Cass. Sez. III sent. 26121 del 15
luglio 2005 (Ud. 12 aprile 2005)
Pres. Grassi Est. Fiale Ric. Rosato
Urbanistica - Persona offesa - Danno risarcibile
1. La condotta del costruttore abusivo
può cagionare al Comune tanto un danno patrimoniale quanto nn danno non
patrimoniale
2. La deduzione dell'omessa citazione a giudizio della p.o. compete
esclusivamente al P.M. o alla medesima p.o.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. GRASSI Aldo - Presidente - del 12/04/2005
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 699
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 43569/2002
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROSATO Rita, n. a Fondi il 7.6.1951;
avverso la sentenza 7.5.2002 della Corte di Appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Fiale;
udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. IZZO Gioacchino che ha concluso
per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 7.5.2002 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza
29.10.2001 del Tribunale di Latina - Sezione distaccata di Terracina, che aveva
affermato la responsabilità penale di Rosato Rita in ordine ai reati di cui:
all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato in zona
assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta concessione
edilizia, un fabbricato in muratura di circa mq. 144 - acc. in Fondi, fino al
31.7.1999);
all'art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (per avere eseguito i lavori anzidetti
senza la prescritta autorizzazione regionale);
agli artt. 17, 18 e 20 legge n. 64/1974;
all'art. 349 cpv. cod. pen. (violazione dei sigilli apposti al cantiere abusivo)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante
contestata per il delitto, unificati tutti i reati nel vincolo della
continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., la aveva condannata alla pena
complessiva di mesi otto di reclusione, con ordine di demolizione del manufatto
abusivo e concessione del beneficio della sospensione condizionale, subordinato
all'effettiva demolizione delle opere nel termine di trenta giorni dalla
formazione del giudicato.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la Rosato ed il suo difensore, i
quali hanno eccepito:
la nullità del giudizio di primo grado e di tutti gli atti successivi, perché
era stato erroneamente citato, come parte lesa, il Sindaco del Comune di San
Felice Circeo e non quello dei Comune di Fondi;
la estraneità dell'imputata all'esecuzione dell'opera;
l'incongrua determinazione della pena anche per l'assenza dei ritenuti
precedenti specifici.
Con "motivi aggiunti" la ricorrente ha prospettato di avere presentato istanze;
di concessione edilizia in sanatoria ex art. 36 del T.U., n. 380/2001 (in data
22.4.2001);
di condono edilizio ai sensi del D.L. n. 269/2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente
infondato.
1. Deve premettersi, quanto alla qualificazione di "parte offesa", che è
sicuramente configurabile un diritto soggettivo del Comune suscettibile di
essere leso dalla condotta costituente il reato di abuso edilizio.
Inteso il diritto soggettivo quale potere di agire (agere licere) per il
soddisfacimento del proprio interesse direttamente protetto dall'ordinamento
giuridico, è ormai generalmente ritenuto, infatti, che tale situazione giuridica
attiva possa inerire anche ad interessi di rilievo pubblicistico, dando luogo
alla figura del diritto soggettivo pubblico. Le dette situazioni giuridiche
soggettive attive consistono, anzitutto, nel diritto di ogni ente pubblico al
riconoscimento, al rispetto ed alla inviolabilità da parte di qualsiasi altro
soggetto della propria posizione funzionale, cioè della sfera giuridica ad esso
attribuita dall'ordinamento. Tale diritto può essere certamente compromesso
dagli illeciti urbanistici per gli intralci, i condizionamenti e le preclusioni
che da illeciti siffatti possono derivare al libero esercizio della pubblica
funzione di cui si tratta.
Al diritto alla intangibilità della sfera relativa alla propria posizione
funzionale si accompagna il diritto, egualmente protetto, alla realizzazione,
alla conservazione ed all'ordinato sviluppo di un predeterminato assetto
urbanistico, per la tutela degli interessi collettivi aventi come termine di
riferimento l'assetto del territorio.
I comportamenti antigiuridici, pertanto, che incidono negativamente sui suddetti
interessi protetti (quello inerente alla posizione funzionale e quello alla
realizzazione del programmato assetto urbanistico) concretano un danno
risarcibile, e sono quindi fonte di responsabilità civile, qualora si traducano
nella perdita concreta di utilità o di posizioni di vantaggio di cui il Comune
fruiva, ovvero comportino per esso nuovi e maggiori oneri, sul piano funzionale
e finanziario: quali, ad esempio, quelli per la ricerca e la realizzazione di
soluzioni rivolte ad ovviare ad inconvenienti, difficoltà, esigenze o carenze,
provocati dagli illeciti edilizi. È, altresì, identificabile un danno non
patrimoniale: consistente non tanto nella menomazione del prestigio dell'ente e
della sua credibilità, ma piuttosto nel risultato negativo della mancata o
ritardata realizzazione dell'interesse pubblico. In conclusione, dunque, può
affermarsi che la condotta del costruttore abusivo può cagionare al Comune sia
un danno non patrimoniale che un danno patrimoniale costituito dal conseguente
squilibrio ecologico o sociologico, che deteriora l'assetto urbanistico,
costringendo l'ente pubblico ad interventi riparatori che richiedono spesso
l'impiego di ingenti mezzi finanziari (danno emergente). Il danno patrimoniale,
inoltre, può consistere nella mancata o ritardata acquisizione gratuita di aree
per le opere di urbanizzazione primaria o secondaria, nell'omessa assunzione da
parte del privato degli oneri relativi atte opere di urbanizzazione e nella
mancata corresponsione del contributo di costruzione (lucro cessante).
2. Il Comune, dunque, è sicuramente parte offesa nei procedimenti penali aventi
ad oggetto i reati urbanistici (nei quali può costituirsi parie civile: vedi
Cass,: Sez. Unite, 21.4.1979, ric. Pelosi e Armellini e 21.4.1979, ric.
Guglielmini; Sez. 3^ 14.6.2002, ric. Arrostuto) e ad esso deve essere notificato
il decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 429 c.p.p..
Sebbene l'art. 178, lett. C) c.p.p. preveda a pena di nullità la citazione a
giudizio della parte offesa, il diritto alla sua deduzione compete, però,
esclusivamente alla parte che ha interesse all'osservanza della disposizione
normativa violata e, quindi, al pubblico ministero, quale organo
istituzionalmente preposto alla retta osservanza della legge processuale, od
alla stessa parte offesa, quale titolare dell'interesse teso od esposto a
pericolo dal reato. Non compete, invece, all'imputato, che ha normalmente
l'interesse opposto. Qualora quest'ultimo ritenga tuttavia che la presenza
medesima sia a lui utile può proporre tempestivamente, nelle forme e nei termini
di legge, le istanze riguardanti le acquisizioni probatorie (vedi Cass., Sez.
3^, 3.6.1998, n. 6443). L'imputato, pertanto, non è legittimato a dedurre la
nullità del decreto di citazione per omessa notifica detto stesso all'offeso dal
reato (vedi, tra te decisioni più recenti, Cass.: Sez. 6^, 16.9.2003, n. 35555;
Sez. feriale, 18.11.2002, n. 38480). 3. In ordine alla ritenuta responsabilità
per l'esecuzione della costruzione abusiva, la giurisprudenza ormai
assolutamente prevalente di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è
orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo
fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di controllo dalla cui
violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Il semplice
fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno sul quale vengono
svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non è
sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il
soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere
abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi
in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo
concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori
abusivi (vedi Cass., Sez. 3^, 29.3.2001, Bertin).
Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta
l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto dalla piena disponibilità,
giuridica e di fatto, del suolo e dall'interesse specifico ad effettuare la
nuova costruzione (principio del "cui prodest) bensì pure: dei rapporti di
parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario;
dell'eventuale presenza "in loco", dello svolgimento di attività di materiale
vigilanza dell'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti
abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi e, in
definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o
negativi, da cui possano tirarsi elementi integrativi della colpa e prove circa
la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente
pure la destinazione finale della stessa (cfr. in proposito Cass., Sez. 3^
29.4.1999, n. 5476, Zarbo; 16.5.2000, Di Marco ed altro; 27.9.2000, n. 10284,
Cutaia ed altro; 3,5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri;
10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 26.11.2001, Sutera Sardo ed altra;
25.2.2003, Capasso ed altro).
Alla stregua di tali principi, la sentenza in esame fonda correttamente la
responsabilità della Rosato sulla disponibilità giuridica e di fiuto del suolo e
del manufatto abusivamente edificati e sull'esistenza di comportamenti positivi
(presenza in cantiere mentre i lavori erano in pieno svolgimento; violazione dei
doveri di custodia dopo l'apposizione dei sigilli al cantiere abusivo) da cui è
stata razionalmente dedotta la partecipazione diretta all'esecuzione delle opere
abusive (vedi Cass., Sez. 3^, 31.5.2000, Lo Giudice).
4. La pena risulta motivatamente commisurata, nel rispetto dei criteri direttivi
indicati dall'art. 133 cod. pen., all'entità delle condotte illecite ed alla
personalità della Rosato, lumeggiata anche dalla reiterata violazione dei
sigilli.
5. Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito
dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già
art. 13 detta legge n. 47/1985): la relativa richiesta risulta presentata il
22.4.2003 e, ai sensi del 3 comma della norma medesima, non essendo intervenuta
pronuncia entro i successivi 60 giorni, la richiesta medesima deve intendersi
rifiutata.
6. La inammissibilità del ricorso:
a) Non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non
può tenersi conto della prescrizione dei reati contravvenzionali, scaduta in
epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez.
Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).
b) Non consente di applicare la sospensione del procedimento, ex art. 38 della
legge n. 47/1985, in relazione alla sanatoria (cd. condono edilizio)
disciplinata dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con
modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e
28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili" dei capi
4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n.
724 (vedi, in tal senso, le argomentazioni svolte in Cass., Sez. 3^: 13.11.2003,
Sciaccovelli; 27,11.2003, Nappo; 9.3.2004, Modica; 6.4.2004, Paparusso).
Nella vicenda che ci occupa, comunque, si verte in ipotesi di opere abusive non
suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si
tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo
edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi
paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a).
Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali
a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la norma
anzidetta ammette, infatti, la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per
gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di
illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'Allegato 1: restauro, risanamento
conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
In proposito, appare opportuno ricordare che la Relazione governativa al D.L. n.
269/2003 si esprime nel senso che "... è fissata la tipologia di opere
assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano ... quelle realizzate in
assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai
vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi
idrogeologici, ambientati e paesistici ... Per gli interventi di minore
rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di
ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere
favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela. Per i medesimi
interventi, nelle aree diverse da quelle soggetto a vincolo, l'ammissibilità
alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale". 7. Tenuto
conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che
non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità",
alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616
c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei
motivi dedotti, nella misura di euro 500,00. P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione;
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento della somma di euro 500,00
(cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 12
aprile 2005.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2005
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica Dott. GRASSI Aldo -
Presidente - del 12/04/2005 Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 699 Dott. FIALE Aldo - Consigliere
- REGISTRO GENERALE Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 43569/2002 ha
pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: ROSATO Rita, n. a
Fondi il 7.6.1951; avverso la sentenza 7.5.2002 della Corte di Appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso; Udita in pubblica udienza
la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Fiale; udito il Pubblico Ministero
in persona del Dr. IZZO Gioacchino che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità dei ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 7.5.2002
la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza 29.10.2001 del Tribunale di
Latina - Sezione distaccata di Terracina, che aveva affermato la responsabilità
penale di Rosato Rita in ordine ai reati di cui: all'art. 20, lett. c), legge n.
47/1985 (per avere realizzato in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in
assenza della prescritta concessione edilizia, un fabbricato in muratura di
circa mq. 144 - acc. in Fondi, fino al 31.7.1999); all'art. 1 sexies della legge
n. 431/1985 (per avere eseguito i lavori anzidetti senza la prescritta
autorizzazione regionale); agli artt. 17, 18 e 20 legge n. 64/1974; all'art. 349
cpv. cod. pen. (violazione dei sigilli apposti al cantiere abusivo) e,
riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante
contestata per il delitto, unificati tutti i reati nel vincolo della
continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., la aveva condannata alla pena
complessiva di mesi otto di reclusione, con ordine di demolizione del manufatto
abusivo e concessione del beneficio della sospensione condizionale, subordinato
all'effettiva demolizione delle opere nel termine di trenta giorni dalla
formazione del giudicato. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la Rosato
ed il suo difensore, i quali hanno eccepito: la nullità del giudizio di primo
grado e di tutti gli atti successivi, perché era stato erroneamente citato, come
parte lesa, il Sindaco del Comune di San Felice Circeo e non quello dei Comune
di Fondi; la estraneità dell'imputata all'esecuzione dell'opera; l'incongrua
determinazione della pena anche per l'assenza dei ritenuti precedenti specifici.
Con "motivi aggiunti" la ricorrente ha prospettato di avere presentato istanze;
di concessione edilizia in sanatoria ex art. 36 del T.U., n. 380/2001 (in data
22.4.2001); di condono edilizio ai sensi del D.L. n. 269/2003. MOTIVI DELLA
DECISIONE Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente
infondato. 1. Deve premettersi, quanto alla qualificazione di "parte offesa",
che è sicuramente configurabile un diritto soggettivo del Comune suscettibile di
essere leso dalla condotta costituente il reato di abuso edilizio. Inteso il
diritto soggettivo quale potere di agire (agere licere) per il soddisfacimento
del proprio interesse direttamente protetto dall'ordinamento giuridico, è ormai
generalmente ritenuto, infatti, che tale situazione giuridica attiva possa
inerire anche ad interessi di rilievo pubblicistico, dando luogo alla figura del
diritto soggettivo pubblico. Le dette situazioni giuridiche soggettive attive
consistono, anzitutto, nel diritto di ogni ente pubblico al riconoscimento, al
rispetto ed alla inviolabilità da parte di qualsiasi altro soggetto della
propria posizione funzionale, cioè della sfera giuridica ad esso attribuita
dall'ordinamento. Tale diritto può essere certamente compromesso dagli illeciti
urbanistici per gli intralci, i condizionamenti e le preclusioni che da illeciti
siffatti possono derivare al libero esercizio della pubblica funzione di cui si
tratta. Al diritto alla intangibilità della sfera relativa alla propria
posizione funzionale si accompagna il diritto, egualmente protetto, alla
realizzazione, alla conservazione ed all'ordinato sviluppo di un predeterminato
assetto urbanistico, per la tutela degli interessi collettivi aventi come
termine di riferimento l'assetto del territorio. I comportamenti antigiuridici,
pertanto, che incidono negativamente sui suddetti interessi protetti (quello
inerente alla posizione funzionale e quello alla realizzazione del programmato
assetto urbanistico) concretano un danno risarcibile, e sono quindi fonte di
responsabilità civile, qualora si traducano nella perdita concreta di utilità o
di posizioni di vantaggio di cui il Comune fruiva, ovvero comportino per esso
nuovi e maggiori oneri, sul piano funzionale e finanziario: quali, ad esempio,
quelli per la ricerca e la realizzazione di soluzioni rivolte ad ovviare ad
inconvenienti, difficoltà, esigenze o carenze, provocati dagli illeciti edilizi.
È, altresì, identificabile un danno non patrimoniale: consistente non tanto
nella menomazione del prestigio dell'ente e della sua credibilità, ma piuttosto
nel risultato negativo della mancata o ritardata realizzazione dell'interesse
pubblico. In conclusione, dunque, può affermarsi che la condotta del costruttore
abusivo può cagionare al Comune sia un danno non patrimoniale che un danno
patrimoniale costituito dal conseguente squilibrio ecologico o sociologico, che
deteriora l'assetto urbanistico, costringendo l'ente pubblico ad interventi
riparatori che richiedono spesso l'impiego di ingenti mezzi finanziari (danno
emergente). Il danno patrimoniale, inoltre, può consistere nella mancata o
ritardata acquisizione gratuita di aree per le opere di urbanizzazione primaria
o secondaria, nell'omessa assunzione da parte del privato degli oneri relativi
atte opere di urbanizzazione e nella mancata corresponsione del contributo di
costruzione (lucro cessante). 2. Il Comune, dunque, è sicuramente parte offesa
nei procedimenti penali aventi ad oggetto i reati urbanistici (nei quali può
costituirsi parie civile: vedi Cass,: Sez. Unite, 21.4.1979, ric. Pelosi e
Armellini e 21.4.1979, ric. Guglielmini; Sez. 3^ 14.6.2002, ric. Arrostuto) e ad
esso deve essere notificato il decreto di citazione a giudizio ai sensi
dell'art. 429 c.p.p.. Sebbene l'art. 178, lett. C) c.p.p. preveda a pena di
nullità la citazione a giudizio della parte offesa, il diritto alla sua
deduzione compete, però, esclusivamente alla parte che ha interesse
all'osservanza della disposizione normativa violata e, quindi, al pubblico
ministero, quale organo istituzionalmente preposto alla retta osservanza della
legge processuale, od alla stessa parte offesa, quale titolare dell'interesse
teso od esposto a pericolo dal reato. Non compete, invece, all'imputato, che ha
normalmente l'interesse opposto. Qualora quest'ultimo ritenga tuttavia che la
presenza medesima sia a lui utile può proporre tempestivamente, nelle forme e
nei termini di legge, le istanze riguardanti le acquisizioni probatorie (vedi
Cass., Sez. 3^, 3.6.1998, n. 6443). L'imputato, pertanto, non è legittimato a
dedurre la nullità del decreto di citazione per omessa notifica detto stesso
all'offeso dal reato (vedi, tra te decisioni più recenti, Cass.: Sez. 6^,
16.9.2003, n. 35555; Sez. feriale, 18.11.2002, n. 38480). 3. In ordine alla
ritenuta responsabilità per l'esecuzione della costruzione abusiva, la
giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema -
condivisa dal Collegio - è orientata nel senso che non può essere attribuito ad
un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di
controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione
abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno
sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un
indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale,
nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri
eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire
altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia
in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o
l'esecutore dei lavori abusivi (vedi Cass., Sez. 3^, 29.3.2001, Bertin). Occorre
considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l'attività
incriminata, tenendo conto non soltanto dalla piena disponibilità, giuridica e
di fatto, del suolo e dall'interesse specifico ad effettuare la nuova
costruzione (principio del "cui prodest) bensì pure: dei rapporti di parentela o
di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario;
dell'eventuale presenza "in loco", dello svolgimento di attività di materiale
vigilanza dell'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti
abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi e, in
definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o
negativi, da cui possano tirarsi elementi integrativi della colpa e prove circa
la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente
pure la destinazione finale della stessa (cfr. in proposito Cass., Sez. 3^
29.4.1999, n. 5476, Zarbo; 16.5.2000, Di Marco ed altro; 27.9.2000, n. 10284,
Cutaia ed altro; 3,5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130,
Gagliardi; 26.11.2001, Sutera Sardo ed altra; 25.2.2003, Capasso ed altro). Alla
stregua di tali principi, la sentenza in esame fonda correttamente la
responsabilità della Rosato sulla disponibilità giuridica e di fiuto del suolo e
del manufatto abusivamente edificati e sull'esistenza di comportamenti positivi
(presenza in cantiere mentre i lavori erano in pieno svolgimento; violazione dei
doveri di custodia dopo l'apposizione dei sigilli al cantiere abusivo) da cui è
stata razionalmente dedotta la partecipazione diretta all'esecuzione delle opere
abusive (vedi Cass., Sez. 3^, 31.5.2000, Lo Giudice). 4. La pena risulta
motivatamente commisurata, nel rispetto dei criteri direttivi indicati dall'art.
133 cod. pen., all'entità delle condotte illecite ed alla personalità della
Rosato, lumeggiata anche dalla reiterata violazione dei sigilli. 5. Nel caso in
esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito
dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già
art. 13 detta legge n. 47/1985): la relativa richiesta risulta presentata il
22.4.2003 e, ai sensi del 3 comma della norma medesima, non essendo intervenuta
pronuncia entro i successivi 60 giorni, la richiesta medesima deve intendersi
rifiutata. 6. La inammissibilità del ricorso: a) Non consente il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della
prescrizione dei reati contravvenzionali, scaduta in epoca successiva alla
pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32,
ric. De Luca). b) Non consente di applicare la sospensione del procedimento, ex
art. 38 della legge n. 47/1985, in relazione alla sanatoria (cd. condono
edilizio) disciplinata dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con
modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e
28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili" dei capi
4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n.
724 (vedi, in tal senso, le argomentazioni svolte in Cass., Sez. 3^: 13.11.2003,
Sciaccovelli; 27,11.2003, Nappo; 9.3.2004, Modica; 6.4.2004, Paparusso). Nella
vicenda che ci occupa, comunque, si verte in ipotesi di opere abusive non
suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si
tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo
edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi
paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a). Nelle aree
sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela
degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la norma anzidetta
ammette, infatti, la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli
interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di
illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'Allegato 1: restauro, risanamento
conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. In proposito, appare opportuno
ricordare che la Relazione governativa al D.L. n. 269/2003 si esprime nel senso
che "... è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali
si evidenziano ... quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo
abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di
leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientati e
paesistici ... Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento
conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli
immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell'autorità
preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle
soggetto a vincolo, l'ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico
provvedimento regionale". 7. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della
Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità
medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del
procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle
ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di
euro 500,00. P.Q.M. la Corte Suprema di Cassazione; visti gli artt. 607, 615 e
616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro
500,00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in
Roma, il 12 aprile 2005. Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2005