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Provincia di Treviso Settore Gestione Territorio Circ. 5 ottobre 2003

OGGETTO: Applicazione dell’art. 14 del D. L. 08.07.2002 n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 08.08.2002 n. 178, contenente la “Interpretazione autentica della definizione di rifiuto” e dell’art. 10-bis della Legge 1 agosto 2003 n. 200 contenente la proroga di termini di cui all’art. 62, comma 11, del D. Lgs. 152/1999. Direttive interpretative

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DEFINIZIONE DI RIFIUTO

L’art. 14 della Legge 178/2002, che ha introdotto l’interpretazione autentica della definizione di «rifiuto» di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22., così dispone

1. Le parole: «si disfi», «abbia deciso» o «abbia l'obbligo di disfarsi» di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, di seguito denominato: «decreto legislativo n. 22», si interpretano come segue:

a) «si disfi»: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;

b) «abbia deciso»: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;

c) «abbia l'obbligo di disfarsi»: l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.

2. Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:

a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;

b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subìto un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22”.

A seguito di numerosi dubbi interpretativi, appare opportuno delimitare l’ambito di applicazione della norma.

Per quanto riguarda il primo comma, va soltanto evidenziato che, come precisato in alcune sentenze della Corte di Giustizia CE, l’esecuzione di una operazione di smaltimento o di recupero elencata negli allegati B e C del D. Lgs. 22/1997 non può essere considerata affatto quale un criterio tassativo circa il “disfarsi” e, quindi, circa la qualifica di “rifiuto”, così come fa il primo comma dell’art. 14 in esame.

Ad accogliere un’interpretazione secondo la quale debba sussistere un nesso necessario fra il “disfarsi” ed una delle operazioni di cui all’allegato B e all’allegato C del D. Lgs 22/97, paradossalmente non potrebbero essere punite le condotte di abbandono bruto di rifiuti, dato che questo comportamento non è contemplato espressamente tra le operazioni di smaltimento di cui all’allegato B.

Per superare tale difficoltà, occorre procedere caso per caso, per stabilire se il detentore di un oggetto o di una sostanza li sottoponga o abbia l'intenzione di sottoporli a una delle operazioni elencate negli allegati al D. Lgs. 22/97 o a un'operazione analoga.

Evidentemente maggiori problemi interpretativi pone il secondo comma dell’art. 14.

Al riguardo, si ritiene necessario inquadrare la norma in esame nel contesto delle disposizioni del D. Lgs. 22/1997, che peraltro discendono dal rispetto di norme comunitarie, al fine di assicurare un’applicazione coerente con il sistema normativo nazionale e comunitario vigente nonché in linea con le pronunce della Corte di Giustizia Europea.

Com’è noto, le norme sull’interpretazione della legge (art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale premesse al Codice Civile), impongono che nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore; in caso di dubbio si fa ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.

Il Capo I del D. Lgs. 22/1997 “Principi generali” individua le definizioni ed il significato dei termini utilizzati, in coerenza con le disposizioni comunitarie, cui fare riferimento nell’applicazione della normativa sui rifiuti.

Ciò significa che i termini non sono utilizzati casualmente né è possibile utilizzarli indifferentemente secondo il linguaggio comune, o con interpretazione estensiva od analogica.

Appare importante, ai nostri fini, richiamare l’art. 4 del D. Lgs. 22/1997: “Recupero dei rifiuti.

1. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:

a) il reimpiego ed il riciclaggio;

b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;

c) l'adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;

d) l'utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia.

2. Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero.

3. Al fine di favorire e incrementare le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero le autorità competenti ed i produttori promuovono analisi dei cicli di vita dei prodotti, eco-bilanci, informazioni e tutte le altre iniziative utili.

4. Le autorità competenti promuovono e stipulano accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati al fine di favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti, con particolare riferimento al reimpiego di materie prime e di prodotti ottenuti dalla raccolta differenziata con la possibilità di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi nel rispetto delle norme comunitarie ed il ricorso a strumenti economici”.

In questo quadro, va rilevato che l’ambito di applicazione del secondo comma dell’art. 14 riguarda solo operazioni di “riutilizzo”.

E, se pure è vero che nel D. Lgs. n. 22/97 non c’è alcuna definizione di “riutilizzo”, è anche vero che per il legislatore italiano esso è certamente operazione di recupero diversa dal “riciclaggio”, dal “recupero di materia prima” e dal “recupero energetico”, come appare evidente dalla semplice lettura dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 4, in cui, proprio in tema di recupero dei rifiuti, queste operazioni appaiono nettamente distinte e separate.

La stessa conclusione si ricava, peraltro, anche dal primo comma dello stesso articolo, ove, con ogni evidenza, il termine “reimpiego”, distinto e diverso dal “riciclaggio” (lett.a), dalle “altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti” (lett.b) e dal recupero energetico (lett.d), è usato come sinonimo di “riutilizzo”.

In questo contesto normativo, se si considera che il termine “riutilizzo” non appare mai citato tra le operazioni di recupero elencate nell’allegato C, se ne può concludere che il “riutilizzo” del secondo comma dell’art. 14 riguarda, in coerenza simmetrica con il primo comma, solo operazioni di recupero diverse da quelle elencate nell’allegato C; tanto è vero che esso parla di “riutilizzo” non solo quando non sia necessario alcun “trattamento preventivo” (lett. a) ma anche e solo nei casi in cui, pur con un intervento preventivo, “non si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allegato C…” (lett.b).

E, pertanto, riguarda solo quelle operazioni di reimpiego diretto, possibili senza alcun trattamento preventivo, ovvero con un trattamento preventivo minimo e tale da non sfociare in una operazione tra quelle elencate nell’allegato C (comma 2, lett.b).

Infine, anche a livello solo letterale, l’uso del termine ri-utilizzo (e non “riciclo”, “rigenerazione”, “utilizzo” o “recupero”) porta a ritenere che si tratta di una nuova utilizzazione diretta di una cosa così come è e per quello che è, senza significative trasformazioni.

Ovviamente, a maggior ragione, non deve trattarsi di operazioni comprese tra quelle elencate come smaltimento nell’allegato B (fra cui rientrano anche il raggruppamento preliminare, D13, e il ricondizionamento preliminare, D14); altrimenti, oltre tutto, si giungerebbe all’assurdo di ritenere non rifiuto una sostanza o un oggetto, “riutilizzato” dopo essere stato sottoposto addirittura ad una operazione di smaltimento.

Per quanto sopra esposto dunque:

1) Sono escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, in forza dell’art. 14 della Legge 178/2002, esclusivamente quelle operazioni di riutilizzo diretto di prodotti o scarti di lavorazioni, possibili senza alcun trattamento preventivo ovvero con un trattamento preventivo minimo, tale da non sfociare in una delle operazioni di cui all’allegato C del D. Lgs. 22/1997;

2) E’ necessario, altresì, secondo l’interpretazione letterale dell’art. 14, che gli scarti di cui trattasi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati;

3) Ne consegue che:

· rientrano nella normativa sui rifiuti le operazioni che non consistono in un riutilizzo diretto, effettivo ed oggettivo degli scarti di cui trattasi o che rientrano nelle operazioni di cui all’allegato C del D. Lgs. 22/97, fra cui, è bene ricordarlo in quanto casi che suscitano maggiori dubbi interpretativi:

a) R1: Utilizzazione principale come combustibile o altro mezzo per produrre energia;

b) R13: Messa in riserva di rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo presso il luogo di produzione).

· Nel caso di conferimento dal produttore a soggetti terzi, per essere destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di consumo e di produzione, non si applica la disciplina dei rifiuti esclusivamente ai materiali derivanti da cicli di produzione e di consumo, che presentano, fin dall’origine, le medesime caratteristiche dei prodotti, delle materie prime e delle materie prime secondarie previste sotto le voci “Caratteristiche delle materie prime e/o prodotti ottenuti” del D. M. 5.02.1998.

PROROGA TERMINI D. Lgs. 152/1999

L’art. 10-bis della Legge 1 agosto 2003 n. 200 così dispone:

“(Adeguamento degli scarichi esistenti).

1. I termini di cui all'articolo 62, comma 11, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, relativi agli scarichi esistenti, ancorché non autorizzati, sono differiti fino ad un anno a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Tale norma risulta di difficile interpretazione, in quanto, ad una prima lettura, risulta in contrasto con l’intero sistema normativo in tema di disciplina degli scarichi, oggi dettato dal D. Lgs. 152/1999, nel quale si inserisce.

E’ necessario tentare, pertanto, di delineare una possibile interpretazione coerente con il tenore letterale della norma nonché con i principi generali.

Occorre, al riguardo, richiamare il contesto normativo nel quale si inserisce la norma ed in particolare:

1) L’art. 2 – “Definizioni” – del D. Lgs. 152/1999 che, alla lettera cc-bis, così dispone:

“ «scarichi esistenti»: gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente ovvero di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data siano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all'assegnazione lavori; gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente; gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e già autorizzati”.

2) L’art. 62, comma 11, i cui termini sono differiti con la norma in esame, che così dispone:

“Fatte salve le disposizioni specifiche previste dal presente decreto, i titolari degli scarichi esistenti devono adeguarsi alla nuova disciplina entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Lo stesso termine vale anche nel caso di scarichi per i quali l'obbligo di autorizzazione preventiva è stato introdotto dalla presente normativa. I titolari degli scarichi esistenti e autorizzati procedono alla richiesta di autorizzazione in conformità alla presente normativa allo scadere dell'autorizzazione e comunque non oltre quattro anni dall'entrata in vigore del presente decreto. Si applicano in tal caso il terzo e quarto periodo del comma 7 dell'articolo 45”.

Dalla lettura delle due norme sopra riportate risulta che:

1) Veniva fissato il termine del 12 giugno 2002 per l’adeguamento degli scarichi esistenti alle nuove disposizioni introdotte con il D. Lgs. 152/1999 (limiti di emissione degli scarichi, ecc.);

2) Veniva fissato il termine del 12 giugno 2003 quale termine ultimo per presentare la richiesta di autorizzazione allo scarico, secondo la nuova disciplina, da parte dei titolari degli scarichi esistenti ed autorizzati.

3) Per scarichi esistenti si intendono quelli conformi al regime autorizzatorio previgente (per le acque reflue urbane e domestiche) e quelli autorizzati (per le acque reflue industriali);

4) Il termine triennale di adeguamento (12 giugno 2002) previsto dall’art. 62, comma 11, si estende anche agli scarichi esistenti per i quali l’obbligo di autorizzazione preventiva è stato introdotto dal D. Lgs. 152/1999 e, pertanto, non autorizzati.

In questo contesto normativo si inserisce il differimento dei termini introdotto dall’art. 10-bis della Legge 200/2003.

Tentiamo di delinearne l’ambito di efficacia:

1) E’ certamente prorogato al 2 agosto 2004 il termine per l’adeguamento degli scarichi, esistenti ed autorizzati, alle disposizioni del D. Lgs. 152/1999, in particolare ai diversi limiti di emissione degli scarichi;

2) E’, altresì, prorogato al 2 agosto 2004 il termine per presentare la richiesta di autorizzazione allo scarico, secondo la nuova disciplina, da parte dei titolari degli scarichi esistenti ed autorizzati. Detto differimento di termini riguarda esclusivamente i titolari di autorizzazione che non prevedevano termini di scadenza. Per tutti gli altri vige il principio sancito dall’art. 62, comma 11, per i quali l’obbligo di richiedere l’autorizzazione coincideva con la scadenza della medesima.

3) L’inciso “ancorchè non autorizzati”, contenuto nell’art. 10-bis, non può che riferirsi esclusivamente ai casi previsti dall’art. 62, comma 11, del D. Lgs. 152/1999 di “scarichi per i quali l’obbligo di autorizzazione preventiva è stato introdotto dalla presente normativa” (cioè dal D. Lgs. 152/1999).

Ciò in quanto l’art. 10-bis di cui trattasi:

a) introduce un differimento di termini già previsti dall’art. 62, comma 11, e già definiti nelle varie fattispecie dalla medesima norma; infatti il tenore letterale della norma “I termini di cui all’art. 62, comma 11, del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 sono differiti fino ad un anno…”, chiarisce che l’ambito di operatività della disposizione è circoscritto ai termini ed alle fattispecie già previste dall’art. 62, comma 11, e non a situazioni nuove;

b) non introduce alcuna modifica nei principi generali del D. Lgs. 152/1999 e, nello specifico, alla definizione di scarico esistente di cui all’art. 2, lett. cc-bis;

A interpretare diversamente, cioè ad estendere il termine di adeguamento anche a tutti gli scarichi non autorizzati, sebbene avessero l’obbligo dell’autorizzazione preventiva già nel vigore della Legge Merli, equivarrebbe ad una sostanziale disapplicazione dell’intero D. Lgs 152/1999, nella parte relativa alla disciplina delle autorizzazioni allo scarico nonché al regime sanzionatorio introducendo una moratoria generale fino al 2 agosto 2004 e legittimando qualunque violazione alle disposizioni vigenti, quanto meno per quanto riguarda gli scarichi esistenti alla data del 13 giugno 1999. Il che palesemente contraddice i principi generali del nostro ordinamento oltre che il rispetto degli obblighi comunitari in materia.

Pertanto, almeno fino ad eventuali contrarie interpretazioni che dovessero derivare dall’applicazione giurisprudenziale della norma o fino a chiarimenti in senso contrario da parte del legislatore, l’art. 10-bis non introduce alcuna sanatoria per gli scarichi esistenti e non autorizzati e va applicato secondo le seguenti direttive:

1) E’ prorogato al 2 agosto 2004 il termine per l’adeguamento degli scarichi esistenti ed autorizzati alle disposizioni del D. Lgs. 152/1999;

2) E’, altresì, prorogato al 2 agosto 2004 il termine per presentare la richiesta di autorizzazione allo scarico, secondo la nuova disciplina, da parte dei titolari degli scarichi esistenti ed autorizzati, le cui autorizzazioni non prevedevano termini di scadenza;

3) L’inciso “ancorchè non autorizzati” contenuto nell’art. 10-bis comporta il differimento al 2 agosto 2004 dell’obbligo di ottenere l’autorizzazione soltanto per gli eventuali scarichi per i quali la normativa previgente al D. Lgs. 152/1999 non imponeva l’obbligo di autorizzazione preventiva;

4) Ne consegue che possono beneficiare del differimento dei termini di adeguamento introdotti dall’art. 10-bis esclusivamente:

a) Gli scarichi esistenti ed autorizzati alla data del 13.06.1999, secondo quanto definito dall’art. 2, lett. cc-bis del D. Lgs. 152/1999;

b) Gli scarichi esistenti ancorchè non autorizzati alla data del 13.06.1999, soltanto nel caso in cui la normativa previgente al D. Lgs. 152/1999 non imponeva l’obbligo di autorizzazione preventiva.

5) Va precisato, infine, che il differimento al 2 agosto 2004 non si applica al termine di cui all’art. 29, comma 2, del D. Lgs. 152/1999 (obbligo di convogliare gli scarichi sul suolo esistenti in corpi idrici superficiali, in reti fognarie o di destinarli al riutilizzo), che resta fissato al 31 dicembre 2003, come disposto dall’art. 25 della Legge 31.07.2002 n. 179, nonché agli altri diversi termini di adeguamento indicati dal D. Lgs. 152/1999.

Gli Uffici della Provincia, fino a diverse indicazioni, si atterranno alle disposizioni di cui sopra nell’applicazione delle norme in oggetto.

IL DIRIGENTE DEL SETTORE

(dott. Carlo Rapicavoli)