Cass. Sez. III n. 20858 del 28 maggio 2024 (CC 15 mag 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Vivenzio
Urbanistica.Condono e richiesta del promissario acquirente

In tema di condono edilizio, in forza degli artt. 6 e 38, comma quinto, della legge 28 febbraio 1985, n.47 – anche richiamati dall'art.39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n.724 - legittimati alla presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria sono, al di là del peculiare caso degli eredi, il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore ed il direttore dei lavori. Non risulta il mero promissario acquirente in quanto tale.  

RITENUTO IN FATTO 

    1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Napoli, adito quale giudice dell’esecuzione nell’interesse di Vivenzio Rosa, quale terzo interessato per la dichiarazione di nullità e/o inefficacia della ingiunzione a demolire n. 61/2013 RESA o in via subordinata per la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione delle opere di cui alla sentenza di condanna del tribunale di Napoli, del 9.7.1986, divenuta irrevocabile il 10.1.1991 a carico di Vivenzio Giorgio, deceduto,  rigettava l’istanza proposta in via principale e inammissibile l’istanza presentata in via subordinata. Rigettando altresì una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 

    2. Avverso la predetta ordinanza Vivenzio Rosa, quale terzo interessato, erede di Vivenzio Giorgio, ha proposto ricorso per cassazione con il proprio difensore, deducendo tre motivi di impugnazione. 

    3. Con il primo, deduce il vizio di violazione di legge e il travisamento del fatto e del petitum e il difetto di motivazione. Si contesta la dichiarazione di inammissibilità della istanza di incidente di esecuzione per avvenuta cessazione del contendere a seguito della avvenuta demolizione dell’immobile abusivo, non essendo precluso da tale ultimo evento l’interesse della ricorrente sotteso alla avanzata istanza di incidente di esecuzione, diretta ad ottenere la dichiarazione di inesistenza,  nullità o inefficacia della ingiunzione a demolire con conseguente inammissibilità dell’azione esecutiva promossa nei confronti della Vivenzio.

    4. Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e manifesta illogicità e il travisamento del fatto nonchè il difetto di motivazione. Si contesta la ritenuta irrilevanza, da parte del giudice, della pendenza di una domanda di condono nella vicenda in esame, atteso che la stessa, a date condizioni, può rilevare per la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione o di quello di ripristino dello stato dei luoghi.  
L’ordinanza impugnata sarebbe altresì illegittima, non avendo il tribunale verificato lo stato delle pratiche di condono, con assenza quindi di ogni verifica della condonabilità del manufatto. 

    5. Con il terzo motivo rappresenta l’omesso esame di nuove deduzioni del consulente tecnico di parte, di cui ad una perizia del 12.4.2023, evidenziate con il primo motivo dell’incidente di esecuzione nonché il difetto di motivazione e la nullità dell’atto impugnato. In particolare, si tratterebbe di riferimenti riguardanti  sia il rinvenimento di una istanza di condono a firma di un promissario acquirente, Oliva Gaetano, sia la avvenuta presentazione di una istanza di nulla osta paesaggistico per la definizione della suddetta pratica di condono intestata al predetto Oliva, nonché inerenti a profili afferenti il tema del fattore di rischio r4 idrogeologico, in rapporto all’opera da demolire. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Preliminarmente, va ribadita la già rilevata, dal tribunale, carenza di interesse della ricorrente, in ragione della intervenuta demolizione dell’opera abusiva. Il procedimento di esecuzione, invero, afferisce a profili esecutivi inerenti il titolo, che una volta cessati, essendosi comunque esaurita l’efficacia dello stesso, esauriscono anche ogni competenza e cognizione, rispetto allo stesso, del giudice dell’esecuzione. 

    2. Peraltro, per completezza, comunque, si osserva che il primo motivo è inammissibile atteso che il giudice non si è limitato a respingere la domanda propositiva dell’incidente di esecuzione esclusivamente sulla base dell’intervenuta demolizione, avendo supportato tale decisione anche alla luce di ulteriori decisive argomentazioni di cui al successivi paragrafi, afferenti gli ulteriori motivi di ricorso, che, lo si anticipa, sono anche essi manifestamente infondati. 

    3. Riguardo al secondo motivo, coerente e corretto è il rilievo, seppur “incidentale”, della irrilevanza della domanda di condono presentata non già dall’autore e/o proprietario del manufatto abusivo bensì da un mero promissario acquirente, mai divenuto proprietario alla luce degli stessi documenti allegati dalla ricorrente al ricorso, dovendo la stessa domanda ritenersi, siccome proveniente da soggetto non legittimato ad avviare una valida procedura di condono, completamente improduttiva di effetti, tanto nei confronti dell’autorità comunale, come tale evidentemente non tenuta in alcun modo ad esaminarla, tanto, e ancor di più, nei confronti dell’autorità giurisdizionale. Né integra alcun vizio il non avere il giudice verificato lo stato della pratica: sia per le ragioni precedentemente esposte, sia perché a fronte dell’avvenuto rilievo del tribunale in ordine alla assenza, rispetto alla predetta procedura di condono, di “nessun sviluppo” della stessa, non emerge innanzitutto alcuna specifica confutazione da parte della difesa al riguardo, in termini, almeno, di positivi sviluppi della pratica; né è sufficiente rappresentare la mera quanto generica avvenuta allegazione  di una pratica di condono, in assenza di ogni altra prospettazione della sua utile incidenza (a partire evidentemente dalla rappresentazione delle ragioni della  legittimazione dell’istante); infatti, se è vero che la parte ha un mero onere di allegazione, in questi casi riguardanti l’eventuale incidenza del condono sulla procedura di demolizione in corso, e non di prova, deve osservarsi che il predetto onere non si esercita con la mera citazione di una domanda o pratica pendente bensì deve essere esplicato in maniera che la prospettazione appaia seria e concreta, con illustrazione delle ragioni per cui lo stato e le caratteristiche della pratica potrebbero incidere, se esistenti, in maniera da escludere o sospendere la operatività della demolizione. E invero, va ricordato che questa Corte ha precisato che nell'ordinamento processuale penale non è previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato è comunque tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore. Nel caso in esame, lo si ripete, nessun elemento è stato dedotto né in ricorso né – per quanto possa evincersi dagli atti disponibili - in sede esecutiva, per illustrare la idoneità della domanda ad incidere negativamente sulla procedura di demolizione. A partire, va ribadito, dalla legittimazione dell’istante. In proposito occorre ricordare che in tema di condono edilizio, in forza degli artt. 6 e 38, comma quinto, della legge 28 febbraio 1985, n.47 – anche richiamati dall'art.39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n.724 - legittimati alla presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria sono, al di là del peculiare caso degli eredi, il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore ed il direttore dei lavori. (Sez. 3,  n. 30059 del 16/05/2018 Cc.  (dep. 04/07/2018) Rv. 273760 – 01). Non risulta il mero promissario acquirente in quanto tale.  
Peraltro, alla luce di quanto allegato dalla ricorrente, emerge che anche la cura del nulla osta paesaggistico appare rientrare in quella assenza di “sviluppo” della domanda di condono proposta dall’Oliva ed evidenziata dal giudice, siccome  risulta non effettuata dal preteso “legittimato” Oliva, bensì, in una singolare mistura di promotori della pratica in parola, dalla stessa ricorrente che qui si qualifica “terza” interessata. Infatti, in base agli atti disponibili per questa Corte, sembra potersi ritenere che l’Oliva non avanzò alcuna istanza di autorizzazione paesaggistica con la domanda di condono, tanto che rispetto a tale procedura di sanatoria e dopo oltre 30 anni dall’avvio del procedimento stesso (con i tutti i relativi limiti operativi prima accennati), l’aspetto paesaggistico del condono “avviato” dall’Oliva sarebbe stato promosso solo, dopo oltre 30 anni, dalla stessa ricorrente “terza” Vivenzio Rosa, atteso che secondo la allegata relazione del consulente di parte la stessa lo aveva incaricato di redigere la predetta relazione per definire, proprio sul piano paesaggistico, la pratica. Peraltro, non va dimenticato che si tratterebbe di una procedura ex art. 146 del Dlgs. 42/04 non pertinente al condono, atteso che questa Corte ha precisato che in tema di reati edilizi, nel caso in cui l'abuso risulti realizzato in area sottoposta a vincolo paesaggistico, il procedimento amministrativo per il rilascio del provvedimento autorizzativo in sanatoria, in ragione della già avvenuta commissione dell'illecito penale, è disciplinato con maggior rigore, prevedendosi che la soprintendenza, per la formulazione del parere di sua competenza, prescritto dall'art. 32, comma 1, legge 28 febbraio 1985, n. 47, fruisca di uno "spatium deliberandi" più ampio di quello assegnatole dall'art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica preventiva (180 giorni, anziché 45) e che l'infruttuoso decorso di detto termine valga quale silenzio-rifiuto, impugnabile innanzi al giudice amministrativo. (Sez. 3, n. 36580 del 17/05/2023 Rv. 284987 – 01).

    4. Riguardo all’ultimo motivo, le argomentazioni relative alla presenza di una ulteriore istanza di condono, dell’Oliva, sopra ampiamente citata, e all’avvenuta definizione della stessa sotto il profilo paesaggistico, sono manifestamente infondate  alla luce delle considerazioni espresse nel precedente paragrafo, cui si rinvia. Si tratta, peraltro, di questioni giuridiche, per le quali vige anche il principio per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate – diversamente dal caso in esame - e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 Emmanuele).
La residua questione sulla ritenuta ridefinizione del rischio idrogeologico assume un carattere marginale e irrilevante alla luce delle considerazioni, assorbenti, sopra formulate. 

    5. sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, e in particolare che appare alquanto temeraria la proposizione del ricorso per le ragioni suesposte, con particolare riferimento alla ormai intervenuta demolizione (con esaurimento degli effetti dell’ordine di demolizione) e alla sussistenza di una domanda di condono da non legittimato,  oltre che trattandosi di ricorso non solo in alcun modo pertinente, ma che si inserisce nel quadro della esistenza di già avviate e respinte domande di incidente di esecuzione ormai definitorie già di ogni valida questione, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 5.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquemila in favore della cassa delle ammende. 
Così deciso, il 15.05.2024.