TAR Veneto Sez.III n.333 dell'8 marzo 2012
Rifiuti. Autorizzazione di attività potenzialmente inquinante e VIA

La procedura di impatto ambientale mira ad assicurare che siano fornite determinate informazioni essenziali al fine di valutare le ripercussioni sull’ambiente di un progetto.La normativa vigente (cfr. l’art. 21, comma 2, lett. b, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, e l’art. 1, comma 1, lett. c, della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10) pretende che siano identificate e valutate le possibili alternative al progetto, compresa la sua non realizzazione, con l’indicazione delle principali ragioni della scelta effettuata, al fine di rendere trasparente la scelta sotto il profilo dell'impatto ambientale, e allo scopo di evitare interventi che causino sacrifici ambientali superiori a quelli necessari al soddisfacimento dell'interesse sotteso all'iniziativa

N. 00333/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01034/2011 REG.RIC.

N. 01035/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1034 del 2011, proposto da:
Comune di Spinea, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Chinello, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell'art. 25, comma 1, cod. proc. amm..

contro

Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luisa Londei e Ezio Zanon, domiciliata in Venezia, Cannaregio, 23;
Provincia di Venezia, Comune di Mira, Consorzio Bonifica Acque Risorgive, Regione Veneto - Commissione V.I.A., non costituitesi in giudizio;

nei confronti di

Integra Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonella Capria, Teodora Marocco e Domenico Giuri, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia-Marghera, via delle Industrie, 19/C P. Lybra;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Provincia di Venezia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Katia Maretto, Giuseppe Roberto Chiaia e Roberta Brusegan, domiciliata in Venezia, San Marco, 2662;



ad adiuvandum:
Provincia di Venezia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Katia Maretto, Giuseppe Roberto Chiaia e Roberta Brusegan, domiciliata in Venezia, San Marco, 2662;


contro

sul ricorso numero di registro generale 1035 del 2011, proposto da:
Comune di Mira, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Chinello, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell'art. 25, comma 1, cod. proc. amm..

nei confronti di

Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ezio Zanon e Luisa Londei, domiciliata in Venezia, Cannaregio, 23;
Provincia di Venezia, Comune di Spinea, Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, Regione Veneto - Commissione Regionale V.I.A., non costituitesi in giudizio;
Integra Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonella Capria, Teodora Marocco e Domenico Giuri, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia-Marghera, via delle Industrie, 19/C P. Lybra;

per l'annullamento

A) quanto al ricorso n. 1034 del 2011:

- della deliberazione della Giunta Regionale n. 146 del 15.02.2011, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 18 del 04.03.2011, comunicata al Comune di Spinea il successivo 11.03.2011, con la quale è stato approvato - ai sensi del Dlgs. n. 4/2008 - il progetto presentato dalla soc. Integra S.r.l., per la messa in sicurezza di una ex discarica di categoria 2B, sita in località Prati, nel Comune di Spinea, e per il contestuale adeguamento del sistema di copertura finale mediante ricarica superficiale di rifiuti inerti;

- del parere n. 290 del 08.06.2010 della Commissione Regionale V.I.A. richiamato e fatto proprio dalla predetta deliberazione della Giunta Regionale n. 146 del 15.02.2011;

- della deliberazione della Giunta Regionale n. 1998 del 22.07.2008, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 73 del 02.09.2008, della deliberazione della Giunta Regionale n. 308 del 10.02.2009, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 19 del 03.03.2009. e la deliberazione della Giunta Regionale n. 327 del 17.02.2009, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 21 del 10.03.2009, nella parte in cui pretenderebbero di modificare, con atti meramente amministrativi, il regime transitorio di applicabilità della disciplina statale e regionale in materia di V.I.A., in esplicito contrasto con quanto stabilito dall'art. 35 del T.U.A.;

 

B) quanto al ricorso n. 1035 del 2011:

- della Deliberazione della Giunta Regionale n.146 del 15.02.2011, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 18 del 04.03.2011, comunicata al Comune di Mira il successivo 11.03.2011, con la quale è stato approvato - ai sensi del D. Lgs. n. 4/2008 - il progetto presentato dalla soc. INTEGRA S.r.l., per la presunta messa in sicurezza di una ex discarica di categoria 2B, sita in località Prati, nel Comune di Spinea, e per il contestuale adeguamento del sistema di copertura finale mediante ricarica superficiale di rifiuti inerti;

- del parere n. 290 del 08.06.2010 della Commissione Regionale V.I.A., richiamato e fatto proprio dalla predetta deliberazione della Giunta Regionale n. 146 del 15.02.2011;

- della deliberazione della Giunta Regionale n. 1998 del 22.07.2008, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 73 del 02.09.2008, della deliberazione della Giunta Regionale n. 308 del 10.02.2009, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 19 del 03.03.2009, della deliberazione della Giunta Regionale n. 327 del 17.02.2009, pubblicata sul B.U.R. del Veneto n. 21 del 10.03.2009, nella parte in cui pretenderebbero di modificare, con atti meramente amministrativi, il regime transitorio di applicabilità della disciplina statale e regionale in materia di V.I.A., in esplicito contrasto con quanto stablito dall'art.35 del T.U.A.;.

 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Veneto e di Integra Srl e di Regione Veneto e di Integra Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2012 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il Comune di Spinea nel ricorso r.g. 1034 del 2011 espone che nel proprio territorio in località Prati, la Società Ecoveneta Spa ha gestito una discarica di categoria 2 (rifiuti speciali) di tipo B negli anni dal 1991 al 1998, in un’area di circa 55.000 mq posta in prossimità della linea ferroviaria e a ridosso di un canale demaniale denominato Cime o Menegon, che segna il confine con il contermine Comune di Mira.

Successivamente, durate la fase di gestione post mortem del sito, constatata un’anomala produzione di percolato, la ditta è intervenuta a proprie spese, pur non essendovi direttamente tenuta in base alle garanzie prestate per la gestione della discarica ormai scadute, con interventi di pompaggio, stoccaggio in apposita cisterna e smaltimento presso impianti autorizzati, delle significative quantità di percolato riscontrate.

Con istanza presentata il 10 luglio 2008, la Società Ecoveneta Spa, ha presentato una domanda per ottenere la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione per un progetto di adeguamento della copertura, facendo osservare che le indagini svolte hanno evidenziato che il percolato si forma a causa dell’infiltrazione dell’acqua di pioggia trattenuta dal sedime della discarica.

Al fine di compensare le spese derivanti dall’intervento, la Società Ecoveneta Spa ha quindi proposto di poter procedere ad eseguire un ricarico superficiale di rifiuti inerti, realizzando una nuova discarica di 126 mila mc comportante l’innalzamento dal livello attuale di circa 5 m, fino ad un’altezza complessiva di circa 10 m.

Nel corso della procedura di valutazione di impatto ambientale hanno espresso parere contrario il Comune di Spinea, il Comune di Mira e la Provincia di Venezia.

Il Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, che non è stato coinvolto nell’iter autorizzativo, con nota prot. 8234 del 5 settembre 2008, inviata a tutti gli enti interessati, ha chiesto se e come l’interferenza del progetto con il fiume Mengon fosse stata valutata e approfondita nello studio di impatto ambientale, e con nota prot. n. 4191 del 25 maggio 2010, ha rappresentato la necessità di provvedere all’individuazione della possibile presenza di moti di filtrazione già in atto e all’urgente messa in sicurezza dell’arginatura del corso d’acqua, già interessata da fenomeni di dissesto che risulterebbero aggravati dall’innalzamento dei terreni posti immediatamente a ridosso della scarpata.

La Commissione di valutazione di impatto ambientale con parere n. 290 dell’8 giugno 2010, ha espresso un giudizio favorevole con prescrizioni all’intervento, e la Giunta regionale con deliberazione n. 146 del 15 febbraio 2011, ha approvato il progetto presentato dalla Società Ecoveneta Spa, cui è successivamente subentrata la Società Integra Srl, odierna controinteressata.

Con il ricorso in epigrafe il Comune di Spinea impugna tali atti unitamente a quelli ad essi connessi, per le seguenti censure:

I) irragionevolezza ed illogicità, travisamento e falsità di presupposto, sviamento e violazione dell’art. 97 della Costituzione, perché viene di fatto autorizzata una nuova discarica senza che un tale intervento sia necessario ad eliminare i problemi di percolato che si sono verificati, e perché la realizzazione della nuova discarica viene giustificata esclusivamente come compensazione di tipo economico per il soggetto attuatore;

II) illogicità e irragionevolezza per la mancata valutazione delle diverse alternative possibili e della c.d. opzione zero, e falsità della motivazione;

III) violazione degli obblighi di pubblicità prescritti per assicurare la partecipazione procedimentale da parte degli interessati, perché l’avviso volto a rendere conoscibile il progetto attraverso la presentazione alla collettività è stato pubblicato sulla cronaca locale di un Comune diverso da quello nel quale è ubicata la discarica;

IV) violazione dell’art. 35 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, da parte delle deliberazioni della Giunta regionale n. 1998 del 22 luglio 2008, n. 308 del 10 febbraio 2009, e n. 327 del 17 febbraio 2009, perché la ditta ha provveduto alla pubblicazione di un solo avviso sui quotidiani, come prescritto dalla normativa statale non ancora applicabile ai sensi dell’art. 35 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, anziché alla pubblicazione di due avvisi come dispone la legge regionale 26 marzo 1999, n. 10, ovvero, nel caso in cui si ritenesse applicabile la normativa statale, violazione dell’art. 24 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, per la mancata breve descrizione del progetto nell’avviso prescritto da tale norma, ovvero, in via ulteriormente subordinata, illegittimità delle deliberazioni regionali che prevedono adempimenti diversi da quelli prescritti dalla normativa di rango primario ratione temporis applicabile;

V) falsità di presupposto e della motivazione, violazione del DPR 11 luglio 1980, n. 753, e dell’art. 26 delle norme tecniche allegate al piano regolatore, per il mancato rispetto della fascia di rispetto di 30 m dalla linea ferroviaria, in mancanza di un’apposita deroga da parte dei competenti uffici delle Ferrovie;

VI) carenza di istruttoria, falsità di presupposto e della motivazione, violazione del RD 25 luglio 1904, n. 523, e dell’art. 26 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano regolatore in relazione al mancato rispetto delle distanze della fascia di rispetto dai corsi d’acqua;

VII) travisamento, erroneità del presupposto e della motivazione, contrasto del progetto approvato con il piano provinciale dei rifiuti e con il piano territoriale provinciale, carenza di istruttoria e contraddittorietà in quanto non è stato considerato come iscritto nell’apposito registro delle acque pubbliche un corso d’acqua la cui presenza, in base agli strumenti di programmazione della Provincia, rende inidonea parte dell’area all’apertura di una discarica;

VIII) erroneità del presupposto e della motivazione, travisamento, violazione dell’art. 32 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, irragionevolezza, illogicità e violazione dei principi di precauzione e azione preventiva sotto il profilo delle distanze poste a tutela della salute, e violazione dell’art. 32 della Costituzione, per la mancata considerazione della presenza di abitazioni a poche decine di metri dalla discarica a sud del corso d’acqua nel Comune di Mira, rispetto alle quali non sono rispettate le distanze imposte dalla normativa regionale;

IX) falsità di presupposto e della motivazione e carenza di istruttoria perché l’autorizzazione paesaggistica del Sovrintendente è stata espressa il 3 dicembre 2010, e acquisita il 10 dicembre 2010, successivamente alla data dell’8 giugno 2010, in cui è stato espresso il parere favorevole da parte della Commissione di valutazione dell’impatto ambientale;

X) illogicità, irragionevolezza, violazione dell’art. 97 della Costituzione e del principio di precauzione perché l’alto numero di prescrizioni impartite denota in realtà l’incompatibilità del progetto;

XI) carenza di istruttoria, carenza di presupposto e falsità della motivazione per l’omessa verifica della situazione delle acque sotterranee e di un’indagine idrogeologica volta a fornire una conoscenza dettagliata della falda freatica.

Con ricorso r.g. 1035 del 2011 i medesimi atti sono impugnati dal contermine Comune di Mira per le medesime censure.

In entrambi i ricorsi è intervenuta ad adiuvandum la Provincia di Venezia, svolgendo autonomi motivi di censura, con i quali ha contestato la violazione dell’art. 208 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, per l’omesso coinvolgimento nella procedura del Consorzio di bonifica, il difetto di motivazione e di istruttoria per la mancata considerazione che il progetto riguarda l’apertura di una nuova discarica, e la violazione del piano territoriale di coordinamento provinciale che vieta l’apertura di nuove discariche in zone assoggettate a vincolo paesaggistico, e del piano dei rifiuti che indica il sito come non idoneo.

Si sono costituiti in entrambi i ricorsi la Regione Veneto e la controinteressata Integra Srl, eccependo l’inammissibilità dell’intervento della Provincia, la tardività dell’impugnazione delle deliberazioni della Giunta regionale, l’inammissibilità per carenza di interesse dei ricorsi, e concludendo infine per la reiezione del ricorso.

Con ordinanze nn. 585 e 586 del 6 luglio 2011, sono state accolte le domande cautelari.

Alla pubblica udienza del 2 febbraio 2011, la controinteressata ha prodotto della documentazione, consistente in una revisione progettuale che, tenendo conto della motivazione delle ordinanze cautelari, ha previsto la sistemazione e il consolidamento della sponda del corso d’acqua con allargamento della fascia arginale da utilizzare dai mezzi consortili per la manutenzione, e l’arretramento del nuovo argine di contenimento dei nuovi materiali della discarica per rispettare la distanza di 10 m dal corso d’acqua.

Il difensore della parte ricorrente si è opposto alla produzione documentale.

Il difensore della controinteressata ha conseguentemente chiesto un rinvio della trattazione

La causa è stata infine trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Disposta la riunione dei ricorsi, in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del deposito dei documenti da parte della controinteressata che è tardiva rispetto ai termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm..

Infatti il termine per il deposito dei documenti può essere derogato solo in presenza di accordo fra le parti che nel caso all’esame non è intervenuto, atteso che il difensore della parte ricorrente si è espressamente opposto.

In difetto di assenso alla produzione tardiva, la documentazione depositata in data posteriore ai termini previsti deve ritenersi inammissibile.

Peraltro il Collegio non ritiene necessario rinviare la trattazione della causa o svolgere ulteriore attività istruttoria, in quanto, secondo ciò che emerge dall’illustrazione del contenuto della nuova documentazione avvenuta nel corso della trattazione orale, la medesima risulta irrilevante ai fini della definizione della controversia.

Infatti nel processo amministrativo di tipo impugnatorio, fuori dei casi previsti dalla legge (cfr. l’art. 6 della legge 18 marzo 1986, n. 249), in pendenza del giudizio non possono essere fatte utilmente valere eventuali sopravvenienze procedimentali finalizzate ad emendare ex tunc i vizi contestati nel ricorso.

1.1 Sempre in via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’intervento della Provincia di Venezia.

L’art. 28, comma 2, cod. proc. amm., prevede che “chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova”.

La Provincia in quanto ente esponenziale della comunità stanziata sul proprio territorio ed ente che ha partecipato all’iter procedimentale che ha dato luogo agli atti impugnati, non è titolare di un interesse indiretto e di mero fatto all’accoglimento dei ricorsi, ma di una autonoma posizione legittimante per la quale poteva proporre ricorso in via principale.

Il suo intervento deve pertanto essere dichiarato inammissibile perché va qualificato non come intervento adesivo dipendente, ma come intervento adesivo autonomo tardivamente proposto (l’intervento adesivo autonomo si sostanzia infatti nella proposizione di un vero e proprio ricorso da proporre entro il termine di decadenza, mentre solo l’intervento adesivo dipendente, che non ammette l’introduzione di autonomi motivi e comporta l’accettazione del processo nello stato e grado in cui si trova, può avvenire anche quando il termine per impugnare in via principale sia già decorso).

1.2. Vanno respinte le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi per carenza di interesse sollevate dalla controinteressata.

Con una prima eccezione la controinteressata sostiene che, non essendo precisati quali siano i potenziali pericoli all’ambiente, non sarebbe sufficientemente dimostrato l’interesse al ricorso.

L’eccezione va respinta, in quanto il Collegio condivide l’indirizzo secondo il quale, ai fini dell’impugnativa di un provvedimento che autorizza l’avvio di un’attività potenzialmente inquinante, il ricorrente non è tenuto a dimostrare che si è verificato un danno, che è questione che attiene al merito, ed è sufficiente la prospettazione di temute ripercussioni sul territorio (cfr. Tar Toscana Sez. II, 6 ottobre 2009 , n. 1505; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 novembre 2008 , n. 5910; Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657; Consiglio di stato, Sez. V, 12 ottobre 1999 , n. 1445).

Con una seconda eccezione la controinteressata eccepisce la carenza di interesse perché non è stato impugnato l’atto di approvazione del progetto, ma solo il giudizio favorevole di compatibilità ambientale.

L’eccezione è infondata in fatto, in quanto nell’epigrafe dei ricorsi risulta espressamente individuata come oggetto di impugnazione anche la deliberazione della Giunta regionale n. 146 del 15 febbraio 2011.

2. Con il primo motivo i Comuni ricorrenti lamentano l’illegittimità della valutazione di impatto ambientale per irragionevolezza, travisamento e sviamento, perché ritengono che la necessità di mettere in sicurezza il sistema di ricopertura della discarica non possa giustificare l’autorizzazione di una nuova discarica che prevede il conferimento di ulteriori rifiuti per 126.000 mc.

La doglianza va respinta, in quanto non integra di per sé un vizio censurabile in sede di legittimità la scelta dell’Amministrazione di provvedere alla soluzione delle problematiche ambientali presenti in una discarica chiusa e che abbia ormai esaurito anche la fase di gestione post mortem, mediante un intervento di riattivazione della medesima, finalizzato a rendere economicamente sostenibile e conveniente l’intervento per il soggetto attuatore.

3. Il ricorso è fondato e deve essere accolto per il secondo, quinto, sesto, settimo e ottavo motivo, che hanno carattere assorbente delle altre censure.

Con il secondo motivo i Comuni ricorrenti lamentano la mancata considerazione, nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale, delle opzioni alternative e della c.d. opzione zero al tipo di intervento richiesto.

La censura è condivisibile.

La procedura di impatto ambientale mira ad assicurare che siano fornite determinate informazioni essenziali al fine di valutare le ripercussioni sull’ambiente di un progetto.

La normativa vigente (cfr. l’art. 21, comma 2, lett. b, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, e l’art. 1, comma 1, lett. c, della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10) pretende che siano identificate e valutate le possibili alternative al progetto, compresa la sua non realizzazione, con l’indicazione delle principali ragioni della scelta effettuata, al fine di rendere trasparente la scelta sotto il profilo dell'impatto ambientale, e allo scopo di evitare interventi che causino sacrifici ambientali superiori a quelli necessari al soddisfacimento dell'interesse sotteso all'iniziativa (cfr. Consiglio si Stato, Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246).

Nel caso in esame rispetto a quanto prescritto dalle norme citate il giudizio di compatibilità ambientale risulta incompleto.

Il parere infatti alle pagg. 39 e 40 afferma di avere valutato quali alternative al progetto la depurazione in situ del percolato, e l’allacciamento e scarico in fognatura, ma di averle scartate perché, benché possano portare ad una riduzione dei costi di gestione, non risolvono il problema dell’infiltrazione delle acque di pioggia e della conseguente produzione di percolato, che può essere affrontata solo intervenendo all’origine del problema.

Il parere prosegue dichiarando di non avere considerato l’opzione zero, consistente nel non effettuare alcun tipo di intervento, perché questa comporterebbe maggiori rischi ambientali connessi alla produzione di percolato.

Tali elementi di analisi, come dedotto dai Comuni ricorrenti, contraddicono la ratio delle norme citate.

Infatti, tenuto conto che la finalità principale del progetto dichiarata è quella di risolvere il problema dell’infiltrazione delle acque di pioggia, risulta ingiustificatamente omessa la considerazione, come alternativa alla riattivazione della discarica o come opzione zero di questa specifica modalità di intervento, anche la riqualificazione del sito ottenibile dal semplice rifacimento della copertura, e manca quindi l’indicazione di un parametro essenziale ad evidenziare se le ripercussioni ambientali che derivano dalla riattivazione della nuova discarica siano proporzionate ed adeguate al raggiungimento degli obiettivi prefissi.

La censura di cui al secondo motivo deve pertanto essere accolta.

4. Con il quinto motivo i Comuni lamentano la violazione del DPR 11 luglio 1980, n. 753, e dell’art. 26 delle norme tecniche allegate al piano regolatore, per il mancato rispetto della fascia di rispetto di 30 m dalla linea ferroviaria, in mancanza di un’apposita deroga da parte dei competenti uffici delle Ferrovie.

La Regione e la controinteressata replicano affermando che non era necessario acquisire l’assenso dei competenti uffici delle ferrovie, perché questo è già stato ottenuto nel 1991 in occasione della prima autorizzazione della discarica e deve ritenersi ancora efficace in quanto non è previsto l’avanzamento del fronte della discarica verso la ferrovia ma solo il suo innalzamento, o, secondo una diversa prospettazione, che è comunque indifferente per la circolazione ferroviaria mantenere libera la visuale laterale, o ancora che l’autorizzazione alla deroga avrebbe potuto essere acquisita in un momento successivo.

Tali argomentazioni non possono essere condivise.

L’art. 49 del DPR 11 luglio 1980, n. 753, recante “norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto” dispone che “lungo i tracciati delle linee ferroviarie è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia”, e l’art. 60 prevede che le distanze siano derogabili dagli uffici lavori compartimentali delle F.S., per le ferrovie dello Stato “quando la sicurezza pubblica, la conservazione delle ferrovie, la natura dei terreni e le particolari circostanze locali lo consentano”.

Dalle norme citate la giurisprudenza, tenuto conto della loro ratio, ha ritenuto di dover ricavare la regola che le medesime siano applicabili non solo all'erezione di un manufatto del tutto nuovo, ma anche alle modifiche a manufatti esistenti capaci comunque di aggravare la limitazione della visuale (cfr. Cassazione civile , Sez. I, 25 settembre 1996, n. 8452), ed inoltre ha precisato che tali norme richiedono che l’autorizzazione in deroga sia rilasciata prima dell'inizio dei lavori, perché, trattandosi di opere che incidono sulla sicurezza ferroviaria, la deroga condiziona la stessa possibilità di rilascio delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione del manufatto (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. II, 11 aprile 2008, n. 2075).

In base a tali premesse il Collegio ritiene che il rispetto delle norme citate avrebbe richiesto il preventivo ottenimento di una nuova autorizzazione per ottenere la deroga ad innalzare di circa cinque metri il manufatto già esistente in fregio alla linea ferroviaria ad una distanza inferiore a quella stabilita dalla legge.

La censura di cui al quinto motivo è pertanto fondata e deve essere accolta.

5. Con il sesto e settimo motivo i Comuni ricorrenti lamentano che non sono state correttamente valutate le fasce di rispetto dal corso d’acqua, e che non sono state tratte le conclusioni conseguenti all’iscrizione del canale Cime o Mengon al registro delle acque pubbliche con il nome di “Fiume Vecchio” rispetto agli atti di programmazione e pianificazione della Provincia, i quali non consentono la realizzazione di discariche in siti che ricadono nelle fasce di rispetto dei corsi d’acqua iscritti negli apposti registri.

5.1 Relativamente al mancato rispetto delle distanze dal corso d’acqua (la discarica è in prossimità dell’argine) il giudizio di compatibilità ambientale si limita ad affermare che il progetto non prevede la realizzazione di nessun fabbricato o di altra opera strutturale fuori terra oltre quelle già esistenti.

L’affermazione non è corretta.

Infatti, come sopra più volte osservato, il progetto prevede l’innalzamento da circa 5 m a circa 10 m dell’altezza della discarica, e l’art. 96, primo comma, lett. f) del RD 25 luglio 1904 , n. 523, vieta ad una distanza minore di dieci metri dal piede degli argini “le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno”, con una formula ampia, tale da ricomprendere qualsiasi manufatto che per le sue caratteristiche sia idoneo a compromettere il libero deflusso delle acque o l’espletamento dei necessari lavori di manutenzione (per l’individuazione della ratio del divieto cfr. Tribunale Sup.re acque, 24 giugno 2010, n. 104; id. 29 aprile 2002, n. 58).

Il divieto contenuto nella norma sopra citata si applica peraltro indistintamente a tutti i corsi d’acqua acquisiti al demanio dello Stato, senza che rilevi l’iscrizione o meno negli apposti elenchi (cfr. Tar Piemonte, Sez. I, 20 aprile 2007, n. 1732).

Ne discende che nel caso di specie gli atti impugnati sono illegittimi anche per il mancato rispetto delle distanze dal corso d’acqua (tale conclusione risulta confortata anche dalla revisione progettuale di cui è stata data lettura dal difensore della parte controinteressata nella pubblica udienza, ove è espressamente previsto l’arretramento del nuovo argine di contenimento dal corso d’acqua per rientrare nella fascia di rispetto dal canale di 10 metri prevista dal RD 25 luglio 1904 , n. 523, e l’allargamento della fascia arginale da utilizzare per la manutenzione dai mezzi consortili).

5.2 Nelle proprie difese la Regione e la controinteressata contestano che il corso d’acqua sia iscritto nel registro delle acque pubbliche e quindi che sia sottoposto al regime vincolistico di cui al Dlgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e, a sostegno dell’assunto, si limitano a citare la sentenza Tar Veneto, Sez. I, 15 aprile 1993, n. 364, che aveva ad oggetto l’impugnazione dell’originario provvedimento autorizzativo della discarica.

Sul punto il Collegio osserva che la predetta sentenza in realtà non ha accertato, neppure incidentalmente, la natura del corso d’acqua, ma ha semplicemente ritenuto in quella sede non sufficientemente provata l’iscrizione nell’elenco ai fini della definizione della necessità o meno dell’autorizzazione paesaggistica, lasciando sostanzialmente impregiudicata la questione.

5.3 Al riguardo il Collegio ritiene fondate e meritevoli di accoglimento le censure proposte dai Comuni ricorrenti di difetto di motivazione, difetto di istruttoria e contraddittorietà, perché dalla lettura del parere di compatibilità ambientale emerge una costante sottovalutazione delle problematiche attinenti alla presenza del corso d’acqua.

In primo luogo il parere, al fine di non applicare nelle fasce di rispetto il divieto che discende dal piano provinciale sui rifiuti (cfr. pag. 7), afferma che il corso d’acqua non è iscritto negli appositi elenchi, ma successivamente dà atto invece dell’avvenuta presentazione della relazione paesaggistica e di ritenere quindi espressamente necessaria l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica che ha come unico presupposto proprio l’iscrizione del corso d’acqua negli appositi elenchi (cfr. pag. 36, laddove si dice che “il vincolo vigente fa riferimento all’art. 142 - corsi d’acqua e fascia di m 150 – del Dlgs. n. 42/2004, è originato dal Canale Cime Menegon che scorre, arginato, al di là della recinzione della discarica dimessa”).

In secondo luogo, come ripetutamente rappresentato dal Consorzio di bonifica (che non è stato coinvolto nella procedura nonostante lo avesse richiesto ed ha successivamente inviato un apposito parere che risulta essere stato ignorato: cfr. doc. 15 allegato alle difese della Regione), è stata omessa la valutazione delle maggiori sollecitazioni indotte dall’intervento sugli argini del corso d’acqua che già versano in una situazione di grave dissesto.

Per tali ragioni risultano pertanto fondate le censure di cui al sesto e settimo motivo.

6. Parimenti fondata è anche la censura di cui all’ottavo motivo, perché nel parere sono state considerate solo le distanze dalle abitazioni presenti nel Comune di Spinea, nel cui territorio è ubicata la discarica, e non le distanze dalle abitazioni presenti nel confinate Comune di Mira.

Peraltro la sintesi non tecnica allegata all’istanza, a pag. 4 ammette espressamente che nel territorio del Comune di Mira sono presenti cinque fabbricati nel raggio di 100 m dal perimetro dell’area di interesse e un altro edificio nel raggio di 150 m.

Sul punto nelle proprie difese la controinteressata sostiene che le distanze previste dall’art. 32 delle legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, non troverebbero applicazione, perché sarebbero da riferire alle sole discariche di rifiuti urbani e di rifiuti speciali, e non anche alle discariche di inerti, come quella da realizzare.

La tesi non può essere condivisa, perché omette di considerare che la non perfetta corrispondenza della denominazione della tipologia di discariche cui applicare la disciplina sulle distanze, è colmabile in via interpretativa, ed è dovuta alla circostanza che la menzionata legge regionale è stata adottata sotto la vigenza della classificazione delle discariche contenuta nelle delibera del comitato interministeriale del 27 luglio 1984, per la quale le discariche di inerti erano ricompresse tra quelle di II categoria di tipo A (nell’ordinamento nazionale la classificazione nelle categorie delle discariche per rifiuti inerti, non pericolosi e pericolosi, è avvenuta con il Dlgs. 13 gennaio 2003, n. 36).

In realtà le distanze previste dall’art. 32 delle legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, sono applicabili anche alle discariche di II categoria di tipo A.

Sul punto il Collegio ritiene sufficiente richiamarsi alla sentenza della Sezione 10 gennaio 2002, n. 10, laddove è stato osservato:

la questione di diritto sottoposta al giudizio della Sezione consiste nello stabilire se le discariche di seconda categoria tipo A, di cui al p. 4.2.3.1. della D.C.I. 27 luglio 1984, nelle quali vanno smaltiti rifiuti inerti, tra cui sfridi di materiali da costruzione e materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi, siano soggette, o no, all'obbligo di rispetto delle distanze di cui al sopratrascritto art. 32 della l. reg. n. 3 del 2000.

Il Collegio ritiene che al quesito debba darsi risposta positiva, con conseguente rigetto della prima censura.

Sul piano della interpretazione letterale, l'art. 32 della l. reg. n. 3 del 2000 è estremamente chiaro.

E infatti:

- in base a quanto dispone l'art. 7 del d. lgs. n. 22 del 1997, i rifiuti sono classificati come urbani e speciali, e quindi il citato art. 32, nel riferirsi alle discariche per rifiuti urbani e per rifiuti speciali, non poteva non riguardare tutti i rifiuti conferibili in discarica;

- il Legislatore regionale aveva ben presente il quadro normativo statale di riferimento relativo alle diverse categorie di discariche, ivi comprese quelle di tipo 2/A, tanto è vero che l'art. 32, comma 3, menziona le discariche di seconda categoria tipo A di cui alla D.C.I. 27 luglio 1984: se il Legislatore regionale avesse voluto occuparsi specificamente delle discariche 2/A, introducendo una disciplina derogatoria in tema di rispetto delle distanze, l'avrebbe detto chiaramente.

Ma ciò non è avvenuto;

- gli inerti, vale a dire i rifiuti conferibili nelle discariche 2/A, sono indubbiamente materiali "non putrescibili" ai sensi dell'art. 32, comma 1, lettera a) della l. reg. n. 3/00, dal che discende l'applicabilità, per le discariche 2/A, della distanza dei 150 metri.

Sotto il profilo logico - sistematico, la previsione di distanze di rispetto, da abitazioni o da edifici pubblici stabilmente occupati, anche per le discariche 2/A si giustifica razionalmente avendo riguardo all'esigenza di tutelare le persone dal traffico veicolare pesante e dall'inquinamento acustico che caratterizzano l'attività delle discariche (anche) 2/A, anche se la non putrescibilità dei rifiuti permette di individuare una fascia di rispetto meno ampia di quella prevista per le discariche per rifiuti putrescibili.

Non si vede poi per quale ragione le distanze di rispetto non dovrebbero valere per le discariche per inerti ma non anche per le discariche per rifiuti secchi o non putrescibili diversi dagli inerti, considerando l'identità di ratio delle prescrizioni sulle distanze”.

In definitiva pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’intervento della Provincia di Venezia e, con assorbimento delle questioni non espressamente trattate, i ricorsi devono essere accolti per le censure contenute nel secondo, quinto, sesto, settimo e ottavo motivo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile l’intervento della Provincia di Venezia, e accoglie i ricorsi e, per l’effetto, annulla la deliberazione della Giunta regionale n. 146 del 15 febbraio 2011, e il parere n. 290 dell’8 giugno 2010 della Commissione regionale V.I.A..

Condanna la Regione Veneto e la Società Integra Srl in parti uguali alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di Spinea e del Comune di Mira, liquidandole in € 4000,00 per ciascun Comune, a titolo di spese, diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore

Marco Morgantini, Primo Referendario





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/03/2012