TARI: si cambia ancora con la conversione del salva Roma-ter

di Massimo MEDUGNO

1.Torna l’assimilazione, a misura di Comune, con la conversione della Decreto legge n. 16/2014 (c.d. “Salva Roma ter”).

Infatti, secondo la proposta approvata in sede referente in Commissione alla Camera, il Comune può disciplinare con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo.

Inoltre, lo stesso comune può anche individuare le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili (si veda il box).

Quest’ultimo aspetto viene introdotto nonostante che il comma 649, prima parte, della Legge di Stabilità sia chiaro sul punto e cioè che : “Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove  si  formano,  in  via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento  sono tenuti  a  provvedere  a  proprie  spese  i  relativi  produttori,  a condizione che ne dimostrino l'avvenuto  trattamento  in  conformita' alla  normativa  vigente.”

E’ evidente che la facoltà di individuare da parte del Comune le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili rimette in discussione questo “dictum” non equivoco.

 

Molti aveva salutato con favore il Decreto Legge n. 16/2014 (c.d "Salva Roma Ter", in Gazzetta Ufficiale e quindi attualmente in vigore),  che prevede la soppressione dell’ultimo periodo del comma 649 delle Legge di Stabilità e cioè della frase: “Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune, con proprio regolamento, puo' prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantita' che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero."


In questo modo restava, quindi, nell'ordinamento la sola regola che "Il tributo non e' dovuto in relazione alle quantita' di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero”. Così si risolveva anche la questione interpretativa che la Circolare del Ministero dell’Ambiente n. 1 del 13 febbraio 2014, dal titolo “Regime tariffario per i rifiuti assimilati che il produttore di dimostri di avere avviato a recupero”, aveva trattato in maniera approssimativa invocando l’intervento di una norma interpretativa.

Ma la nuova proposta di modifica al comma 649 proposto nel Salva Roma Ter addirittura peggiora le cose, ritornando sul tema dell’assimilazione dei rifiuti speciali.

 

In questo modo con la Tari (che nonostante il nome é tassa sui rifiuti, ma non è correlata ad un servizio, da nessuna parte c’è scritto) si legittima l’introduzione di una nuova imposta.

Si disattende il principio “chi inquina paga” sancito dal Codice dell’Ambiente e, poi, più recentemente dalla Direttiva Rifiuti n. 98/2008 (recepita dall’Italia dal d.dlgs n. 205/2010), che deve essere interpretato nel senso di precludere a normative interne di imporre ai singoli costi manifestamente inadeguati per lo smaltimento dei rifiuti se non dimostrano un legame sufficientemente ragionevole con la produzione dei rifiuti.

2. Della questione si era occupato il Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4756, del 26 settembre 2013, pubblicata in questo sito.

La sentenza del Consiglio di Stato in parola, nonostante si riferisca ad un quadro normativo sostanzialmente modificato, appare in grado di fornire preziosi indicazioni anche in relazione alle ultime vicende.

La “vexata quaestio” trattata dalla sentenza riguarda l’assimilazione dei rifiuti industriali a quelli urbani e, quindi, l’assoggettamento degli stessi alla tariffa sui rifiuti.

Si “scontrano” (non solo in termine) due diverse impostazioni: quella del Comune che rivendica il proprio potere discrezionale per l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani. E ciò in virtù del comma 11 dell’art. 238 del Dlgs n. 152/2006 che prevede una norma transitoria secondo cui il Comune può applicare la norma prevista dall’art.49 del Dlgs n. 22/97 che attribuiva allo stesso un ampio potere discrezionale.

Quella dei ricorrenti, secondo i quali il Comune può applicare la disciplina transitoria, ma non può derogare dai principi stabiliti a livello comunitario e recepiti dall’ordinamento nazionale.

A questa seconda tesi il Consiglio di Stato dà ragione. E per fare ciò si basa sull’art. 195, comma 2, lett. e) del d. lgs. n. 152 del 2006 che stabiliva che “non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali di servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico.

L’art. 195 , comma 2 lett e) verrà successivamente modificato dal d. legge n. 201/2011 (convertito nella legge n. 214/2011, abrogando proprio le disposizioni sopra riportate, per cui lo stesso ora prevede tra le competenze statali: “la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l'assimilabilita' ai rifiuti urbani.”

E non prevede più alcuna disposizione sulla (non) assimilazione dei rifiuti che si formano nelle aree produttive.

Il pregio della sentenza del Consiglio di Stato sta nell’affermazione che, nel caso di adozione di nuovi regolamenti, i comuni dovevano uniformarsi alle nuove norme del Codice dell’ambiente.

A questo proposito il Consiglio di Stato richiama espressamente il principio “chi inquina paga” e afferma più specificamente “Quanto all’interpretazione del principio in questione, deve ritenersi che il principio sia “aperto” e trovi applicazione sia mediante forme di risarcimento del danno ambientale basate sulla responsabilità civile, sia mediante l’istituzione di tributi ambientali”

Quindi se, nell’esercizio delle proprie competenze, i Comuni modificavano le norme di attuazione, essi avrebbero dovuto conto del mutato quadro normativo: quindi anche dell’art. 195, comma 2 lett e) contenente i criteri sull’assimilazione che sono, quindi, immediatamente applicabili.

In tal senso si esprime l’art. 265 del d. lgs. n. 152 del 2006 che per evitare soluzioni di continuità nel passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina, stabilisce che “le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio delle rispettive competenze, adeguano la previgente normativa di attuazione alla disciplina contenuta nella parte quarta del presente decreto.

Ciò è confermato dalla disposizione transitoria dell’art. 238, comma 11, del d. lgs. n. 152 del 2006 che stabilisce che (solo) “sino all’emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”.

Ma così non si comporta il Comune che, all’entrata in vigore del Codice dell’Ambiente, modificava il regolamento per l’applicazione della tariffa per il servizio di gestione dei rifiuti urbani e, ritenendo di poter disporre della massima discrezionalità nella determinazione dei presupposti per l’applicazione della tassa o tariffa, prevedeva il versamento della TIA non solo per le superfici produttive di rifiuti urbani ma per tutte le superfici dove si svolgono attività.

Il Comune appellante usa anzi l’argomento che la sentenza del TAR sarebbe contraddittoria perché dopo aver riconosciuto la natura tributaria della TIA1, contesterebbe il potere discrezionale del Comune nella determinazione dei presupposti di imposta e dell’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani.

Ma proprio la natura tributaria della TIA 1 dovrebbe indurre ad una maggiore cautela, se non altro perché l’art. 23 della nostra Costituzione fissa un principio semplice, ma essenziale e cioè che “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”

E la sentenza del Consiglio, per quanto concerne il potere discrezionale del Comune, è chiara e conclude che “(…) è lo Stato che determina i criteri per l’assimilazione con la conseguenza che anche nel vecchio regime, lo smaltimento o il recupero dei rifiuti speciali (unitamente alla produzione dei medesimi in determinate aree) requisito per l’esenzione, che esclude dall’assimilabilità ai rifiuti urbani i rifiuti che si producono nelle aree produttive, deve ritenersi presupposto delle disposizioni comunali.”

 

Ma alla fine del 2011 la norma che dettava i criteri sull’assimilazione (fondamentale nel giudizio in commento) veniva soppressa.

Ma la vicenda non finisce qui e arriva ai giorni nostri, con la Legge di Stabilità n. 147/2013 e la Circolare del Ministero dell’Ambiente n. 1 del 13 febbraio 2014, dal titolo “Regime tariffario per i rifiuti assimilati che il produttore di ostri di avere avviato a recupero”.

Nella Legge di Stabilità ritroviamo una disciplina organica della tariffa rifiuti (TARI), dal comma 641 al comma 6692.

Da evidenziare, in particolare, quanto previsto dal comma 667 3, che prevede un decreto da emanarsi per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantita' di rifiuti conferiti al servizio pubblico, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell'Unione europea.

Nella Circolare ministeriale apprenderemo di un criterio interpretativo per risolvere una contraddizione tra il comma 649 e il comma 661 della stessa Legge di Stabilità.

Innanzitutto nel comma 641 si trova l’affermazione che “Il presupposto della TARI e' il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva.”

Certamente il termine “suscettibile” getta nella più terribile e cupa incertezza.

Non è passato molto tempo da quando, l’art. 238 del d.lgs n. 152/2006 (cioè il Codice Ambiente) in materia di tariffa per la gestione dei rifiuti urbani disponeva che “ Chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa “, utilizzando il termine “producano” che determina maggiore chiarezza sul presupposto.

Saltiamo qualche comma ed arriviamo al comma 649, primo periodo.

“Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformita' alla normativa vigente.”

Il comando è chiaro. Meno chiaro resta la clausola di chiusura “a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alle normativa vigente”.

Che allo smaltimento dei rifiuti speciali siano tenuti i produttori è principio noto, ben scolpito nella normativa vigente.

E sono chiare anche le conseguenze amministrative, penali e risarcitorie. Insomma i produttori devono provvedere a proprie spese “in conformità alla normativa vigente”. E ciò a prescindere (e ben prima) di qualsiasi dimostrazione di avvenuto trattamento.

 

Ma le disposizioni che seguono, nel secondo periodo del comma 649, sono certamente piu’ interessanti.

 

“Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune, con proprio regolamento, puo' prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantita' che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero.”

 

Qui siamo in un’altra fattispecie. Non più quella dei rifiuti speciali al cui smaltimento è tenuto il produttore (quindi esclusi dalla TARI), ma quello dei rifiuti speciali assimilati agli urbani che i produttori dimostrino di avere avviato a recupero.

Qui il concetto della “dimostrazione” è certamente pertinente perché il Comune puo’ disporre con proprio regolamento una riduzione della parte variabile proporzionale alla quantità.

 

Ma il colpo di scena arriva qualche comma dopo, al 661, che prevede quanto segue:

 

“Il tributo non e' dovuto in relazione alle quantita' di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.”

 

La Circolare n. 1 citata prende in considerazione la contradditorietà tra il comma 649 secondo periodo e il comma 661, per argomentare come segue.

 

 



E conclude:

 

Gli argomenti non paiono convincenti e le ragioni per dissentire le ricorda proprio la sentenza del Consiglio di Stato.

Le prerogative dei Comuni sono ben note in termine di regolamentazione della gestione dei rifiuti urbani e di assimilazione.

Ma il presupposto per l’applicazione della tariffa rifiuti (che ha natura tributaria) deve essere determinato a livello statale. E in questo senso il citato comma 661 non ammette dubbi.

Peraltro, come si può constatare ancora dall’attuale formulazione dell’art. 195, comma 2, lett e) del d.lgs n. 152/2006 (nonostante la soppressione parziale di fine 2011)4, è ancora di competenza statale la determinazione dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti (che attendiamo, ormai, dal d.dlgs n. 22/97).

Inoltre, anche il principio “chi inquina paga” sancito dal Codice dell’Ambiente e, poi, più recentemente dalla Direttiva Rifiuti n. 98/2008 (recepita dall’Italia dal d.dlgs n. 205/2010) ha un’immediata cogenza nel diritto interno e deve essere interpretato nel senso di precludere a normative interne di imporre ai singoli costi manifestamente inadeguati per lo smaltimento dei rifiuti perché non dimostrano un legame sufficientemente ragionevole con la produzione dei rifiuti.

Quindi in vigenza del comma 661, senza ciò comporti nessuno esproprio delle amministrazioni locali dal potere e dalla possibilità di conciliare le diverse esigenze, il tributo non e' dovuto in relazione alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.

Ciò almeno fino a quando la norma non verrà cambiata. E come abbiamo visto sopra ciò potrà avvenire molto presto, già in sede di conversione dello Salva Roma Ter.

 

 

Art. 2 Salva Roma ter

 

Art. 2

Al comma 1, sostituire la lettera e) con le seguenti: 
e) al comma 649, il secondo periodo, è sostituito dai seguenti: «Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione. Al conferimento al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani di rifiuti speciali non assimilati, in assenza di convenzione con il comune o con l'ente gestore del servizio, si applicano le sanzioni di cui all'articolo 256, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006.» 
e-bis) il comma 661 è abrogato. 
2. 62. (Nuova formulazione). Fregolent

 

 

 

1 La sentenza della Corte Costituzionale n. 238/2009, probabilmente non “rivoluzionaria” nei contenuti (come vedremo meglio più avanti), verrà senz'altro ricordata per aver posto termine ad un’altra lla “vexata quaestio”: se la tariffa rifiuti (c.d. TIA) fosse da considerare un tributo un meno. La citata sentenza conferma definitivamente che la TIA ha le caratteristiche strutturali e funzionali del tributo. Il che, a parere di chi scrive, non era certo inaspettato; sarebbe stato invece sorprendente una decisione che avesse affermato il contrario. Si veda Massimo Medugno “Dalla tassa alla tariffa (pur rimanendo un tributo) in Nuova Rassegna, n. 17/2009, Noccioli Editore, pag. 1926 e ss..

 

2 Sul punto si veda anche l’acuta analisi di Alberto Muratori “Al via la Tari, dopo la Tares, le due Tua, e la Tarsu…Tanti acronimi per cambiare, ma sempre in peggio”, Ambiente & Sviluppo, n. 2/2014, Ipsoa, pag. 89 e ss.

3 “Con regolamento da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, sono stabiliti criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantita' di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell'Unione europea. “

 

4 Piu’ che altro un’amputazione ad avviso dello scrivente.