Cass. Sez. III n. 38732 del 4 ottobre 2012 (Cc. 20 mar. 2012)
Pres. Mannino Est. Fiale Ric. Berizzi
Urbanistica. Attività di indagine e lottizzazione

La valutazione in ordine alla eventuale inutilizzabilità degli atti di indagine, prevista dall'art. 407 c.p.p., va effettuata considerando il contenuto e la funzione dell'atto, con la conseguenza che non devono essere inclusi nel novero degli atti passibili di inutilizzabilità quelli costituenti mera rielaborazione di attività precedentemente svolte quali, ad esempio, le note riassuntive o conclusive solitamente redatte dalla polizia giudiziaria, all'esito di investigazioni complesse, per fornire una illustrazione organica e definitiva dell'attività compiuta ed agevolare la consultazione della relativa documentazione, ovvero quelli meramente ricognitivi, finalizzati a documentare la permanenza ed attualità di situazioni già in precedenza compiutamente accertate.
L'acquirente ed il sub-acquirente di un immobile o terreno abusivamente lottizzato sono tenuti ad assolvere in modo rigoroso all'onere di conoscenza ed informazione loro richiesto e non possono dimostrare di aver agito in buona fede semplicemente richiamando l'affidamento riposto in altri soggetti o nella apparente legittimità di atti amministrativi, specie nel caso in cui la illiceità dell'operazione lottizzatoria sia resa evidente dalla presenza di elementi obiettivi sintomatici di una irregolare trasformazione edilizia o urbanistica del territorio.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Tempio Pausania, quale giudice del riesame, con ordinanza del 30.6.2011, ha confermato il decreto di sequestro preventivo - emesso dai G.I.P. di quello stesso Tribunale il precedente 7 giugno - di un lotto di terreno con sovrastante fabbricato di proprietà di B.S., indagata in concorso con altri per violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, (lottizzazione abusiva a scopo edilizio di terreni siti in (OMISSIS)", in zona sottoposta a vincolo paesaggistico con il D.M. 30 novembre 1965, attuata - senza fa prescritta autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - mediante frazionamento di una vasta area agricola, plurimi trasferimenti dei lotti frazionati ed attività di edificazione sui lotti medesimi).

In particolare, alla B. viene contestato di avere acquistato, in data 31.3.2007, dalla s.r.l. "I Mirti di Gallura", un lotto di terreno sul quale - a fronte del rilascio di concessione edilizia per la costruzione di una casa colonica - ha realizzato un fabbricato residenziale a due livelli.

Avverso l'anzidetta ordinanza la B. ha proposto ricorso per cassazione ed ha lamentato:

a) Violazione di legge, a cagione della irrituale notifica della proroga del termine delle indagini preliminari e conseguente inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti successivamente, sulla base dei quali è stato disposto il sequestro.

Ella aveva appreso che l'autorità giudiziaria si stava interessando alla sua proprietà immobiliare in Olbia allorquando, il 27 ottobre 2009, convocata in Bergamo dal Corpo forestale dello Stato, era stata compiutamente identificata ed aveva eletto domicilio presso lo studio del difensore, avvocato Domenico Garavelli, in Cologno al Serio - piazza Cavour, n. 5.

La scadenza delle indagini preliminari cadeva in data 21 gennaio 2010 e il Pubblico Ministero aveva richiesto la proroga già il 12 gennaio, debitamente concessa dal G.I.P. con conseguente posticipazione al 21 luglio 2010. La richiesta di proroga non le era stata mai correttamente notificata presso il domicilio eletto.

Dal contenuto del decreto di sequestro emergeva che l'attività di indagine sulla quale era fondato il provvedimento cautelare era compendiata in due relazioni del Corpo Forestale di Tempio Pausania, rispettivamente redatte il 16 giugno ed il 5 agosto 2010, nonchè in una relazione conclusiva del 18 febbraio 2011 ed in ulteriori annotazioni del 19 aprile 2011. L'attività investigativa compiuta dopo il 21 gennaio 2010 - secondo la prospettazione difensiva - non poteva considerarsi meramente ricognitiva di quella svolta in precedenza (come ritenuto dal Tribunale), poichè solo nella relazione del febbraio 2011 era stata operata una ricostruzione integrale della vicenda con l'individuazione delle diverse figure che avrebbero partecipato alla lottizzazione. A decorrere dal gennaio 2010, dunque, erano state effettuate indagini ulteriori, sulle quali la misura reale era fondata, e l'esito di tali indagini - non essendo stata notificata alcuna proroga ad essa indagata -non poteva essere utilizzato nei suoi confronti a mente dell'art. 407 cod. proc. pen., comma 3.

Si imporrebbe, pertanto, l'annullamento del sequestro, in quanto disposto sulla base di atti inutilizzabili.

b) Violazione di legge per l'evidente mancanza del periculum in mora, incongruamente individuato dal Tribunale in base alla considerazione che la libera disponibilità degli immobili da parte degli indagati potrebbe protrarre la condotta criminosa ed aggravarne le conseguenze.

Ogni possibilità di frazionamento ulteriore, invece, dovrebbe ritenersi esclusa, in quanto all'atto di acquisto stipulato da essa B. con la società agricola "I Mirti di Gallura" erano allegati sia il certificato di destinazione urbanistica evidenziante tutte le prescrizioni e le limitazioni di zona riguardanti l'immobile trasferito, sia un atto unilaterale d'obbligo, ritualmente trascritto, con cui la acquirente si impegnava a non frazionare il terreno, vincolando al fondo le strutture edificate.

c) Violazione di legge per la omessa valutazione della propria posizione di buona fede quale "terza estranea" all'ipotizzato reato di lottizzazione abusiva, in quanto il Tribunale - omettendo di conformarsi a quanto statuito dagli orientamenti della Corte Europea dei diritti dell'uomo sul punto della confisca in materia edilizia - non avrebbe adeguatamente esaminato gli elementi di prova offerti per dimostrare l'insussistenza dell'elemento soggettivo di tale reato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La ricostruzione degli aspetti essenziali della vicenda.

Per una migliore comprensione della vicenda appare necessario premettere alcune essenziali indicazioni sullo svolgimento dei fatti.

L'area interessata dagli interventi per cui è processo si estende su una superficie di oltre 50 ettari ricadenti in territorio con destinazione urbanistica agricola, venduta nel 1993 dagli originali proprietari alla Società Immobiliare Santa Marta di Porto Rotondo s.r.l..

In tale area, a partire dall'anno 2003, ebbe inizio lo svolgimento di attività edilizia ritenuta non compatibile con la destinazione di zona.

In particolare, la predetta società immobiliare chiese ed ottenne, dall'amministrazione comunale di Olbia, l'autorizzazione ad eseguire opere di silvicoltura ed una pista aziendale e, nel 2004, una variante "al tracciato delle piste aziendali" che comunque espressamente escludeva qualsiasi tipo di movimento di terra, scavo o rinterro.

Successivi accertamenti da parte della polizia giudiziaria evidenziarono, però, che la realizzazione della pista forestale aveva. In realtà, determinato sbancamenti in scavo e riporto, con formazione di scarpate e predisposizione di opere per il deflusso delle acque, essendo stata creata in tal modo una vera e propria strada con accesso al fondo attraverso un cancello elettrico: opere tutte funzionali ad un'attività speculativa poi realizzatasi attraverso il frazionamento e la vendita dei due originali macro- lotti.

A tale attività aveva poi fatto seguito la realizzazione di interventi edilizi solo formalmente destinati alla conduzione di un fondo agricolo ma che presentavano, in realtà, le caratteristiche di residenze di lusso.

Aveva accertato infatti la polizia giudiziaria che gli acquirenti ed i proprietari dei lotti derivati dalla frammentazione avevano richiesto titoli abilitativi per la realizzazione di opere di miglioramento fondiario, strutture agricole e case coloniche accompagnate da relazioni agronomiche, realizzate in ciclostile ed in gran parte sottoscritte dal medesimo professionista, il cui contenuto non risultava essere stato applicato, tanto che, at posto di quelle che erano state indicate in progetto come case coloniche, erano stati realizzati, al contrario, fabbricati residenziali, dotati in alcuni casi di campo di calcetto, solarium e pisane.

Tra le attività che avevano comportato, sull'area in oggetto, la realizzazione (nell'arco di sette anni) di ben 117 operazioni del tipo dianzi indicato, quelle dell'odierna ricorrente si caratterizzavano nell'acquisto, in data 31 marzo 2007, dell'area distinta in catasto al F. 26 mapp. 1515, in relazione alla quale la società venditrice "I Mirti di Gallura" aveva ottenuto il 24.5.2006 concessione edilizia per la realizzazione di una casa colonica. La B., dopo avere ottenuto la voltura a proprio nome di detto titolo abilitativo edilizio, aveva edificato un fabbricato residenziale su due livelli nonchè il previsto impianto di 200 piante di olivo.

2. La Individuazione, nel fatti in esame, degli elementi del reato di lottizzazione abusiva.

L'intervento abusivo nel suo complesso, cosi come descritto, essendo caratterizzato dal frazionamento di un vasto territorio agricolo comunale, finalizzato all'esecuzione di plurimi Interventi edilizi residenziali, appare collocarsi nell'ambito di un unico, evidente, proposito lottizzatorio.

Tale condotta si inquadra perfettamente nel reato di lottizzazione abusiva il quale, come è noto, è connotato dalla lesione dei beni giuridici protetti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 30, che sono sia quello dell'ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, sia quello relativo all'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto pubblico titolare della funzione di pianificazione comunale, al quale spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche (v. Cons. Stato, Sez. 4^, n. 5649 del 6.10.2003).

Nella fattispecie, la descrizione degli interventi, come indicata nell'imputazione provvisoria, consente di qualificare la lottizzazione come "lottizzazione mista", perchè caratterizzata dalla compresenza delle attività negoziali e materiali in precedenza descritte. Il frazionamento di un terreno agricolo in piccoli lotti non utilizzabili per l'adeguato esercizio dell'agricoltura è, infatti, uno degli elementi tipici della lottizzazione cartolare; mentre l'esecuzione di opere, quali quelle descritte nell'imputazione medesima, qualifica la lottizzazione come materiale.

La giurisprudenza di questa Corte ha elaborato una ormai consolidata descrizione generate dell'attività lottizzatola (vedi, ad esempio, Sez. Unite, n. 5115 dell'8.2.2002, nonchè Sez. 3^: n. 24096 del 13.6. 2008; n. 37472, del 2.10.2008; n. 3481 del 26.1.2009; n. 39078 dell'8.10.2009) che può dirsi configurata:

- attraverso qualsiasi utilizzazione del suolo che, indipendentemente dalla entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l'attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria, occorrenti per le necessità dell'insediamento;

- in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione;

- allorquando detto intervento non potrebbe essere in nessun caso realizzato, poichè, per le sue connotazioni oggettiove, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o localizzazione dello strumento generale di pianificazione, che non possono esser modificate da piani urbanistici attuativi.

Il reato di lottizzazione abusiva risulta, pertanto, nella fattispecie, esattamente individuato.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto attiene la contestata violazione paesaggistica con riferimento alla ipotesi di delitto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, in considerazione dell'imposizione del vincolo con specifico provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori (è Infatti indicato, nell'ordinanza impugnata, il D.M. 30 novembre 1965).

3. La eccezione di inutilizzabilità di atti di Indagine.

Ciò posto, deve rilevarsi che la ricorrente, come si è già detto, incentra le sue doglianze non tanto sulla qualificazione giuridica dei fatti addebitati quanto, piuttosto, sulla sua pretesa posizione soggettiva di "terzo estraneo al reato" quale acquirente del tutto immune da colpa.

Tale assunto è tuttavia preceduto dalla deduzione di una questione di natura procedurale che va immediatamente esaminata.

Con i primi due motivi di ricorso viene infatti contestata l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagine posti a fondamento della stessa, asseritamente compiuti dopo la scadenza del termine di cui all'art. 405 cod. proc. pen. (21 gennaio 2010), tenuto anche conto della mancata notifica all'indagata della richiesta di proroga, in violazione dell'art. 406 cod. proc. pen., comma 3.

La ricorrente considera non corrette le affermazioni del Tribunale del riesame secondo le quali: a) "tutta l'attività di indagine è stata svolta nei primi sei mesi, mentre successivamente si è proceduto semplicemente alla individuazione dei singoli proprietari dei fondi e degli autori dei frazionamenti effettuati"; b) in particolare, con la relazione conclusiva del 18 febbraio 2011, il Corpo Forestale di Tempio Pausania ha inteso "attuare una sintesi ed una rielaborazione di dati già acquisiti".

A confutazione di dette enunciazioni si assume invece in ricorso che - sulla scorta dei contenuti effettivi della relazione del febbraio 2011 e comparando la stessa con le informative di reato m precedenza redatte - deve ritenersi che trattasi di atto, sul quale essenzialmente si fionda il provvedimento del G.I.P., riferito al compimento ulteriore di vere e proprie attività investigative.

3.1 A giudizio del Collegio le doglianze sono infondate.

Possono essere richiamate, sul punto, le considerazioni svolte da questa Sezione nella sentenza n. 4089 del 20.1.2012 (dep. il 31.1.2012).

Va osservato pertanto, in primo luogo, che il riferimento agli "atti di indagine", che l'art. 407 cod. proc. pen. sanziona con l'inutilizzabilità se compiuti dopo la scadenza del termine per l'espletamento delle indagini preliminari, deve ritenersi effettuato limitatamente ad attività tipiche rispondenti alle finalità indicate dall'art. 326 cod. proc. pen. e, come tali, necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale e per l'acquisizione delle prove.

Deve poi ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'inutilizzabilità non riguarda gli atti compiuti prima ma depositati successivamente alla scadenza del termine per le indagini preliminari (Cass.: Sez. 2^, 29.10.2006, n. 40409; Sez. 3^ 27.10.1995, n. 10664), così come deve escludersi l'inutilizzabilità degli atti la cui esecuzione il Pubblico Ministero abbia tempestivamente delegato alla polizia giudiziaria, ancorchè i relativi esiti siano acquisiti successivamente alla scadenza del termine (cfr. Cass., Sez. 2^, 7.12.2007, n. 45968).

Nella fattispecie in esame, il Tribunale ha dato atto de compimento di tutte le attività di indagine concernenti i reati contestati entro i termini di legge, indicando chiaramente la finalità esclusivamente riassuntiva degli esiti delle investigazioni (per quanto concerne la sussistenza del fumus del reato di lottizzazione abusiva) della nota redatta nel febbraio 2011 dal personale del Corpo Forestale.

Tale apprezzamento appare del tutto corretto e rispettoso delle disposizioni codicistiche e dei principi in precedenza richiamati, essendo riferito ad un atto che ha compendiato l'esito di attività pregresse e documentato le condizioni attuali di luoghi già in precedenza oggetto di accertamento.

Va ribadito conseguentemente il principio secondo il quale la valutazione in ordine alla eventuale inutilizzabilità degli atti di indagine, prevista dall'art. 407 cod. proc. pen., va effettuata considerando il contenuto e la funzione dell'atto, con la conseguenza che non devono essere inclusi nel novero degli atti passibili di inutilizzabitità quelli costituenti mera rielaborazione di attività precedentemente svolte quali, ad esempio, le note riassuntive o conclusive solitamente redatte dalla polizia giudiziaria, all'esito di Investigazioni complesse, per fornire una illustrazione organica e definitiva dell'attività compiuta ed agevolare la consultazione della relativa documentazione, ovvero quelli meramente ricognitivi, finalizzati a documentare la permanenza ed attualità di situazioni già in precedenza accertate.

3.2 A fronte della valorizzazione essenziale dell'attività investigativa compiuta anteriormente ai 21 gennaio 2010, diviene conseguentemente irrilevante l'eccezione riferita in ricorso alla irregolarità della notifica all'indagata della richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari.

4. Lottizzazione abusiva ed acquirenti dei lotti.

4.1 Il reato di lottizzazione abusiva - secondo concorde interpretazione giurisprudenziale - nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purchè ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo.

Va ricordato, in particolare, che tra i soggetti attivi de reato di lottizzazione figurano anche l'acquirente ed il sub-acquirente dei lotti.

La condotta dell'acquirente converge infatti, evidentemente, con quella del venditore verso l'unico scopo di condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale e non deve necessariamente concretarsi In una attività edificatoria, ben potendosi configurare il concorso anche mediante il semplice acquisto quando l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento o avrebbe potuto esserlo ponendo in essere un doveroso accertamento diligente (vedi Sez. Unite, n. 4706 del 24.4.1992).

L'acquirente del lotto frazionato, dunque, non può considerarsi, in quanto tale, terzo estraneo, anche se non gli è ovviamente preclusa la possibilità di dimostrare la sua buona fede e l'estraneità all'attività illecita del venditore (vedi Cass., Sez. 3^, n. 17865 del 29-4.2009).

Peraltro si è osservato che la condotta dell'acquirente non configura un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, contribuendo alla concreta attuazione del suo disegno criminoso e non essendo possibile senza razione del venditore medesimo. Inoltre, attraverso l'acquisto consapevole di un lotto illecitamente frazionato, si manifesta la volontà dell'acquirente di cooperare nel reato, essendo sufficiente una semplice adesione di volontà quale assenso al disegno criminoso da altri concepito e ben ravvisatole in concreto (vedi Cass., Sez. 3^: n. 43924 del 21.12.2009; n. 17865 del 23.4.2009).

Incombe sul compratore l'onere di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto e, in mancanza di tale doverosa attenzione, egli si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che, secondo la giurisprudenza, fornisce comunque un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore (Cass., Sez. 3^: n. 3667 del 3.2.2011; n. 17865 del 29.4.2009; n. 37472 del 2.10.2006).

Si è a tale proposito osservato, richiamando la Corte Costituzionale (sent. 24 marzo 1988, n. 364), come il dovere di informazione e conoscenza richiesto all'acquirente costituisca diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., in quanto la Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del rispetto degli interessi dell'altrui persona umana (così Cass., Sez. 3^, n. 39078 dell'8.10.2009).

Considerato, Inoltre, l'impegno di spesa per l'acquirente, solitamente ingente, deve razionalmente ritenersi che la conclusione del contratto sia preceduta da tutte le cautele del caso e che pertanto sia ben noto all'acquirente ciò che acquista e quale uso potrà farne.

A conclusioni analoghe si è pervenuti con riferimento alla figura del sub-acquirente, di colui, cioè, che a sua volta acquista il terreno abusivamente lottizzato, dovendosi escludere che la sua condotta possa considerarsi di per sè legittima sulla base della sola qualità dell'agente e ciò in quanto l'utilizzazione delle modalità dell'acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale ed essendo inoltre possibile l'adesione del correo in qualsiasi fase, a condizione che l'attività lottizzatoria stessa sia ancora in corso (cfr. Cass., Sez. 3^: n. 48924 del 21.12.2009; n. 39078 dell'8.10.2009; n. 17865 del 29.4.2009; n. 36908 del 24.11.2006; n. 12849 del 14.12.2000).

Tali principi vengono ribaditi dal Collegio ed ancora una volta si deve affermare che l'acquirente ed il sub-acquirente di un immobile o terreno abusivamente lottizzato sono tenuti ad assolvere in modo rigoroso all'onere di conoscenza ed informazione loro richiesto e non possono dimostrare di aver agito in buona fede semplicemente richiamando l'affidamento riposto in altri soggetti o nella apparente legittimità di atti amministrativi, specie nel caso in cui la illiceità dell'operazione lottizzatoria sia resa evidente dalla presenza di elementi obiettivi sintomatici di una irregolare trasformazione edilizia o urbanistica del territorio.

4.2 Date tali premesse, si osserva che, nella vicenda in oggetto, i giudici del riesame hanno proceduto ad un'accurata verifica della posizione soggettiva della ricorrente, pervenendo alla conclusione che la stessa ha, quantomeno, colposamente omesso di assolvere all'onere di informazione ad essa imposto.

Risulta infatti, dal provvedimento Impugnato, che già a fronte delle indicazioni contenute nel certificato di destinazione urbanistica era agevole verificare che la zona, in contrasto con esse, era totalmente frazionata in più lotti non aventi connotazioni agricole e diffusamente edificata.

La illiceità della destinazione residenziale, generalmente impressa all'area ed alla quale la B. aveva finalizzato il proprio acquisto e la conseguente edificazione, trova conferma anche nell'abituale domicilio dell'indagata in una Regione diversa e fontana dal territorio sardo: situazione incompatibile con quanto disposto dall'art. 28 delle norme di attuazione del Piano di fabbricazione di Olbia, che vuole il conduttore del fendo e la sua famiglia costantemente presenti sul fondo medesimo per fa corretta conduzione dello stesso correlata alle esigenze della produzione agricola locale.

Con argomentazioni razionali è stata esclusa, in conclusione, una condizione di buona fede della ricorrente immediatamente evidente (la "evidenza immediata" è condizione essenziale in sede di impugnazione incidentale) e sono state disattese le allegazioni difensive volte a sostenere la tesi di un acquisto effettuato in una situazione di inconsapevolezza non colpevole da persona che, continuando a svolgere altrove la propria vita, avrebbe impegnato somme notevoli per l'acquisto di un'area di limitata estensione e la costruzione di un edificio di una certa consistenza, intendendo dedicarsi stabilmente all'attività agricola prevista dalla destinazione di zona: prospettazione palesemente smentita dall'accurata elaborazione dei dati fattuali offerti al suo esame, effettuata dal Tribunale in perfetta aderenza con il dettato normativo ed i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte.

5. Il periculum in mora.

5.1 In questo procedimento il Tribunale - a fronte di una misura di cautela reale adottata in relazione ad entrambe le ipotesi di cui al primo ed all'art. 321 cod. proc. pen., comma 2, rispettivamente: a) pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, nonchè di agevolazione della commissione di altri reati; b) possibilità di confisca delle unità immobiliari ai sensi del D.P.R. n. 360 del 2001, art. 44, comma 2, e divieto di restituzione delle cose sequestrate destinate alla confisca, posto dall'art. 324 cod. proc. pen., comma 7 - ha razionalmente confermato fa sussistenza di entrambe le esigenze preventive.

5.2 Il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenza del reato (art. 321 cod. proc. pen., comma 1).

Evidente è li forte Impatto della vicenda che ci occupa sull'assetto urbanistico del territorio, in quanto risultano pregiudicate le autonome scelte della programmazione edificatoria e condizionata la pubblica Amministrazione nell'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

In raffronto agli anzidetti beni tutelati e suscettibili di compromissione deve essere valutata - conseguentemente - la situazione di pericolo che l'adozione del sequestro preventivo è finalizzata ad impedire.

Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte Suprema, oggetto del sequestro preventivo di cui all'art. 321 cod. proc. pen., comma 1, può essere aualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea ai reato - purchè esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti vedi Cass.; n. 37033/2006, n. 24665/2005, n. 36728/2004, n. 124672003, n. 29797/20à1, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 15671993, n. 2296/1992.

Nella specie - tenuto conto dei criteri direttivi generali enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema con la sentenza 29.1.2003, n. 2, Innocenti - risulta adeguatamente e razionalmente evidenziata la concretezza ed attualità della compromissione dei beni giuridici protetti, poichè il godimento e la disponibilità attuale degli immobili implica una effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati in quanto: - appare evidente l'aggravamento del cd. carico urbanistico (sotto i profili del necessario adeguamento dell'urbanizzazione primaria e secondaria), costituendo ogni sfrigola costruzione parte di un complesso edilizio residenziale realizzato ex novo, che va integrato con l'aggregato urbano preesistente;

- a fronte di un insediamento non più agricolo ma residenziale, si impone il rispetto dei diversi e maggiori standards correlati alle residenze dal D.M. n. 1444 del 1960, art. 3 e la esigenza di reperimento delle relative aree da parte dell'Amministrazione comunale;

- si pone, per il Comune, la necessità di provvedere ad una nuova complessiva organizzazione del proprio territorio (da attuarsi, in sede di ripianificazione, con il coordinamento delle varie destinazioni d'uso, in tutte le loro possibili relazioni, e con rassegnazione ad ogni singola destinazione d'uso di determinate qualità e quantità di servizi).

La persistente disponibilità del bene comporta, dunque, perduranti effetti lesivi dell'equilibrio urbanistico ed ambientale e non costituisce "un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività" nel senso illustrato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12876/2003.

In relazione alle misure di cautela reale deve ritenersi preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi vedi Cass., Sez. Unite, 25.3.1993, n. 4 e la eventuale carenza dell'elemento soggettivo del reato può essere valutata soltanto allorquando emerga ictu oculi in modo evidente e si riverberi sulla componente materiale, incidendo sulla configurabilità stessa della fattispecie penalmente sazionata.

Alla stregua di detto principio il Tribunale - tenuto conto dei limiti della cognizione ad esso demandata nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro vedi Cass., Sez. Unite, 29.1.1997, Bassi - non era tenuto a verificare la sussistenza di situazioni di "buona fede" che non risultassero palesi.

Nella specie comunque, come già si è evidenziato, la pretesa buona fede odia ricorrente è stata esclusa allo stato e, dalie prospettazioni difensive, non è immediatamente deducibile una sua condizione di ignoranza incolpevole circa la corretta destinazione urbanistica del fondo da lei acquistato e di quanto sullo stesso poi edificato.

5.3 La finalizzazione alla confisca (art. 321 cod. proc. pen., comma 2).

Quanto poi al presupposto della confiscabilità, di cui all'art. 321 c.p.p., comma 2, deve rilevarsi che il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, prevede, per la lottizzazione abusiva, anche l'applicazione della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere illecitamente costruite. Ciò determina, quale conseguenza, l'acquisizione di diritto e gratuita dei terreni ai patrimonio del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione.

La disposizione richiamata indica la confisca come effetto della sentenza definitiva del giudice penale con la quale è stata accertata la lottizzazione abusiva. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari dei terreni acquisiti.

Come si rileva dal contenuto letterale, l'art. 44 non si riferisce ad una sentenza di condanna, bensì ad una sentenza che abbia semplicemente accertato l'esistenza della lottizzazione. Da ciò consegue l'applicabilità della misura In tutti I casi in cui tale accertamento sia avvenuto, indipendentemente dalla condanna dei responsabili. Si tratta, evidentemente, di una scelta voluta e non casuale del legislatore, come emerge dal confronto con il contenuto del precedente art. 31, dove vi è un riferimento esplicito alla sentenza di condanna cui consegue l'ordine di demolizione del giudice.

Lo stesso contenuto della norma evidenzia, inoltre, la obbligatorietà della confisca.

Le peculiari caratteristiche della confisca prevista per la lottizzazione hanno indotto la giurisprudenza ad escluderne la qualificazione come misura di sicurezza patrimoniale inquadrandola, invece, come sanzione amministrativa applicata dal giudice penale, sottolineandone, tra l'altro, le differenze con l'analogo istituto disciplinato dall'art. 240 cod. pen. (Cass., Sez. 3^: n. 38728 del 4.10.2004; n. 41757 del 27.10.2004).

In particolare, e stata posta in risalto la natura reale e non personale dell'istituto (vedi ad es. Cass., Sez. 3^, n. 37066 del 22.9.2004).

Gli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte sono stati recentemente rielaborati nella prospettiva della valutazione dei rapporti tra l'ordinamento statuale e quelle peculiari norme internazionali contenute nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ai quali è stata data esecuzione con la legge di ratifica 4.8.1955, n. 846.

La Corte Europea dei diritti dell'uomo, infatti, nelle sentenze pronunziate rispettivamente il 30.8.2007 ed il 20.1.2009 ricorso n. 75909/01 proposto contro l'Italia dalla s.r.l. "Sud Fondi" ed altri - a fronte di una sentenza nazionale che aveva disposto la confisca pur ritenendo insussistente l'elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva - ha affermato che la confisca già prevista dalla L. n. 47 del 1955, art. 19 ed attualmente collocata tra le "sanzioni penali" dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2: "non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mira nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni e prescrizioni stabilite dalla legge"; - è, quindi, una "pena" ai sensi dell'art. 7 della Convenzione e la irrogazione di tale "pena" senza che sia stata stabilita l'esistenza di dolo o colpa dei destinatari di essa, costituisce infrazione dello stesso art. 7, una corretta interpretazione del quale "esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato".

Dopo le pronunzie della Corte Europea dei diritti dell'uomo, la giurisprudenza di questa Corte è più volte intervenuta sul tema, osservando costantemente, tra l'altro, che presupposto essenziale ed indefettibile, per l'applicazione della confisca, è che sia stata accertata l'effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva; ulteriore condizione, però, che si riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe l'elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere (vedi, ad esempio, Cass., Sez. 3^, n. 39078 dell'8.10.2009).

Nella fattispecie che ci occupa la natura e la portata delle disposizioni nazionali riferite alla confisca del compendio lottizzatorio ed al sequestro preventivo ad essa finalizzato - secondo l'interpretazione datane alla luce delle pronunzie della Corte Europea - sono state correttamente individuate dai giudici del riesame con argomentazioni, riferite ai profili oggettivo e soggettivo, che non meritano censure.

6. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2012