Cass. Sez. III n. 13834 del 5 aprile 2024 (UP 13 mar 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Meriano
Urbanistica.Applicabilità articolo 131bis codice penale

Nel caso di reati urbanistici o paesaggistici, i parametri di valutazione ai fini della applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. sono costituti: dalla consistenza dell’intervento abusivo (tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive); dalla destinazione dell’immobile; dall’incidenza sul carico urbanistico; dall’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e conseguente impossibilità di sanatoria; dall’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti; dalla totale assenza di titolo abilitativo o dal grado di difformità dallo stesso; dal rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente e dalle modalità di esecuzione dell’intervento. Possono costituire indici di particolare tenuità del fatto sia la modestia intrinseca dell'intervento edilizio, sia la condotta susseguente al reato, quale l'istanza di regolarizzazione del titolo edilizio. A tal fine può costituire oggetto di valutazione, quale condotta post-factum rilevante, anche la demolizione - o comunque rimozione - dell’abuso purché effettuata spontaneamente ed immediatamente dopo la contestazione, e non solo a seguito, ed in ottemperanza, all’ordinanza di demolizione adottata dal Comune. Rileva invece, quale indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto, la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali).


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15/02/2023, la Corte di appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di Savona del 09/03/2017, che, nel dichiarare non doversi procedere nei confronti di Paola Meriano, Massimo Terzi e Antonino Surace in ordine al reato di cui all’articolo 44, lettere b) e c), d.P.R. 380/2001 per intervenuta prescrizione, disponeva la confisca dei terreni in sequestro e delle opere abusive ivi contenute.

2. Avverso il provvedimento gli imputati Terzi e Meriano propongono, tramite il comune difensore, Avv. Andrea Vernazza, ricorso congiunto per cassazione. 
Con il primo e unico motivo lamentano violazione di legge in riferimento al «divieto di confisca» allorquando lo stato dei manufatti sia stato adeguato alla normativa edilizia del comune di residenza e vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza esclude che sia avvenuta la remissione in pristino dell’immobile.
In narrativa, poi, coltivano la violazione dell’articolo 131-bis cod. pen., sempre facendo riferimento all’avvenuta remissione in pristino, che avrebbe consentito di ricondurre il fatto alla «particolare tenuità».

CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
    1. Il ricorso è inammissibile.

    2. In primo luogo, il Collegio evidenzia come, mentre nell’intestazione il ricorso fa riferimento ad un presunto «divieto di confisca», nella parte narrativa coltiva una violazione dell’articolo 131-bis cod. pen., non consentendo al Collegio neppure di comprendere agevolmente quale sia il perimetro della deduzione. 
Non è infatti consentito rimettere alla corte l’interpretazione del ricorso al fine di attribuirli un senso, posto che lo scrutinio della Corte non riveste alcuna funzione maieutica delle censure formulate.
Ciò renderebbe di per sé i ricorsi inammissibili per difetto di specificità.

3. In ogni caso, il ricorso è anche manifestamente infondato, per le seguenti considerazioni.
3.1. Non vi è dubbio circa la applicabilità anche ai reati edilizi della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen., in quanto essa prevede (Corte cost., sent. n. 120 del 2019) «una generale causa di esclusione della punibilità che si raccorda con l’altrettanto generale presupposto dell’offensività della condotta, requisito indispensabile per la sanzionabilità penale di qualsiasi condotta in violazione di legge», che persegue (Sez. U., n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 – 01) finalità strettamente connesse ai principi di proporzione e di extrema ratio della risposta punitiva, con la realizzazione di effetti positivi anche sul piano deflattivo, attraverso la responsabilizzazione del giudice nella sua attività di valutazione in concreto della fattispecie sottoposta alla sua cognizione» ed il cui scopo primario (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591), è «quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo» (la relazione illustrativa del d. lgs. 28/2015 parla di «irrilevanza» del fatto).
Tale disposizione attraversa orizzontalmente tutta l’area del diritto penale sostanziale. Sul punto, Sez. U., n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, Rv. 279499, hanno stabilito che «l’istituto della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa non connette alla mera individuazione del bene giuridico protetto alcun rilievo ai fini del giudizio sull’utilità e necessità della pena. Al contrario, il legislatore ha affidato la selezione delle fattispecie alle quali è applicabile quella causa di non punibilità alla considerazione della gravità del reato, desunta dalla pena edittale, e della non abitualità del comportamento; mentre nessuno degli altri indicatori idonei ad escludere la particolare tenuità dell’offesa elencati al secondo comma dello stesso art. 131-bis ha diretto e generale riguardo al tipo di bene giuridico protetto».
Questa Corte ha, anche recentemente, ribadito (Sez. 3, n. 24396 del 20/01/2022, Cecco, n.m.) che, nel caso di reati urbanistici o paesaggistici, i parametri di valutazione ai fini della applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. sono costituti: dalla consistenza dell’intervento abusivo (tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive); dalla destinazione dell’immobile; dall’incidenza sul carico urbanistico; dall’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e conseguente impossibilità di sanatoria; dall’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti; dalla totale assenza di titolo abilitativo o dal grado di difformità dallo stesso; dal rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente e dalle modalità di esecuzione dell’intervento (ex multis Cass. Pen. III n. 19111 del 10/03/2016, n. 47039 del 08/10/2015).
Recentemente, dopo le modifiche introdotte all’articolo in parola ad opera della c.d. “Riforma Cartabia” (d.lgs. 150/2022), questa Corte ha ritenuto (Sez. 4, n. 38909 del 22/06/2023, Rapisarda, n.m.) che possano costituire indici di particolare tenuità del fatto sia la «modestia intrinseca dell'intervento edilizio», sia la condotta susseguente al reato, quale, nel caso di specie, l'istanza di regolarizzazione del titolo edilizio.
A tal fine, dopo la citata novella, può costituire oggetto di valutazione, quale condotta post-factum rilevante, anche la demolizione - o comunque rimozione - dell’abuso (Sez. 3, n. 4123 del 11/07/2017, dep. 2018, Zoccarato, Rv. 272039 - 01), purché, tuttavia effettuata spontaneamente ed immediatamente dopo la contestazione, e non solo a seguito, ed in ottemperanza, all’ordinanza di demolizione adottata dal Comune (Sez. 3, n. 13263 del 10/02/2021, Volpi, n.m.).
Per contro, la Corte (Sez. 3, n. 16979 del 24/03/2022, Ipito, n.m.) ha evidenziato la rilevanza, quale indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto, della «contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali)».
3.2. Nel caso di specie, la Corte d'appello ha motivato la mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. in ragione della «natura dell’interesse tutelato», motivazione che contraddice i principi sviluppati dalla Corte, anche nella sua massima composizione, analizzati in precedenza.
Tuttavia, secondo gli insegnamenti di questa Corte, in tema di «particolare tenuità del fatto», la motivazione può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice d'appello, per valutare la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado, abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate, Rv. 283420 – 01; Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, Rv. 275635 – 02)».
Nel caso di specie, a pag. 14 la corte territoriale ricostruisce il fatto nella sua materialità in termini di assoluta gravità, anche sotto il profilo psicologico.
Si evidenzia, infatti, che quello realizzato è un intervento di nuova costruzione che ha prodotto un fabbricato totalmente difforme anche nelle caratteristiche volumetriche da quello originario; che l'abuso si è consumato in una zona del territorio comunale destinata ad attività agricola, mentre la legge regionale e gli strumenti urbanistici autorizzavano tale tipo di intervento, con specifiche prescrizioni, solo in ragione di tale attività.
La vicenda rivela un atteggiamento di meditata preordinazione di un intervento a fini speculativi: l'acquisto del rustico nel 2003 è stato seguito da un ampliamento e una richiesta di condono nel 2004; il 2005 è stato chiesto un permesso di costruire; il progetto originario è stato modificato con creazione di due unità abitative; appena emesso il condono nel 2009, senza neppure attendere il fine lavori i comproprietari hanno sciolto la comunione suddividendoli l'immobile e le sue pertinenza (ciò che fa già intravedere l'intento lottizzatorio), visto che nell'immediatezza è seguita la vendita a Meriano e Terzi, che hanno trasformato parte del magazzino e la vasca irrigua in immobili ad uso abitativo, ponendoli in vendita come tali anche se gli atti di alienazione fanno riferimento a magazzini (circostanza contraddetta sia dal prezzo di vendita che dagli annunci immobiliari).
Appare quindi evidente come la Corte di appello, al di là di formali enunciazioni di principio, abbia valutato nella sua oggettiva e soggettiva consistenza il fatto in esame, escludendo implicitamente, per come visto, che esso possa essere ricondotto alla ipotesi di particolare tenuità.
I ricorsi non si confrontano con la sentenza impugnata in modo realmente critico, proponendo una lettura atomistica della stessa e risultando, di tal guisa, inammissibili.

P.Q.M. 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/03/2024.