Cass. Sez. III n. 14645 del 9 aprile 2024 (CC13 mar 2024)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. Erbasecca
Urbanistica.Fiscalizzazione abuso
In tema di reati edilizi, la possibilità di non eseguire la demolizione qualora possa derivarne pregiudizio per la porzione di fabbricato non abusiva, secondo la procedura di cd. "fiscalizzazione" di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, riguarda le sole ipotesi di parziale difformità (al netto del limite di tolleranza individuato dall'ultimo comma dell'articolo citato: abrogato dall'articolo 10, comma 1, lettera o), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120, n.d.r.) fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato, rimanendo invece esclusa nel caso in cui le opere eseguite siano del tutto sprovviste del necessario assenso amministrativo.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20 settembre 2023, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Catania rigettava l’istanza proposta nell’interesse di ERBASECCA SANTINA ed ERBASECCA ANGELA LETIZIA volta ad ottenere la revoca o, in subordine, la sospensione dell’ordine di demolizione ingiunto con provvedimento del PM di Catania, in esecuzione della sentenza del 24 marzo 2021, irr. 16 settembre 2021, per violazione della normativa edilizia relativamente alle opere realizzate in zona dichiarata sismica, opere eseguite senza autorizzazione e consistenti nella demolizione di un preesistente immobile a due elevazioni fuori terra e successiva realizzazione di un manufatto a tre elevazioni fuori terra, occupante l’intero lotto e avente struttura portante in cemento armato con tamponamenti esterni e tramezzature interne in blocchi laterizi, copertura a due falde inclinate e tegole.
2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, le predette hanno proposto congiunto ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 33, comma 2, 34, comma 2, TU Edilizia e 666, comma 5, cod. proc. pen.
In sintesi, si duole la difesa delle ricorrenti per aver il giudice dell'esecuzione affermato la inapplicabilità della procedura di fiscalizzazione dell'illecito edilizio nonostante la dedotta e comprovata impossibilità tecnica e materiale di procedere alla demolizione delle opere abusive realizzate senza pregiudizio per la parte legittima e per gli edifici attigui, atteso che l'edificio di cui viene ingiunta la demolizione costituisce il prodotto della ristrutturazione di un immobile preesistente anteriore al 1967, regolare dal punto di vista urbanistico. Diversamente da quanto affermato dal giudice che ha ritenuto le opere totalmente difformi e mai supportate da titolo edilizio, i lavori effettuati sarebbero riconducibili nella loro oggettività alla fattispecie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo nonché della ristrutturazione edilizia. Si tratterebbe di una struttura fatiscente, logorata dal tempo e dagli eventi atmosferici, avente la medesima destinazione d'uso di quella originaria, attraverso un intervento di conservazione del manufatto originario, nella prospettiva di consentire la prosecuzione della funzione per cui era stata realizzata quella preesistente. La volumetria realizzata, quindi, non sarebbe suscettibile di utilizzazione autonoma ed i volumi aggiunti rappresenterebbero un unicum strutturale con quelli preesistenti. Richiamato quanto esposto in una consulenza tecnica allegata agli atti, la difesa sostiene che i manufatti in questione potrebbero essere considerati come nuova costruzione solo con riferimento al garage, alla scala condominiale ed ai vani realizzati in quello che in precedenza era il cortile di pertinenza esclusiva dell'immobile ubicato al piano terra. Per questa ragione la demolizione non potrebbe essere effettuata esclusivamente per i volumi eccedenti in quanto l'unitarietà dell'opera realizzata ne impedirebbe la sua esecuzione, giacché da quest'ultima deriverebbe un ingiusto pregiudizio alla parte di immobile non abusivo, con gravissimo danneggiamento e perdita della funzione cui è preordinato. Richiamate le conclusioni contenute nella consulenza tecnica di parte redatta dall'architetto Messina, la difesa ribadisce come la demolizione delle opere dichiaratamente abusive sarebbe oggettivamente impossibile in quanto incidente sulla stabilità dell'opera legittima e degli edifici attigui. Sarebbe quindi evidente nell'ipotesi in esame la sussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 34 del testo unico dell’edilizia, tenendo conto del pregiudizio correlato alla pericolosità dell'intervento di demolizione in relazione ai profili statici dell'immobile e quindi al pericolo di crollo della restante parte del manufatto, una volta eseguita la demolizione della parte realizzata abusivamente. Emergerebbe quindi l'impossibilità oggettiva e assoluta di isolamento delle parti abusive dalle parti conformi, quanto dagli edifici allo stesso immediatamente attigui, i quali subirebbero un irrimediabile danneggiamento e pericolo di crollo. L'ordinanza inoltre avrebbe ignorato la consulenza tecnica dell'architetto Messina che riferiva in maniera dettagliata sulle condizioni di conservazione e di stabilità della struttura da demolire e degli immobili ad essa adiacenti. In particolare, da tale elaborato tecnico emergerebbe come la condizione di compattezza muraria determina che gli edifici attivi, scaricando il peso degli elementi di cui si compongono sul muro dell'immobile in oggetto, si assicurino la staticità necessaria, la quale di converso verrebbe irrimediabilmente travolta in caso di demolizione. In ogni caso, aggiunge la difesa, la inesistenza di vincoli di ordine paesaggistico avrebbe comunque dovuto indurre il giudice quantomeno all’applicazione della procedura di cui all'articolo 33, secondo comma, del Testo unico dell'edilizia trattandosi di attività qualificabili come “ristrutturazione edilizia”. Nessuna attività istruttoria di approfondimento quanto al pregiudizio arrecato dalla demolizione dell'immobile sarebbe stata disposta, con apodittico rigetto delle richieste formulate da parte delle istanti. Conseguentemente la demolizione del manufatto abusivo, oltre che altamente pregiudizievole e determinante imminente pericolo per le parti legittime dell'edificio medesimo e per gli immobili attigui, determinerebbe anche una lesione del territorio circostante, favorendone lo stato di degrado ai danni del recupero edilizio effettuato.
2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 14, L.R. Sicilia n. 16 del 2016 e 10-bis, legge n. 241 del 1990.
In sintesi, si duole la difesa delle ricorrenti per essere stata rigettata la richiesta di revoca o, in subordine, di sospensione dell'ordine di demolizione, nonostante la pendenza della procedura amministrativa prevista dall'articolo 14 della Legge regionale Sicilia n. 16 del 2016. In particolare, erroneamente i giudici avrebbero qualificato come atto decisorio il provvedimento interlocutorio del Comune emesso il 29 giugno 2023 che invece si colloca nel segmento pre-decisorio che anticipa l'adozione del provvedimento finale ai sensi dell'articolo 10-bis della l. n. 241 del 1990. Il giudice dell'esecuzione avrebbe quindi errato nel ritenere improcedibile l'istanza di permesso di costruire in sanatoria sulla base di un atto endoprocedimentale non definitivo emesso dalla Pubblica Amministrazione, in quanto avrebbe omesso di considerare la natura dell'atto e le sue finalità e garanzie partecipative. Lo stato di dipendenza della procedura di sanatoria nell'ambito della conferenza dei servizi e il dialogo effettivo previsto dall'articolo 10-bis citato, instaurato in virtù della richiamata comunicazione di chiusura della conferenza dei servizi, si porrebbero quindi in netto contrasto con il rigetto dell'istanza da parte del giudice dell'esecuzione. Trattandosi di abuso formale, sarebbe quindi ragionevolmente probabile che nell'arco di breve tempo la conferenza dei servizi, condividendo le nuove osservazioni depositate dalla difesa tecnica delle ricorrenti, si possa concludere con esito positivo. L’esperita procedura rappresenta dunque, ai sensi della normativa regionale, il titolo autorizzativo necessario per poter regolarizzare l'edificio realizzato in assenza di permesso di costruire ovvero in difformità dallo stesso o in assenza di segnalazione certificata di inizio attività o in difformità da quest’ultima.
2.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di motivazione in merito alla mancata valutazione dei rilievi contenuti nella documentazione prodotta dalle parti e nella perizia tecnica depositata in sede di incidente di esecuzione.
In sintesi, si duole la difesa delle ricorrenti sostenendo che il giudice dell’esecuzione, nell’omettere di fatto una compiuta valutazione delle deduzioni difensive, avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti giustificativi dell’invocata revoca e/o sospensione dell’ingiunzione a demolire l’immobile in questione. In particolare, senza addurre alcuna motivazione sarebbero state integralmente disattese le evidenze tecniche richiamate nella relazione tecnica illustrativa allegata alla richiesta di permesso di costruire in sanatoria e prodotta in sede di incidente di esecuzione. Il giudice dell’esecuzione, sulla scorta di un’errata interpretazione normativa, avrebbe incomprensibilmente omesso di fornire motivazione in ordine al disatteso eventuale pregiudizio arrecato alla demolizione. Inoltre, attraverso un percorso motivazionale manifestamente illogico e contraddittorio, sarebbe stata ritenuta l’illegittimità totale del manufatto, mai supportato da alcun titolo edilizio, con impossibilità di accedere alla procedura di fiscalizzazione ex art. 34, TU Edilizia. Non sarebbero, sul punto, state confutate le conclusioni di cui alla richiamata consulenza tecnica con argomentazioni scientifiche di segno contrario, omettendo di dare risposta ai rilievi formulati circa il pregiudizio arrecato da un’ipotetica demolizione alla parte assentita ed agli immobili adiacenti.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 9 febbraio 2024, ha chiesto dichiararsi inammissibile il congiunto ricorso.
Ritiene il PG di dover integralmente condividere le articolate indicazioni del giudice territoriale, del tutto coerenti con la giurisprudenza di questa Corte: - tanto sulla questione relativa alla dedotta impossibilità tecnica di dare esecuzione alla demolizione senza pregiudizio per le porzioni “legittime” dell’immobile interessato: legittimità che invece la CA ha ritenuto totalmente da escludersi alla luce di quanto già stabilito in sede di cognizione in ordine alla integrale difformità di quanto eseguito rispetto al manufatto preesistente (demolito); con la conseguenza che il ricorso (motivi primo e terzo) si risolve in un tentativo di rimettere in discussione il merito di tale accertamento; - quanto sulla questione del rapporto fra ordine di demolizione e presentazione (successiva alla sentenza) di istanza di concessione in sanatoria: questione affrontata e risolta dal GE con motivazione del tutto immune da vizi di logicità (avuto riguardo all’esito della procedura amministrativa) e in linea con l’indiscussa e richiamata giurisprudenza di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, trattati cartolarmente ex art. 611, cod. proc. pen., sono inammissibili.
2. Tutti e tre i motivi possono essere esaminati congiuntamente attesa l’intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesi e tenuto conto dell’omogeneità delle censure svolte.
3. I ricorsi sono inammissibili sia perché generici per aspecificità che manifestamente infondati.
3.1. Sono anzitutto generici per aspecificità, in quanto non si confrontano con la motivazione dell’impugnata ordinanza che ha chiarito le ragioni per le quali non fosse accoglibile la tesi difensiva di applicare al caso in esame la c.d. procedura di fiscalizzazione dell’illecito edilizio di cui all’art. 34 TU edilizia nonché le ragioni per le quali la pendenza dell’istanza di sanatoria non rendeva incompatibile l’ordine demolitorio.
Ed invero, quanto alla procedura di fiscalizzazione dell’illecito edilizio, correttamente il giudice dell’esecuzione la ritiene inapplicabile al caso in esame, atteso che, nel caso di specie, si versa in presenza di un caso di totale difformità e assenza di qualsiasi titolo edilizio, con conseguente inapplicabilità dell’art. 34 citato. Ed infatti, come emerge dallo stesso provvedimento impugnato, l’ordine demolitorio segue alla condanna, divenuta irrevocabile, per aver eseguito, in zona dichiarata sismica (e ciò rileva, come si vedrà ai fini della valutazione della sanabilità dell’opera), la demolizione di un preesistente immobile a due elevazioni fuori terra e la successiva realizzazione di un manufatto a tre elevazioni fuori terra, occupante l’intero lotto, ed avente struttura portante in cemento armato con tamponamenti esterni e tramezzature interne in blocchi laterizi, copertura a due falde inclinate e tegole. Tale complessivo intervento edilizio, per come emerge dal provvedimento impugnato, risulta eseguito sine titulo.
3.2. Quanto sopra rende evidente l’inapplicabilità della procedura di cui all’art. 34, d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, che consente di ricorrere alla procedura ivi disciplinata, denominata di “fiscalizzazione dell’illecito edilizio”, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, mediante l’applicazione di una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.
È quindi da escludersi nel caso in cui le opere siano realizzate senza alcun titolo abilitativo, come nel caso di specie. Questa Sezione ha infatti già affermato che in tema di reati edilizi, la possibilità di non eseguire la demolizione qualora possa derivarne pregiudizio per la porzione di fabbricato non abusiva, secondo la procedura di cd. "fiscalizzazione" di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, riguarda le sole ipotesi di parziale difformità (al netto del limite di tolleranza individuato dall'ultimo comma dell'articolo citato: abrogato dall'articolo 10, comma 1, lettera o), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120, n.d.r.) fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato, rimanendo invece esclusa nel caso in cui le opere eseguite siano del tutto sprovviste del necessario assenso amministrativo (Sez. 3, n. 16548 del 16/06/2016, dep. 2017, Rv. 269624 – 01).
Ne discende, pertanto, che l’intera tesi difensiva, fondata sull’impossibilità tecnica e materiale di dare esecuzione all’ordine demolitorio senza pregiudizio o pericolo per la stabilità delle porzioni legittime dell’immobile di loro proprietà e degli immobili adiacenti di proprietà di terzi è del tutto inconferente, perché fondata sull’erroneo presupposto dell’applicabilità del citato art. 34, nella specie inapplicabile per le ragioni indicate.
3.3. Perde, quindi, di conseguenza qualsiasi rilievo anche la doglianza sviluppata nel terzo motivo tendente a censurare l’ordinanza impugnata per non essersi confrontata con le “evidenze tecniche” di cui alla relazione prodotta che avrebbero giustificato la non eseguibilità dell’ordine demolitorio, atteso che, come detto, non versandosi nella specie in ipotesi di difformità parziale dal titolo edilizio ma di intervento eseguito in totale assenza di qualsiasi titolo, non è applicabile la invocata procedura di fiscalizzazione.
3.4. Quanto, poi, alla contestazione difensiva della compatibilità dell’esecuzione dell’ordine demolitorio con la pendenza del procedimento di sanatoria edilizia ex art. 14, Legge reg. Sicilia n. 16 del 2016, è ben vero che in atti vi è la sola comunicazione del Comune di decisione del procedimento ex art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, a chiusura della Conferenza di servizi, in cui si dà atto dell’istruttoria negativa con valore di diniego relativamente al permesso di costruire di cui all’istanza dell’8.11.2021 (e dunque può affermarsi che, al momento della decisione del giudice dell’esecuzione, il procedimento amministrativo non si era ancora concluso), ma è altrettanto vero che, secondo la richiamata giurisprudenza di cui all’ordinanza impugnata, in tema di reati edilizi, il giudice dell'esecuzione investito della richiesta di revoca o di sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive di cui all'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell'istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell'esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (Sez. 3, ord. n. 47263 del 25/09/2014, Rv. 261212 – 01).
Nella specie, il giudice dell’esecuzione ha valutato sfavorevolmente, tenuto conto dell’esito negativo dell’istruttoria, la sanabilità dell’opera ed ha, quindi, ritenuto che non fossero così “prossimi” i tempi di definizione della procedura di sanatoria (beninteso in senso favorevole agli istanti), così rigettando l’istanza. Trattasi di motivazione del tutto corretta, che ci conforma, come detto alla giurisprudenza di questa Corte in materia.
3.5. A ciò, infine, aggiunge il Collegio, si aggiunge la assoluta “insanabilità” dell’opera abusivamente realizzata, in quanto tale dunque insuscettibile di sanatoria edilizia postuma ex art. 14, Legge regionale Sicilia 10/08/2016, n. 16 (che è, infatti, rubricato “Recepimento con modifiche dell'articolo 36 'Accertamento di conformità' del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”).
Questa Corte ha infatti già affermato che, in tema di reati edilizi, il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cd. "doppia conformità"), richiesto ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è da ritenersi escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell'autorizzazione sismica (Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Rv. 284058 – 01).
Ne discende, pertanto, che, anche per tale ragione, è da escludersi la possibile sanatoria dell’opera edilizia in questione, nulla ostando pertanto all’esecuzione dell’ordine demolitorio.
4. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili, con condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione dei ricorsi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 13 marzo 2024