Cass. Sez. III sent. 22867 del 17 giugno 2005 (p.u. 11 mag. 2005)
  Pres. Savignano Est. De Maio Ric. Battistella
Urbanistica - Responsabilità del direttore lavori
Il direttore dei lavori è penalmente responsabile anche in ipotesi di sua assenza discendendo dalle norme contenute nel T.U. edilizia che egli deve esercitare un'attiva vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie in corso e, in caso di necessità, scindere immediatamente la propria posizione da quella degli altri soggetti coinvolti mediante l'adempimento dei doveri a lui imposti dall'art. 29, comma secondo.
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 11/05/2005
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 999
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1898/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) BATTISTELLA GIOVANNI N. IL 08/08/1959
avverso SENTENZA del 19/10/2004 CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. DE MAIO GUIDO;
udito il P.M. nella persona del Dott. D'ANGELO Giovanni che ha concluso: 
annullamento senza rinvio per non aver commesso il patto. MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 20.3.2003 del Giudice monocratico del Tribunale di Busto 
Arsizio - Gallarate, Battistella Giovanni fu assolto per non aver commesso il 
fatto da imputazione ex artt. 110 cp-20 lett. b) l. 47/85, acc. in Cassano 
Magnano il 28.11.2000.
Avverso tale sentenza propose appello il Proc. Gen. di Milano, in accoglimento 
del quale quella Corte di Appello ritenne l'imputato colpevole del menzionato 
reato e lo condannò, con le attenuanti generiche e i doppi benefici, alla pena 
di giorni sei di arresto ed euro quattromila di ammenda.
Tale sentenza è stata impugnata con ricorso per Cassazione personalmente 
dall'imputato, il quale denuncia con il primo motivo erronea applicazione di 
legge e carenza di motivazione "in relazione all'abrogazione dell'art. 20 l. 
47/85 per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 136 DPR 380/01". Il 
ricorrente sostiene che, "al momento dell'accertamento del reato e anche della 
celebrazione del giudizio di primo grado, la condotta di cui all'art. 44 DPR 
380/01, dal momento che ne era stata differita l'entrata in vigore (ad oggi, 
all'1.7.2003), ma neppure era più punita la condotta di cui all'art. 20 l. 
47/85, essendo tale norma stata espressamente abrogata dall'art. 136 DPR 380/01 
durante i nove giorni della sua vigenza". Tale motivo è inammissibile per 
manifesta infondatezza, avendo questa Corte, con giurisprudenza assolutamente 
costante, chiarito come l'assunto, ora riproposto dal ricorrente, sia del tutto 
inesatto (cfr, in particolare, Cass. Sez. 3^, 6.3.2003 n. 152, PM in c. De Masi; 
14.11.2002 n. 38182, Ameli ed altro; 20.5.2002 n. 19378, Catalano, alle quali si 
rinvia, essendo la questione ormai del tutto superata).
Con il secondo motivo viene denunciata "erronea applicazione di legge nonché 
mancanza o manifesta illogicità della motivazione e travisamento dei fatti anche 
in relaz. all'art. 6 l. 47/85 ora art. 29 DPR 380/01", in quanto la Corte 
d'Appello "ha ritenuto che l'omissione di controllo delle opere in corso da 
parte del direttore dei lavori sia sufficiente a determinare la sua 
responsabilità a titolo di concorso, potendo lo stesso esimersi solo contestando 
ex art. 6 co. 2 l. 47/85 la difformità e inviando la comunicazione al Sindaco". 
Anche tale motivo è infondato. Infatti, la sentenza impugnata ha affermato la 
responsabilità dell'imputato-direttore dei lavori rilevando, in piena osservanza 
del disposto dell'art. 6 co. 2 l. 47/85 che "la responsabilità del direttore dei 
lavori viene meno soltanto nel caso in cui egli abbia espressamente contestato 
agli altri soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere la violazione 
della concessione edilizia, fornendo al Sindaco contemporanea e motivata 
comunicazione della violazione stessa". Ne deriva che il comb. disp. degli artt. 
6 e 20 l. 47/85 (la cui disciplina, all'epoca vigente, è stata riprodotta, senza 
sostanziali variazioni per quanto qui interessa, in quella successiva del DPR 
380/2001) configura a carico del direttore dei lavori un reato, anche colposo, 
di natura propria, dirigendosi il precetto non a chiunque, ma a quel soggetto 
che, in relazione all'attività edilizia in corso, riveste per l'appunto la detta 
qualità ("Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del 
committente, del costruttore e del direttore dei lavori...", è la rubrica anche 
dell'art. 29 DPR 380/2001). Il direttore dei lavori è, quindi, penalmente 
responsabile anche nell'ipotesi di sua assenza, discendendo dalle norme indicate 
che egli deve esercitare un'attiva vigilanza sulla regolare esecuzione delle 
opere edilizie in corso e, in caso di necessità, scindere immediatamente la 
propria posizione da quella degli altri soggetti coinvolti, mediante 
l'adempimento de doveri a lui imposti dal co. 2 del cit. art. 6 (ora co. 2 art. 
29). Tali rilievi giustificano pienamente il riferimento della responsabilità 
dell'attuale ricorrente al principio-cardine fissato nell'art. 40 cp secondo cui 
l'omesso impedimento di un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, 
equivale a cagionarlo. Sono, quindi, superate le deduzioni del ricorrente circa 
l'efficienza causale della condotta a lui attribuita rispetto alla consumazione 
dell'illecito. Per contro, di mero fatto e quindi non consentite in sede di 
legittimità sono le ulteriori deduzioni secondo cui l'imputato non sarebbe mai 
stato presente in cantiere e non avrebbe avuto conoscenza degli abusi perpetrati 
(per cui privo di rilevanza causale sarebbe stato il comportamento dell'imputato 
medesimo, il quale si sarebbe "limitato alla redazione del progetto presentato 
al Comune e alla formale assunzione della qualifica di direttore dei lavori"). 
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione di legge in 
relazione all'intervenuta prescrizione, sostenendo che dall'esame dei testi 
sarebbe emerso che "le opere furono eseguite intorno alla metà del 1999, per cui 
la prescrizione del reato si sarebbe verificata prima della sentenza impugnata. 
Anche tale motivo non merita accoglimento, essendo evidente che il principio 
secondo cui in Cassazione è possibile accertare e dichiarare la prescrizione del 
reato, anche se l'appello e il successivo ricorso siano stati proposti per 
motivi diversi, è applicabile nel caso in cui la data di consumazione sia già 
processualmente certa, e non quando la questione sul punto venga prospettata per 
la prima volta innanzi al giudice di legittimità, perché il relativo 
accertamento implicherebbe l'indagine su una questione di fatto preclusa in 
questa sede. Infatti, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte 
regolatrice, la prescrizione può essere dichiarata in sede di legittimità solo 
se il dato cronologico della consumazione del reato emerga dal tenore della 
pronunzia o se sia comunque rilevabile da un capo o punto della sentenza 
sicuramente ed indiscutibilmente acquisito.
Il ricorso va, pertanto, rigettato. Consegue la condanna alle spese. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese 
processuali.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2005
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica Dott. SAVIGNANO 
Giuseppe - Presidente - del 11/05/2005 Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - 
SENTENZA Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 999 Dott. GENTILE Mario - 
Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1898/2005 ha 
pronunciato la seguente: SENTENZA/ORDINANZA sul ricorso proposto da: 1) 
BATTISTELLA GIOVANNI N. IL 08/08/1959 avverso SENTENZA del 19/10/2004 CORTE 
APPELLO di MILANO; visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; udita in 
PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. DE MAIO GUIDO; udito il 
P.M. nella persona del Dott. D'ANGELO Giovanni che ha concluso: annullamento 
senza rinvio per non aver commesso il patto. MOTIVAZIONE Con sentenza in data 
20.3.2003 del Giudice monocratico del Tribunale di Busto Arsizio - Gallarate, 
Battistella Giovanni fu assolto per non aver commesso il fatto da imputazione ex 
artt. 110 cp-20 lett. b) l. 47/85, acc. in Cassano Magnano il 28.11.2000. 
Avverso tale sentenza propose appello il Proc. Gen. di Milano, in accoglimento 
del quale quella Corte di Appello ritenne l'imputato colpevole del menzionato 
reato e lo condannò, con le attenuanti generiche e i doppi benefici, alla pena 
di giorni sei di arresto ed euro quattromila di ammenda. Tale sentenza è stata 
impugnata con ricorso per Cassazione personalmente dall'imputato, il quale 
denuncia con il primo motivo erronea applicazione di legge e carenza di 
motivazione "in relazione all'abrogazione dell'art. 20 l. 47/85 per effetto 
dell'entrata in vigore dell'art. 136 DPR 380/01". Il ricorrente sostiene che, 
"al momento dell'accertamento del reato e anche della celebrazione del giudizio 
di primo grado, la condotta di cui all'art. 44 DPR 380/01, dal momento che ne 
era stata differita l'entrata in vigore (ad oggi, all'1.7.2003), ma neppure era 
più punita la condotta di cui all'art. 20 l. 47/85, essendo tale norma stata 
espressamente abrogata dall'art. 136 DPR 380/01 durante i nove giorni della sua 
vigenza". Tale motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, avendo questa 
Corte, con giurisprudenza assolutamente costante, chiarito come l'assunto, ora 
riproposto dal ricorrente, sia del tutto inesatto (cfr, in particolare, Cass. 
Sez. 3^, 6.3.2003 n. 152, PM in c. De Masi; 14.11.2002 n. 38182, Ameli ed altro; 
20.5.2002 n. 19378, Catalano, alle quali si rinvia, essendo la questione ormai 
del tutto superata). Con il secondo motivo viene denunciata "erronea 
applicazione di legge nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione e 
travisamento dei fatti anche in relaz. all'art. 6 l. 47/85 ora art. 29 DPR 
380/01", in quanto la Corte d'Appello "ha ritenuto che l'omissione di controllo 
delle opere in corso da parte del direttore dei lavori sia sufficiente a 
determinare la sua responsabilità a titolo di concorso, potendo lo stesso 
esimersi solo contestando ex art. 6 co. 2 l. 47/85 la difformità e inviando la 
comunicazione al Sindaco". Anche tale motivo è infondato. Infatti, la sentenza 
impugnata ha affermato la responsabilità dell'imputato-direttore dei lavori 
rilevando, in piena osservanza del disposto dell'art. 6 co. 2 l. 47/85 che "la 
responsabilità del direttore dei lavori viene meno soltanto nel caso in cui egli 
abbia espressamente contestato agli altri soggetti coinvolti nella realizzazione 
delle opere la violazione della concessione edilizia, fornendo al Sindaco 
contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa". Ne deriva che 
il comb. disp. degli artt. 6 e 20 l. 47/85 (la cui disciplina, all'epoca 
vigente, è stata riprodotta, senza sostanziali variazioni per quanto qui 
interessa, in quella successiva del DPR 380/2001) configura a carico del 
direttore dei lavori un reato, anche colposo, di natura propria, dirigendosi il 
precetto non a chiunque, ma a quel soggetto che, in relazione all'attività 
edilizia in corso, riveste per l'appunto la detta qualità ("Responsabilità del 
titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del 
direttore dei lavori...", è la rubrica anche dell'art. 29 DPR 380/2001). Il 
direttore dei lavori è, quindi, penalmente responsabile anche nell'ipotesi di 
sua assenza, discendendo dalle norme indicate che egli deve esercitare un'attiva 
vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie in corso e, in caso di 
necessità, scindere immediatamente la propria posizione da quella degli altri 
soggetti coinvolti, mediante l'adempimento de doveri a lui imposti dal co. 2 del 
cit. art. 6 (ora co. 2 art. 29). Tali rilievi giustificano pienamente il 
riferimento della responsabilità dell'attuale ricorrente al principio-cardine 
fissato nell'art. 40 cp secondo cui l'omesso impedimento di un evento, che si ha 
l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Sono, quindi, superate 
le deduzioni del ricorrente circa l'efficienza causale della condotta a lui 
attribuita rispetto alla consumazione dell'illecito. Per contro, di mero fatto e 
quindi non consentite in sede di legittimità sono le ulteriori deduzioni secondo 
cui l'imputato non sarebbe mai stato presente in cantiere e non avrebbe avuto 
conoscenza degli abusi perpetrati (per cui privo di rilevanza causale sarebbe 
stato il comportamento dell'imputato medesimo, il quale si sarebbe "limitato 
alla redazione del progetto presentato al Comune e alla formale assunzione della 
qualifica di direttore dei lavori"). Con il terzo motivo il ricorrente denuncia 
erronea applicazione di legge in relazione all'intervenuta prescrizione, 
sostenendo che dall'esame dei testi sarebbe emerso che "le opere furono eseguite 
intorno alla metà del 1999, per cui la prescrizione del reato si sarebbe 
verificata prima della sentenza impugnata. Anche tale motivo non merita 
accoglimento, essendo evidente che il principio secondo cui in Cassazione è 
possibile accertare e dichiarare la prescrizione del reato, anche se l'appello e 
il successivo ricorso siano stati proposti per motivi diversi, è applicabile nel 
caso in cui la data di consumazione sia già processualmente certa, e non quando 
la questione sul punto venga prospettata per la prima volta innanzi al giudice 
di legittimità, perché il relativo accertamento implicherebbe l'indagine su una 
questione di fatto preclusa in questa sede. Infatti, secondo il consolidato 
indirizzo di questa Corte regolatrice, la prescrizione può essere dichiarata in 
sede di legittimità solo se il dato cronologico della consumazione del reato 
emerga dal tenore della pronunzia o se sia comunque rilevabile da un capo o 
punto della sentenza sicuramente ed indiscutibilmente acquisito. Il ricorso va, 
pertanto, rigettato. Consegue la condanna alle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il 
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così 
deciso in Roma, il 11 maggio 2005. Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2005
                    



