Cass. Sez. III Sent. 40189 del 6122006 (Cc. 27/09/2006 )
Presidente: Papa E. Estensore: Fiale A. Imputato: Di Luggo.
(Rigetta, Trib. lib. Napoli, 12 Gennaio 2006)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Intervento realizzato con DIA - In difetto dei requisiti di legge - Reato di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 - Configurabilità.

In materia edilizia, nell'ipotesi in cui un intervento realizzato a seguito di denuncia di inizio attività (DIA) non sia giuridicamente riconducibile a tale regime, per carenza dei requisiti previsti, i lavori vanno considerati abusivi con configurabilità del reato di cui all'art. 44 lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001, attesa la non rilevanza della intervenuta presentazione della DIA e dell'eventuale decorso del termine assegnato alla P.A. per l'adozione dei provvedimenti inibitori.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 27/09/2006
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 893
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 20864/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI LUGGO Ruggiero, n. a Napoli il 22/10/1926;
avverso l'ordinanza 12/01/2006 del Tribunale per il riesame di Napoli;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. IZZO Gioacchino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Letta la memoria depositata dal difensore del ricorrente, Avv.to FONTANA Giorgio.
FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 12.01.2006, rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di Di Luggo Ruggiero avverso il provvedimento 13.12.2005 con cui il G.I.P. di quello stesso Tribunale - in relazione all'ipotizzato reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), - aveva disposto il sequestro preventivo di due manufatti interessati da lavori edilizi, siti in Pozzuoli, alla via Antiniana.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Di Luggo, il quale - sotto il profilo della violazione di legge - ha eccepito che:
- gli interventi edilizi contestati non sarebbero riconducibili al regime del permesso di costruire, poiché consisterebbero nella mera manutenzione straordinaria di due vecchi prefabbricati pericolanti, finalizzata a scongiurare il degrado degli stessi;
- per quei due manufatti era stata presentata domanda di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985 e, per i lavori successivamente realizzati su di essi, che non avrebbero comportato "una totale demolizione e contestuale ricostruzione", era stata esperita regolare procedura di D.I.A.;
- penalmente irrilevanti devono ritenersi, infine, le opere realizzate in assenza della D.I.A. o in totale difformità. Il difensore dell'indagato, con successiva memoria, ha ulteriormente eccepito che la legittimità delle opere in sequestro e della esperita procedura di D.I.A. sarebbe stata confermata dall'azione della stessa Amministrazione comunale di Pozzuoli, poiché questa, con provvedimento del 25.6.2003, aveva richiesto documentazione integrativa della D.I.A. e, con successivo provvedimento del 14.12.2004, "prendendo atto dell'intervenuta integrazione documentale, aveva consentito la prosecuzione dei lavori". Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato. 1. Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte Suprema, con le specificazioni indicate dalle Sezioni Unite con la sentenza 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzarle una "plena cognitio" del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale.
Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meritum causae", così da determinare una non-consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento.
L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono - in una prospettiva di ragionevole probabilità - di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Il Tribunale del riesame, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.
2. Nella fattispecie in oggetto il Tribunale di Napoli risulta essersi correttamente attenuto a tali principi, dal momento che quei giudici - valutando specificamente le prospettazioni difensive e con riferimento ad un accertamento effettuato dai tecnici comunali in data 28.11.2005 - hanno evidenziato che gli interventi edilizi per i quali si procede hanno interessato due corpi di fabbrica (sostanzialmente delle baracche) per i quali era stata presentata, in data 4.8.1986, istanza di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985, il cui procedimento, però, non risulta ancora definito. Trattavasi, dunque, di manufatti abusivi e non condonati. Essi sono stati poi demoliti ed al loro posto sono in corso di realizzazione due strutture nuove "con travi di ferro zincato e copertura a doppia falda in lamiere coibentate" aventi le rispettive dimensioni: la prima di mt. 6,30 x 18,80 con altezza a colmo interna di mt. 3,55 e mt. 3,10 alla gronda e la seconda di mt. 6,25 x 28,70 con altezza a colmo interna di mt. 3,55 e mt. 3,10 alla gronda.
2.1 Alla stregua di tali accertamenti fattuali, non si verte, pertanto, in tema di manutenzione straordinaria, poiché interventi siffatti - già previsti dalla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, comma 1, lett. b), ed attualmente definiti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. b) - sono caratterizzati da un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro, di ordine strutturale, consistente nel divieto di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari.
Neppure l'attività posta concretamente in essere può ricondursi alla nozione di restauro e risanamento conservativo, in quanto il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. c), con definizione già fornita dalla L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 1, lett. c), identifica detti interventi come quelli "rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che - nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso - ne consentano destinazioni d'uso con esso compatibili". La finalità è quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata - poiché si tratta pur sempre di conservazione - nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali".
Deve escludersi pure che si verta in tema di interventi di ristrutturazione - di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 10, comma 1, lett. c), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002 - che sono subordinati a permesso di costruire ma, in alternativa, possono essere realizzati medianti D.I.A. se "portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A), comportino mutamenti della destinazione d'uso".
Qualora interventi siffatti, invero, comportino la preventiva demolizione dell'edificio, il risultato finale deve coincidere nella volumetria e nella sagoma con l'edificio precedente. Tali coincidenze non risultano nella specie verificate ed in ogni caso, per aversi ristrutturazione, l'immobile preesistente non deve essere abusivo. 2.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, infatti:
- gli interventi di manutenzione e di risanamento conservativo devono comunque accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente, poiché l'assenza originaria di un titolo abilitativo priva il Comune del parametro di legalità al quale deve riferirsi il potere di autorizzare la realizzazione di opere strettamente connesse a quanto conserva caratteristiche di contrarietà all'assetto urbanistico del territorio;
- l'intervento di ristrutturazione di una costruzione originariamente abusiva costituisce ripresa dell'attività illecita, integrando un nuovo reato edilizio (vedi Cass, Sez. 3, 11.10.2005, Daniele). 2.3 Allo stato risulta realizzata - in conclusione - una attività di nuova edificazione previa demolizione di manufatti abusivi preesistenti, che non può considerarsi "ristrutturazione", perché questa non è mai configurabile allorché l'opera demolita sia abusiva e non sanata, pure allorquando sia stata presentata istanza di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985 e L. 724 del 1994 ma i relativi procedimenti non siano stati ancora conclusi. Un'attività siffatta necessiti di autonomo permesso di costruire qualora non siano ravvisatoli (e ciò, nella specie, non viene prospettato) le altre ipotesi di alternatività tra D.I.A. e permesso di costruire, di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 22, comma 3, lettere b) e c).
2.4 Nessuna rilevanza può attribuirsi al mancato esercizio, da parte dell'Amministrazione comunale, del potere inibitoria connesso alla procedura di D.I.A. esperita in concreto, poiché la decadenza (ovvero la consumazione) di detto potere non preclude all'Amministrazione di esercitare successivamente, sussistendone i presupposti, i diversi poteri di autotutela e sanzionatorio- repressivo.
Qualora si accerti, infatti, che un intervento realizzato in seguito a D.I.A. non sia riconducibile a detto regime, per carenza dei requisiti normativamente previsti, la intervenuta presentazione della denuncia medesima ed il compiuto decorso del termine assegnato alla P.A. per assumere provvedimenti inibitori sono assolutamente irrilevanti ed i lavori eseguiti sono da considerare abusivi. 3. L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi di segno positivo, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie affermazioni del ricorrente non valgono certo ad escludere la configurabilità del "fumus" del reato ipotizzato. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2006