altro) processo produttivo sia possibile soltanto a condizione di ulteriori trattamenti: se essi necessitino di ulteriori trattamenti per essere riutilizzati, occorre individuare di quali trattamenti si tratta.

      La apparente complessità del tema viene così a risolversi ove metodicamente siano individuati i temi di approfondimento e resi oggetto di accertamento, se del caso anche mediante consulenza tecnica.

      A volte la ricostruzione può essere condotta alla luce delle eventuali certificazioni attinenti le materie ambientali ovvero altri protocolli interni adottati dal produttore o dal gestore: esse infatti presuppongono la valutazione- talora condotta a monte sulla carta e a impianto fermo- dell’intero ciclo aziendale.

      Si tratta di una ricostruzione spesso sottovalutata dagli stessi produttori e gestori: avviene così che essi talvolta producano nel corso dei processi certificazioni (p.es. certificazioni di qualirà ambientale) ritenendo così di provare la correttezza del loro operato, senza neppure rendersi conto che l’attenta analisi delle condizioni di rilascio della certificazione può espressamente affermare che si tratti di certificazione condizionata al rispetto di un determinato protocollo di lavoro, protocollo di lavoro talora ignorato da chi organizza materialmente l’attività. Così risolvendosi un preteso vantaggio per la difesa in grave elemento a carico, poichè spesso i protocolli di lavoro finiscono per fissare regole – se non più gravose- certamente più specifiche di quelle della disciplina di settore

      3.2.3Accertamenti sul trasporto

      Il sistema, pur affidato alla spontanea osservanza da parte dei soggetti coinvolti nel ciclo di gestione dei rifiuti, consente una serie di verifiche anche incrociate, sulle quali le indagini in materia ambientale per violazione del testo unico ambientale tradizionalmente si incentrano.

      Limitando in questa sede ad una esemplificazione che riguarda il sistema vigente prima della introduzione – e sospensione- del Sistri, va evidenziato che le citate verifiche possono consistere nel raffronto tra situazione di fatto e situazione riprodotta nei documenti : è questo il caso della verifica della rispondenza del f.i.r. rispetto a carico del veicolo e percorso seguìto; o della verifica della rispondenza tra la presenza di annotazioni in carico sul registro (non seguite da annotazioni di scarico del medesimo rifiuto) e l’esistenza dei rifiuti in carico presso la sede del gestore ovvero il significativo mancato rinvenimento dei rifiuti 33 .

      Possono ancora consistere nella verifica della corrispondenza reciproca tra documenti di eguale natura : esempio classico è quello della corrispondenza tra copia del fir detenuto dal produttore e copia del fir detenuto dal destinatario, su cui ci si soffermerà più avanti

      Di particolare utilità nell’accertamento dei reati è altresì il raffronto tra documenti diversi, ancorché tutti previsti dal Testo unico ambientale, come avviene quando si accerti se ad un fir in cui Tizio è indicato come destinatario (fir nel quale il riquadro riservato al destinatario sia già compilato e sottoscritto da quest’ultimo, essendo già avvenuta la consegna) corrisponda una annotazione sul registro di carico.

      E’ infine possibile la comparazione tra dati emergenti dalla documentazione “ambientale” e dati aliunde emergenti . E’ il caso frequente del raffronto tra la apparente ricostruzione dell’iter del trasporto desumibile dai fir e la consultazione del disco cronotachigrafico

      Talora gli accertamenti sopra indicati si combinano: ciò avviene in particolare in relazione all’accertamento del c.d. Giro Bolla

      Si consideri il seguente esempio.

      Il produttore o detentore A” conferisce mediante il trasportatore “B” dei rifiuti al destinatario “C”.

      A” compilerà quattro fir affidandone tre copie al trasportatore “B” che alla consegna dei rifiuti al destinatario “C” farà compilare l’apposito riquadro per poi consegnargli una copia, trattenerne un’altra e restituire l’ultima al produttore “A”.

      Effettuata, p.es., una operazione di recupero “C” potrà poi conferire i rifiuti trattati (ma per ipotesi non ancora del tutto recuperati) ad un ulteriore destinatario “D”, magari avvalendosi nuovamente del trasportatore “B”.

      Anche in questo caso, saranno emessi nuovamente quattro fir e ai fini della loro compilazione “C” (già destinatario) assumerà il ruolo di “(produttore o) detentore”.

      Nuovamente il trasportatore “B” avrà cura, alla consegna dei rifiuti al destinatario “D”, di far compilare l’apposito riquadro, consegnargli una copia, trattenerne un’altra e restituire al “produttore/detentore” “C” l’ultima.

      Avviene sovente che il rifiuto così come si presenta all’origine non possa essere conferito da “A” direttamente a “D” perché, ad esempio, richieda di essere trattato e non possa essere impiegato tal quale nell’impianto di “D” Il trattamento presso “C”si rende allora necessario perché il rifiuto possa essere destinato a “D”. Tecnicamente questo generalmente comporta la modifica del codice CER del rifiuto e/o più frequentemente, della tipologia di operazione cui il rifiuto è destinato, p. es. quando venga sottoposto ad operazioni di pretrattamento.

      E’ in questo passaggio che si annida un’agevole occasione per eludere la normativa. Il transito del rifiuto presso “C” e la effettuazione della operazione intermedia potrebbe illecitamente avvenire soltanto sulla carta emettendo una prima serie di fir che attestino che il rifiuto, con un determinato codice o una determinata destinazione, è stato trasportato da “A” a “C” e quindi, senza alcun transito ed alcuna effettuazione di operazioni presso “C”, emettendo una seconda seria di FIR che attestino che il rifiuto, con diverso codice o diversa destinazione di recupero (compatibili con la destinazione “D”), viene poi trasferito da “C” a “D”. Ove il controllo venisse effettuato nel corso del trasporto da “A” a “C” oppure da “C” a “D” non sarebbe affatto agevole scoprire l’inganno.

      Può soccorrere in questi casi il raffronto tra le due serie di fir “consequenziali”, cronologicamente strettamente connesse, cioè, l’una serie all’altra.

      Sotto il profilo dei tempi

      Emergerà p.es. che il secondo trasporto, spesso mediante il medesimo trasportatore (come nell’esempio), ha inizio poco dopo la fine del primo trasporto: il tempo intercorrente tra la fine del primo e l’inizio del secondo potrà essere già oggettivamente incompatibile non soltanto con la effettuazione di alcuna operazione di trattamento ma anche solo per il materiale conferimento con scarico dal veicolo

      Sotto il profilo del profilo ponderale del rifiuto

      Potrà ancora emergere che il rifiuto sottoposto ad operazioni di cernita, pulitura etc ha esattamente il medesimo peso del rifiuto pervenuto: ovviamente ciò è incompatibile con l’effettuazione della operazione

      Può soccorrere ancora il raffronto con lo stato dei luoghi

      Ove “C” non sia affatto dotato di macchinari/apparecchiature che consentano il trattamento del rifiuto e la trasformazione dello stesso in altra categoria, evidentemente la modifica di codice o di operazione di destinazione non potrà essere considerata rispondente al vero.

      Potrà altresì ricorrersi a dati aliunde emergenti.

      L’accertamento degli spostamenti del mezzo (storico è il riferimento al cd disco cronotachigrafico) dell’unico trasportatore consentirà p.es. di accertare la compatibilità con le annotazioni di percorso e distanza riportate sui fir o dare conferma p.es. della brevità della sosta effettuata presso il primo destinatario.

      Gli appostamenti (altrimenti definiti servizi di o.c.p.) potranno consentire di evidenziare che il carico di rifiuti non ha neppure avuto ingresso nella sede dell’impianto del primo destinatario.

      L’effettiva esecuzione di un trasporto di rifiuti ovvero la reiterazione con un unico formulario del medesimo trasporto nella stessa giornata può essere oggetto di accertamento mediante l’acquisizione quindi dei dischi cronotachigrafici relativi al mezzo che il fir indica essere stato utilizzato.

      Si tratta tuttavia di accertamento comune (come le verifiche sulla localizzazione dei cellulari dell’autista, oppure gli appostamenti, oppure il posizionamento di gps etc) alle tecniche investigative di ulteriori diversi settori, sicchè ne appare superflua la trattazione in questa sede.

      Quanto detto, si ribadisce, concerne il sistema documentale cd cartaceo precedente al Sistri.

      3.2.4Accertamenti analitici e sulle analisi

      Allorquando invece possano assumere rilevanza anche i profili analitici delle sostanze (ad esempio nei casi in cui sia espressamente posto l’obbligo di predisposizione di certificati di analisi legislativamente 34 ovvero dal provvedimento autorizzatorio o in relazione alle cd voci specchio) si porrà in concreto non soltanto il problema dell’accertamento in positivo di essi da parte del P.M., ma anche quello in negativo della eventuale falsità dei periodici certificati di parte.

      Lasciando l’approfondimento del tema dei prelievi e delle analisi in materia ambientale, oggetto di altra specifica relazione sull’accertamento dei crimini ambientali, occorre qui invece soffermarsi sulla possibilità di includere nei protocolli investigativi anche l’accertamento relativo ai profili di falso dei certificati periodici di parte.

      L’esistenza di precedenti certificati periodici di analisi elaborati da un chimico apparentemente terzo rispetto al gestore dei rifiuti (ma il problema si pone nei medesimi termini anche per gli altri settori del diritto penale dell’ambiente) non è in sè – per le ragioni già esposte- normalmente idonea a confutare la affermazione della natura del rifiuto basata sulla ricostruzione dell’intero ciclo dalla produzione al trattamento allo smaltimento o recupero con successivo utilizzo.

      Si consideri, per esempio, l’utilizzo di fanghi di depurazione in agricoltura: sin dalla disciplina del 1992 (d.lgs. n.99) si sono fissati alcuni parametri cui deve rispondere il fango che provenga dalla depurazione di reflui civili o assimilati affinché possa essere utilizzato in agricoltura, dopo essere stato trattato come rifiuto e recuperato.

      Tuttavia tra i parametri indicati non ve ne sono alcuni (p.es. la diossina) che ovviamente il legislatore non ha considerato per la semplice ragione che vi è già la delimitazione iniziale della provenienza del refluo. Ove il fango derivi dalla depurazione di un refluo industriale non assimilabile, nessuna analisi che pure genuinamente dimostri la rispondenza ai parametri previsti a valle per la sostanza da utilizzare in agricoltura, può superare il non emendabile peccato originale della provenienza del rifiuto

      L’accertamento tuttavia della falsità dei certificati periodici costituirà invece un importante elemento di riscontro, se non addirittura, come si dirà, di prova di ulteriori reati.

      3.2.5L’accertamento sulle certificazioni periodiche di parte

      A questo proposito occorre richiamare, tra le metodologie di indagine sperimentate con successo, la verifica diretta presso il laboratorio di analisi nel quale le certificazioni di parte appaiono formate.

      Il presupposto dal quale si parte è che le analisi richiedono differenti, spesso complesse e comunque costose apparecchiature 35 e che queste ultime richiedono per il relativo funzionamento specifico materiale di consumo.

      L’accreditamento a specifiche attività dei laboratori di analisi può dipendere proprio dalla disponibilità di determinate apparecchiature.

      Ne discende che -ove vi sia motivo di dubitare che le certificazioni di parte periodiche (magari perché contrastanti con gli esiti dell’attività svolta dal PM) siano veridiche- l’ispezione del laboratorio di analisi con l’accertamento sia delle apparecchiature in dotazione e funzionanti, sia dell’effettivo funzionamento delle apparecchiature mediante la verifica del materiale di consumo (del quale il laboratorio mantiene traccia ai fini della gestione fiscale del relativo costo).

      Sorvolo in questa sede sulla circostanza che questo accertamento ha consentito in alcuni casi –oltre che di verificare che il laboratorio non avrebbe mai potuto effettuare alcune delle analisi i cui esiti erano riportati nei certificati non avendo le apparecchiature nè potendone disporre diversamente- anche di accertare l’esistenza di brogliacci di analisi (corrispondenti per date ed altri elementi ai certificati periodicamente prodotti dalla parte), in cui gli esiti cd fuori specifica erano affiancati da valori entro specifica, questi ultimi corrispondenti a quelli riportati nelle certificazioni. Ulteriori reati sono poi emersi in sede di analisi della documentazione fiscale ove i costi di gestione erano dichiati.

      3.2.6Gli illeciti conseguenti

      Ovviamente la formazione di certificati falsi può assumere diversa rilevanza:

      1. in primo luogo, è ulteriore elemento di riscontro in relazione ai reati ambientali (nonché di prova ove sia acquisito, come nel caso del brogliaccio sopra citato, anche la prova degli effettivi valori rilevati con le analisi di parte;

      2. in secondo luogo, ove abbia consentito (come nel caso delle certificazioni periodiche disposte con il provvedimento di autorizzazione) la prosecuzione della condotta illecita (p.es. gestione illecita di rifiuti), costituisce condotta di concorso di colui che ha formato il certificato falso nel citato reato ambientale;

      3. può integrare la fattispecie delittuosa di cui all’art. 258.

      3.2.7Accertamenti sulla spedizione transfrontaliera

      Uno dei settori nei quali più frequente è la elusione della applicazione della disciplina dei rifiuti è quello della spedizione transfrontaliera.

      Rinviando ad altre relazioni -già depositate agli atti della formazione permanente sia del CSM che della SSM- i temi della nozione, delle disciplina sostanziale comunitaria e nazionale applicabile e della disciplina sanzionatrice, occorre qui rilevare come a sèguito di specifici studi di settore 36 è emersa la radicale inattendibilità dei dati statistici relativi alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti. E’ emerso in sostanza come importanti realtà portuali apparentemente non siano state interessate affatto anche per periodi di oltre un anno da alcuna movimentazione di rifiuti.

      In concreto, si è poi rilevata la significativa probabilità che nessuno dei controlli previsti in area portuale o comunque in ambito doganale fosse idoneo a rivelare il passaggio di rifiuti come merci.

      Il controllo doganale è tendenzialmente orientato da finalità soprattutto di carattere fiscale.

      I controlli delle altre forze di polizie scontano comunque la difficoltà oggettiva di poter valutare anche con il semplice esame visivo se una sostanza sia rifiuto o mps o sottoprodotto.

      Allo stato, le tecniche attraverso le quali può essere accertata la spedizione illegale che abbia ad oggetto rifiuti non dichiarati come tali si fondano:

      1. sull’approfondimento a valle o a monte presso soggetto di spedizione e soggetto di destinazione della effettiva natura delle sostanze, che consenta poi di stabilire l’illiceità della loro spedizione;

      2. sulla elaborazione di protocolli di accertamento per gli organi di controllo che, partendo dalle categorie di merci più esposte a celare in realtà rifiuti, ne individui le caratteristiche e soprattutto fornisca indicatori di agevole applicazione che consenta di affermare almeno il fumus delicti utile per la adozione del sequestro e per i successivi accertamenti.

      4Secondo fattore di complessità: gestione di rifiuti e atti della pubblica amministrazione

      4.1Premessa

      Ulteriore elemento di complessità delle indagini in materia di rifiuti è costituito dalla circostanza che sotto il profilo formale l’agente svolga la attività di gestione di rifiuti sulla base di un titolo abilitativo. Che si tratti di autorizzazione nelle due forme del regime ordinario (autorizzazione unica o autorizzazione integrata ambientale), ovvero di comunicazione di inizio di attività (ordinaria o aggravata) ovvero di iscrizione, il tema che si pone -in particolare allorquando questa attività pur abilitata risulti in contrasto con altra specifica previsione- è se la valutazione della condotta incontri dei limiti (e debba persino essere considerata sostanzialmente insindacabile), se, in sostanza, si ponga in questo caso un problema di disapplicazione dell’atto amministrativo e se e quali ulteriori accertamenti occorra in questi casi effettuare.

      Ove infatti si ponesse un problema di disapplicazione 37 , dovrebbe tenersi conto dei limiti entro i quali la disapplicazione è ammessa in sede di accertamento della responsabilità penale.

      Invero, l’estensione del potere di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi nel campo penale sembra collidere con il principio di tassatività, poiché consentirebbe di ravvisare reati, connotati dall’assenza di provvedimenti, anche in ipotesi in cui vi sono provvedimenti amministrativi, sebbene questi siano illegittimi e pertanto suscettibili di disapplicazione.

      D’altro canto, non sfugge che una tale estensione, consentendo una disapplicazione in peius, finirebbe per tradire l’originaria ratio garantistica dell’art. 5 che nasce quale norma volta a disciplinare l’estensione (cd. limiti interni) dei poteri che il GO gode nei confronti della Pa, quale titolare della funzione amministrativa.

      Non potendosi in questa sede sviscerare il tema, si assumono per la successiva analisi i seguenti principi (espressi dalla notissima sentenza Giordano, n. 3 del 17.2.1987, cui si ispirano le molteplici pronunce successivamente assunte dalle sezioni semplici, ma superata per alcuni aspetti da successive pronunzie anche delle Sezioni unite) 38 :

      1. il giudice penale, ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 20.3.1865 n. 2248 All. E), sull'abolizione del contenzioso amministrativo, ha il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi che comportano una lesione di diritti soggettivi;

      2. gli atti amministrativi che rimuovono un ostacolo al libero esercizio dei diritti (nulla osta, autorizzazioni) o che costituiscono diritti in capo a soggetti privati (concessioni), se illegittimi, non possono essere disapplicati dal giudice penale, a meno che la disapplicazione non trovi fondamento in una esplicita previsione legislativa ovvero nel generale potere del giudice di interpretare la norma penale nei casi in cui l'illegittimità dell'atto amministrativo si configuri essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa;

      3. per conseguenza, il reato di costruzione edilizia senza PdC non è configurabile quando questa sia stata rilasciata illegittimamente; mentre è configurabile quando questa sia stata rilasciata da organo assolutamente privo del potere di provvedere oppure sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che la rilascia o del soggetto privato che la acquisisce, giacché in questi ultimi casi l'atto amministrativo è giuridicamente inesistente o illecito, e quindi non è oggettivamente riferibile alla sfera del lecito giuridico.

      Le note che seguono, si ripete, mirano esclusivamente a proporre il tema del rapporto tra giurisdizione e atto amministrativo nella misura in cui ciò sia rilevante nella determinazione dell’ambito della attività di indagine.

      Ancora una volta, esemplificativamente si considera l’attività di gestione di rifiuti: la circostanza che essa sia svolta in presenza di un titolo abilitativo non soltanto non conferisce affatto automaticamente crisma di liceità della attività stessa, ma impone di contro una più articolata e complessa attività di indagine.

      4.2Indagini e atto amministrativo in materia ambientale: quando non v’è questione di disapplicazione

      Vi sono in primo luogo una serie di ipotesi in cui non si pone affatto un problema di disapplicazione sicchè non hanno ragione di porsi neppure astrattamente le perplessità sul tema nutrite e sopra riassuntivamente richiamate. In particolare:

      4.2.1

      A) valutazione della conformità della condotta (anche assentita) allo statuto di settore

      Vengono in rilievo, anzitutto, le ipotesi in cui la norma penale attribuisce direttamente al giudice penale il potere di sindacare la condotta tenuta dal soggetto attivo del reato in relazione non già (e non solo) al provvedimento amministrativo emanato, bensì allo statuto di settore in cui si colloca lo stesso provvedimento.

      in materia edilizia e urbanistica

      Il tema –come è noto- è stato oggetto di particolare approfondimento in relazione al caso di costruzione con concessione edilizia/permesso di costruire, ma in contrasto con altre disposizioni (di seguito, per semplicità, in contrasto con la pianificazione), così come per la lottizzazione autorizzata ma parimenti in contrasto con altre disposizioni (di seguito, per semplicità, in contrasto con la pianificazione).

      Occorre allora preliminarmente riportarsi agli arresti sul tema della giurisprudenza di legittimità in materia edilizia e urbanistica.

      Illuminanti, in proposito, sono le considerazioni svolte dal cit. Cass. pen., Sez. Unite, 21/12/1993 secondo cui nell'ipotesi in cui si edifichi con concessione edilizia illegittima, deve discutersi non già di disapplicazione di un atto amministrativo illegittimo e dei relativi poteri del giudice penale, ma di potere accertativo di detto magistrato: l'esame deve riguardare l'integrazione o meno della fattispecie penale " in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela (nella specie l'interesse sostanziale alla tutela del territorio), nella quale gli elementi di natura extrapenale... convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo" .

      Le considerazioni appena svolte conservano la loro validità anche alla luce del dato normativo di cui al vigente art. 44 a) e b) TU edilizia giacché la lett.b) sanziona i lavori svolti in assenza o in totale difformità del permesso, laddove la lett.a) punisce i casi di esecuzione di lavori effettuati in violazione non solo del titolo edilizio rilasciato (ove non integrino totale difformità), ma anche dello statuto urbanistico complessivo comprensivo (in disparte il permesso edilizio).

      La contravvenzione di cui alla cit. lett.a è configurabile, quindi, anche nell’ipotesi di esecuzione di lavori che, seppure conformi al titolo edilizio, siano in contrasto con le altre fonti di natura normative e non regolanti la fattispecie concreta oggetto di assenso: la contestazione di un addebito penale in tali casi non implica la disapplicazione del titolo edilizio, ma l’esercizio del potere di accertamento peculiare riconosciuto al giudice penale e consistente nella verifica della sussumibilità della fattispecie concreta nell’ambito di quella astratta così come delineata dal precetto.

      Analogamente, l’ipotesi criminosa di lottizzazione abusiva ricorre sia nell’ipotesi in cui l’attività di trasformazione è stata posta in essere in assenza della prescritta autorizzazione sia nell’ipotesi in cui, pur ricorrendo quest’ultima, tuttavia l’attività è stata posta in essere in contrasto con lo statuto urbanistico costituito dalle prescrizioni specifiche imposte dagli strumenti urbanistici e dalle leggi statali o regionali.

      in materia di disciplina della gestione dei rifiuti

      E’ possibile trasporre le medesime coordinate ermeneutiche appena riferite nel campo della disciplina della gestione dei rifiuti, conseguendo il medesimo risultato?

      Così sembra ritenere Cass. pen., Sez. III, 15/12/2006, n.13676 che ha in proposito affermato i seguenti principi:

      a) la valutazione della configurabilità di reati in materia ambientale non esclude il giudizio sulla legittimità di atti amministrativi autorizzatori eventualmente rilasciati ma anzi comporta necessariamente tale giudizio (ovviamente non esteso ai profili di discrezionalità) allorchè quegli atti costituiscano presupposto o elemento costitutivo o integrativo del reato. Una determinata attività incidente sullo stato dell'ambiente, infatti, seppure formalmente assentita, non può svolgersi in contrasto con la disciplina di settore risultante dal complesso delle norme statali e regionali e degli ulteriori strumenti di pianificazione settoriale vigenti;

      b) il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale di un titolo autorizzatorio amministrativo, procede ad un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione" del provvedimento medesimo, nè incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poichè esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice;

      c) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità (anche a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell'amministrazione) costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento soggettivo del reato contestato pure riguardo all'apprezzamento della colpa;

      d) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buonafede e di affidamento incolpevole.

      Occorre pertanto interrogarsi sulla sussistenza di una previsione normativa incriminatrice in materia di gestione di rifiuti che punisca la condotta ( “una determinata attività incidente sullo stato dell'ambiente”) per il fatto che, seppure formalmente assentita, si svolga “ in contrasto con la disciplina di settore risultante dal complesso delle norme statali e regionali e degli ulteriori strumenti di pianificazione settoriale vigenti ”.

      La stessa sentenza esclude infatti di aver fatto ricorso all’istituto della disapplicazione che in ipotesi avrebbe –ad avviso di chi scrive censurabilmente- consentito di ravvisare la fattispecie di cui al primo comma del’art. 256 laddove vi è gestione con autorizzazione illegittima.

      Nel caso di specie la Suprema Corte espressamente richiama peraltro anche una descrizione della operazione diversa da quella della insussistenza del titolo per illiceità poiché oltre ad escluderne la rilevanza nel ragionamento (riportando tra parentesi “anche a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell'amministrazione”) richiama l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità soltanto ai fini della valutazione di elemento soggettivo del reato, intendendo il reato contravvenzionale, poiché vi è menzione della colpa.

      Tuttavia nessuna delle contravvenzioni di cui all’art. 256 in tema di gestione di rifiuti ha una formulazione che si ponga rispetto al primo comma dell’art. 256 così come la lettera a) dell’art. 44 t.u.edil si pone rispetto alla lett.b) dello stesso articolo (o come la previsione di lottizzazione abusiva sostanziale rispetto alla lottizzazione abusiva formale).

      Uno spazio utile potrebbe essere in astratto quello di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. (già art. 260 D. lgs. n.152/2006) che sanziona “ Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”.

      Invero, un’interpretazione formale dell’avverbio “ abusivamente” potrebbe indurre a ritenere che la norma sanziona esclusivamente le condotte che vengono in assenza o in contrasto con il titolo abilitativo: trattatasi, cioè delle ipotesi in cui l’attività afferente ai rifiuti è svolta in modo clandestino ovvero in modo radicalmente difforme dal titolo ovvero con rifiuti diversi da quelli oggetto di assenso preventivo.

      Un’interpretazione di natura sostanziale induce, invece, a ritenere che la verifica della ricorrenza in concreto della fattispecie penale de qua deve svolgersi, assumendo a parametro normativo non solo il titolo abilitativo rilasciato, ma anche il complessivo ordinamento vigente in tema di rifiuti, con la conseguenza che il reato de quo è configurabile anche nelle ipotesi in cui la condotta perpetrata dal soggetto attivo, benché conforme al titolo abilitativo rilasciato, risulta tuttavia in contrasto con le ulteriori fonti confluenti nello statuto di settore.

      Tuttavia, sebbene si tratti di ipotesi contestata nel procedimento oggetto della sentenza Cass. pen., Sez. III, 15/12/2006, n.13676, non sembra che ad essa abbia inteso riferirsi la Suprema Corte.

      Certamente rientra nell’ambito di questa ipotesi, la fattispecie prevista dall’art. 259 testo unico con riferimento all'art. 26 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, secondo cui "Costituisce traffico illecito qualsiasi spedizione di rifiuti: …e) che comporti uno smaltimento o un ricupero in violazione delle norme comunitarie o internazionali ”. Vi è piena continuità normativa con la successiva previsione relativa alla «spedizione illegale» dettata dall’art. 2 n. 35) del regolamento 1013, in quanto alla lett. e) si considera la spedizione “ in un modo che il recupero o lo smaltimento risulti in contrasto con la normativa comunitaria o internazionale ”.

      E’ in sostanza la stessa previsione normativa a richiedere che, indipendentemente dalla circostanza che la spedizione sia autorizzata, sia autonomamente valutata dal Giudice la liceità della spedizione in quanto diretta a effettuare uno smaltimento o un recupero in contrasto con la normativa comunitaria e internazionale (non soltanto in materia di spedizione transfrontaliera) ma in generale in materia gestione di rifiuti, . Nonostante l’autorizzazione, può cioè autonomamente ritenersi che la procedura di spedizione sia svolta con modalità o con finalità (persino da essere così teleologicamente orientata) tali da determinare un recupero e uno smaltimento contrastanti con la normativa.

      4.2.2

      B) La valutazione della condotta assentita da atto inesistente per illiceità o carenza di potere

      Ulteriore caso non riconducibile alla disapplicazione di provvedimenti amministrativi è quello della inesistenza dell’atto per illiceità ovvero carenza di potere.

      In materia edilizia ad esempio si è ritenuta inesistente la concessione edilizia non riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, in quanto frutto dell'attività criminosa del soggetto pubblico che la rilascia o del soggetto privato che la ottiene.

      L’inefficacia dell’atto provvedimentale, in quanto affetto da nullità per contrasto con norme imperative penali, esclude che nella specie possa rinvenirsi un’ipotesi di disapplicazione che per sua natura presuppone un atto esistente ed efficace, sebbene illegittimo.

      Sulla nozione di illiceità conviene richiamare Cass. pen., Sez. III, 03/03/2004, n.15299 ad avviso del quale la c.d. "collusione", non indicativa di uno specifico reato, perché insussistente nel codice penale comune, debba essere ampliata alle attività fraudolente del richiedente, non colpite per inerzia della P.A., e possa essere riferita genericamente alla sfera dell'illecito giuridico. 39

      Tra le condotte che determinano l’illiceità dell’atto, e quindi l’inesistenza, va considerata anche la prospettazione di circostanza di fatto false che si riverberi e determini l’adozione dell’atto.

      In questa prospettiva, si rende sempre necessario, in materia ambientale, acquisire ed esaminare anche la domanda volta a conseguire il titolo autorizzatorio, la comunicazione di inizio, la richiesta di iscrizione, tutte con i relativi allegati.

      L’eventuale provvedimento, fondato su presupposto falso perché tale riferito dall’istante, potrà

      essere considerato illecito in quanto conseguito con attività fraudolenta della parte.

      Il mendacio assume poi ulteriore autonoma rilevanza nei termini di seguito esposti.

      4.2.3

      C) La valutazione dei titoli abilitativi conseguiti mediante mendacio

      Diversa prospettiva investigativa si apre allorquando debba verificarsi se il titolo abilitativo sia stato rilasciato con mendacio.

      Tale circostanza assume un duplice rilievo.

      In primo luogo, si pone il problema della verifica della sussistenza di reati di falso.

      In secondo luogo, si pone il problema della ricaduta che detto mendacio può avere sul titolo abilitativo conseguito

      Infatti che in relazione ai tre regimi di gestione dei rifiuti (regime ordinario con autorizzazione esplicita, regime di mera iscrizione– e regime semplificato con comunicazione di inizio attività – con ulteriori articolazioni), vi sono distinte fattispecie che considerano l’eventuale sussistenza di profili di falso nelle “dichiarazioni” di parte che in tutto in parte possono fondare i tre diversi titoli abilitativi.

      Esemplificativamente basti considerare che in tema infine di procedure c.d. semplificate l’art. 214 prevede al comma 8 : “ Alle denunce, alle comunicazioni e alle domande disciplinate dal presente capo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

      Si applicano, altresì, le disposizioni di cui all'articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241. A condizione che siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 216, l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia.

      Ai sensi dell’art. 21 («Disposizioni sanzionatorie») l. n. 241/1990, come modificata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 e dall’art. 3, 6° comma novies, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, e poi ancora dall' articolo 6, comma 1, lettera b), numero 1) della Legge 7 agosto 2015, n. 124 ::

      « 1. Con la segnalazione o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall'articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.”

      ……».

      In sostanza, in caso di comunicazioni (denunce e domande) previste dagli artt. 214, l’autore è punito con la reclusione, così come colui che attesti falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, secondo la previsione dell’art. 483 c.p.

      Ad analoga conclusione, ma per altra strada, si perverrebbe del resto, anche considerando la giurisprudenza in tema di atto amministrativo inesistente per induzione in errore alla quale si rinvia

      4.2.4

      D) La valutazione della condotta assentita da atto inefficace

      Non costituisce ancora ipotesi di disapplicazione la valutazione dell’inefficacia del titolo nel caso in cui la sua efficacia sia condizionata e la condizione non si sia verificata.

      E’ questo ad esempio il caso del permesso di costruire in zona vincolata rilasciato senza autorizzazione paesaggistica: l’orientamento prevalente – ma non tetragono- ritiene che si tratti di permesso inefficace sicché l’eventuale edificazione non integrerà soltanto la fattispecie di cui all’art. 181 cod.bb.cc., ma anche quella di cui all’art. 44 lett.c) per assenza di permesso in quanto inefficace.

      4.2.5La valutazione della condotta assentita da comunicazione di inizio delle attività

      Allorquando la condotta di gestione di rifiuti (in linea di massima, recupero nei casi espressamente previsti, ma in astratto andrebbero incluse anche le condotte di auto smaltimento e alcuni casi di trasporto di rifiuti) sia formalmente svolta in regime cd semplificato di comunicazione di inizio, dovranno comunque verificarsi molteplici profili prima di ritenere che la condotta sia assentita e che pertanto non sussista la fattispecie di cui all’art. 256 comma primo.

      4.2.6L’accertamento che i rifiuti vengano destinati in modo effettivo ed oggettivo al recupero

      Infatti il disposto dell’art. 33 del decreto Ronchi così come quello della prima formulazione dell’art. 216 del testo unico al comma 11 prevedeva che “ alle attività di cui ai commi precedenti si applicano integralmente le norme ordinarie per lo smaltimento qualora i rifiuti non vengano destinati in modo effettivo ed oggettivo al recupero.”

      L’esigenza di evitare che lo svolgimento di attività di gestione di rifiuti in regime di mera comunicazione di inizio possa recare pregiudizio all’ambiente ha cioè indotto il legislatore a prevedere dei meccanismi idonei a scoraggiare eventuali tentativi di eludere l’applicazione della disciplina più rigorosa.

      Infatti quando –nonostante quanto dichiarato dal gestore di rifiuti o quanto eventualmente nelle sue intenzioni- non si realizzi il recupero dei rifiuti perché il processo non è organizzato in modo da consentirlo ovvero comunque non lo consenta, si sarebbe applicata nella originaria previsione dell’art. 216 in ogni caso la disciplina ordinaria (id est: autorizzazione) più rigorosa che è quella dello smaltimento, indipendentemente dalla circostanza che rientri o meno in alcuna della attività previste dall’allegato C. Ciò appunto era previsto dallo stesso art.33del d. lgs. 22/97) che al comma 11 del citato articolo 216 che prevedeva che: “ Alle attività di cui ai commi precedenti si applicano integralmente le norme ordinarie per lo smaltimento qualora i rifiuti non vengano destinati in modo effettivo ed oggettivo al recupero.

      Ambito di applicazione della clausola di effettività erano in generale le operazioni di recupero. In particolare si richiamavano quelle di cui ai commi dal primo al decimo dell’art.33, e cioè in sostanza, ed ovviamente, quelle operazioni che in astratto potrebbero beneficiare della procedura semplificata. Si trattava delle operazioni indicate nel primo comma (quelle svolte secondo le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1,2,e 3) e quelle individuate transitoriamente dal comma sesto (operazioni di recupero dei rifiuti elencati nell’allegato 3 del DM 3.9.1994 e nell’allegato 1 DM 16.1.1995 nel rispetto delle prescrizioni ivi contenute). La ragione della delimitazione dell’ambito della clausola d’effettività delle operazioni di recupero soltanto alle indicate operazioni di recupero è di tutta evidenza: le altre operazioni di recupero non menzionate sono sottoposte a procedura ordinaria di rilascio di autorizzazione che è proprio il regime che la clausola di effettività intende applicare per i casi di operazioni di recupero in regime semplificato ma non effettivamente ed oggettivamente di recupero.

      Perché alle operazioni astrattamente di recupero ex art. 33 d Ronchi fosse applicato il regime ordinario di cui agli artt. 27 ss era necessario che i rifiuti non venissero destinati in modo effettivo ed oggettivo al recupero.

      Le ipotesi alle quali si faceva riferimento sono due:

      1) il caso in cui l’attività di recupero abbia determinato una corretta trasformazione del rifiuto ma detto rifiuto trasformato non sia poi oggettivamente ed effettivamente destinato a ciò per cui la trasformazione è stata effettuata. P.es.: alla sottoposizione del rifiuto ad un procedimento di compostaggio (per ipotesi del tutto corretto) non necessariamente segue l’impiego corretto (p.es. in agricoltura) del rifiuto trattato. L’imprenditore potrebbe ritenere antieconomica la gestione della fase della immissione nel mercato del prodotto avendo già lucrato sulla ricezione (che, appunto, viene remunerata) del fango di depurazione dei reflui. Potrebbe pertanto decidere p.es. di liberarsi abbandonando su suolo –o anche spargendo su suolo ma con evidenti diverse finalità (p.es. non trattandosi di suolo agricolo o essendo utilizzati quantitativi di gran lunga superiori a quelli consentiti )- il risultato della trasformazione. Già in tal caso non si avrebbe destinazione oggettiva ed effettiva al recupero. In questo caso, sulla base della Clausola di effettività potrà dirsi poiché la attività di recupero non consegue effettivamente il risultato che intendeva conseguire non si tratta di attività di recupero;

      2) il caso in cui per le caratteristiche stesse della attività di gestione non possa parlarsi di recupero, come quando sia comunicato lo svolgimento di un tipo di attività e venga poi effettivamente svolta un’ altra attività, da non considerarsi di recupero (come nel caso di specie). In tal caso, pur non potendosi apoditticamente affermare che la attività svolta non sia affatto consentita nel nostro ordinamento, deve applicarsi il regime ordinario e quindi sarà necessaria una previa valutazione da parte dell’Autorità amministrativa per il rilascio della autorizzazione. Applicata a tale ultima ipotesi, la clausola di effettività finisce, è evidente, per affermare un principio cui si sarebbe potuti pervenire anche diversamente, ed alla cui chiara affermazione il legislatore non ha inteso tuttavia rinunziare. Ed infatti, in generale, la disciplina da applicarsi alla gestione di rifiuti deve aver riguardo al tipo di attività concretamente svolta e non a quella dichiarata. Se, pertanto, veniva dichiarato lo svolgimento di attività di recupero di rifiuti di cui all’art. 33, ma concretamente veniva svolta attività di smaltimento, doveva esigersi la applicazione della disciplina di cui agli artt. 27 e seguenti con la conseguente sussistenza del reato di cui all’art. 51 primo comma.

      Conseguentemente, ed in ogni caso, ove non sia realizzata (affatto o adeguatamente) la attività di trasformazione del rifiuto per il successivo riutilizzo, doveva escludersi in radice che a quella operazione potesse riconoscersi la natura di operazione di recupero, con inevitabile esclusione del regime eccezionale semplificato e riespansione del regime ordinario.

      Infatti, il regime da applicarsi era quello ordinario sia perché quella attività non poteva considerarsi di recupero sia perché le sostanze in uscita (poiché neppure astrattamente destinabili al recupero) non potevano dirsi destinate effettivamente ed oggettivamente al recupero.

      L’art. 216 è stato, tuttavia, modificato in parte qua ed attualmente il settimo comma prevede che:

      7. Alle attività di cui al presente articolo si applicano integralmente le norme ordinarie per il recupero e lo smaltimento qualora i rifiuti non vengano destinati in modo effettivo al recupero.

      Nella sostanza, la clausola ha il medesimo funzionamento con gli stessi presupposti e con la stessa conseguenza della ravvisabilità di una attività di gestione non autorizzata che in concreto potrà essere tuttavia non necessariamente di smaltimento ma anche di recupero.

      Ne discende che, anche con l’attuale formulazione della previsione normativa, in fase di indagini potrà essere verificato sia che il ciclo di trattamento sia idoneo a determinare il recupero dei rifiuti in modo effettivo (perché ove ciò non avvenga e pur nel rispetto delle previsioni della relazione di accompagnamento alla comunicazione di inizio e nell’osservanza delle discipline di settore, dovrà ritenersi che per l’attività non sussista il previsto titolo abilitativo) sia che la sostanza oggetto del recupero del rifiuto sia effettivamente destinata a svolgere la funzione per la quale il recupero è stato effettuato.

      4.2.7La verifica del perfezionamento della prevista comunicazione di inizio di attività

      In tema di rifiuti, la categoria di titolo abilitativo inesistente va ravvisata anche nell’ipotesi di procedura semplificata avvenuta sulla base di una comunicazione di inizio attività priva di dati idonei a consentire la verifica in merito alla capacità dell’impianto di svolgere effettivamente l’attività di recupero dei rifiuti specificamente avviata: ove tali dati difettino, a causa del tenore generico della relazione, la comunicazione deve ritenersi tamquam non esset e pertanto l’attività eventualmente svolta deve ritenersi abusiva in quanto non legittimata dal prescritto titolo abilitativo. Sul punto come per l’autorizzazione, anche per la comunicazione è previsto dalle disposizioni di cui agli artt. 214 e ss. e dalla normativa di attuazione un contenuto obbligatorio.

      Ai sensi dell’art. 216 comma terzo d.lgs.152/06:

      3. La Provincia iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività e, entro il termine di cui al comma 1, verifica d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine, alla comunicazione di inizio di attività, a firma del legale rappresentante dell'impresa, è allegata una relazione dalla quale risulti:

      a) il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma l;

      b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;

      c) le attività di recupero che si intendono svolgere;

      d) lo stabilimento, la capacità di recupero e il ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati, nonché l'utilizzo di eventuali impianti mobili;

      e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.

      Dovendo la Provincia valutare se l’impianto sia in condizione di rispettare le norme tecniche e le condizioni previste dalla disciplina attuativa e dai suoi allegati, evidentemente il contenuto della relazione non può limitarsi a indicare genericamente tipologia dell’impianto, tipologia di rifiuti e di operazione di recupero, dovendo invece riportare dati che consentano di valutare se la specifica tipologia di impianto possa in concreto recuperare la specifica tipologia di rifiuto indicata.

      In presenza di una comunicazione munita del contenuto minimo richiesto dalla legge, decorre il termine di novanta giorni. Nel termine previsto di novanta giorni la Provincia effettua un accertamento di carattere generale indicato dal comma terzo dell’art. 216 avente ad oggetto la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti . Siffatto accertamento presuppone che sia inviata la relazione avente il contenuto indicato dalla disposizione richiamata, senza della quale nessun riscontro può essere effettuato.

      Ove pertanto difetti anche un simulacro di relazione rispondente ai requisiti indicati, non potrà dirsi realizzato il presupposto perchè decorra il termine previsto. Dunque la attività sarà eventualmente svolta in difetto del titolo abilitativo.

      4.3Indagini e atto amministrativo in materia ambientale: quando v’è questione di disapplicazione

      Escluse le ipotesi finora analizzate e rimarcato come pertanto l’esistenza del titolo impone una diversa articolazione della attività di indagine, resta da dar conto, per completezza, dei casi che ricadono nell’ambito della disapplicazione.

      Va ribadito l’assunto, che si è sopra formulato, della non disapplicabilità degli atti amministrativi che rimuovono un ostacolo al libero esercizio dei diritti (nulla osta, autorizzazioni) o che costituiscono diritti in capo a soggetti privati (concessioni), se illegittimi; e della non ammissibilità della disapplicazione in peius.

      Ne discende una nota distinzione.

      4.3.1Atto-presupposto del reato

      In prima battuta, vengono in rilievo le fattispecie criminose che si caratterizzano per il fatto che il provvedimento amministrativo costituisce il presupposto del reato.

      Paradigmatica, in proposito, è la fattispecie di inosservanza dei provvedimenti d’autorità di cui all’art. 650 c.p. il cui perfezionamento impone al giudice di effettuare in via preventiva ed incidentale un sindacato in merito alla legittimità (alla luce dei tre vizi canonici sopra ricordati) dello stesso atto provvedimentale: ove l’atto sia inficiato da taluno dei vizi in questione, esso sarà disapplicato con la conseguenza che verrà meno il fatto costitutivo del reato ossia l’inosservanza di un atto legalmente dato dall’autorità (Cass. pen., Sez. I, 08/10/2004, n.47677).

      Il principio, pure affermato in materia di disciplina della immigrazione clandestina, stenta tuttavia ad essere condiviso in materia ambientale in relazione alla fattispecie di cui all’art. 255 co. 3 di inottemperanza della ordinanza con cui il Sindaco dispone la rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 t.u. (così da ultimo Cass. 9.7.2008, n. 27990, in Rifiuti, B.I.N., n.1/09, pag.13.)

      4.3.2Atto-elemento costitutivo del reato

      Ricorrerebbe un caso di disapplicazione non consentita ove il sindacato di legittimità svolto dal giudice penale avesse ha come oggetto l’atto amministrativo integrante l’elemento costitutivo della fattispecie criminosa.

      Si pensi alle norme che sanzionano lo svolgimento di attività per le quali è prescritto un titolo abilitativo: per le ragioni già svolte e secondo la menzionata giurisprudenza l’astratta presenza del titolo sembrerebbe non esclude il reato ove in concreto il giudice penale ritenga lo stesso titolo illegittimo.

      4.3.3Atto elemento integrativo del reato

      Sono invece suscettibili di disapplicazione anche gli atti amministrativi che rivestono la valenza di elemento integrativo della fattispecie penale.

      In questo caso infatti la fattispecie penale è perfetta nei suoi elementi costitutivi e il potere di disapplicazione viene esercitato su un provvedimento che avrebbe, p.es., effetto scriminante.

      Pertinente sul punto è il riferimento in tema di smaltimento dei rifiuti, all'uso ripetuto da parte del sindaco del potere di emissione delle ordinanze contingibili ed urgenti, in assenza dei presupposti ivi prescritti, che configurava il reato di realizzazione di discarica in difetto di autorizzazione, punito dal previgente art. 51, comma 3 cit.D. Lgs..

      Si è riconosciuto, dunque, al giudice penale il potere di controllare la legittimità delle medesime ordinanze in quanto cause di giustificazione dei reati in tema di smaltimento di rifiuti, e quindi quali elementi, di natura negativa, della fattispecie penale, sottolineandosi comunque che il giudice non può sostituirsi al sindaco nell'esercizio del suo potere discrezionale, non può cioè effettuare egli stesso quel bilanciamento tra gli interessi che l'ordinamento affida all'autorità amministrativa (Sez. 3^, n. 12692 del 2.12.1998).

      4.3.4Atto elemento estintivo del reato

      Analoghe considerazioni valgono ove il sindacato abbia ad oggetto l’atto provvedimentale, quale fatto estintivo della fattispecie penale.

      Calzante appare il richiamo alla giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di concessione in sanatoria relativamente la quale si è statuito che il giudice penale deve accertare la conformità dell'atto alle norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, anche in ossequio alla previsione di cui al previgente art. 13 della legge n. 47 del 1985, per il quale la concessione in sanatoria estingue i reati urbanistici solo se le opere risultano conformi agli strumenti urbanistici. Il giudice, dunque, esercitando il doveroso sindacato di legittimità del fatto estintivo o incidente sulla fattispecie tipica penale, può disapplicare la sanatoria illegittima ex art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E.( legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E.Cass. pen., Sez. III, 15/02/2005, n.19236).

      ______________________________________

      Sommario

      1 Premessa: diritto penale e gestione dei rifiuti 2

      1.1 L’identificazione del rifiuto 2

      1.2 4

      2 L’abbandono di rifiuti 5

      2.1 La disciplina penale applicabile 5

      2.1.1 L’illecito amministrativo ex art. 255 6

      2.1.2 6

      2.1.3 8

      2.1.4 9

      2.2 Qualificazione della condotta 11

      2.3 Accertamento dell’abbandono 12

      2.4 Il problema della prova del tempo dell’abbandono: 13

      3 Primo fattore di complessità: l’accertamento sui residui di produzione. 13

      3.1 La nozione di rifiuto 13

      3.1.1 Definizione di rifiuto 13

      3.1.2 La nozione di sottoprodotto 14

      3.1.3 La nozione di cessazione della qualifica di rifiuto 18

      3.2 La distinzione in concreto del rifiuto dal sottoprodotto e dall’end of waste 21

      3.2.1 Distinzione tra rifiuto, sottoprodotto e materia secondaria: rilevanza delle analisi. 21

      3.2.2 La ricostruzione del ciclo 22

      3.2.3 Accertamenti sul trasporto 23

      3.2.4 Accertamenti analitici e sulle analisi 25

      3.2.5 L’accertamento sulle certificazioni periodiche di parte 26

      3.2.6 Gli illeciti conseguenti 27

      3.2.7 Accertamenti sulla spedizione transfrontaliera 27

      4 Secondo fattore di complessità: gestione di rifiuti e atti della pubblica amministrazione 28

      4.1 Premessa 28

      4.2 Indagini e atto amministrativo in materia ambientale: quando non v’è questione di disapplicazione 30

      4.2.1 30

      4.2.2 32

      4.2.3 33

      4.2.4 34

      4.2.5 La valutazione della condotta assentita da comunicazione di inizio delle attività 34

      4.2.6 L’accertamento che i rifiuti vengano destinati in modo effettivo ed oggettivo al recupero 34

      4.2.7 La verifica del perfezionamento della prevista comunicazione di inizio di attività 36

      4.3 Indagini e atto amministrativo in materia ambientale: quando v’è questione di disapplicazione 38

      4.3.1 Atto-presupposto del reato 38

      4.3.2 Atto-elemento costitutivo del reato 38

      4.3.3 Atto elemento integrativo del reato 38

      4.3.4 Atto elemento estintivo del reato 39

      1 Nel prosieguo, se non precisato diversamente, il richiamo agli articoli si intende formulato al d.lgs. 152/06, o testo unico ambientale ovvero (secondo l’art. 1 del d.lgs. 4/08, che ha introdotto l’art. 3 quater nel d.lgs. 152/06) “codice” dell’ambiente.

      2 E’ noto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia per quanto attiene alla definizione comunitaria di rifiuto ha fissato alcuni parametri – in larga parte consolidatisi nel tempo e nelle diverse pronunzie – idonei ad offrire un’indicazione all’interprete. Si tratta di alcuni criteri con valenza assoluta [ovvero idonei a determinare con certezza se una sostanza sia un rifiuto] e molti criteri valenza relativa [ovvero idonei a deporre non in termini di certezza nel senso della natura di rifiuto della sostanza]. Tra i pochi criteri assoluti vi è l’indicazione secondo cui l’abbandono della sostanza/del materiale, depone sempre per la sua qualificazione come rifiuto. Per una analisi più approfondita sia consentito il rinvio a R.NITTINorme in materia di gestione dei rifiuti e Le sanzioni amministrative e penali in materia di rifiuti, in “Codice dell’ambiente e normativa collegata”, collana “Le leggi commentate”, Parte seconda, titolo IV, capitoli I e IV, Torino UTET; o, per la disciplina antecedente al tuamb aLa Gestione dei rifiuti, in AA.VV, Diritto Penale dell’Ambiente, Cacucci Editore, Bari, 2006.

      3 Va qui richiamato l’orientamento, non più granitico, volto a ritenere che nel caso di specie residui la competenza del sindaco in ragione dell’esplicita previsione normativa. Cfr ,ex plurimis, Cassazione penale sez. III, 20/05/2014, n. 40212. “ Secondo il disposto dell'art. 192, comma 2, d.lg. 3 aprile n. 152/2006, il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti in stato di abbandono ed il termine entro cui provvedere; l'inottemperanza all'ordinanza è sanzionata dall'art. 255, comma 3, d.lg. 152/2006, secondo il quale chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco , di cui all'articolo 192, comma 3, o non adempie all'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell'arresto fino ad un anno. La competenza dei Sindaco , mantenuta espressamente dal legislatore del 2006 anche dopo la ribadita attribuzione ai dirigenti comunali del potere di ordinanza di cui all'art. 107, d.lg. 267/2000 (T.U.E.L.), va interpretata come volontà di riservare in via esclusiva all'organo apicale dell'amministrazione comunale la competenza a emettere ordinanze ex art. 192, d.lg. n. 152/2006, con conseguente annullabilità, per incompetenza, dell'ordinanza eventualmente adottata dal dirigente comunale.

      4 Comma modificato dall' articolo 34 del D.Lgs 3 dicembre 2010, n. 205.

      5 L’orientamento giurisprudenziale prevalente è tuttavia in senso contrario. In giurisprudenza si è rimarcato che: « In tema di smaltimento dei rifiuti, la sanzione di cui all’art. 50, comma 2, d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, per violazione dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, va applicata a chiunque non ottemperi a tale ordinanza e che sia stato nella stessa individuato quale responsabile dell’abbandono dei rifiuti o proprietario del terreno, indipendentemente dalla effettività di tale qualifica. Compete in tal caso ai soggetti interessati, al fine di evitare di rendersi responsabili dell’inottemperanza in questione, l’ottenimento dell’annullamento del provvedimento sindacale o da dimostrazione in sede penale dell’assenza della ritenuta condizione soggettiva onde determinare la disapplicazione dell’atto da parte del giudice ordinario » (Cass. pen. sez. III 17 settembre 2002, n. 31003, in Dir. e giur. agr. amb., 2004, 60; in Cass. pen., 2004, 2301). Più recentemente: “ In tema di smaltimento dei rifiuti, la sanzione per violazione dell'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi di cui all'art. 14 d.lg. n. 22 del 1997, va applicata a chiunque non ottemperi a tale provvedimento, con la conseguenza che compete al proprietario del terreno, al fine di evitare di rendersi responsabile dell'inottemperanza in questione, l'onere di provare l'assenza di una propria responsabilità nell'abbandono dei rifiuti, onde determinare la disapplicazione dell'atto da parte del giudice penale. ” (Cassazione penale sez. I -14/04/2014- 37254)

      6 dep. 16 dicembre 2004 – ud. 11 novembre 2004, n. 48402, PG appello Venezia in proc. Brugnolaro e altri, in Guida al Diritto, 2005, 5, 58; Riv. Pen., 2006, 2

      7 Così Cass. pen. sez. III 14 luglio 1999, n. 11951

      8 Sia consentito il rinvio a R. Nitti, La Gestione dei rifiuti, in AA.VV., Diritto Penale dell’Ambiente, Bari, 2006, 270 ss.

      9 Ai fini della configurabilità del reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti da parte di titolari di imprese e responsabili di enti, previsto dal'art. 256, comma secondo, del D.Lgs. n. 152 del 2006, sono indici rivelatori del fatto che l'agente operi nell'esercizio dell' attività richiesta dalla disposizione incriminatrice, e non, invece, come privato cittadino, l'utilizzo di mezzi e modalità che eccedono quelli normalmente nella disponibilità del privato nonché la natura e la provenienza dei materiali dismessi. ” Cassazione penale sez. III -08/10/2014- 47662.

      10 Cfr. Cass. pen. sez. III 11 febbraio – 8 aprile 2004, n. 16698, in Ragiusan, 2005, 253-254, 251.

      11 Si tratta delle seguenti ipotesi: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'allegato B alla parte quarta del decreto 152, nonche' le attivita' di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell'allegato C alla medesima parte quarta [entrambe le operazioni sono definite “stoccaggio” dalla lett. aa) dell’art. 183], il deposito in corso di raccolta: altre ipotesi di smaltimento integrate da deposito su suolo diverso dalla discarica.

      12 Certamente può dirsi, invece, che la parola discarica è impiegata sia in senso statico che in senso dinamico: avendo riguardo cioè sia alle operazioni di gestione che al luogo in cui le operazioni sono poste in essere.

      13 Ex plurimis Cass. pen. sez. III 10 gennaio 2002, n. 6796, in Cass. pen., 2003, 1633, s.m.

      14 Che tuttavia non è indicato espressamente come elemento costitutivo dalla fattispecie legale, ancorché possa essere indicativo della “adibizione” dell’area di fatto adibita a discarica.

      15 cfr. Cass. pen. sez. III 28 novembre 1997, n. 1654, inCass. pen., 1999, 268, Riv. trim. dir. pen. economia, 1998, 1089, s.m.; Ragiusan, 1998, f. 7-8, 137, s.m.

      16 Ma la legge non quantifica un numero minimo di operazioni occorrenti, e – sebbene la reiterazione degli atti può lasciar desumere che l’area sia di fatto adibita a discarica – nulla esclude che la mera predisposizione sia già di per sé sufficiente a denunciare in modo inequivoco la destinazione dell’area a discarica e parimenti nulla esclude che un singolo atto di abbandono per la quantità dei rifiuti possa di fatto adibire l’area a discarica.

      17 Dato in nessun modo richiamato dalla norma.

      18 Cass.: Sez. Unite 28.12.1994, Zaccarelli (RV. 199385): in riv.pen.2/1995 pag.161 pronunziatesi a proposito delle analoghe previsioni degli artt. 16, 2° comma, e 25, 2° comma, d.p.r. n. 915/1982. Cfr. anche Cass. pen. sez. III 11 novembre – 12 dicembre 2004, n. 48402, in www.lexambiente.it

      19 cfr. Cass. pen. sez. III 9 febbraio – 1 aprile 2005, n. 12349, in Riv. Pen., 2006, 3, 355

      20 Secondo la quale la gestione di discarica include non soltanto la gestione operativa ma anche la gestione post-operativa, la cui durata non va predeterminata ma correlata a tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi per l 'ambiente

      21 La Corte Costituzionale, con sentenza 28 gennaio 2010, n. 28 (in Gazz. Uff., 3 febbraio, n. 5), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera, nel testo antecedente alle modiche introdotte dall'art. 2, comma 20, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede: «rientrano altresi' tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino ambientale».

      22 inserito dall'articolo 12 del D.Lgs 3 dicembre 2010, n. 205

      23 1. Fatte salve le definizioni contenute nella normativa nazionale e comunitaria vigenti ai fini del presente decre- to si intende per:

      a) prodotto: ogni materiale o sostanza che è ottenuto deliberatamente nell’ambito di un processo di produzione o risultato di una scelta tecnica. In molti casi è possibile identificare uno o più prodotti primari;

      b) residuo di produzione (di seguito «residuo»): ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può essere o non es- sere un rifiuto;

      c) sottoprodotto: un residuo di produzione che non costituisce un rifiuto ai sensi dell’articolo 184-bis del de- creto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

      24 1. Ai fini e per gli effetti dell’articolo 4, comma 1, lettera b) , il requisito della certezza dell’utilizzo è dimostrato dal momento della produzione del residuo fino al momento dell’impiego dello stesso. A tali fini il produttore e il deten- tore assicurano, ciascuno per quanto di propria competen- za, l’organizzazione e la continuità di un sistema di gestio- ne, ivi incluse le fasi di deposito e trasporto, che, per tempi e per modalità, consente l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto. Fino al momento dell’impiego del sottoprodotto, il deposito ed il trasporto sono effettuati nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 8. Resta ferma l’applicazione della disciplina in materia di rifiuti, qualora, in considerazione delle modalità di deposito o di gestione dei materiali o delle sostanze, siano accertati l’intenzione, l’atto o il fatto di disfarsi degli stessi.

      2. Fatti salvi gli accertamenti delle specifiche cir- costanze di fatto, da valutare caso per caso, la certezza dell’utilizzo è dimostrata dall’analisi delle modalità orga- nizzative del ciclo di produzione, delle caratteristiche, o della documentazione relative alle attività dalle quali originano i materiali impiegati ed al processo di destinazione, valutando, in particolare, la congruità tra la tipologia, la quantità e la qualità dei residui da impiegare e l’utilizzo previsto per gli stessi.

      3. La certezza dell’utilizzo di un residuo in un ciclo di produzione diverso da quello da cui è originato presuppone che l’attività o l’impianto in cui il residuo deve essere utilizzato sia individuato o individuabile già al momento della produzione dello stesso.

      4. Ai fini di cui al comma 3, costituisce elemento di prova l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori, dai quali si evincano le informazioni relative alle caratteristiche tecniche dei sottoprodotti, alle relative modalità di utilizzo e alle condizioni della cessione che devono risultare vantaggiose e assicurare la produzione di una utilità economica o di altro tipo.

      5. In mancanza della documentazione di cui al comma 4, il requisito della certezza dell’utilizzo e l’intenzione di non disfarsi del residuo sono dimostrati mediante la predisposizione di una scheda tecnica con- tenente le informazioni indicate all’allegato 2, necessarie a consentire l’identificazione dei sottoprodotti dei quali è previsto l’impiego e l’individuazione delle caratteristiche tecniche degli stessi, nonché del settore di attività o della tipologia di impianti idonei ad utilizzarli. Nella scheda tecnica sono, altresì, indicate tempistiche e modalità congrue per il deposito e per la movimentazione dei sottoprodotti, dalla produzione del residuo, fino all’utilizzo nel processo di destinazione. In caso di modifiche sostanziali del processo di produzione o di destinazione del sottoprodotto, tali da comportare va- riazioni delle informazioni rese, deve essere predisposta una nuova scheda tecnica.

      6. Le schede tecniche sono numerate, vidimate e ge- stite con le procedure e le modalità fissate dalla norma- tiva sui registri IVA. Gli oneri connessi alla tenuta delle schede si intendono correttamente adempiuti anche qua- lora sia utilizzata carta formato A4, regolarmente vidi- mata e numerata. Le schede sono vidimate, senza oneri economici, dalle Camere di commercio territorialmente competenti .

      25 Art. 6.

      Utilizzo diretto senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale

      1. Ai fini e per gli effetti dell’articolo 4, comma 1, lettera c), non costituiscono normale pratica industriale i processi e le operazioni necessari per rendere le caratteristiche ambientali della sostanza o dell’oggetto idonee a soddisfare, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e a non portare a impatti complessivi negativi sull’ambiente, salvo il caso in cui siano effettuate nel medesimo ciclo produttivo, secondo quanto disposto al comma 2.

      2. Rientrano, in ogni caso, nella normale pratica industriale le attività e le operazioni che costituiscono par- te integrante del ciclo di produzione del residuo, anche se progettate e realizzate allo specifico fine di rendere le caratteristiche ambientali o sanitarie della sostanza o dell’oggetto idonee a consentire e favorire, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e a non portare ad impatti complessivi negativi sull’ambiente.

      26 Si legge più avanti: “ In particolare, ai fini di dimostrare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 184- bis , comma 1, lett. a ), del d.lgs. n. 152 del 2006 – caratteristica di “ residuo di produzione ” – devono necessariamente essere riempiti i campi: i ) « Descrizione e caratteristiche del processo di produzione »; ii ) « Indicazione dei materiali in uscita dal processo di produzione »; iii ) « Tipologia e caratteristiche del sottoprodotto e modalità di produzione ». Ai fini di dimostrare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 184- bis , comma 1, lett. b ) – caratteristica di “ certezza dell’utilizzo ” – devono, invece, necessariamente essere riempiti i campi: i ) « Tipologie di attività o impianti di utilizzo idonei ad utilizzare il residuo »; ii ) « Modalità di raccolta e deposito del sottoprodotto »; iii ) « Indicazione del luogo e delle caratteristiche del deposito e di eventuali depositi intermedi »; iv ) « Tempo massimo previsto per il deposito, a partire dalla produzione fino all’impiego definitivo »; v ) « Descrizione delle tempistiche e delle modalità di gestione finalizzate ad assicurare l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto ». Potranno essere compilati anche in un momento successivo rispetto alla produzione del residuo i campi: « Impianto o attività di destinazione » e « Riferimenti di eventuali intermediari ». Il campo « Conformità del sottoprodotto rispetto all’impiego previsto » andrà, invece, riempito per dimostrare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 184- bis , comma 1, lett. c ) –caratteristica di “ utilizzo diretto, senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale ” – e lett. d ) – caratteristica di “ legalità dell’utilizzo”. In particolare, in tale campo andranno descritti trattamenti eventualmente necessari al fine dell’impiego, nonché la dimostrazione della non estraneità dei medesimi rispetto alla “normale pratica industriale”. Dovranno altresì essere indicate tutte le informazioni sulle caratteristiche del sottoprodotto e sulla conformità dello stesso rispetto all’impiego previsto, sotto il profilo sia tecnico che del rispetto dei requisiti e dei parametri stabiliti da norme di settore, laddove esistenti. Per una tabella rappresentativa del quadro appena illustrato si rinvia al già più volte citato Allegato tecnico-giuridico .“

      27 DM Ambiente 14 febbraio 2013, n. 22 (in Gazz. Uff., 14 marzo 2013, n. 62). - Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.

      28 Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998 - Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt.31 e 33 dlgs 22/97

      29 Regolamento attuativo degli artt.31 e 33 dlgs 5 febbraio 1997, n. 22, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate.

      30 Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi provenienti dalle navi, che è possibile ammettere alle procedure semplificate

      31 Non saranno invece trattate tecniche e strumenti di ricerca della prova che –pur essendosi rivelati, in particolare negli ultimi anni, di straordinaria utilità- tuttavia appaiono comuni ad altri settori investigativi.

      L’esempio più significativo di queste ultime è senza dubbio quello delle intercettazioni ambientali e telefoniche, disposte generalmente in relazione alla fattispecie di cui all’art. 260 t.u.amb. e rivelatesi utilissime per provare la preordinata distruzione dei f.i.r o la alterazione successiva, la rielaborazione di certificati di analisi, le richieste di smistamento dei rifiuti, il cd giro-bolla etc.

      32 7. Alle attività di cui al presente articolo si applicano integralmente le norme ordinarie per il recupero e lo smaltimento qualora i rifiuti non vengano destinati in modo effettivo al recupero ” comma sostituito dall' articolo 30 del D.Lgs 3 dicembre 2010, n. 205. In precedenza la previsione che esprimeva il principio di effettività, sia pure con contorni diversi, era riportata al comma 11.

      33 In presenza di un obbligo a carico del detentore di effettiva ed oggettiva destinazione al recupero dei rifiuti, appare evidente che -ove un rifiuto effettivamente prodotto ed esistente risulti trasportato dal produttore all’impresa di recupero con fir regolarmente compilato e risulti altresì preso in carico- il mancato rinvenimento dello stesso senza che risulti il trattamento a recupero o comunque formalmente lo scarico ( la formazione di ulteriore fir che indichi la cessione ad altri) implicherà profili di responsabilità in termini di illecito smaltimento da parte del titolare dell’impresa di recupero anche in virtù del corollario al principio di effettività sopra enunziato.

      34 Ciò che, si precisa, avviene soltanto in specifici casi non sussistendo di contro un obbligo generalizzato che i rifiuti siano “accompagnati” da certificato di analisi

      35 La facoltà di Chimica di Bari ha segnalato p.es. la necessità di specifiche apparecchiature per indagini su rifiuti (Assorbimento atomico per la determinazione dei metalli e relativi standard puri dei metalli stessi; Gascromatografo con rivelatore a ionizzazione di fiamma, colonna specifica e standard per il dosaggio dei solventi non clorurati; Gascromatografo con rivelatore a cattura di elettroni, colonna specifica e standard per il dosaggio dei solventi clorurati; Gas cromatografo con rivelatore a spettrometria di massa con colonne dedicate e standard opportuni per il dosaggio degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), evidenziandosi peraltro che gas cromatografi e assorbimento atomico necessitano di gas puri in bombole per il funzionamento a seconda delle condizioni d’analisi prescelte) su acque (Assorbimento atomico speciale per la determinazione dei metalli e relativi standard puri dei metalli stessi; Gascromatografo con rivelatore a ionizzazione di fiamma, colonna specifica e standard per il dosaggio dei solventi non clorurati; Gascromatografo con rivelatore a cattura di elettroni con speciale apparecchiatura per aumentarne la sensibilità, colonna specifica e standard per il dosaggio dei solventi clorurati; Apparecchio per la determinazione del TOC -carbonio organico totale) su inquinamento atmosferico (speciale sistema con sonda di campionamento in isocinetismo per il dosaggio delle polveri; speciale sistema con sonda di campionamento riscaldata per analisi di NOx, Sox; Cromatografo ionico per analisi di Fluoruri, NOx, SOx, etc.; Gascromatografo con sistema di introduzione gas, rivelatore a termoconducibilità e standard per la determinazione di ossigeno, azoto, anidride carbonica).

      36 Sia consentito il rinvio a AA.VV. Traffico transfrontaliero di rifiuti, istituti strumenti, spunti metodologici e operativi , Bari, 2008. Con riguardo alla disciplina della spedizione transfrontaliera dei rifiuti, mi permetto di formulare rinvio ai seguenti approfondimenti: “ Spedizione transfrontaliera di rifiuti. Disciplina sostanziale”, “Spedizione transfrontaliera di rifiuti. Disciplina nazionale ” “ Illeciti penali in materia di spedizione transfrontaliera di rifiuti ”, in Bollettino di informazione normativa Rifiuti, rispettivamente nn. 155 10/08), ottobre 2008, n. 156 11/08), novembre 2008, n. 158, Edizioni Ambiente, Milano.

      37 È noto che la materia della disapplicazione del provvedimento amministrativo trova la sua fondamentale disciplina negli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n.2248 all.E cd. legge sul contenzioso amministrativo. La prima disposizione, regolando i poteri che il GO esercita nei confronti della PA, recita:” Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio. “ “L'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso “.

      La seconda norma, invece, conferisce in generale al GO un potere di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi, prevedendo che:” In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi “.

      Il GO può applicare l’atto amministrativo che concorre alla definizione della controversia oggetto della sua delibazione a condizione che esso sia ritenuto conforme alla legge; diversamente lo disapplica ovvero non lo applica, considerandolo tamquam non esset.

      L’esercizio del potere di disapplicazione, dunque, presuppone un preventivo sindacato sulla legittimità del provvedimento che il GO svolge in via incidentale ossia limitatamente al caso oggetto di esame (sicchè non è preclusa la libera ed eventuale diversa valutazione dello stesso provvedimento ad opera di altro giudice in caso analogo cfr. in tal senso Cass. pen., Sez. I, 03/07/2001, n.29453) e per quanto sia strettamente funzionale alla risoluzione della stessa controversia: un sindacato principale è, infatti, precluso al GO, essendo di regola rimesso alla cognizione del GA.

      Quanto alla portata del sindacato in questione, esso comprende tutti vizi di legittimità (violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza), atteso che l’apprezzamento del merito amministrativo è riservato in via esclusiva alla Pa che ha assunto il provvedimento (Cass. civ., Sez. lavoro, 14/01/2002, n.332).

      38 Per vero deve riconoscersi che si tratta di limiti non chiaramente definiti, essendo controverso persino il fondamento normativo.

      L’esistenza di plurime -e tra loro non per ogni aspetto concordi- pronunzie delle sezioni unite della Suprema Corte non ha determinato di fatto monoliticità di sorta della giurisprudenza di legittimità successiva.

      Sotto il profilo della illegittimità alcune sentenze hanno sostenuto che l'illegittimità dell'atto amministrativo può essere sindacata dal giudice penale solo se sia "macroscopica" (ex plurimis Sez. Ili, n. 4421 del 3.5.1996) o "eclatante" (Sez.III, n. 11988 del 23.12.1997), in tal modo introducendo un nuovo parametro di controllo di tipo più quantitativo che qualitativo.

      Sotto il profilo della natura dell’atto oggetto di sindacato, v’è che sebbene, la Suprema Corte abbia tradizionalmente affermato che il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo è volto alla tutela non già del diritto oggettivo, bensì del diritto soggettivo che sia inciso in concreto negativamente dall'attività provvedimentale della p.a.. (Cass. civ., Sez. III, 14/01/2002, n.348), tuttavia, si rinvengono pronunce (Cass. pen., Sez. III, 24/02/2001) ad avviso delle quali sono suscettibili di disapplicazione sia i provvedimenti restrittivi (della sfera giuridica del titolare del diritto soggettivo) sia i provvedimenti ampliativi giacché ogni differenziazione a riguardo non troverebbe conforto nel tenore letterale del combinato disposto dei cit. artt. 4 e 5.

      39 Non deve essere invece condivisa l’impostazione che fa discendere automaticamente dalla esistenza di una pur grave illegittimità per violazione di legge l’illiceità in quanto quella violazione di legge sarebbe già indicativa dell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 323 c.p. Infatti si è affermato che la concessione data senza rispettare quanto previsto dagli strumenti urbanistici configura una violazione di legge, rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 323 c. p., e che la gravità della violazione esclude che nella specie venga in discussione la disapplicazione del permesso di costruire illegittimo. E’ invece del tutto evidente che questa impostazione, in assenza di ulteriori elementi idonei a consentire di configurare nei suoi elementi costitutivi la fattispecie di cui all’art. 323 c.p., finisce per ricondurre qualsiasi ipotesi di violazione di legge alla illiceità dell’atto.