Cass. Sez. III n. 14228 del 1 aprile 2009 (Ud. 28 gen. 2009)
Pres. Lupo Est. Marmo Ric. Caresia
Urbanistica Disapplicazione PRG

Dalla congiunta lettura degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, abolitiva del contenzioso amministrativo, si evince che il potere dovere del giudice penale di disapplicare gli atti amministrativi non conformi a legge si esercita con riguardo non solo a quelli, fra tali atti, che diano luogo all’estinzione o alla modifica di diritti soggettivi, ma anche a quelli, come le concessioni o le autorizzazioni, che costituiscono diritti soggettivi o rimuovono ostacoli al loro esercizio. Il potere di disapplicazione può avere per oggetto anche le disposizioni del piano regolatore generale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 28/01/2009
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 00221
Dott. MARMO Margherita - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 029536/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CARESIA WALTER, N. il 11/08/1967;
avverso la SENTENZA del 19/03/2008 CORTE APPELLO di TRENTO;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARMO MARGHERITA;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BUA Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avvocato BAGGIA MONICA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 25 maggio 2007 il Tribunale di Trento dichiarava Walter Caresia responsabile della contravvenzione prevista e punita dal D.Lgs. n. 82 del 2004, art. 181 perché, in area paesaggisticamente vincolata, sita in Fornace, in concorso con il comproprietario dell'area Simone Caresia e con gli affittuari Sulejmani Severi e Sulejmani Nuredin, aveva realizzato, senza autorizzazione paesaggistica, un deposito di materiali porfirici a servizio dell'attività di lavorazione del porfido svolta in area contigua. (per fatto avvenuto in Fornace in data anteriore e prossima al 10 luglio 2004) e condannava l'imputato alla pena di tre mesi di arresto ed Euro 16.000,00 di ammenda, dichiarando la pena interamente condonata ed ordinando il ripristino dello stato dei luoghi.
Con sentenza pronunciata il 19 marzo 2008 la Corte di Appello di Trento confermava la sentenza del Tribunale impugnata dagli imputati. Ha proposto ricorso per cassazione il Caresia chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento ad atti del processo, la violazione o l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 con riferimento alla L.P. Trento 5 settembre 1991, n. 22, art. 41, alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 11 e alla L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, allegato E.
Deduce il ricorrente che nella motivazione della sentenza impugnata la Corte di Appello di Trento aveva riprodotto l'errata ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado, omettendo di verificare, come richiesto da esso imputato, se tale ricostruzione fosse o meno in assoluta contraddizione con quanto provato nel corso del giudizio ed omettendo ogni motivazione in proposito. Rileva in proposito il Caresia che egli aveva provato, nel corso del giudizio di primo grado, che l'attività produttiva svolta sull'area di sua proprietà era stata regolarmente autorizzata sin dal 1979 e che le diverse fasi della lavorazione del porfido e del deposito del materiale lavorato avvenivano nell'ambito di due zone diverse della stessa superficie di terreno, classificata quale estrattiva e sottoposta, per intero, a vincolo di destinazione dal piano regolatore generale adottato nel 1997 dal Comune di Fornace, definitivamente approvato dalla Provincia Autonoma di Trento ed entrato in vigore nell'anno 2000.
Il Tribunale e la Corte di Appello avevano invece ritenuto, erroneamente, che la superficie in esame fosse concretamente suddivisa in due diversi e distinti settori: una parte, (sovrastante), lecitamente adibita alla lavorazione del porfido sin dal 1979 ed il piazzale, sottostante, utilizzato illegittimamente per il deposito del materiale dagli anni 70 sino all'imposizione del vincolo paesistico.
Da tale erroneo presupposto era derivata la condanna di esso imputato con riferimento alla sola attività di deposito di materiale esercitata nell'area suddetta.
L'assunto, secondo il ricorrente, era invece categoricamente smentito dal contenuto degli atti relativi al procedimento amministrativo di rilascio della autorizzazione all'attività estrattiva da parte del Comune di Fornace. Tali atti erano stati messi a disposizione del giudice di merito nel corso del giudizio di primo grado ed erano stati allegati al ricorso.
Rileva il Caresia che dalla lettura della relazione tecnica allegata alla domanda di autorizzazione e dal provvedimento di autorizzazione del 1979 si evinceva chiaramente che la richiesta e l'autorizzazione si riferivano a tutta l'area di proprietà di Augusto Caresia, padre dell'imputato, e non ad una sola parte dell'area.
Ricorda il ricorrente che il provvedimento era stato rilasciato solo il 16 novembre 1979, a seguito dell'accoglimento del ricorso avverso l'iniziale diniego da parte della Giunta Provinciale di Trento. Il Comune di Fornace aveva inoltre concesso l'autorizzazione alla risistemazione dell'intera area ai fini del suo utilizzo per la descritta attività produttiva, escludendo, peraltro, da tale autorizzazione, la richiesta esecuzione di una tettoia necessaria alla protezione dei macchinari.
Esso ricorrente aveva effettuato abusivamente tale tettoia e, nel dicembre 1986, aveva inoltrato la richiesta del condono edilizio con esclusivo riferimento a tale opera.
Nel 1997 il Comune di Fornace aveva adottato un nuovo piano regolatore generale, (approvato definitivamente dalla Provincia Autonoma di Trento nel 2000), e con tale strumento aveva modificato la destinazione di tutta l'area imponendo sulla stessa un vincolo paesaggistico. Ritiene il ricorrente che qualora la Corte Territoriale avesse ricostruito la vicenda nei suoi esatti termini avrebbe dovuto escludere la responsabilità di esso imputato, atteso che lo strumento di pianificazione non può avere efficacia retroattiva e non può andare ad incidere, se non espressamente previsto, su interventi preesistenti.
Rileva in proposito il Caresia che la L.P. Trento 5 settembre 1991, n. 22, art. 41 che disciplina l'approvazione e l'entrata in vigore del piano regolatore generale, ricalcando ed esplicitando quanto previsto dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 11, comma 5 prevede espressamente che il piano regolatore generale entra in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della delibera di approvazione sul bollettino ufficiale della Regione. Rileva inoltre il ricorrente che qualora si ritenesse invece che i vincoli paesaggistici imposti dal Comune nel 2000 siano destinati a svuotare di fatto il diritto di proprietà del singolo, troverebbero applicazione le norme che prevedono l'espropriazione del bene dietro pagamento di un equo indennizzo od altre misure compensatorie volte a tutelare il cittadino.
In altri termini il ricorrente deduce che la classificazione imposta dal nuovo piano regolatore del Comune di Fornace, entrato in vigore nel 2000, non poteva incidere sull'attività di lavorazione e di deposito del porfido svolta su di essa e regolarmente autorizzata sin dal 1979 e che qualora il Comune avesse inteso inibire tale attività, avrebbe dovuto attivare un procedimento amministrativo di espropriazione e non inibire il proseguimento dell'attività di lavorazione del porfido.
Il Comune di Fornace aveva invece trovato una soluzione di compromesso, in quanto, chiamato a pronunciarsi soltanto sulla domanda di condono edilizio in ordine alla tettoia abusiva, aveva inserito nel provvedimento di concessione una prescrizione ultronea rispetto al provvedimento richiesto, del seguente tenore: "il condono edilizio è rilasciato esclusivamente per le opere richieste ma non per l'utilizzo dell'area sottostante a scopi produttivi, in quanto la stessa risulta classificata come area a bosco nel vigente piano regolatore".
Tale prescrizione non aveva alcuna attinenza con la realizzazione abusiva della tettoia e pretendeva di poter incidere sull'attività di deposito del materiale legittimamente svolta.
Osserva ancora il ricorrente che, qualora si fosse voluto interpretare, nella citata prescrizione del Comune, la fonte dell'illiceità della condotta di esso ricorrente, l'atto amministrativo avrebbe dovuto essere disapplicato dal giudice penale sotto il profilo dell'eccesso di potere.
Il Comune, infatti, esorbitando i limiti della sua cognizione e dei suoi poteri in relazione a quanto richiesto, sarebbe andato ad incidere negativamente sul diritto dell'imputato di continuare ad utilizzare quell'area da lungo tempo utilizzata per la lavorazione del porfido, senza addurre una qualche motivazione e senza neppure munirsi del parere obbligatorio degli organi comunali e provinciali preposti alla tutela del vincolo.
La Corte Territoriale a fronte di tali rilievi aveva erroneamente ritenuto che non fosse sindacabile dal giudice ordinario il provvedimento amministrativo e non aveva risposto alla tesi dell'appellante secondo cui il deposito del porfido era stato regolarmente autorizzato sin dal 1979 su tutta l'area. Rileva il Collegio che il motivo è fondato.
La sentenza è infatti, in primo luogo, viziata da errore di diritto, nella parte in cui la Corte di merito ha affermato che "non è consentita al giudice la disapplicazione dell'atto normativo generale, essendo precluso il sindacato dell'autorità giudiziaria ordinaria sull'esercizio della discrezionalità tecnico amministrativa da parte dei pubblici poteri preposti". Come ha in proposito affermato questa Corte (v. per tutte Cass. pen. sent 18 giugno 1999, n. 2304) "dalla congiunta lettura dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E, abolitiva del contenzioso amministrativo, si evince che il potere dovere del giudice penale di disapplicare gli atti amministrativi non conformi a legge si esercita con riguardo non solo a quelli, tra tali atti, che diano luogo all'estinzione o alla modifica di diritti soggettivi, ma anche a quelli, come le concessioni o le autorizzazioni, che costituiscono diritti soggettivi o rimuovono ostacoli al loro esercizio". Va aggiunto che il potere del giudice penale di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi che comportino una lesione dei diritti soggettivi è stato recentemente riaffermato da questa Corte, (v. sent. pen. sez. 4, nella sentenza n. 38824 del 17 febbraio 2008). Il potere di disapplicazione può avere per oggetto anche le disposizioni del piano regolatore generale.
Il giudice di merito, quindi, a fronte dei rilievi dell'imputato, avrebbe dovuto verificare quale fosse la portata del provvedimento di autorizzazione all'esercizio della cava di porfido rilasciato nel 1979 al dante causa del Caresia e se e in quali limiti il piano regolatore successivo del 1997, entrato in vigore nel 2000, fosse idoneo ad incidere legittimamente su tale provvedimento autorizzativo.
Avrebbe inoltre dovuto verificare la legittimità del provvedimento con cui il Comune, a fronte della richiesta di condono inoltrata dall'imputato per la tettoia abusivamente costruita, aveva inibito il proseguimento dell'attività di lavorazione del porfido anche nell'area oggetto della precedente concessione del 1979. La sentenza impugnata è invece assente di motivazione anche in ordine alla tesi difensiva secondo cui la lavorazione del porfido era stata regolarmente autorizzata dalla pubblica amministrazione su tutta l'area oggetto della lavorazione del porfido e del deposito del materiale sin dal 1979, e non soltanto su parte di tale area. Va pertanto annullata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna, sezione distaccata di Bolzano per nuovo esame alla luce dei principio di diritto sopra enunciato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2009