Cass. Sez. III n. 14237 del 16 aprile 2021 (UD 20 gen 2021)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Quaranta  
Urbanistica.Disciplina penale in materia di opere a struttura metallica

La disciplina penale in materia di opere a struttura metallica, prevista dall'art. 64, d.P.R. n. 380 del 2001, si applica soltanto quando la statica delle opere eseguite è assicurata da elementi strutturali in acciaio o in altri metalli con funzione portante. Sono pertanto escluse dalla disciplina penale le strutture che, secondo la lettera dell’art. 53, d.P.R. n. 380 del 2001, non assolvono ad una funzione statica e quelle costituite da un'unica struttura, come le membrature singole e gli elementi costruttivi che assolvano ad una funzione di limitata importanza nel contesto statico del manufatto


RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il sig. Salvatore Quaranta ricorre per l’annullamento della sentenza del 04/06/2020 del Tribunale di Catania che lo ha dichiarato colpevole dei reati di cui agli artt. 64 e 71, d.P.R. n. 380 del 2001 (capo B), 65 e 72, d.P.R. n. 380 del 2001 (capo C), 93, comma 1, 94, comma 1, 95, d.P.R. n. 380 del 2001 (capo D) e, ritenuta la continuazione, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa,  di 1.700,00 euro di ammenda.
        1.1. Con unico motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e/o l’erronea applicazione delle norme incriminatrici nonché il travisamento del fatto e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Deduce, a tal fine, che gli interventi edilizi oggetto di contestazione non riguardavano i preesistenti elementi strutturali dell’edificio, non modificato in nessuna delle sue parti essenziali e sostanziali, essendosi trattato solo ed esclusivamente di un intervento di qualificazione estetica, come si evince dalle dichiarazioni rese in dibattimento dall’ispettore capo della polizia municipale, Francesco Cocina, e dall’arch. Andrea Abbadessa, nonché dalla relazione tecnica redatta da quest’ultimo, del tutto travisate.
Quanto all’elemento soggettivo deduce, soprattutto con riferimento al capo b), la mancata considerazione del fatto che, in quanto imprenditore nel settore della ristorazione, aveva dato incarico ad un tecnico abilitato per richiedere ed ottenere dagli enti preposti tutte le autorizzazioni necessarie.

    2. Il ricorso è inammissibile.

    3. Osserva il Collegio:
        3.1. il capo A della rubrica imputa al ricorrente la realizzazione: 1) di una «struttura chiusa in acciaio, con pilastrini e travi rivestiti in muratura in cartongesso per esterni, completa di porte in acciaio e vetri, nonché di copertura realizzata con sistema di chiusura comandata di tendaggi retrattili, delle dimensioni di mt. 4,00 x 18,00»; 2) di un ulteriore «manufatto con copertura a tenda e con base in pedane di legno, completo di paretine esterne, sempre in legno, e chiusura verticale traslucida realizzata con materiali plastici»; 3) di una «nuova apertura sulla parete perimetrale che poneva in collegamento il manufatto di cui al superiore punto 2 con la restante parte dell’immobile, con conseguente modifica del prospetto»;
        3.2. i capi B e C gli imputano di aver realizzato le «opere in struttura metallica descritte al superiore capo A)» senza averle prima denunciate al Genio Civile, in assenza di un progetto esecutivo redatto da un tecnico abilitato e senza la direzione di quest’ultimo; il capo D gli imputa la realizzazione di tutte le opere di cui al capo A in assenza di autorizzazione e di preventiva comunicazione all’ufficio del Genio Civile, in assenza di un progetto esecutivo redatto da un tecnico abilitato e senza la direzione di quest’ultimo;
        3.3. ancorché l’unico motivo di ricorso richiami, nel titolo, anche il capo D della rubrica, le deduzioni difensive si concentrano esclusivamente sulla inapplicabilità ai lavori in contestazione della disciplina in materia di opere in conglomerato cementizio armato e in struttura metallica; sicché, in relazione a questo capo di imputazione, non risultano devolute specifiche censure con conseguente inammissibilità del ricorso ‘in parte qua’;
        3.4. dalla descrizione del fatto, così come contestato, si evince che l’opera in struttura metallica indicata al numero 1 del capo A era stabilmente adibita ad attività di ristorazione («uno spazio perfettamente arredato con sedie e tavolini per la consumazione e ripiani e tavoli a supporto dell’attività ristorativa»); si trattava - afferma il Tribunale - di una «struttura (…) di tipo non amovibile, realizzata con scatolari in ferro»; anche quella indicata al n. 2 era stata realizzata «mediante struttura metallica ancorata al terreno a mezzo bulloni, cartongesso e pedana di legno»;
        3.5. secondo il costante insegnamento di questa Corte di cassazione, la disciplina penale in materia di opere a struttura metallica, prevista dall'art. 64, d.P.R. n. 380 del 2001, si applica soltanto quando la statica delle opere eseguite è assicurata da elementi strutturali in acciaio o in altri metalli con funzione portante (Sez. 3, n. 56067 del 19/09/2017, Rv. 271810 - 01; Sez. 3, n. 17022 dell’11/03/2014, Rv. 259183 - 01; Sez. 3, n. 38405 del 09/07/2008, Rv. 241289 - 01); sono pertanto escluse dalla disciplina penale le strutture che, secondo la lettera dell’art. 53, d.P.R. n. 380 del 2001, non assolvono ad una funzione statica (Sez. 3, n. 24237 del 24/03/2010, Rv. 247688 - 01) e quelle costituite da un'unica struttura (Sez. 3, n. 12164 del 09/10/1998, Rv. 212177 - 01), come le membrature singole e gli elementi costruttivi che assolvano ad una funzione di limitata importanza nel contesto statico del manufatto (Sez. 3, n. 6588 del 17/11/2011, Rv. 252032 - 01);
        3.6. stando alla sentenza, la staticità dei manufatti per cui è processo, peraltro di non modeste dimensioni, risultava assicurata da una struttura di metallo con conseguente corretta applicazione degli artt. 71 e 72, d.P.R. n. 380 del 2001;
        3.7. il ricorrente sostiene che i lavori non hanno riguardato in alcun modo i preesistenti elementi strutturali dell’edificio e deduce al riguardo il travisamento del fatto;
        3.8. la deduzione è mal posta e totalmente infondata;
        3.9. il travisamento della prova è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499); il travisamento consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede; in particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Si tratta di un vizio che rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato);
        3.10. orbene, il Tribunale non ha mai affermato che i lavori oggetto di contestazione avessero interessato le strutture portanti dell’edificio preesistente; al contrario, si trattava di nuove opere realizzate all’esterno del manufatto, una delle quali collegata ad esso da una nuova apertura, per le quali, è bene ricordare, il ricorrente aveva ottenuto i relativi titoli edilizi in sanatoria;
        3.11. il dedotto travisamento, dunque, non coglie nel segno con conseguente inammissibilità delle relative deduzioni volte a cogliere l’aspetto valutativo, piuttosto che percettivo delle prove assunte nel corso del giudizio;
        3.12. peraltro il ricorrente, astraendo dalla ‘ratio decidendi’, che si nutre dell’apporto dichiarativo di più testimoni, deduce il travisamento delle sole dichiarazioni del CT della difesa, senza indicare in che parte sarebbero state travisate le dichiarazioni rese dall’ispettore capo della PM che sono allegate al ricorso ma il cui contenuto non viene in alcun modo richiamato nel corpo del ricorso;
        3.13. del tutto infondata è la deduzione relativa alla mancanza dell’elemento soggettivo che confonde il piano della responsabilità diretta del costruttore, non eludibile mediante delega ad un professionista ancorché qualificato, con quello della buona fede nelle contravvenzioni, scusabile solo in presenza di comportamenti della pubblica amministrazione o di orientamenti della giurisprudenza oggettivamente instabili, in assenza dei quali la certezza della legittimità del proprio operato, frutto di personale convincimento, si traduce nella inammissibile deduzione dell’errore di diritto.

        4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20/01/2021.