Cass. Sez. III n. 42147 del 14 ottobre 2013 (Cc. 27 giu 2013)
Pres. Mannino Est. Andronio Ric. Colapicchioni ed altro
Urbanistica. Computo ai fini volumetrici dei locali interrati

In tema di attività edilizia, anche i locali interrati devono essere computati ai fini volumetrici, perché detto calcolo deve essere effettuato, salvo che non viga un’espressa disposizione contraria, con riferimento all’opera in ogni suo elemento, ivi compresi gli ambienti seminterrati ed interrati funzionalmente asserviti, giacché nel concetto di costruzione rientra ogni intervento edilizio che abbia rilevanza urbanistica, in quanto incide sull’assetto del territorio ed aumenta il c.d. carico urbanistico e tali sono pure i piani interrati cioè sottostanti al livello stradale

RITENUTO IN FATTO

1. - Con ordinanza del 13 novembre 2012, il Tribunale di Rieti ha rigettato l'istanza di riesame presentata dagli indagati in relazione all'ordinanza di sequestro preventivo di un'area emessa dal Gip del Tribunale di Rieti in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 323 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c). Secondo quanto riportato dal Tribunale, vi era stato l'illegittimo rilascio del permesso di costruire relativamente all'edificazione di un garage in un'area classificata come boscata, in mancanza di intervento urbanistico preventivo esteso all'intera zona; in particolare, il disboscamento necessario per realizzare il locale sarebbe stato consentito solo per il recupero di edifici preesistenti e non anche per nuove edificazione, come quella di specie; inoltre, la nuova società proprietaria aveva diritto ad ottenere un permesso di costruire per una superficie lorda massima di 885,45 m2 mentre il permesso di costruire prevedeva la realizzazione di una superficie lorda di 986,26 m2.

2. - Avverso l'ordinanza gli indagati hanno proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, rilevando, in primo luogo, la violazione di legge quanto alla ritenuta mancanza dell'intervento preventivo attraverso l'adozione del piano particolareggiato. Ad avviso della difesa, in presenza di costruzioni totalmente interrate, aventi ingresso dalla zona B (zona per la quale non è necessaria l'adozione di un piano particolareggiato), sarebbe errato sostenere la necessità di piano particolareggiato, trattandosi di uno strumento diretto a prevedere limiti di edificabilità, altezze, distanza tra fabbricati, non ipotizzabili rispetto a costruzioni interrate, "che non fanno cubatura".

Con un secondo motivo di doglianza, si contesta il presupposto di fatto, dal quale muove il Tribunale, che l'area in questione sia coperta dal bosco. Non si sarebbe considerato, in particolare, che il Corpo forestale dello Stato aveva reso sul punto "risposte inattendibili". Non si sarebbe, inoltre, considerato che l'area in questione ricadeva all'interno di un comprensorio totalmente edificato e urbanizzato ed era catastalmente classificata come terreno seminativo, dunque privo delle condizioni che consentono di considerarla bosco, in mancanza, oltre tutto, di accertamenti sul campo da parte del consulente tecnico del pubblico ministero. Non si sarebbe considerata inoltre che il Comune, secondo quanto previsto dall'art. 38, comma 5, delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico, è l'unico organo competente a rilasciare certificazioni riguardanti le area boscate e che lo stesso Comune, in data 6 dicembre 2007, aveva certificato che l'area in questione non era da considerarsi boscata.

Quanto all'ipotizzata utilizzazione di una superficie edilizia maggiore di quella consentita, i ricorrenti evidenziano - con un terzo motivo di doglianza - che il calcolo corretto delle superfici esclude che anche in via meramente astratta sia configurabile il superamento del limite di edificabilità. Sul punto, il consulente tecnico del pubblico ministero avrebbe utilizzato la superata metodologia della sovrapposizione delle mappe, anzichè metodi tecnicamente più avanzati.

Vi sarebbe, in quarto luogo, l'ulteriore violazione di legge laddove il Tribunale sostiene che l'assunto difensivo secondo cui il permesso n. 1695 del 2012 sarebbe una mera proroga del permesso di costruire n. 731 del 2007 è infondato. Lamenta la difesa che il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle circostanze concrete, con particolare riferimento al fatto che per il permesso di costruire del 2012 non venne avviato alcun procedimento, nè vi fu dichiarazione di decadenza del permesso del 2007 per decorrenza dei termini previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 15.

Con memoria depositata il 20 giugno 2013, la difesa ribadisce quanto già evidenziato con ricorso, criticando la nozione di atto confermativo utilizzata dal Tribunale ed evidenziando che l'architetto V., "responsabile per il Comune di Rieti della soprintendenza del ministero dei beni ambientali" - sentita a sommarie informazioni - avrebbe affermato che la subdelega al comune di Rieti per quanto concerne la zona C in presenza di interventi edilizi interrati è legittima e che l'ubicazione dell'intervento non è chiara, in quanto al limite fra le due zonizzazioni paesaggistiche.

3. - In sede di discussione davanti a questa Corte, il procuratore generale ha richiesto l'espunzione dal processo del verbale di sommarie informazioni rese dall'architetto V. allegato alla memoria difensiva del 20 giugno 2013.


CONSIDERATO IN DIRITTO

4. - IL ricorso è inammissibile.

4.1. - Manifestamente infondata è l'affermazione, posta a base del primo motivo di doglianza, secondo cui le costruzioni interrate "non fanno cubatura". Essa si pone, infatti, in contrasto con il noto e consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di attività edilizia, anche i locali interrati devono essere computati ai fini volumetrici, perchè detto calcolo deve essere effettuato, salvo che non viga un'espressa disposizione contraria, con riferimento all'opera in ogni suo elemento, ivi compresi gli ambienti seminterrati ed interrati funzionalmente asserviti, giacchè nel concetto di costruzione rientra ogni intervento edilizio che abbia rilevanza urbanistica, in quanto incide sull'assetto del territorio ed aumenta il C.d. carico urbanistico e tali sono pure i piani interrati cioè sottostanti al livello stradale (ex plurimis, sez. 3^, 09 luglio 1999, n. 11011, rv. 214273; sez. 3^, 18 dicembre 2002, rv. 223535; sez. 3^, 29 aprile 2003, n. 26197, rv. 225388; sez. 3^, 10 maggio 2007, n. 24464, rv. 236885; sez. 3^, 21 dicembre 2011, n. 3220/2012).

E ciò, a prescindere dall'ulteriore considerazione che il carattere "interrato" dei garage realizzati rispetto al piano di campagna risulta meramente asserito dai ricorrenti e che tale circostanza risulta, comunque, non decisiva, in presenza degli ulteriori gravi indizi di reato evidenziati dal Tribunale.

4.2. - Quanto al problema se l'opera edilizia in questione ricadesse in area boscata, trattasi di una questione di fatto, non censurabile con il ricorso ex art. 325 c.p.p., comma 1, neanche sotto il profilo della contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. Quest'ultima risulta, peraltro, pienamente adeguata e coerente, laddove fa riferimento ai rilievi svolti dal Corpo forestale dello Stato, da cui è emerso che un'area parzialmente interessata dai lavori ricade in zona quasi interamente boscata mentre un'altra area ricade in una zona in parte boscata e in parte occupata tra, con la conseguenza che sussiste l'astratta configurabilità dei reati ipotizzati, salvi più approfonditi accertamenti in sede di merito, anche relativamente alla legittimità dell'operato degli uffici comunali.

4.3. - Del pari inammissibile, perchè non diretto a contestare la violazione di legge ma un vizio della motivazione, è il terzo motivo di ricorso relativo al calcolo della superficie utilizzata. Tale calcolo è stato peraltro effettuato - come ricordato dal Tribunale - dal consulente tecnico del pubblico ministero, non essendo emersi dalle indagini preliminari e del materiale prodotto dalla difesa elementi tali da escluderne, nella fase sommaria, la correttezza.

4.4. - Anche il terzo motivo di ricorso - con cui si sostiene che il permesso di costruire del 2012 sarebbe una mera proroga di un permesso di costruire già rilasciata nel 2007 - è inammissibile per le stesse ragioni. La difesa basa il suo assunto sulla scorretta valutazione da parte del Tribunale di una serie di circostanze di fatto, costituite, in particolare dall'asserita mancanza di un procedimento amministrativo e dalla mancata dichiarazione di decadenza del permesso di costruire del 2007 per decorrenza dei termini di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 15. Trascura, però, di considerare che - come evidenziato dallo stesso Tribunale - il tenore letterale del nuovo permesso non fa riferimento ad una proroga del precedente e la relativa richiesta era qualificata come richiesta di rinnovo e non come richiesta di proroga.

4.5. - Del tutto irrilevanti risultano, infine, le asserzioni difensive - contenute nelle memorie depositata in prossimità di questa camera di consiglio - circa il fatto che il Comune sarebbe l'ente competente a stabilire se un'area sia un meno boscata e circa il fatto che, secondo la prassi corrente, la realizzazione di garage interrati in area boscata sarebbe possibile sulla base del semplice permesso di costruire, senza necessità di pianificazione particolareggiata. La prima di tale affermazioni è, infatti, relativa ad un profilo del tutto irrilevante, essendo oggetto di accertamento, nel caso di specie, proprio la legittimità dell'operato della pubblica amministrazione nel rilascio del permesso di costruire. La seconda di tali affermazioni contrasta, invece, in punto di diritto, con quanto già rilevato sub 3.1. e nulla chiarisce, in punto di fatto, circa l'effettivo interramento del garage in questione. La produzione documentale a corredo di detta affermazione risulta, dunque, ininfluente per la decisione ancor prima che tardiva, come rilevato dal procuratore generale in sede di discussione.

5. - Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013.