Cass. Sez. III n. 13836 del 5 aprile 2024 (CC 11 gen 2024)
Pres. Ramacci Est. Andronio Ric. PG in proc. Bellomo
Urbanistica. Condono edilizio ed ultimazione al rustico necessariamente comprensiva delle tamponature

In materia edilizia, la esecuzione di un immobile a “rustico” si intende riferita all’avvenuto completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno ricomprese le tamponature esterne, visto che queste determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria. 

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 aprile 2023, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione – statuendo in sede di rinvio – ha accolto la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione delle opere abusive, disposto con la sentenza n. 998/1996, resa a carico di Giuseppa Paragliola, dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, in data 7 novembre 1996 – riformata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 4 febbraio 1998, limitatamente al capo c) dell’imputazione e confermata nel resto – avanzata nell’interesse di Bellomo Angela e Bellomo Antonio, in qualità di eredi della condannata, deceduta in data 8 marzo 2012.
Va evidenziato che l’ordinanza è stata emessa all’esito di un doppio annullamento con rinvio. La prima sentenza rescindente (Sez. 3, n. 12915 del 20 febbraio 2019) ha accolto il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli per omessa pronuncia in ordine alla legittimazione dei ricorrenti a presentare la domanda di condono; mentre, la seconda sentenza rescindente (Sez. 4, n. 10017 del 3 marzo 2021) ha accolto il ricorso del Procuratore generale presso la medesima Corte territoriale, il quale lamentava, nuovamente, il difetto di legittimazione dei germani Bellomo alla presentazione delle due diverse istanze di condono, relative al medesimo immobile, nonostante gli stessi, a quell’epoca, non rivestissero alcuna funzione qualificata rispetto all’immobile e fossero solo i figli e futuri eredi della proprietaria.

2. Avverso l’ordinanza in epigrafe, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con tre differenti censure: a) l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 666, 623, 627, cod. proc. pen., 39 della legge n. 724 del 1994, 31 e 41 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 32 della legge n. 47 del 1985; b) il travisamento degli atti, risultante dalla motivazione; c) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti della procedura amministrativa relativa alle istanze di concessione in sanatoria, presentate da Bellomo Antonio e da Bellomo Angela.
A parere della pubblica accusa, la Corte territoriale ha erroneamente dilatato, in maniera manifestamente illogica, il periodo temporale dell’accertamento dei requisiti di legittimazione alla presentazione delle domande di condono da parte dei fratelli Bellomo – in violazione di quanto disposto dalla seconda sentenza rescindente e di quanto previsto dall’art. 39, sesto comma, della legge n. 724 del 1994 – allorché ha fallacemente esteso detta valutazione per un lasso temporale di 17 anni, anziché verificare se alla data del 6 febbraio 1995 – giorno di presentazione della domanda – Bellomo Antonio e Bellomo Angela rientrassero in una delle categorie legittimate.
Oltre a ciò, sostiene il ricorrente che il giudice dell’esecuzione ha completamente disatteso quanto statuito dalla Corte di cassazione in sede rescindente, omettendo di individuare i presupposti di fatto e di diritto dell’asserita legittimazione degli eredi Bellomo. Più precisamente, sostiene la pubblica accusa che il giudice di secondo grado si è astenuto dal verificare se, alla data di presentazione dell’istanza di condono, gli immobili, rappresentati nelle istanze, fossero esistenti nella conformazione plano-volumetrica, documentata in atti, e dotati di autonomia funzionale. Né sarebbero stato adeguatamente valutato il fatto che, alla data della presentazione delle domande, l’edificio, nel suo complesso, era costituito esclusivamente da pilastri, solai e scala di collegamento, privo di tamponature e senza suddivisione di unità immobiliari; ovvero vi erano un primo e un secondo piano, privi di chiusure perimetrali tali da poter determinare una o più unità immobiliari. Inoltre, da un’attenta lettura delle concessioni in sanatoria n. 119 del 23 maggio 1996 e n. 306 del 12 febbraio 1997 del Sindaco di Quarto e della perizia tecnica descrittiva giurata del geometra Russo, i due relativi immobili venivano identificati entrambi con dati catastali (Foglio 16, particelle 537 e 538 privi di subalterno) differenti da quelli risultanti dalla perizia giurata del 2016 (Foglio 16, particella n. 1045 sub 1.2, 4 e 5); omissione che avrebbe determinato il lamentato travisamento della prova, in ordine all’accertamento del presupposto fattuale. Del pari, lamenta il ricorrente che, in ordine ai presupposti di diritto – afferenti all’esistenza di un valido titolo idoneo a costituire il possesso degli immobili, in capo ai Bellomo – la Corte di appello, in violazione delle statuizioni della sentenza rescindente, ha erroneamente mancato di accertare la validità civilistica del documento, prodotto dalla difesa e definito, ad un tempo, come testamento olografo e atto di divisione, mancando di considerare che detto scritto, pur avendo valenza di atto post mortem, non potrebbe certamente considerarsi produttivo di effetti in quanto atto inter vivos, perché privo dei requisiti formali e sostanziali, previsti per la donazione di un immobile; con la conseguenza che, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto riconoscere il possesso come ancora in capo alla proprietaria, essendo la stessa l’unica legittimata a proporre una unica domanda di condono. Né la Corte territoriale avrebbe tenuto debitamente conto della recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di comproprietà dell’immobile, oggetto di separate domande di condono, risulta esclusa la legittimazione alla presentazione di più domande anche da parte dei comproprietari, prima dell’intervenuta divisione: principio che, a parere del ricorrente, ben si attaglierebbe al caso di specie, giacché l’immobile, alla data della presentazione delle domande di condono, non era stato ancora oggetto di divisione.
Lamenta la pubblica accusa che tali gravi travisamenti hanno determinato un errore di diritto, allorché i giudici dell’esecuzione – in violazione dell’art. 676 cod. proc. pen. – hanno revocato l’ordine di demolizione, pur ricorrendo cause di non condonabilità assoluta e l’insussistenza di concessioni in sanatoria legittime.
Infine, secondo la prospettazione accusatoria, la decisione gravata risulterebbe altresì viziata da travisamento della prova, con riguardo al concetto di “ultimazione” del bene, ai fini dell’applicazione della legge sul condono edilizio, così come definito dall’art. 39 della legge. 724 del 1994 e interpretato dalla giurisprudenza penale e amministrativa. Si ribadisce che, dalla documentazione versata in atti e dall’istruttoria, espletata in sede di incidente di esecuzione, emerge, con evidenza, che l’immobile oggetto di R.E.S.A., alla data del 31 dicembre 1993, era costituito solo da pilastratura, solai e scala di collegamento ed era privo di tamponature; ciò che, all’opposto, equivale a dire che, non risultando, l’immobile, ultimato alla data predetta, esso non potrebbe considerarsi soggetto alla disciplina normativa dettata dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994.

3. In data 22 dicembre 2023, i difensori di Bellomo Angela e Bellomo Antonio hanno depositato una memoria, con la quale, condividendo, e specificando ulteriormente, le argomentazioni sostenute dall’ordinanza impugnata, ne ribadiscono la legittimità e chiedono che il ricorso venga rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
1.1. Sul punto, occorre, innanzitutto, premettere che la Corte di cassazione –Sez. 4, sentenza n. 10017 del 3 marzo 2021 – ha annullato l’ordinanza di revoca dell’ordine di demolizione delle opere abusive – emessa a seguito di un primo annullamento con rinvio, disposto con sentenza n. 12915 del 20 febbraio 2019 – oggetto del presente procedimento, con ulteriore rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’appello di Napoli, sul rilievo del difetto di legittimazione dei fratelli Bellomo alla presentazione delle due diverse istanze di condono. Nello specifico, i giudici di legittimità hanno ritenuto la predetta ordinanza lacunosa e apodittica, laddove ometteva di individuare adeguatamente i presupposti di fatto del possesso di distinte porzioni, del medesimo immobile, in capo a Bellomo Angela e Bellomo Antonio.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità – espressamente richiamata nella sentenza rescindente – infatti, non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l’unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l’espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando, invece, le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono ad esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015, Rv. 263639). Invero, sebbene il legislatore non ponga alcun divieto al frazionamento ovvero all’accorpamento di unità immobiliari, tuttavia, tali operazioni possono configurare ipotesi elusive dei limiti legali di consistenza degli immobili; di talché ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario facente capo ad un unico soggetto legittimato e le relative istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite ad una unica concessione in sanatoria, la quale dovrà riguardare lo stesso nella sua totalità. La regola è, pertanto, rappresentata dalla unicità della concessione edilizia per tutte le opere riguardanti un edificio o un complesso unitario, escludendosi la possibilità per lo stesso soggetto legittimato di servirsi di separate domande di sanatoria per aggirare il limite legale volumetrico, con la sola eccezione della consentita presentazione di una serie di istanze da parte di quanti sono i proprietari o i soggetti aventi titolo al momento della domanda, che abbia ad oggetto le sole porzioni di appartenenza, anche se comprese in una unica costruzione unitaria; ipotesi in cui la volumetria dovrà essere calcolata rispetto a ciascuna separata domanda di sanatoria, non potendosi comunque superare il limite complessivo di 3000 metri cubi (Sez. 4, n. 21284 del 5 aprile 2018). Analogamente si esprime la giurisprudenza amministrativa secondo la quale deve ritenersi illegittimo l’inoltro di diverse domande tutte imputabili ad un unico centro sostanziale di interesse, in quanto tale espediente rappresenta un evidente tentativo di aggirare i limiti consentiti per il condono relativamente al calcolo della volumetria consentita (Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2018, n. 5211; Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4483; Cons. Stato, Sez. VI, 05/09/2012 n. 4711). Dovrà, quindi, farsi riferimento all’unitarietà dell’immobile o del complesso immobiliare, ove sia stato realizzato l’abuso edilizio in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione dell’opera in più unità abitative, fatta salva l’ipotesi in cui porzioni della medesima costruzione costituiscano oggetto di diritto di diversi soggetti, ciascuno dei quali sarà legittimato a presentare istanza di sanatoria per la porzione allo stesso riferibile. Come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 302 del 1996, la possibilità (derogatoria e, come tale, di stretta interpretazione), prevista esclusivamente per le nuove costruzioni, di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, ritenendo legittima ed ammissibile la scissione della domanda di sanatoria riferita ad unico edificio (con la conseguente applicazione, a ciascuna domanda, del limite volumetrico dei 750 mc), vale soltanto nei casi in cui vi sono diversi soggetti legittimati per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo; ciò che può avvenire a seguito di alienazione o di singole opere da sanare, ai sensi dell’art. 31, primo comma, della legge n. 47 del 1985, di attribuzione del diritto di usufrutto o di abitazione (ad es. limitata a singola porzione di immobile) o del diritto personale di godimento, quando la legge o il contratto abiliti a fare le opere – come previsto dall’art. 31, terzo comma, in relazione all’art. 4 della legge n. 10 del 1977 – o quando vi sia un soggetto interessato al conseguimento della sanatoria, ex art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, come l’istituto di credito mutuatario, con ipoteca su singola porzione di immobile, il locatario o altri aventi titolo a godere della porzione di immobile. Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, pertanto, ogni edificio va inteso quale complesso unitario, qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera; qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile (ex multis, Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Rv. 269280; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, dep. 17/03/2014, Rv. 259292).
1.2. Ciò premesso, la Corte di cassazione, in sede rescindente, ha richiesto al giudice del rinvio un nuovo esame in ordine alla questione della legittimazione dei Bellomo alla presentazione di diverse ed autonome istanze di concessione in sanatoria, verificando, dunque, se effettivamente gli stessi avessero il possesso di specifiche porzioni dell’immobile o se, al contrario, ne avessero una mera disponibilità di fatto per tolleranza della madre; ciò che, a ben vedere, equivale ad operare un controllo relativo all’effettiva autonomia funzionale delle porzioni immobiliari, oggetto delle distinte istanze di condono presentate e, conseguentemente, afferente all’avvenuta ultimazione dell’immobile medesimo.
Ebbene, dalla lettura dell’ordinanza, emerge che – contrariamente a quanto prescritto dalla seconda sentenza rescindente – la Corte di appello di Napoli non si è confrontata con la questione, invero dirimente perché preliminare, dell’ultimazione dell’immobile oggetto di sequestro, allorché ha omesso qualsivoglia riferimento alla circostanza, pur specificamente documentata in atti – e, in questa sede, confermata anche da quanto dichiarato dalla difesa alle pagg. 7, 11, 14 e 19 della memoria depositata in data 22 dicembre 2023 – che, al momento della presentazione delle domande di concessione in sanatoria, l’immobile fosse sprovvisto delle tamponature; ciò che, conseguentemente, ha determinato un evidente travisamento della prova in ordine alla effettiva condonabilità. In altri termini, si sarebbe dovuto valutare se, alla data della presentazione della domanda di condono, le opere abusive non potessero ritenersi ultimate, dovendosi richiamare in proposito l’affermazione di questa Corte (ex plurimis, Sez. 3, n. 13641 del 15/11/2019, dep. 06/05/2020, Rv. 278784; Sez. 3, n. 8064 del 02/12/2008, Rv. 242740; Sez. 3, n. 26119 del 13/05/2004, Rv. 228696), secondo cui, in materia edilizia, la esecuzione di un immobile a “rustico” si intende riferita all’avvenuto completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno ricomprese le tamponature esterne, visto che queste determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria. Di talché emerge la contraddittorietà del provvedimento impugnato, laddove riconosce la sussistenza del possesso delle porzioni immobiliari – quale presupposto legittimante la presentazione, da parte dei fratelli Bellomo, di autonome domande di condono – in relazione ad un immobile che, ai sensi dell’art. 39, primo comma, della legge n. 724 del 1994, risulta ontologicamente non condonabile perché non ultimato alla data del 31 dicembre 1993.

2. Da quanto precede, consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Napoli, la quale si uniformerà ai principi di diritto sopra affermati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli.

Così deciso il 11/01/2024.