Cass. Sez. III n. 54692 del 7 dicembre 2018 (Ud 2 ott 2018)
Pres. Andreazza Est. Reynaud Ric. Barletta
Urbanistica.Elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici

L’art. 6 dpr 380\01 che tra le attività di edilizia libera non assoggettate ad alcun titolo abilitativo, contempla «gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici» (art. 6, comma 1, lett. e quinquies, d.P.R. 380 del 2001) - dev’essere coordinata con il principio contenuto nel precedente art. 3, comma 1, lett. e.1), sicché essa non si riferisce a strutture che ampliano il preesistente edificio, ma, come la descrizione della fattispecie peraltro precisa, a manufatti separati, realizzati a servizio dello stesso nelle aree pertinenziali. E proprio a questi si riferisce il c.d. “glossario” delle opere libere contenuto nel d.m. 2 marzo 2018 , che riconduce a tale categoria il gazebo ed il pergolato, purché il manufatto sia «di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo».


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4 dicembre 2017, la Corte d’appello di Lecce - giudicando sull’appello proposto dall’odierno ricorrente - ha confermato la sentenza con cui Cosimo Barletta era stato condannato alle pene di legge per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e  181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per aver abusivamente realizzato, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico del centro storico, senza permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica, una tettoia a copertura dell’intero  terrazzo di un preesistente edificio.

2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore  dell’imputato, deducendo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 181 d.lgs. 42 del 2004 ed il vizio di motivazione. Ci si duole, in particolare, del fatto che sia stata ritenuta la sussistenza dei reati benché l’opera – di natura pertinenziale, facilmente rimovibile, improduttiva di aumento di volumi e superfici coperte e di alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio – non potesse ritenersi assoggettata al previo rilascio del permesso di costruire e della autorizzazione paesaggistica. Si tratterebbe – rileva il ricorrente – di un mero arredo esterno, di riparo e protezione, riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.P.R. 380 del 2001, come peraltro attestato, trattandosi di opera riconducibile al genus delle tettoie o gazebo, dal d.m. 2 marzo 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
    
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
    Secondo il consolidato orientamento di questa Corte – che va ribadito - in materia di reati edilizi, l'ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell'edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato (Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272077; Sez. 3, n. 20349 del 16/03/2010, Catania, Rv. 247108; Sez. 3, n. 28504 del 29/05/2007, Rossi, Rv. 237138). La pertinenza – cioè – richiede che si tratti di un manufatto distinto e separato da quello principale a cui è asservito, essendovi in caso contrario ampliamento dell’edificio che, laddove avvenga «all’esterno della sagoma esistente» è da considerarsi intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1), d.P.R. 380 del 2001, assoggettato a permesso di costruire ai sensi del successivo art. 10, comma 1, lett. a). Per questo la giurisprudenza ha sempre ritenuto necessario detto provvedimento (o la previgente concessione edilizia) nel caso, ad es., di trasformazione di balconi in verande (Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013, dep. 2014, Summa, Rv. 258295; Sez. 3, n. 35011 del 26/04/2007, Camarda, Rv. 237532; Sez. 3, n. 45588 del 28/10/2004, D’Aurelio, Rv. 230419), di tettoie realizzate sul lastrico solare (Sez. 3, n. 29252 del 05/05/2017, Luongo, Rv. 270435; Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino, Rv. 247628; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232363), di porticato addossato ad un fabbricato (Sez. 3, n. 33657 del 12/07/2006, Rossi, Rv. 235382; Sez. 3, n. 8521 del 17/03/2000, Capone, Rv. 217363; Sez. 3, n. 7613 del 06/05/1994, Petrillo, Rv. 198409).
    In tali casi – cui quello di specie è certamente riconducibile – oltre alla modifica della sagoma, che è costituita dalla conformazione planovolumetrica della costruzione e dal suo perimetro, inteso sia in senso verticale che orizzontale (Sez. 3, n. 45588 del 28/10/2004, D’Aurelio, Rv. 230419), si determina quantomeno l’aumento della superficie coperta, né la necessità del permesso di costruire, per consolidata giurisprudenza, può farsi dipendere dalla natura dei materiali utilizzati o dalla più o meno facile amovibilità della struttura (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 37572 del 14/05/2013,Doppiù e a., Rv. 256511; Sez. 3, n. 22054 del 25/02/2009, Frank, Rv. 243710).  
    
    2. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi, dando atto che il manufatto abusivamente realizzato era costituito da una struttura in legno, costituita da dieci pilastri verticali e da travi di appoggio orizzontali, di apprezzabili dimensioni (circa mq. 47 per un altezza media di m. 2,50), che ricopriva l’intero lastrico solare.
    L’opera, dunque, era certamente soggetta al rilascio del permesso di costruire e, stante il pacifico vincolo paesaggistico, anche della relativa autorizzazione.
    
3. Quanto al primo aspetto, deve ancora osservarsi come sia manifestamente infondato il rilievo contenuto in ricorso, secondo cui si tratterebbe di un mero arredo esterno, di riparo e protezione, riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.P.R. 380 del 2001, ciò che sarebbe stato attestato, trattandosi opera riconducibile al genus delle tettoie o gazebo, dal d.m. 2 marzo 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione.
    Ed invero, la disposizione richiamata – che tra le attività di edilizia libera non assoggettate ad alcun titolo abilitativo, contempla «gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici» (art. 6, comma 1, lett. e quinquies, d.P.R. 380 del 2001) - dev’essere coordinata con il principio contenuto nel precedente art. 3, comma 1, lett. e.1), sicché essa non si riferisce a strutture che ampliano il preesistente edificio, ma, come la descrizione della fattispecie peraltro precisa, a manufatti separati, realizzati a servizio dello stesso nelle aree pertinenziali. E proprio a questi si riferisce il c.d. “glossario” delle opere libere contenuto nel d.m. 2 marzo 2018 richiamato in ricorso, che riconduce a tale categoria il gazebo ed il pergolato, purché il manufatto sia «di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo».

4. Quanto al reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, è noto che, trattandosi di reato di pericolo, non si richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l'ambiente, essendo sufficiente l'esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato (Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289; Sez. 3, n. 6299 del 15/01/2013, Simeon e a., Rv. 254493), tali certamente essendo gli interventi che incidano sull'aspetto esteriore degli edifici (Sez. 3, del 21/06/2011, Fanciulli, Rv. 251244), come avvenuto con l’ampliamento effettuato nel caso di specie.
Che, poi, la realizzazione di tettoie su beni paesaggisticamente vincolati in assenza di autorizzazione integri la contravvenzione di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. 42 del 2004 è stato anche di recente affermato (Sez. 3, n. 2288 del 28/11/2017, dep. 2018, Esposito e a., Rv. 272487) e la conclusione trova conferma nel recente d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (“Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”), che ribadisce come anche detti manufatti siano assoggettati al rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 146 dello stesso Codice, sia pur prevedendo una procedura semplificata laddove gli stessi abbiano contenute dimensioni. L’Allegato B al suddetto decreto – che individua gli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica da rilasciarsi con procedura semplificata – contempla infatti, al punto B.17, la  «realizzazione di tettoie, porticati, chioschi da giardino di natura permanente e manufatti  consimili aperti  su  più  lati, aventi una superficie non superiore a 30 mq». Non è revocabile in dubbio, dunque, che l’intervento oggetto di giudizio richiedesse anche la previa valutazione della compatibilità paesaggistica, non essendo neppure adottabile la procedura semplificata per essere la superficie, come detto, superiore a 30 mq.

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,  consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 2 ottobre 2018.