TAR Lombardia (MI), Sez. IV, n. 233, del 23 gennaio 2014
Rifiuti.Legittimità ordinanza rimozione materiale depositato e movimentato

Il materiale depositato è stato movimentato e spianato, e trattandosi di una quantità e di una superficie di intervento consistente, ciò non poteva avvenire senza l’ausilio di importanti mezzi d’opera, talché in ragione di tale copiosa attività di movimentazione di materiali è irragionevole ritenere che il proprietario non ne abbia mai notato la presenza, essendo pertanto del tutto ragionevole ritenere che il proprietario, fosse a conoscenza di tale attività di deposito materiali proveniente da scavi e demolizioni, e successiva demolizione, o per averla ordinata lui stesso, o per averla consentita ad altri. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00233/2014 REG.PROV.COLL.

N. 02488/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2488 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Luca Bottazzini, rappresentato e difeso dall'avv. Giancarlo Trabucchi, con domicilio fissato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. Lombardia in Milano via Corridoni 39;

contro

Comune di Sumirago, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Matteo Micheletti, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Marzia Eoli in Milano, Via Larga n. 6;

per l'annullamento

con il ricorso principale:

dell'ordinanza sindacale prot. n. 5548, n 1163 del 7 giugno 2011 con la quale è stato ordinato al signor Bottazzini Luca “la rimozione completa e l'avvio al recupero e allo smaltimento del materiale depositato sul mappale 856 entro il termine di 90 giorni dalla notifica nonché il completo ripristino dello stato dei luoghi ai sensi e per gli effetti dell'art. 192, c. 3, D.Lgs. n. 152/2006”;

con i motivi aggiunti:

dell'ordinanza n. 1174 registro prot. n. 711 del 24.01.12, a firma del Responsabile del Servizio urbanistica, edilizia privata del Comune di Samirago, nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso;



Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sumirago;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2013 il dott. Mauro Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il ricorso principale, si è impugnata l’ordinanza di smaltimento rifiuti in epigrafe indicata.

Il Comune resistente si è costituito in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 1456/2011 è stata respinta la domanda cautelare.

Con il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, in relazione ai medesimi fatti che hanno dato luogo all’emanazione dell’ordinanza di smaltimento dei rifiuti impugnata con il ricorso principale, il Comune ha disposto la demolizione delle medesime opere, in quanto classificate quali interventi di “nuova costruzione”.

Con ordinanza n. 581/2012, tenuto conto che l’ordinanza impugnata con il ricorso principale non aveva ancora avuto esecuzione, è stata respinta la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 11.12.2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso principale e quello proposto con motivi aggiunti sono entrambi infondati.

I) Il provvedimento impugnato con il ricorso principale, preceduto da due sopralluoghi eseguiti in data 22.10.2010 e 15.11.2010, dà atto dell’esistenza di un parcheggio di circa 430 mq, realizzato sul mappale n. 586 di proprietà del ricorrente, il cui sottosuolo è composto da “terre provenienti da scavi frammisto a materiali di demolizione edile”, peraltro visibili anche in superficie, classificabili come “rifiuti speciali”, in quanto provenienti da lavorazioni di costruzione e demolizione.

I.1) Con il primo motivo, si deduce la violazione dell’art. 7 L. n. 241/90, per omesso rispetto del principio del contraddittorio.

In particolare, secondo il ricorrente, la comunicazione di avvio del procedimento, pur concretamente effettuata, avrebbe avuto un contenuto talmente generico da non assolvere allo scopo.

Il motivo è infondato, come risulta dalla lettura del provvedimento impugnato, in cui si da atto dell’intervento nel procedimento dell’Avv. Trabucchi, difensore dell’attuale ricorrente, che con nota prot. n. 3872 del 19.4.2011, ha evidenziato le proprie ragioni, ed in particolare che “la modifica del piano naturale oggetto del procedimento non pare, neppure a livello astratto, integrare quella trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, che legittimerebbe il preventivo controllo urbanistico-edilizio, e ancor meno, opera soggetto a preventivo permesso di costruire ai sensi della legislazione statale e regionale in materia”. Tale nota, oltre ad essere formalmente confluita nel procedimento, è stata dettagliatamente esaminata, e sulla stessa si sono puntualmente pronunciati i Responsabili dei Servizi interessati, con determinazioni riassunte nello stesso provvedimento impugnato.

Né in contrario può rilevare la mera mancata partecipazione del ricorrente ai detti sopralluoghi, atteso che gli stessi, in quanto finalizzati ad acquisire cognizione dello stato dei luoghi, hanno avuto ad oggetto attività di carattere meramente ricognitivo, e non presuppongono quindi l'instaurazione di un contraddittorio. Tali attività non hanno pertanto influito in alcun modo sulla partecipazione procedimentale del soggetto interessato, ferma restando la possibilità di contestare eventuali discordanze tra lo stato dei luoghi rappresentato e quello definitivo (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 13.11.2013 n. 997), ciò che non è tuttavia stato dedotto dal ricorrente, che si è invece limitato a censurare il profilo formale dell’omessa partecipazione.

I.2) Con il secondo motivo, si contesta, in primo luogo, che il materiale rinvenuto nel detto mappale 856 sia effettivamente classificabile quale “rifiuto”.

Il motivo è tuttavia infondato, atteso che, come risulta anche dalla lettura delle premesse del provvedimento impugnato, “ai sensi dell'art. 184, c 3, lett. b) D.Lgs. n. 152/2006, costituiscono rifiuti speciali quelli derivanti dalle attività di demolizione, costruzione” (Cass. Pen. Sez. III, 7.3.2012 n. 37083), che sono stati rinvenuti nel sottosuolo del detto mappale n. 586.

La stessa relazione dell’A.R.P.A. del 15.2.2011, dà atto che all’esito del sopralluogo, “così come riferito nell’esposto e confermato dai tecnici comunali, era stato realizzato un terrapieno con apporto di terre e rocce, oltre alla presenza di due cumuli di materiale da demolizione”.

Alla luce di quanto precede, sono pertanto irrilevanti i risultati degli accertamenti effettuati dal ricorrente sui detti materiali (v. doc. n. 16), atteso che gli stessi, se sono idonei ad escludere la sussistenza di pericoli per la salute umana, non possono evidentemente avere alcuna incidenza sulla vista definizione di “rifiuto speciale”, e sulle procedure previste per il suo trattamento.

I.3.1) Nel terzo motivo, e parimenti nel secondo, il ricorrente si sofferma lungamente nel contestare, in primo luogo, l’illegittimità della presunzione assoluta che a suo dire sarebbe contenuta nel provvedimento impugnato, tra il suo titolo di proprietà, e la responsabilità dell’abbandono dei rifiuti, laddove invece si sarebbe dovuto procedere ad un puntuale accertamento della stessa.

Anche tali motivi sono infondati.

Osserva infatti il Collegio che la responsabilità dell’abbandono dei predetti rifiuti è stata attribuita all’attuale ricorrente in esito a specifiche valutazioni delle situazione di fatto puntualmente indicate nel provvedimento impugnato, evidenziandosi in particolare che “il materiale depositato è stato movimentato e spianato, e trattandosi di una quantità e di una superficie di intervento consistente, ciò non poteva avvenire senza l’ausilio di importanti mezzi d’opera”, talché “in ragione di tale copiosa attività di movimentazione di materiali è irragionevole ritenere che il proprietario non ne abbia mai notato la presenza”, essendo pertanto “del tutto ragionevole ritenere che il proprietario, Sig. Bottazzini, fosse a conoscenza di tale attività di deposito materiali proveniente da scavi e demolizioni, e successiva demolizione, o per averla ordinata lui stesso, o per averla consentita ad altri”.

I.3.2) In secondo luogo, il ricorrente contesta altresì la veridicità delle predette affermazioni, dichiarando di aver semplicemente “sistemato” l’area di che trattasi, sulla quale era precedentemente stato autorizzato il deposito temporaneo di terreno da scavo proveniente da un fondo confinante, di proprietà del Sig. Puglisi, mediante il livellamento del detto mappale n. 586, con posa di materiale inerte di tipo “stabilizzato”, regolarmente acquistato (V. doc. n. 15), e non abusivamente interrato. L’Amministrazione avrebbe pertanto travisato i fatti, ritenendo che il ricorrente abbia collocato nell’area di che trattasi materiali di scarto, o consentendo tali operazioni, laddove il medesimo si sarebbe invece limitato ad eseguire interventi di miglioramento dell’area, utilizzando a tal fine materiali appropriati.

Come già evidenziato, al fine di supportare i propri argomenti, il ricorrente produce una fattura della Ditta C.t.m. Scavi (n. 16 del 26.2.2009), il cui esame da parte del Collegio conferma tuttavia quanto indicato nel provvedimento impugnato.

Il ricorrente si è infatti limitato a commissionare alla detta C.t.m. Scavi la fornitura di 36 mc di materiale denominato “stabilizzato bianco”, e di 52 mc di “macinato grosso”, laddove il provvedimento impugnato evidenzia invece la presenza di ben 455 mc di materiale, nella parte destinata a parcheggio, in una superficie di 650 mq, e di altri 384 mc nella parte rimanente, avente superficie di circa 437 mq.

Osserva pertanto il Collegio che il ricorrente si limita a produrre documentazione che giustifica effettivamente l’esecuzione di piccoli lavori di sistemazione dell’area di che trattasi, ciò che tuttavia non intacca minimamente la versione fornita dall’Amministrazione, che gli ha invece contestato il pregresso abbandono ed interramento di materiali per un volume ben superiore. Il provvedimento impugnato imputa infatti al ricorrente l’interramento di complessivi 839 mc, laddove il medesimo, con la predetta documentazione, giustifica il legittimo utilizzo di soli 88 mc, ciò che conferma pertanto l’infondatezza del motivo.

I.3.3) Né, infine, ad inficiare il visto e ragionevole giudizio di responsabilità a carico del ricorrente, possono rilevare le denunce effettuate dallo stesso contro ignoti negli anni 2004-2005 per scarichi non autorizzati sul proprio terreno, atteso che, da un lato, le vicende di che trattasi sono successive di molti anni a tali episodi, e che comunque il provvedimento impugnato, ne afferma una responsabilità a titolo di dolo, avendo agito, o consentito ad altri di agire “con coscienza e volontà, ed il cui inequivocabile fine era di modificare il piano naturale dell’area per una sua possibile utilizzazione materiale quale area di parcheggio delle autovetture a servizio della propria ditta e di quelle vicine”. Solo “in via residuale” il provvedimento impugnato configura a carico del ricorrente una mera culpa in vigilando, ciò che, a fronte della mancata dimostrazione dell’erronea configurazione della detta responsabilità a titolo di dolo, non rende decisive le viste denunce degli anni 2004-2005, che avrebbero invece potuto eventualmente rilevare solo in caso di attribuzione al ricorrente di una responsabilità colposa.

II) Con il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, richiamati taluni sopralluoghi effettuati sull’area di che trattasi, oltreché la pregressa ordinanza n. 1163/2011, si evidenzia l’intervenuta modifica del piano naturale del mappale n. 586, sul quale risulta essere stato effettuato un riporto di materiale.

Quanto precede ha pertanto dato luogo ad una modifica del piano naturale dell’area, mediante riporto con materiale derivante da demolizioni e scavi, per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio (parcheggio autovetture), ciò che, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, dà luogo ad una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, che avrebbe richiesto il rilascio di un idoneo titolo edilizio.

Conseguentemente, il ricorrente è stato diffidato alla demolizione delle opere realizzate, con ripristino dello stato dei luoghi.

II.1) Con il ricorso presentato con i motivi aggiunti il ricorrente lamenta la carenza dei presupposti richiesti per emanare il detto provvedimento di demolizione, atteso che egli si sarebbe limitato a provvedere al livellamento di un terreno, con posa di materiale inerte, ciò che non darebbe luogo ad alcuna trasformazione del terreno.

Anche il ricorso per motivi aggiunti va respinto.

La pavimentazione di un'area già allo stato naturale, e la destinazione della stessa a parcheggio di autoveicoli, non può in alcun modo configurarsi come intervento di manutenzione, ordinaria o straordinaria, o consolidamento statico, trattandosi invece di opera edilizia nuova, e non già di intervento trasformativo di manufatto già esistente. Tale intervento comporta infatti l’alterazione dello stato dei luoghi, atteso che importa una rilevante modifica strutturale dell'area, a sua volta finalizzata ad una ancora più consistente e rilevante trasformazione funzionale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 5.3.2012 n. 1099). Non può infatti avere natura di pertinenza un parcheggio per autoveicoli, di estensione notevole, posto al servizio di un edificio, realizzato mediante spianamento del suolo, essendo infatti soggetta a concessione edilizia ogni trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di opere comunque incidenti su aspetti urbanistici ed edilizi, che abbiano perdurante rilievo ambientale ed estetico, o anche solo funzionale, pur quando si tratti di una stratificazione sul suolo di materiali attinti altrove, senza interventi di muratura (T.A.R. Veneto, Sez. II, 3.4.2003 n. 2267).

Come già evidenziato, il ricorrente riconosce espressamente di aver effettuato una “sistemazione” dell’area, mediante un livellamento della stessa, con posa di materiale inerte di tipo “stabilizzato”, onde poter utilizzare la stessa per ricovero autovetture, ciò che, come dimostrato dalla produzione fotografica della stessa ricorrente (docc. nn. 21 e 21, che erroneamente menzionano il mappale “836”, in luogo di quello “856”), ha dato luogo ad un nuovo utilizzo della stessa, che non era invece possibile in precedenza. Quanto precede dimostra pertanto sia l’esecuzione di lavori, che la trasformazione permanente del suolo inedificato che, in base a quanto previsto dall’art. 3 c. 1 lett. f) D.P.R. 6.6.2001 n. 380, avrebbero richiesto il preventivo rilascio di un permesso di costruire.

III.2) Nella memoria depositata in vista dell’udienza di merito il ricorrente lamenta che nel provvedimento impugnato non vi sia alcun riferimento al fatto che il Comune resistente aveva a suo tempo autorizzato il deposito temporaneo di terreno da scavo sulla sua proprietà, proveniente da talune lavorazioni in corso nel fondo confinante.

Osserva il Collegio che tale circostanza è tuttavia irrilevante, atteso che la stessa non potrebbe avere alcuna efficacia scriminante, né rispetto alla responsabilità ascritta al ricorrente per l’interramento dei rifiuti, né rispetto alla realizzazione di trasformazioni urbanistiche in assenza delle richieste autorizzazioni edilizie.

Infine, vanno dichiarate inammissibili, in quanto tardive, le censure contenute nella medesima memoria (pag. n. 8) con le quali il ricorrente contesta la correttezza dei rilievi effettuati dal Comune onde accertare la modifica della “quota” del mappale di che trattasi nel corso degli anni, a comprova delle trasformazioni effettuate.

Lo stesso provvedimento impugnato con motivi aggiunti affermava infatti che la prova di un riporto di materiale fosse desumibile proprio dal confronto tra le differenze di quota del rilievo effettuato nel 2005 e quello del 2010, senza che il ricorrente abbia censurato tale affermazione, alla quale ha pertanto prestato acquiescenza.

Il ricorso principale e quello proposto con i motivi aggiunti, vanno pertanto respinti.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, nei termini di cui in motivazione.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, equitativamente liquidate in Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Elena Quadri, Consigliere

Mauro Gatti, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)